Antoinette
di
Domcurioso64
genere
dominazione
Ultimamente andare al lavoro era diventato sempre più pesante, la voglia era calata così come il fatturato, prese l'ascensore e premette il pulsante del piano, le porte cominciarono a chiudersi ma una mano si infilò a bloccarle.
La donna entrò e gli fece un sorriso, lui ricambiò con un cenno del capo appena accennato, lei premette il pulsante del piano subito sopra il suo.
La osservò quando lei si fu girata verso le porte, era in carne come a lui piacevano le donne, seno e glutei importanti, indossava una giacca elegante, una gonna al ginocchio con un piccolo spacco nella parte posteriore e delle dècolleteè molto intriganti che lo colpirono e stavolta sì un sorrisetto gli si aprì sul volto.
L'ascensore si fermò al suo piano e lui scese, si salutarono e la giornata lavorativa iniziò.
Nei giorni successivi non la vide più e sinceramente nemmeno ci ripensò più, i pensieri erano rivolti ad altro e la settimana scivolò via.
Il venerdì ricevette una telefonata, doveva visitare un cliente anche se non era previsto, oltretutto il tono della chiamata era tutt'altro che piacevole, la cosa lo irritò non poco e l'umore divenne ancora più nero. Chiuse l'ufficio e chiamò l'ascensore che era occupato al piano sopra al suo. Il tempo passava e l'ascensore ne si muoveva ne si liberava, cominciarono a scorrere improperi nella sua mente.
Finalmente dopo alcuni minuti la cabina scese e quando le porte si aprirono vide la donna della volta precedente accanto a due scatoloni, lei anche stavolta gli sorrise ma lui entrò irritatissimo, biascicò un “era ora”. Lei comprese e tentò di scusarsi -mi deve perdonare ma ero da sola e ho dovuto caricare queste scatole- lui rimase serio e zitto per tutto il tempo fino a che non arrivò a pian terreno ed uscì senza un saluto.
Come immaginava l'appuntamento dal cliente si risolse con un litigio e ritornando in ufficio non pensava ad altro che tornarsene a casa e dimenticare la giornata e il lavoro.
Quando arrivarono le 18 finalmente chiuse l'ufficio, arrivato all'ascensore lo vide anche stavolta occupato e fermo al piano sopra, l'irritazione aumentò a livelli altissimi. Attese oltre un minuto e nulla cambiò. Decise di prendere le scale e salire per dire ciò che pensava a chi teneva impegnato cosi tanto l'ascensore.
Salì e arrivato davanti alla cabina aperta, vide che c'era una scatola che teneva bloccate le porte, scosse la testa con l'arrabbiatura in ulteriore aumento. In quel momento la solita donna uscì dall'ufficio di fronte tenendo uno scatolone con le mani, lui la fulminò con un'occhiataccia.
Evidentemente lei comprese subito perchè provò subito a scusarsi “mi perdoni, so che non si dovrebbe ma ...” lui la interruppe inveendole contro, alzando la voce e fissandola quasi con odio.
La donna abbassò il capo, mortificata, si chinò per posare la scatola a terra e nel farlo la giacca si aprì sicuramente più del dovuto mostrando il suo seno molto prosperoso e a stento trattenuto dal reggiseno di pizzo.
“Non so cosa dire, mi perdoni la prego” tentò ancora di dire la donna ma in questo momento l'uomo non la sentiva nemmeno, gli occhi incollati alla scollatura, lei si accorse dell'occhiata e provò a chiudere la giacca ma lui le bloccò il polso con la sua mano robusta. Sempre tenendole il braccio, la spinse contro la parete e infilata l'altra mano nella giacca, le prese il seno nella mano, lo strinse forte mentre la fissava negli occhi.
“Ora ti insegno io a comportarti, troia”, la strattonò per farla entrare nell'ufficio rimasto aperto e richiuse la porta dietro di se, lei provò molto timidamente a ribellarsi continuando a miagolare delle scuse. In tutta risposta ricevette uno schiaffo secco sul viso “taci cagna!”, lei ubbidì sentendo la guancia scaldarsi per il ceffone preso, ricacciò le lacrime che stavano per scenderle.
L'uomo la spinse sulla scrivania, lei si sentì stendere con la schiena e gli oggetti che non caddero a terra, la ferirono alle spalle. Lei tentò nuovamente di aprire la bocca per dire qualcosa ma prima di riuscirci ricevette un altro sonoro schiaffo sul viso che ora era rosso e col segno delle dita di lui.
La rivoltò pancia sotto e le sollevò la gonna vaporosa che indossava quel giorno gettandogliela sulla schiena, vide le mutande nere di pizzo, sicuramente coordinate col reggiseno che aveva scatenato la sua reazione. Le allargò le gambe spingendole con il suo piede e rimase alcuni istanti a guardarla gustandosi la vista poi le assestò una sculacciata. In quel mentre vide un righello di legno sulla scrivania, sorrise malignamente, prese le mutande della donna e le strappò con uno strattone, quel che rimaneva scivolò sulla gamba sino alla caviglia.
Lui le portò entrambe le mani dietro la schiena e le trattenne con la mano, poi prese il righello e iniziò a colpirla forte sulle natiche, gemiti arrivarono dalla donna ogni volta che lui la colpiva, sempre più forte. I glutei portavano i segni delle scudisciate ed erano di un rosso acceso.
Lo sguardo di lui scese tra le gambe della donna e si avvide che le labbra erano lucide, sorrise ancora “ma guarda questa puttana che si sta eccitando” disse senza ricevere risposta, sicuramente il viso di lei si stava imporporendo ma gli schiaffi presi lo mascheravano.
Portò la mano tra le gambe di lei e la penetrò con 3 dita, muovendole dentro di lei rudemente, strappandole stavolta dei gemiti. Quando dita e mano furono bagnate, le sfilò e la unse dietro, spingendo anche un dito poi due, cosa che le fece emettere altri gemiti.
