Schiava bianca condivisa (parte 8 - epilogo)
di
Kugher
genere
sadomaso
“Aspetta a godere, giochiamo a scopa”.
Questa volta Mark, pur non capendo appieno le implicazioni dell’invito, intuì in parte il significato.
Malvolentieri tolse il cazzo da quella bocca che gli stava promettendo un orgasmo in breve tempo. L’invito e la frenata dell’amico lo lasciarono però soddisfatto per il prolungamento dell’eccitazione. Se fosse venuto troppo in fretta avrebbe perso l’ingresso nella figa che, invece, il termine utilizzato dall’amico gli aveva prospettato.
Poichè sembrava che John avesse le idee chiare, probabilmente avendo pensato al da farsi mentre Mark era totalmente concentrato sul cazzo nella bocca della schiava inginocchiata, decise di lasciarlo fare.
Tutto sommato, nonostante il potere trasmessogli, sapeva benissimo che quella donna apparteneva al suo amico il quale avrebbe potuto disporne a piacimento.
John prese la schiava per i capelli e la fece mettere a quattro zampe.
Si sedette sulla sua schiena per il tempo necessario a metterle al collo il collare al quale attaccò il guinzaglio.
Senza bisogno di ulteriori ed inutili ordini, si avviò verso un tavolino, seguito dalla carovana composta dalla cagna a quattro zampe che, docilmente, seguiva colui che teneva il guinzaglio e, dietro di lei, l’ospite che dalla scena traeva tutta l’eccitazione possibile, col pensiero rivolto alla imminente penetrazione.
La donna venne fatta stendere di schiena sul tavolo in una posa che denunciava tutta la sua scomodità a vantaggio della comodità dei due uomini.
Il piano del mobile, nella sua parte più stretta, consentiva di avere ad un bordo la figa della schiava, mentre all’altro bordo, non sufficientemente largo, la testa della donna che restava penzoloni.
“Entrale dove vuoi”.
Mark colse la discrezionalità che l’amico gli aveva lasciato.
Conosceva già la bocca della schiava e, così, scelse di entrare nella figa.
Il sesso era stretto e avvolgeva perfettamente il cazzo duro stimolando un piacere forte, amplificato anche dal senso di potere.
Tenne la schiava per i fianchi e cominciò a muoversi. Non si fermò, ma rallentò quando l’amico si mise di fronte a lui per trarre beneficio dalla testa penzoloni, alla giusta altezza per fare entrare in bocca il cazzo.
Mark comprese che era gioco già fatto, posto che l’amico conosceva alla perfezione le dimensioni del tavolino, l’altezza e gli accessi che consentiva di avere.
L’eccitazione non aveva consentito all’ospite di vedere che John aveva preso il frustino ed un mazzo di carte.
La vista del primo lo eccitò, mentre le seconde lo lasciarono perplesso.
John provò piacere dello stupore dell’amico. Col frustino colpì il ventre della schiava, provocando l’istintiva contrazione della figa che trasmise effetti piacevoli al cazzo dell’amico, ma anche al proprio cazzo in quanto la bocca, senza dare dolore coi denti, si chiuse sul membro.
Era un gioco solito e Ambra aveva imparato a controllare l’uso dei denti. Era stata educata a questa pratica posto che ai primi tempi, quando stringeva istintivamente la bocca, procurava dolore con i denti, privando il Padrone del piacere ricercato.
L’effetto della simultanea visione della frustata e contrazione delle figa diedero una accelerata al piacere di Mark che ricercò la replica.
“Tieni”.
Il frustino passò di mano e l’ospite ne approfittò tre volte, lasciando passare il tempo tra un colpo e l’altro, utile per assaporare gli effetti del colpo.
“Adesso giochiamo a scopa”.
Mark stava scopando la figa della schiava.
“Sto già giocando”.
“No amico mio, giochiamo proprio a scopa, con le carte”.
