Il vento di scirocco (3a di 3)
di
Erasmo
genere
tradimenti
Verso le 14:30 il comando dei Carabinieri ci ha avvertito dell'arrivo al Servizio Psichiatrico, di un 26enne in grave crisi psichica, non essendoci nessun parente noto al momento, era toccato al Sindaco, nella sua qualità di autorità sanitaria, su proposta del medico, convalidata dalla A.S.L, decidere per un TSO. Quando ci aspettavano queste situazioni, un po' di timore invadeva il reparto, non sapevamo mai cosa ci sarebbe potuto arrivare. Hanno suonato il campanello di ingresso, ed un'infermiera è andata ad aprire, e accompagnato da un lato e dall'altro dai Carabinieri, l'ho visto per la prima volta.
Testa bassa, piccoli passi, capelli unti, vestito con jeans logori ed una maglietta stinta. Avevo quasi finito il mio turno, ma in caso di TSO è preferibile essere in due dottori per gestire in maniera migliore l'ingresso.
I Carabinieri ci hanno riferito che: «stava distruggendo l'auto della madre con una mazza, la macchina è in disuso da anni, ed è parcheggiata nel giardino di casa. I vicini spaventati, perché non l'avevano mai visto così, ci han chiamato. Il problema, è che sembra che non abbia nessun parente, la madre è deceduta un mese fa, e oltre ai vicini nessuno sa dell'esistenza di Francesco. Infatti non trovando l'indirizzo, in piazza del paesetto ci hanno negato che in quella casa vivesse un ragazzo, per lo meno non da anni. Pare impossibile ai nostri giorni, ma è così. Non ha opposto nessuna resistenza, ma l'ordine era di portarlo qui, è difficile che riesca a gestirsi da solo. A proposito non ha detto una parola, solo un infinito rosario di versetti della Bibbia, credo sia quella, non sono molto religioso, e parlava talmente veloce che era difficile capirlo. Ora lo lasciamo nelle vostre mani, buona giornata.»
In turno c'era il mio collega Paolo, e dopo un primo sommario approccio al paziente, tornando in ambulatorio mi ha detto: «Credo sia in crisi di astinenza, bisognerà fare delle analisi, non posso dire di cosa, se droghe, alcol, o farmaci, sicuramente non eroina o cocaina. La sudorazione massiccia, le pupille dilatate, mi portano a pensarla così. E' collaborativo, ed è orientabile nello spazio e nel tempo, anche se ha detto solo una frase: "Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi", Matteo 6:14, me la sono annotata, voglio vedere se è giusta.
Ora ha accettato di farsi fare una doccia, dopo lo vedrAi e ti renderai conto, è tutto così strano.»
Avendo visto le condizioni dei suoi vestiti, sono andata nel mio ufficio, a cercare una tuta da ginnastica. Quando mio marito non voleva più qualcosa, io di solito, lo portavo a lavoro proprio per casi simili: tute, magliette, boxer, in un reparto del genere possono sempre essere utili invece di buttarli. Passando davanti ai bagni, ho visto l'infermiera uscire, e la curiosità mi ha fatto entrare nella zona docce. Attraverso il vetro l'ho visto di schiena: alto 1.80, spalle larghe, poi, il mio sguardo, non nego, con un po' di perversione, si è soffermato sui suoi glutei, scultorei, tondi, tonici. Sembrava una statua. Si stava lavando i capelli lunghi e si è girato, ma non poteva intravedermi, ed ho visto che tra le gambe pendeva floscio, ma imponete, il suo pene. Una sottile strisciolina di peli neri andava dall'ombelico alla basa del glande, che era lungo, e ben proporzionato anche da mollo. Il mio cuore inconsciamente ha accelerato i suoi battiti, ed una malata ed insana voglia si è instillata in me. Era bellissimo, mi sono destata da tanta bellezza, ed uscendo ho incrociato di nuovo la stessa infermiera con un asciugamano tra le braccia, mi ha guardato con occhi strani, e le ho detto, celando i miei lussuriosi e sconsiderati pensieri: « Volevo vedere, se gli poteva andar bene una tuta di mio marito, visto che mi pare non abbia con se nulla di pulito, vado a prenderla in ufficio e la do a lei» e la ragazza, in maniera ironica, ma che mi ha messo in difficoltà, ha risposto: «Benissimo dottoressa, infatti gli abiti che aveva addosso erano sporchi luridi, la tuta le andrà bene di sicuro, se ricordo suo marito, ma se gli vanno bene anche i boxer, può ritenersi una donna fortunata, ha notato il...» credo di essere arrossita, ma mi sono data un contegno: «Signorina si figuri se vado a vedere certe cose, aspetti che vado a prendere la tuta.» Stavo completamente perdendo il senno, era più di 10 giorni che non mi facevo scopare da qualcuno che non fosse mio marito, nel suo rituale quasi religioso, stessa posizione, stesso minutaggio, poco petting, e subito dopo: salvietta umidificata per me, e bidet per lui. 20 minuti dal togliersi le mutande a rimettersi quelle pulite.