La rivoltò ancora rimettendola sulla schiena, le aprì la giacca, le guardò il seno che ormai era quasi fuori dal reggipetto “resta immobile troia” le ringhiò. Prese i seno con la mano facendolo uscire completamente dal reggiseno, strinse forte un capezzolo e poi torcendolo e tirandolo, lei aspirò aria tra i denti e serrò gli occhi. Riprese il righello e la colpì ripetutamente sul seno, poi sulle cosce e tra le gambe. I segni della riga di legno iniziavano ad apparire un po' ovunque.
Posò il righello e la penetrò con 3 dita tra le gambe, muovendo le dita stavolta più lentamente e godendosi l'espressione della donna. La cosa durò poco perchè lui levò le dita e le porse alla bocca di lei “lecca” le impose, fissandola mentre lei eseguiva.
Lui si tirò in piedi e la fissò serio “non finisce qui. Ci rivedremo, stanne certa” le disse (minaccia? Promessa?) e si incamminò verso la porta che si chiuse alle spalle sbattendola.
Alcuni giorni passarono senza che i due si incrociassero ma a lui era rimasto ben in mente quello che era successo nell'ufficio di lei e di certo non voleva rinunciare a un secondo incontro che fosse più o meno fortuito.
L'occasione capitò quando una mattina presto lui si recò nel garage e la vide parcheggiare, quando lei scese dall'auto vide che indossava belle decolleteè nere, una gonna nera piuttosto corta che le lasciava in mostra buona parte delle cosce ed un golfino rosa a maniche lunghe che essendo aderente mostrava bene il suo seno imponente. Lo ricordava bene quel seno, quando aveva stretto forte e tirato i capezzoli sentendola mugolare come una cagnetta e rammentava anche quanto lei si era bagnata mentre lui la colpiva.
L'attese dietro a una colonna e dopo aver dato uno sguardo in giro ed essersi assicurato che non ci fosse nessuno, aspettò che lei lo superasse e l'afferrò per i capelli “dove cazzo pensi di andare?” le disse secco, lei non rispose, probabilmente shoccata per la sorpresa.
Le fece passare il braccio intorno al collo trattenendola e impedendole di muoversi “non credere che sia finita con l'altra volta, quello è stato solo l'inizio. Hai capito?”, sentì sul braccio che lei deglutì ma non rispose allora lui le tirò forte i capelli portandole la testa all'indietro e chiese ancora “hai capito troia?”, lei gemette, deglutì nuovamente e poi fece uscire dalla bocca poco più di un sussurro
“si ho capito”.
Le lasciò andare i capelli e la mano scese e si insinuò sotto la gonna, sentì il pizzo delle mutandine sotto le dita, sorridendo infilò il pollice nell'elastico e con uno strattone deciso le fece scendere poi la liberò dalla stretta al collo e la fissò. Evidentemente lei era scossa per la situazione inaspettata e rimase immobile, lui la guardò da dietro, con la gonna corta e le mutande a mezza coscia era davvero un bel vedere.
“levale e dammele” le ordinò ma lei ancora non si mosse, le arrivò un forte ceffone e poi la strattonò per i capelli “forse non ci senti bene, dammi le mutande!” ringhiò e lei stavolta se le sfilò e gliele diede, solo allora lui le lasciò andare i capelli.
“C'è gente in ufficio da te?” chiese, lei scosse il capo facendo segno di no, “molto bene cagna, dopo verrò a riportartele” l'avvisò, mise le mutande in tasca e sorridendo si allontanò andando verso le scale.
Passarono un paio di ore prima che lui salisse per andare nell'ufficio di lei, suonò il campanello e si mise al lato della porta, fuori dalla vista dello spioncino, poco dopo la porta si aprì. Non vedendo nessuno lei si sporse e solo allora lui si palesò, con un gesto improvviso le strinse il collo e la spinse dentro l'ufficio, col piede chiuse la porta.
Vide che lei sgranava gli occhi indietreggiando mentre lui la spingeva contro al muro, la fissò alcuni istanti godendosi la sorpresa di lei poi la liberò dalla stretta al collo, finse di voltarsi, lei si portò le mani alla gola massaggiandosi e lui le assestò un sonoro schiaffo al viso “questo per ricordarti di non fare cazzate” disse, lei rimase basita.
Vide che la guancia si arrossava e appariva il segno delle dita, sorrise mentre la prendeva ancora per i capelli, trascinandola poi verso la scrivania e quasi gettandola sopra, lei si appoggiò con le mani sul ripiano rimanendo immobile, “resta li” le ordinò guardandosi in giro. Vide quello che cercava su una mensola li vicino: un cavo di ricarica. Lo prese e tornato da lei l'afferrò per un polso, portò il braccio dietro la schiena e legò la prima mano, prese poi l'altra mano e portata anch'essa dietro, la legò strettamente all'altra, lei non reagì probabilmente stupita.
Rimase a guardarla annuendo tra se, così appoggiata, quasi stesa, col petto sul piano del tavolo e i polsi legati dietro, le si appoggiò contro, stendendosi su di lei “sei pronta a prenderti ciò che meriti?” quasi le sussurrò all'orecchio “ma … io …”, non la lasciò terminare, dandole l'ennesimo ceffone.
Si rimise in piedi, tenendo una mano sui polsi legati di lei e si guardò in giro. L'ufficio era ordinato e un po spoglio, minimalista, due scrivanie, due computer, due poltroncine dietro le scrivanie e due sedie davanti a quella principale, un piccolo frigo, un erogatore d'acqua e una macchinetta per il caffè espresso. Un grosso schedario, alto quasi due metri e due piante, forse ficus, erano negli angoli, un'altra porta che doveva essere il bagno ed una finestra abbastanza grande con una tenda piuttosto pesante, forse più adatta ad un appartamento che ad un luogo di lavoro. Quest'ultima attirò la sua attenzione, il tendaggio era tenuto di lato da un pesante cordone, un sorriso malefico gli si aprì sul viso “resta ferma” intimò, andando a staccare la fune dal suo gancio e tornado verso la donna che per la posizione era abbastanza impossibilitata a muoversi.