La perplessità non influì sull’eccitazione. Fermò solo per un attimo il ripetuto movimento della penetrazione che, però, riprese subito, seppur più lentamente.
John mosse il cazzo nella bocca della schiava, scopandola. Mescolò le carte e, usando il ventre segnato dalle frustate come tavolino, distribuì le carte.
“Chi vince la partita può godere nella schiava dove e come vuole. Chi perde resta a bocca asciutta”.
“E’ gioco impari, anche se tu perdessi, potresti scopartela non appena me ne sarò andato”.
“Se io dovessi perdere, fino a domani non la potrò scopare”.
La scommessa, il ventre segnato come tavolino, la schiava passiva e docile che accoglieva i due cazzi, produsse i suoi effetti sul piacere fisico e mentale dei due uomini.
Mentre giocavano, entrambi muovevano il bacino penetrando i pertugi, ignorando la scomodità ed il dolore della schiava in quella innaturale posizione.
Per evitare di godere dovettero rallentare il ritmo delle penetrazioni, accelerando il termine della partita quando entrambi capirono che non avrebbero resistito oltre.
Vinse Mark, il quale nemmeno si chiese se fu un gesto di gentilezza dell’amico.
John uscì dalla bocca lasciando la schiava ed il frustino in mano all’amico.
L’ospite cercò di controllarsi ancora, giusto il tempo di dare ancora qualche frustata sul petto.
La figa era stretta e bagnatissima, a testimonianza dal piacere che la schiava traeva dall’uso sessuale e dalla sottomissione.
Il ritmo trovò vigore per raggiungere il piacere dell’orgasmo ormai imminente.
Capendo che il tempo a disposizione ormai era poco, uscì dalla figa bagnata e si diresse velocemente verso la bocca.
Impugnò i capezzoli e li torse per godere del dolore della schiava mentre riversava il proprio piacere nella bocca che, senza bisogno di ordini, ingoiò tutto, velocemente, come le era stato insegnato.
Questa volta Mark, pur non capendo appieno le implicazioni dell’invito, intuì in parte il significato.
Malvolentieri tolse il cazzo da quella bocca che gli stava promettendo un orgasmo in breve tempo. L’invito e la frenata dell’amico lo lasciarono però soddisfatto per il prolungamento dell’eccitazione. Se fosse venuto troppo in fretta avrebbe perso l’ingresso nella figa che, invece, il termine utilizzato dall’amico gli aveva prospettato.
Poichè sembrava che John avesse le idee chiare, probabilmente avendo pensato al da farsi mentre Mark era totalmente concentrato sul cazzo nella bocca della schiava inginocchiata, decise di lasciarlo fare.
Tutto sommato, nonostante il potere trasmessogli, sapeva benissimo che quella donna apparteneva al suo amico il quale avrebbe potuto disporne a piacimento.
John prese la schiava per i capelli e la fece mettere a quattro zampe.
Si sedette sulla sua schiena per il tempo necessario a metterle al collo il collare al quale attaccò il guinzaglio.
Senza bisogno di ulteriori ed inutili ordini, si avviò verso un tavolino, seguito dalla carovana composta dalla cagna a quattro zampe che, docilmente, seguiva colui che teneva il guinzaglio e, dietro di lei, l’ospite che dalla scena traeva tutta l’eccitazione possibile, col pensiero rivolto alla imminente penetrazione.
La donna venne fatta stendere di schiena sul tavolo in una posa che denunciava tutta la sua scomodità a vantaggio della comodità dei due uomini.
Il piano del mobile, nella sua parte più stretta, consentiva di avere ad un bordo la figa della schiava, mentre all’altro bordo, non sufficientemente largo, la testa della donna che restava penzoloni.
“Entrale dove vuoi”.
Mark colse la discrezionalità che l’amico gli aveva lasciato.
Conosceva già la bocca della schiava e, così, scelse di entrare nella figa.