Soppesò il cordone, lungo circa un metro e mezzo che piegato in due sembrava adatto al suo scopo, lo fece scorrere sulle gambe della donna e poi lasciò andare un colpo secco sulle cosce, strappandole un gemito poi sollevò strattonandola la sua gonna corta e aderente sino a che non fu altro che una sorta di cintura alla vita. Le ammirò le natiche e dopo averle allargato le gambe spingendole a lato con il piede lasciò andare un secondo colpo sui glutei “lo sai che mi hai fatto incazzare la volta scorsa vero?” chiese, anche se non troppo interessato alla risposta “mi dispiace, ti ho già chiesto scusa” rispose lei, ricevendo un ennesimo colpo col cordone, lei gemette più forte.
“non mi servono le tue scuse, credo che tu l'abbia fatto apposta perchè volevi che ti punissi. Ho ragione?” lei inconsapevolmente arrossì e visto che la sua risposta tardava ad arrivare, ricevette altre due scudisciate.
“Rispondimi … anche se … a notare dal lucido che vedo sulle tue labbra credo già di sapere” intanto che lo diceva le passò la mano aperta su labbra e clito avvertendone l'umidore piu che evidente “io … forse io … credo di meritare di essere punita” disse a bassa voce.
Lui strinse forte le dita strizzandole le parti intime, poi le diede un forte schiaffo tra le gambe e infine la rivoltò di schiena sulla scrivania, posizione tutt'altro che agevole, appoggiata appena sui reni e le mani legate dietro la rendevano ancora più scomoda.
I loro sguardi si incrociarono finalmente, lui si gettò il cordone sulla spalla e dopo alcuni istanti le prese i lati del golf e con uno strattone lo aprì facendo saltare i bottoni, lei ora era praticamente nuda ed esposta, ne ammirò il grande seno appena trattenuto dal pizzo del reggiseno e non potè non notare i capezzoli eretti. Si ricordò delle mutande che le aveva preso nel garage e che ancora teneva nella tasca, le prese e le gettò sulla scrivania “queste sono tue”.
Passarono diversi istanti mentre i due si fissarono senza parlare, il viso di lei era arrossato e una guancia recava evidenti i segni degli schiaffi ricevuti, poi lui abbassò lo sguardo tra le gambe della donna “sei bagnata, evidentemente ti eccita sapere che riceverai altri colpi e non solo” lei rispose “si hai ragione perchè merito di essere punita” lui annui.
Lui si mise tra le gambe della donna e preso il reggiseno fece scendere le coppe estraendo i seni gonfi, non riuscì a resistere dallo stringere forte i capezzoli tra le dita, fissandola negli occhi che lei strinse per il dolore “ora ti punirò perchè sei una puttana e tu conterai i colpi che ti darò. Hai capito?” lei rispose dopo alcuni secondi annuendo.
Si fece indietro di un passo e riprese il cordone dalla spalla, tirò indietro il braccio e lasciò andare il primo colpo di traverso, prendendo un seno e parte dell'addome ed attese, invano “conta!” le urlò contro e diede un'altra fustigata ancora più forte della precedente “uno” lei disse gemendo, un altro colpo scese sulle cosce “due”, un altro ancora sulle cosce “tre”.
Il cordone cominciava a lasciare i segni sul corpo della donna, strisce rosse iniziavano ad apparire, lui si mise di traverso rispetto a lei e la colpì altre volte sul seno “quattro … cinque … sei … sette ...” ad ogni colpo lei stringeva forte gli occhi e prima di pronunciare il numero emetteva lievi lamenti che sicuramente stava cercando di trattenere visto che non dubitava che il dolore cominciava ad essere piuttosto forte.
Caricato il braccio la colpì tra le gambe, questa volta un urlo le sfuggì dalle labbra e ci mese un poco prima di dire “otto”, altri colpi arrivarono a segno segnando labbra e cosce “nove … dieci … undici … dodici ...”. il cordone tornò sulla sua spalla e le prese ancora i capezzoli tra le dita stringendoli, tirandoli e torcendoli forte “dillo che meriti di essere punita e perchè” lei rispose a tratti, interrotta dalle fitte di dolore che stava subendo “si, merito la punizione … perchè … sono una troia che … deve espiare i suoi … peccati”.
Lui annuì fissandola, ammirò il corpo della donna cosi armonioso, morbido, con ora sempre più evidenti i segni lasciati dai numerosi colpi, passò il dito seguendo le linee che sentì e calde, le accarezzò le cosce, le graffiò e arrivò tra le sue gambe, il dito sfiorò le labbra gonfie e umide di umori, sorrise “nonostante la punizione continui a bagnarti sempre di più” disse. La prese per le spalle sollevandola per rimetterla in piedi e poi spingendola in basso per farla inginocchiare sul pavimento.
Adorava vederla in quella posizione, nuda, esposta e con le mani legate “prima di continuare a ricevere il giusto castigo che meriti … sai cosa voglio adesso vero” le chiese, lei lo fissò negli occhi, se immaginava non disse niente, lui si fece avanti e riprese i capezzoli tra le dita stringendo forte “dillo troia, dillo … sai cosa voglio sentire” lei riaprì gli occhi appena lui allentò la presa e lo guardò prima in viso e poi dritto davanti a se, all'altezza dell'inguine “vuoi che lo prenda in bocca” rispose “si, ti voglio scopare la bocca”.
La mano andò sulla zip che scese e poi tirò fuori il membro eretto, il glande gonfio, lucido e pulsante, lo appoggiò alle sue labbra strofinandolo su di esse “apri la bocca” ordinò, lei ebbe una lieve esitazione e si prese un sonoro ceffone sul viso, socchiuse le labbra e lui le entrò nella bocca, prese poi la donna per i capelli e la spinse contro di se. Sentì che lei annaspava ma la trattenne diversi secondi prima di iniziare a muoverle il capo avanti e indietro “guardami” comandò ancora e lei sollevò lo sguardo, muoveva la lingua al di sotto del membro e succhiava, la lasciò fare fermandole la testa con la sola cappella nella bocca.
“Sei brava troia, una vera ciucciacazzi, questo dimostra quanto il tuo castigo dovrà essere pesante. Devi davvero espiare i tuoi peccati” detto ciò le lasciò andare i capelli e si tirò indietro ricomponendosi, lei lo fissò ancora deglutendo “si, lo merito” disse lei.
“Alzati” e l'aiutò a rimettersi in piedi, la fece voltare e le liberò i polsi che lei si massaggiò per riattivare la circolazione “togli tutto, golf, reggiseno e gonna” lei lo guardò ed ubbidì, tolse il golfino, sospirando vedendolo rovinato per lo strappo ricevuto, slacciò il reggiseno sfilandolo dalle braccia ed infine apri la gonna lasciandola scivolare sino alle caviglie e scavalcandola. Posò gli indumenti sulla sedia restando completamente nuda con le sole scarpe e guardò di nuovo l'uomo di fonte a se.
“Vieni qui” le disse e quando lei si avvicinò a lui, le fece cenno di appoggiarsi allo schedario e le spiegò come abbracciarlo, lei lo fece posizionando le braccia ai lati e stringendo con le dita il fondo. La prese per i capelli tirandole appena un poco indietro il capo “ora resterai cosi, ferma ed attenderai la tua punizione: 20 frustate. Per iniziare … Sei pronta ad ricevere ciò che meriti troia?”
“si, sono pronta” rispose lei.
Lui aveva già in mente cosa usare, non certo il cordone della tenda. Andò verso la seconda scrivania e staccò il cavo elettrico del computer, prima dalla presa e poi dal case, lo soppesò nella mano, pesante, rigido, tornò verso la donna, piegò il cavo e lo fece scorrere sulla sua schiena “dillo ancora che lo meriti, puttana” “si, devo essere punita, lo merito” rispose.
L'uomo fece un passo indietro “conta” disse poi caricò il braccio e la colpì sulle natiche “uno”, attese alcuni secondi e la colpì ancora “due”, vide i muscoli della donna tesi, aggrapparsi forte allo schedario, le dita sbiancate per la tensione, la colpì ancora “tre” e ancora “quattro”, i glutei lividi, rigati di un rosso acceso, ogni colpo le strappava gemiti sempre piu forti. Passò alla schiena, a ogni sferzata la pelle si segnava e imporporava “cinque … sei … sette ...”, altri colpi giunsero ora sulle parte alta delle cosce “otto … nove … dieci ...”.
La voce della donna era sempre più rotta per il dolore ad ogni numero che elencava, lui si fermò e si avvicinò, la riprese per i capelli fissandola da vicino, la fronte imperlata di sudore, le guance rigate di lacrime “dillo cosa sei e che questa punizione è necessaria” ordinò, lei deglutì più volte e cercando di ricacciare indietro le lacrime rispose “sono una puttana, una peccatrice e devo subire la punizione per espiare i miei peccati”, lui annuì “bene. girati, vai ad appoggiarti alla scrivania col culo e poggia le mani sul piano” la donna quasi a fatica staccò le mani dallo schedario andò alla scrivania e si mise nella posizione che le era stata ordinata.
Lui la guardò a lungo, gli piaceva quel corpo morbido che ancora portava i segni del cordone, il suo grande seno lo eccitava così come il bagnato che vedeva tra le sue gambe, cosi tanto bagnato da colare sulle cosce “apri di più le gambe cagna, ora riceverai il resto”, attese che lei allargasse le gambe e poi si mise di lato a lei.
Quando lui portò indietro il braccio lei strinse gli occhi in attesa del colpo ma lui non lo diede finchè lei non li riapri , solo allora lasciò partire il braccio e il cavo la prese sul seno, lei strillò prima di riprendere il conto “undici”. La sferzò altre volte sul seno e poi sulle cosce, nuove lacrime scesero copiose man mano che il cavo arrivava a segno “diciotto” disse la donna con voce sempre più flebile, tramando, le mani che artigliavano il piano della scrivania, il corpo coperto di segni rossi e di sudore, i capelli anch'essi sudati e spettinati.
Lui si fermò e si mise di fronte a lei, la fissò e intanto piegava meglio il cavo stringendolo forte nel mezzo come a farne un filo unico più spesso, la fissò negli occhi poi lasciò pendere il cavo e fece roteare il braccio all'indietro, dopo un paio di giri fece mezzo passo avanti e il filo elettrico giunse a segno tra le sue gambe, sulle labbra già gonfie, lei strillò nuovamente “diciannove ...”.
Prima di assestare l'ultimo colpo le si avvicinò, era come se potesse sentire il cuore della donna martellare nel petto che si sollevava ritmicamente per il fiato corto ed il respiro accelerato, le prese i capezzoli tra le dita, li schiacciò e li torse, li tirò strappando altri gemiti poi li liberò e posò la mano tra le sue gambe, sentì sotto le dita le labbra gonfie, bagnate, stirò un poco la pelle del pube scoprendo il clit e lo massaggiò prima lentamente e lievemente poi premendo maggiormente e muovendo il dito più rapidamente, lei si leccò le labbra ansimando.
L'uomo continuò a stuzzicarla per un po' ma non aveva nessuna intenzione di consentirle di godere e smise con le carezze, si allontanò nuovamente e fece roteare ancora il cavo all'indietro prima di colpirla con forza tra le gambe “... aaaahhhh … venti ...”.
Lui gettò il cavo sulla scrivania, si terse il sudore dalla fronte e si avvicinò ancora alla donna che era rimasta ferma sul posto, le gambe tremanti, le spostò una ciocca di capelli dal viso “credo che questo sia solo l'inizio, se vuoi redimerti non sarà una sola punizione a riportarti sulla retta via” lei non capì dove volesse arrivare, aggrottò le sopracciglia e gli chiese “che cosa intendi?” “ci sono luoghi dove da secoli la gente si reca per chiedere perdono per i propri peccati e dopo aver fatto la giusta penitenza spesso ottiene la pace” lei non replicò ma lui si accorse che i neuroni della donna viaggiavano a mille, meditando sulle sue parole.
“Rivestiti e pensa a quello che ti ho detto, la prossima volta che verrò a trovarti se vorrai te ne parlerò … ma queste … -raccolse le mutande di pizzo dalla scrivania- … queste me le tengo per ricordo” disse sorridendole e poi si diresse verso la porta ed uscì.