Il sesso era stretto e avvolgeva perfettamente il cazzo duro stimolando un piacere forte, amplificato anche dal senso di potere.
Tenne la schiava per i fianchi e cominciò a muoversi. Non si fermò, ma rallentò quando l’amico si mise di fronte a lui per trarre beneficio dalla testa penzoloni, alla giusta altezza per fare entrare in bocca il cazzo.
Mark comprese che era gioco già fatto, posto che l’amico conosceva alla perfezione le dimensioni del tavolino, l’altezza e gli accessi che consentiva di avere.
L’eccitazione non aveva consentito all’ospite di vedere che John aveva preso il frustino ed un mazzo di carte.
La vista del primo lo eccitò, mentre le seconde lo lasciarono perplesso.
John provò piacere dello stupore dell’amico. Col frustino colpì il ventre della schiava, provocando l’istintiva contrazione della figa che trasmise effetti piacevoli al cazzo dell’amico, ma anche al proprio cazzo in quanto la bocca, senza dare dolore coi denti, si chiuse sul membro.
Era un gioco solito e Ambra aveva imparato a controllare l’uso dei denti. Era stata educata a questa pratica posto che ai primi tempi, quando stringeva istintivamente la bocca, procurava dolore con i denti, privando il Padrone del piacere ricercato.
L’effetto della simultanea visione della frustata e contrazione delle figa diedero una accelerata al piacere di Mark che ricercò la replica.
“Tieni”.
Il frustino passò di mano e l’ospite ne approfittò tre volte, lasciando passare il tempo tra un colpo e l’altro, utile per assaporare gli effetti del colpo.
“Adesso giochiamo a scopa”.
Mark stava scopando la figa della schiava.
“Sto già giocando”.
“No amico mio, giochiamo proprio a scopa, con le carte”.
La perplessità non influì sull’eccitazione. Fermò solo per un attimo il ripetuto movimento della penetrazione che, però, riprese subito, seppur più lentamente.
John mosse il cazzo nella bocca della schiava, scopandola. Mescolò le carte e, usando il ventre segnato dalle frustate come tavolino, distribuì le carte.
“Chi vince la partita può godere nella schiava dove e come vuole. Chi perde resta a bocca asciutta”.
“E’ gioco impari, anche se tu perdessi, potresti scopartela non appena me ne sarò andato”.
“Se io dovessi perdere, fino a domani non la potrò scopare”.
La scommessa, il ventre segnato come tavolino, la schiava passiva e docile che accoglieva i due cazzi, produsse i suoi effetti sul piacere fisico e mentale dei due uomini.
Mentre giocavano, entrambi muovevano il bacino penetrando i pertugi, ignorando la scomodità ed il dolore della schiava in quella innaturale posizione.
Per evitare di godere dovettero rallentare il ritmo delle penetrazioni, accelerando il termine della partita quando entrambi capirono che non avrebbero resistito oltre.
Vinse Mark, il quale nemmeno si chiese se fu un gesto di gentilezza dell’amico.
John uscì dalla bocca lasciando la schiava ed il frustino in mano all’amico.
L’ospite cercò di controllarsi ancora, giusto il tempo di dare ancora qualche frustata sul petto.
La figa era stretta e bagnatissima, a testimonianza dal piacere che la schiava traeva dall’uso sessuale e dalla sottomissione.
Il ritmo trovò vigore per raggiungere il piacere dell’orgasmo ormai imminente.
Capendo che il tempo a disposizione ormai era poco, uscì dalla figa bagnata e si diresse velocemente verso la bocca.
Impugnò i capezzoli e li torse per godere del dolore della schiava mentre riversava il proprio piacere nella bocca che, senza bisogno di ordini, ingoiò tutto, velocemente, come le era stato insegnato.
9
voti
voti
valutazione
6.3
6.3
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
Schiava bianca condivisa (parte 7)racconto sucessivo
La moglie del Presidente golpista (parte 1)
Commenti dei lettori al racconto erotico