La donna entrò e gli fece un sorriso, lui ricambiò con un cenno del capo appena accennato, lei premette il pulsante del piano subito sopra il suo.
La osservò quando lei si fu girata verso le porte, era in carne come a lui piacevano le donne, seno e glutei importanti, indossava una giacca elegante, una gonna al ginocchio con un piccolo spacco nella parte posteriore e delle dècolleteè molto intriganti che lo colpirono e stavolta sì un sorrisetto gli si aprì sul volto.
L'ascensore si fermò al suo piano e lui scese, si salutarono e la giornata lavorativa iniziò.
Nei giorni successivi non la vide più e sinceramente nemmeno ci ripensò più, i pensieri erano rivolti ad altro e la settimana scivolò via.
Il venerdì ricevette una telefonata, doveva visitare un cliente anche se non era previsto, oltretutto il tono della chiamata era tutt'altro che piacevole, la cosa lo irritò non poco e l'umore divenne ancora più nero. Chiuse l'ufficio e chiamò l'ascensore che era occupato al piano sopra al suo. Il tempo passava e l'ascensore ne si muoveva ne si liberava, cominciarono a scorrere improperi nella sua mente.
Finalmente dopo alcuni minuti la cabina scese e quando le porte si aprirono vide la donna della volta precedente accanto a due scatoloni, lei anche stavolta gli sorrise ma lui entrò irritatissimo, biascicò un “era ora”. Lei comprese e tentò di scusarsi -mi deve perdonare ma ero da sola e ho dovuto caricare queste scatole- lui rimase serio e zitto per tutto il tempo fino a che non arrivò a pian terreno ed uscì senza un saluto.
Come immaginava l'appuntamento dal cliente si risolse con un litigio e ritornando in ufficio non pensava ad altro che tornarsene a casa e dimenticare la giornata e il lavoro.
Quando arrivarono le 18 finalmente chiuse l'ufficio, arrivato all'ascensore lo vide anche stavolta occupato e fermo al piano sopra, l'irritazione aumentò a livelli altissimi. Attese oltre un minuto e nulla cambiò. Decise di prendere le scale e salire per dire ciò che pensava a chi teneva impegnato cosi tanto l'ascensore.
Salì e arrivato davanti alla cabina aperta, vide che c'era una scatola che teneva bloccate le porte, scosse la testa con l'arrabbiatura in ulteriore aumento. In quel momento la solita donna uscì dall'ufficio di fronte tenendo uno scatolone con le mani, lui la fulminò con un'occhiataccia.
Evidentemente lei comprese subito perchè provò subito a scusarsi “mi perdoni, so che non si dovrebbe ma ...” lui la interruppe inveendole contro, alzando la voce e fissandola quasi con odio.
La donna abbassò il capo, mortificata, si chinò per posare la scatola a terra e nel farlo la giacca si aprì sicuramente più del dovuto mostrando il suo seno molto prosperoso e a stento trattenuto dal reggiseno di pizzo.
“Non so cosa dire, mi perdoni la prego” tentò ancora di dire la donna ma in questo momento l'uomo non la sentiva nemmeno, gli occhi incollati alla scollatura, lei si accorse dell'occhiata e provò a chiudere la giacca ma lui le bloccò il polso con la sua mano robusta. Sempre tenendole il braccio, la spinse contro la parete e infilata l'altra mano nella giacca, le prese il seno nella mano, lo strinse forte mentre la fissava negli occhi.
“Ora ti insegno io a comportarti, troia”, la strattonò per farla entrare nell'ufficio rimasto aperto e richiuse la porta dietro di se, lei provò molto timidamente a ribellarsi continuando a miagolare delle scuse. In tutta risposta ricevette uno schiaffo secco sul viso “taci cagna!”, lei ubbidì sentendo la guancia scaldarsi per il ceffone preso, ricacciò le lacrime che stavano per scenderle.
L'uomo la spinse sulla scrivania, lei si sentì stendere con la schiena e gli oggetti che non caddero a terra, la ferirono alle spalle. Lei tentò nuovamente di aprire la bocca per dire qualcosa ma prima di riuscirci ricevette un altro sonoro schiaffo sul viso che ora era rosso e col segno delle dita di lui.
La rivoltò pancia sotto e le sollevò la gonna vaporosa che indossava quel giorno gettandogliela sulla schiena, vide le mutande nere di pizzo, sicuramente coordinate col reggiseno che aveva scatenato la sua reazione. Le allargò le gambe spingendole con il suo piede e rimase alcuni istanti a guardarla gustandosi la vista poi le assestò una sculacciata. In quel mentre vide un righello di legno sulla scrivania, sorrise malignamente, prese le mutande della donna e le strappò con uno strattone, quel che rimaneva scivolò sulla gamba sino alla caviglia.
Lui le portò entrambe le mani dietro la schiena e le trattenne con la mano, poi prese il righello e iniziò a colpirla forte sulle natiche, gemiti arrivarono dalla donna ogni volta che lui la colpiva, sempre più forte. I glutei portavano i segni delle scudisciate ed erano di un rosso acceso.
Lo sguardo di lui scese tra le gambe della donna e si avvide che le labbra erano lucide, sorrise ancora “ma guarda questa puttana che si sta eccitando” disse senza ricevere risposta, sicuramente il viso di lei si stava imporporendo ma gli schiaffi presi lo mascheravano.
Portò la mano tra le gambe di lei e la penetrò con 3 dita, muovendole dentro di lei rudemente, strappandole stavolta dei gemiti. Quando dita e mano furono bagnate, le sfilò e la unse dietro, spingendo anche un dito poi due, cosa che le fece emettere altri gemiti.
La rivoltò ancora rimettendola sulla schiena, le aprì la giacca, le guardò il seno che ormai era quasi fuori dal reggipetto “resta immobile troia” le ringhiò. Prese i seno con la mano facendolo uscire completamente dal reggiseno, strinse forte un capezzolo e poi torcendolo e tirandolo, lei aspirò aria tra i denti e serrò gli occhi. Riprese il righello e la colpì ripetutamente sul seno, poi sulle cosce e tra le gambe. I segni della riga di legno iniziavano ad apparire un po' ovunque.
Posò il righello e la penetrò con 3 dita tra le gambe, muovendo le dita stavolta più lentamente e godendosi l'espressione della donna. La cosa durò poco perchè lui levò le dita e le porse alla bocca di lei “lecca” le impose, fissandola mentre lei eseguiva.
Lui si tirò in piedi e la fissò serio “non finisce qui. Ci rivedremo, stanne certa” le disse (minaccia? Promessa?) e si incamminò verso la porta che si chiuse alle spalle sbattendola.
Alcuni giorni passarono senza che i due si incrociassero ma a lui era rimasto ben in mente quello che era successo nell'ufficio di lei e di certo non voleva rinunciare a un secondo incontro che fosse più o meno fortuito.
L'occasione capitò quando una mattina presto lui si recò nel garage e la vide parcheggiare, quando lei scese dall'auto vide che indossava belle decolleteè nere, una gonna nera piuttosto corta che le lasciava in mostra buona parte delle cosce ed un golfino rosa a maniche lunghe che essendo aderente mostrava bene il suo seno imponente. Lo ricordava bene quel seno, quando aveva stretto forte e tirato i capezzoli sentendola mugolare come una cagnetta e rammentava anche quanto lei si era bagnata mentre lui la colpiva.
L'attese dietro a una colonna e dopo aver dato uno sguardo in giro ed essersi assicurato che non ci fosse nessuno, aspettò che lei lo superasse e l'afferrò per i capelli “dove cazzo pensi di andare?” le disse secco, lei non rispose, probabilmente shoccata per la sorpresa.
Le fece passare il braccio intorno al collo trattenendola e impedendole di muoversi “non credere che sia finita con l'altra volta, quello è stato solo l'inizio. Hai capito?”, sentì sul braccio che lei deglutì ma non rispose allora lui le tirò forte i capelli portandole la testa all'indietro e chiese ancora “hai capito troia?”, lei gemette, deglutì nuovamente e poi fece uscire dalla bocca poco più di un sussurro
“si ho capito”.
Le lasciò andare i capelli e la mano scese e si insinuò sotto la gonna, sentì il pizzo delle mutandine sotto le dita, sorridendo infilò il pollice nell'elastico e con uno strattone deciso le fece scendere poi la liberò dalla stretta al collo e la fissò. Evidentemente lei era scossa per la situazione inaspettata e rimase immobile, lui la guardò da dietro, con la gonna corta e le mutande a mezza coscia era davvero un bel vedere.
“levale e dammele” le ordinò ma lei ancora non si mosse, le arrivò un forte ceffone e poi la strattonò per i capelli “forse non ci senti bene, dammi le mutande!” ringhiò e lei stavolta se le sfilò e gliele diede, solo allora lui le lasciò andare i capelli.
“C'è gente in ufficio da te?” chiese, lei scosse il capo facendo segno di no, “molto bene cagna, dopo verrò a riportartele” l'avvisò, mise le mutande in tasca e sorridendo si allontanò andando verso le scale.
Passarono un paio di ore prima che lui salisse per andare nell'ufficio di lei, suonò il campanello e si mise al lato della porta, fuori dalla vista dello spioncino, poco dopo la porta si aprì. Non vedendo nessuno lei si sporse e solo allora lui si palesò, con un gesto improvviso le strinse il collo e la spinse dentro l'ufficio, col piede chiuse la porta.
Vide che lei sgranava gli occhi indietreggiando mentre lui la spingeva contro al muro, la fissò alcuni istanti godendosi la sorpresa di lei poi la liberò dalla stretta al collo, finse di voltarsi, lei si portò le mani alla gola massaggiandosi e lui le assestò un sonoro schiaffo al viso “questo per ricordarti di non fare cazzate” disse, lei rimase basita.
Vide che la guancia si arrossava e appariva il segno delle dita, sorrise mentre la prendeva ancora per i capelli, trascinandola poi verso la scrivania e quasi gettandola sopra, lei si appoggiò con le mani sul ripiano rimanendo immobile, “resta li” le ordinò guardandosi in giro. Vide quello che cercava su una mensola li vicino: un cavo di ricarica. Lo prese e tornato da lei l'afferrò per un polso, portò il braccio dietro la schiena e legò la prima mano, prese poi l'altra mano e portata anch'essa dietro, la legò strettamente all'altra, lei non reagì probabilmente stupita.
Rimase a guardarla annuendo tra se, così appoggiata, quasi stesa, col petto sul piano del tavolo e i polsi legati dietro, le si appoggiò contro, stendendosi su di lei “sei pronta a prenderti ciò che meriti?” quasi le sussurrò all'orecchio “ma … io …”, non la lasciò terminare, dandole l'ennesimo ceffone.
Si rimise in piedi, tenendo una mano sui polsi legati di lei e si guardò in giro. L'ufficio era ordinato e un po spoglio, minimalista, due scrivanie, due computer, due poltroncine dietro le scrivanie e due sedie davanti a quella principale, un piccolo frigo, un erogatore d'acqua e una macchinetta per il caffè espresso. Un grosso schedario, alto quasi due metri e due piante, forse ficus, erano negli angoli, un'altra porta che doveva essere il bagno ed una finestra abbastanza grande con una tenda piuttosto pesante, forse più adatta ad un appartamento che ad un luogo di lavoro. Quest'ultima attirò la sua attenzione, il tendaggio era tenuto di lato da un pesante cordone, un sorriso malefico gli si aprì sul viso “resta ferma” intimò, andando a staccare la fune dal suo gancio e tornado verso la donna che per la posizione era abbastanza impossibilitata a muoversi.
Soppesò il cordone, lungo circa un metro e mezzo che piegato in due sembrava adatto al suo scopo, lo fece scorrere sulle gambe della donna e poi lasciò andare un colpo secco sulle cosce, strappandole un gemito poi sollevò strattonandola la sua gonna corta e aderente sino a che non fu altro che una sorta di cintura alla vita. Le ammirò le natiche e dopo averle allargato le gambe spingendole a lato con il piede lasciò andare un secondo colpo sui glutei “lo sai che mi hai fatto incazzare la volta scorsa vero?” chiese, anche se non troppo interessato alla risposta “mi dispiace, ti ho già chiesto scusa” rispose lei, ricevendo un ennesimo colpo col cordone, lei gemette più forte.
“non mi servono le tue scuse, credo che tu l'abbia fatto apposta perchè volevi che ti punissi. Ho ragione?” lei inconsapevolmente arrossì e visto che la sua risposta tardava ad arrivare, ricevette altre due scudisciate.
“Rispondimi … anche se … a notare dal lucido che vedo sulle tue labbra credo già di sapere” intanto che lo diceva le passò la mano aperta su labbra e clito avvertendone l'umidore piu che evidente “io … forse io … credo di meritare di essere punita” disse a bassa voce.
Lui strinse forte le dita strizzandole le parti intime, poi le diede un forte schiaffo tra le gambe e infine la rivoltò di schiena sulla scrivania, posizione tutt'altro che agevole, appoggiata appena sui reni e le mani legate dietro la rendevano ancora più scomoda.
I loro sguardi si incrociarono finalmente, lui si gettò il cordone sulla spalla e dopo alcuni istanti le prese i lati del golf e con uno strattone lo aprì facendo saltare i bottoni, lei ora era praticamente nuda ed esposta, ne ammirò il grande seno appena trattenuto dal pizzo del reggiseno e non potè non notare i capezzoli eretti. Si ricordò delle mutande che le aveva preso nel garage e che ancora teneva nella tasca, le prese e le gettò sulla scrivania “queste sono tue”.
Passarono diversi istanti mentre i due si fissarono senza parlare, il viso di lei era arrossato e una guancia recava evidenti i segni degli schiaffi ricevuti, poi lui abbassò lo sguardo tra le gambe della donna “sei bagnata, evidentemente ti eccita sapere che riceverai altri colpi e non solo” lei rispose “si hai ragione perchè merito di essere punita” lui annui.
Lui si mise tra le gambe della donna e preso il reggiseno fece scendere le coppe estraendo i seni gonfi, non riuscì a resistere dallo stringere forte i capezzoli tra le dita, fissandola negli occhi che lei strinse per il dolore “ora ti punirò perchè sei una puttana e tu conterai i colpi che ti darò. Hai capito?” lei rispose dopo alcuni secondi annuendo.
Si fece indietro di un passo e riprese il cordone dalla spalla, tirò indietro il braccio e lasciò andare il primo colpo di traverso, prendendo un seno e parte dell'addome ed attese, invano “conta!” le urlò contro e diede un'altra fustigata ancora più forte della precedente “uno” lei disse gemendo, un altro colpo scese sulle cosce “due”, un altro ancora sulle cosce “tre”.
Il cordone cominciava a lasciare i segni sul corpo della donna, strisce rosse iniziavano ad apparire, lui si mise di traverso rispetto a lei e la colpì altre volte sul seno “quattro … cinque … sei … sette ...” ad ogni colpo lei stringeva forte gli occhi e prima di pronunciare il numero emetteva lievi lamenti che sicuramente stava cercando di trattenere visto che non dubitava che il dolore cominciava ad essere piuttosto forte.
Caricato il braccio la colpì tra le gambe, questa volta un urlo le sfuggì dalle labbra e ci mese un poco prima di dire “otto”, altri colpi arrivarono a segno segnando labbra e cosce “nove … dieci … undici … dodici ...”. il cordone tornò sulla sua spalla e le prese ancora i capezzoli tra le dita stringendoli, tirandoli e torcendoli forte “dillo che meriti di essere punita e perchè” lei rispose a tratti, interrotta dalle fitte di dolore che stava subendo “si, merito la punizione … perchè … sono una troia che … deve espiare i suoi … peccati”.
Lui annuì fissandola, ammirò il corpo della donna cosi armonioso, morbido, con ora sempre più evidenti i segni lasciati dai numerosi colpi, passò il dito seguendo le linee che sentì e calde, le accarezzò le cosce, le graffiò e arrivò tra le sue gambe, il dito sfiorò le labbra gonfie e umide di umori, sorrise “nonostante la punizione continui a bagnarti sempre di più” disse. La prese per le spalle sollevandola per rimetterla in piedi e poi spingendola in basso per farla inginocchiare sul pavimento.
Adorava vederla in quella posizione, nuda, esposta e con le mani legate “prima di continuare a ricevere il giusto castigo che meriti … sai cosa voglio adesso vero” le chiese, lei lo fissò negli occhi, se immaginava non disse niente, lui si fece avanti e riprese i capezzoli tra le dita stringendo forte “dillo troia, dillo … sai cosa voglio sentire” lei riaprì gli occhi appena lui allentò la presa e lo guardò prima in viso e poi dritto davanti a se, all'altezza dell'inguine “vuoi che lo prenda in bocca” rispose “si, ti voglio scopare la bocca”.
La mano andò sulla zip che scese e poi tirò fuori il membro eretto, il glande gonfio, lucido e pulsante, lo appoggiò alle sue labbra strofinandolo su di esse “apri la bocca” ordinò, lei ebbe una lieve esitazione e si prese un sonoro ceffone sul viso, socchiuse le labbra e lui le entrò nella bocca, prese poi la donna per i capelli e la spinse contro di se. Sentì che lei annaspava ma la trattenne diversi secondi prima di iniziare a muoverle il capo avanti e indietro “guardami” comandò ancora e lei sollevò lo sguardo, muoveva la lingua al di sotto del membro e succhiava, la lasciò fare fermandole la testa con la sola cappella nella bocca.
“Sei brava troia, una vera ciucciacazzi, questo dimostra quanto il tuo castigo dovrà essere pesante. Devi davvero espiare i tuoi peccati” detto ciò le lasciò andare i capelli e si tirò indietro ricomponendosi, lei lo fissò ancora deglutendo “si, lo merito” disse lei.
“Alzati” e l'aiutò a rimettersi in piedi, la fece voltare e le liberò i polsi che lei si massaggiò per riattivare la circolazione “togli tutto, golf, reggiseno e gonna” lei lo guardò ed ubbidì, tolse il golfino, sospirando vedendolo rovinato per lo strappo ricevuto, slacciò il reggiseno sfilandolo dalle braccia ed infine apri la gonna lasciandola scivolare sino alle caviglie e scavalcandola. Posò gli indumenti sulla sedia restando completamente nuda con le sole scarpe e guardò di nuovo l'uomo di fonte a se.
“Vieni qui” le disse e quando lei si avvicinò a lui, le fece cenno di appoggiarsi allo schedario e le spiegò come abbracciarlo, lei lo fece posizionando le braccia ai lati e stringendo con le dita il fondo. La prese per i capelli tirandole appena un poco indietro il capo “ora resterai cosi, ferma ed attenderai la tua punizione: 20 frustate. Per iniziare … Sei pronta ad ricevere ciò che meriti troia?”
“si, sono pronta” rispose lei.
Lui aveva già in mente cosa usare, non certo il cordone della tenda. Andò verso la seconda scrivania e staccò il cavo elettrico del computer, prima dalla presa e poi dal case, lo soppesò nella mano, pesante, rigido, tornò verso la donna, piegò il cavo e lo fece scorrere sulla sua schiena “dillo ancora che lo meriti, puttana” “si, devo essere punita, lo merito” rispose.
L'uomo fece un passo indietro “conta” disse poi caricò il braccio e la colpì sulle natiche “uno”, attese alcuni secondi e la colpì ancora “due”, vide i muscoli della donna tesi, aggrapparsi forte allo schedario, le dita sbiancate per la tensione, la colpì ancora “tre” e ancora “quattro”, i glutei lividi, rigati di un rosso acceso, ogni colpo le strappava gemiti sempre piu forti. Passò alla schiena, a ogni sferzata la pelle si segnava e imporporava “cinque … sei … sette ...”, altri colpi giunsero ora sulle parte alta delle cosce “otto … nove … dieci ...”.
La voce della donna era sempre più rotta per il dolore ad ogni numero che elencava, lui si fermò e si avvicinò, la riprese per i capelli fissandola da vicino, la fronte imperlata di sudore, le guance rigate di lacrime “dillo cosa sei e che questa punizione è necessaria” ordinò, lei deglutì più volte e cercando di ricacciare indietro le lacrime rispose “sono una puttana, una peccatrice e devo subire la punizione per espiare i miei peccati”, lui annuì “bene. girati, vai ad appoggiarti alla scrivania col culo e poggia le mani sul piano” la donna quasi a fatica staccò le mani dallo schedario andò alla scrivania e si mise nella posizione che le era stata ordinata.
Lui la guardò a lungo, gli piaceva quel corpo morbido che ancora portava i segni del cordone, il suo grande seno lo eccitava così come il bagnato che vedeva tra le sue gambe, cosi tanto bagnato da colare sulle cosce “apri di più le gambe cagna, ora riceverai il resto”, attese che lei allargasse le gambe e poi si mise di lato a lei.
Quando lui portò indietro il braccio lei strinse gli occhi in attesa del colpo ma lui non lo diede finchè lei non li riapri , solo allora lasciò partire il braccio e il cavo la prese sul seno, lei strillò prima di riprendere il conto “undici”. La sferzò altre volte sul seno e poi sulle cosce, nuove lacrime scesero copiose man mano che il cavo arrivava a segno “diciotto” disse la donna con voce sempre più flebile, tramando, le mani che artigliavano il piano della scrivania, il corpo coperto di segni rossi e di sudore, i capelli anch'essi sudati e spettinati.
Lui si fermò e si mise di fronte a lei, la fissò e intanto piegava meglio il cavo stringendolo forte nel mezzo come a farne un filo unico più spesso, la fissò negli occhi poi lasciò pendere il cavo e fece roteare il braccio all'indietro, dopo un paio di giri fece mezzo passo avanti e il filo elettrico giunse a segno tra le sue gambe, sulle labbra già gonfie, lei strillò nuovamente “diciannove ...”.
Prima di assestare l'ultimo colpo le si avvicinò, era come se potesse sentire il cuore della donna martellare nel petto che si sollevava ritmicamente per il fiato corto ed il respiro accelerato, le prese i capezzoli tra le dita, li schiacciò e li torse, li tirò strappando altri gemiti poi li liberò e posò la mano tra le sue gambe, sentì sotto le dita le labbra gonfie, bagnate, stirò un poco la pelle del pube scoprendo il clit e lo massaggiò prima lentamente e lievemente poi premendo maggiormente e muovendo il dito più rapidamente, lei si leccò le labbra ansimando.
L'uomo continuò a stuzzicarla per un po' ma non aveva nessuna intenzione di consentirle di godere e smise con le carezze, si allontanò nuovamente e fece roteare ancora il cavo all'indietro prima di colpirla con forza tra le gambe “... aaaahhhh … venti ...”.
Lui gettò il cavo sulla scrivania, si terse il sudore dalla fronte e si avvicinò ancora alla donna che era rimasta ferma sul posto, le gambe tremanti, le spostò una ciocca di capelli dal viso “credo che questo sia solo l'inizio, se vuoi redimerti non sarà una sola punizione a riportarti sulla retta via” lei non capì dove volesse arrivare, aggrottò le sopracciglia e gli chiese “che cosa intendi?” “ci sono luoghi dove da secoli la gente si reca per chiedere perdono per i propri peccati e dopo aver fatto la giusta penitenza spesso ottiene la pace” lei non replicò ma lui si accorse che i neuroni della donna viaggiavano a mille, meditando sulle sue parole.
“Rivestiti e pensa a quello che ti ho detto, la prossima volta che verrò a trovarti se vorrai te ne parlerò … ma queste … -raccolse le mutande di pizzo dalla scrivania- … queste me le tengo per ricordo” disse sorridendole e poi si diresse verso la porta ed uscì.
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