Tornata in ambulatorio, ero girata di spalle che cercavo dei documenti, quando l'infermiera l'ha fatto accomodare davanti alla scrivania. Mi son girata e per un secondo mi si è bloccato il respiro, non credevo di aver visto un uomo, e ne avevo visti tanti, più bello di lui. Ero fin imbarazzata e facevo difficoltà a trovare le parole. Con un gesto ho fatto uscire l'infermiera. La tuta di Leonardo gli stava alla perfezione, e per un attimo il mio cervello bacato ha pensato che avrei voluto lui, con quella tuta a casa nelle mie giornate, e non Leonardo, avevo ancora l'immagine di quel lungo 'coso' tra le sue gambe, che mi riportava alla mente quello di Orazio, quello di 15 anni prima, quello della mia perdita della verginità. Poi i suoi occhi azzurri, i capelli lunghi ancora umidi dalla doccia, la sua bocca carnosa... le mie perversioni, la mia voglia mai doma, il pensiero di quello che gli avrei fatto... e sotto la gonna la mia calda 'patata' ha iniziato ad ammantarsi di umidità. Sarei dovuta stare io dall'altra parte della scrivania, non lui: io era la malata, io ero la persona da curare.
Ma come avevo capito fin troppo bene l'importante è fare tutto ciò che si vuole senza farsi scoprire, stando nell'ombra, mantenendo un profilo basso, quello che per anni mia madre aveva fatto con mio padre, io lo facevo con Leonardo: la più infedele delle donne la notte prima, e la mattina del giorno dopo, la perfetta dolce mogliettina, in un gioco infame, vizioso e depravato, ma oleato a tal punto da non far percepire nessun cigolio. In ogni caso Leonardo avrebbe sofferto: se l'avesse saputo, forse se ne sarebbe andato di casa, e la solitudine senza le certezze ormai decennali tra noi, lo avrebbe disgregato; e se fosse rimasto, si sarebbe logorato giorno per giorno... ed io avrei smesso? Mi sarei privata di quel mondo che mi serviva più dell'aria che respiravo? La risposta era «No», ed allora era meglio questo perfido, meschino doppio gioco che però sanava il mio sudicio senso di mancanza; ed il suo bisogno di me, del mio amore, che a lui ignaro pareva tutto quello che avessi da donare ad un uomo.
Francesco è stato più di un'ora davanti a me, senza dire una sola parola, dopo la descrizione del carabiniere, e la sua possibile astinenza, gli avevamo somministrato un calmante a blando effetto, per arginare possibili gesti di violenza. Ma io ero completamente tranquilla davanti a lui, anzi era un piacere per gli occhi. La tuta blu elettrico sembrava far vivere i suoi di una luce propria, annebbiati solo leggermente dalla terapia. I suoi capelli, non lavati da tanto tempo, risplendevano lucidi sotto il neon, lo osservavo, lo fissavo come fosse una cavia, la mia cavia. L'ho mandato a riposarsi, l'indomani l'avrei rivisto la mattina, sperando di riuscire ad instaurare un dialogo.
Tornando a casa, era il mio giorno di ovulazione, sapevo che mi spettava la 'galoppata per l'inseminazione', così chiamavo quei giorni, quelli in cui Leonardo mi copulava anche due volte al giorno, per la ricerca di un "positivo" al test di gravidanza. Non che mi dispiacesse così tanto, ma una che è abituata a mangiare astice e aragosta, non può accontentarsi di gamberetti precotti...
Già in macchina, il pensiero mio veleggiava alto, su quel ragazzo, presa da un inspiegabile perdita di controllo, io che di solito gestivo anche le mie relazioni sessuali extraconiugali con rigore e distacco. E per di più, essendo stato ricoverato nel mio turno, il suo 'caso' spettava a me, ovviamente con la supervisione di tutta l'equipe. Quindi era mio il compito di seguirlo e di predisporre per lui una terapia o incontri mirati con la psicologa, e questo mi faceva scattare un senso di protezione e quasi di maternità, che andavano ad aggiungersi alla tentazione erotica.
Quando nella semioscurità della camera, stavo succhiando il cazzo di mio marito, per dargli un po' di energia in più, sognavo di essere con Francesco in quella doccia, di abbassarmi tra le sue gambe, e sentire il suo membro prendere forma nella mia bocca, fino a farglielo diventare duro, da non dover usare le mani. Anche dopo essere stata penetrata da Leo, sempre, come prassi: pancia in alto e lui sopra, anche quando mi era venuto dentro, avevo alzato le gambe per far fluire meglio il suo sperma, per aumentare le possibilità di gravidanza, il desiderio malsano di quel che avevo visto non mi lasciava. Sarebbe stato meglio, inventando una scusa, lasciare il caso ad un collega? Anche con il senno di poi, non saprei cosa rispondere.
Mia madre doveva avere un segreto, una specie di "Ritratto di Dorian Gray", un quadro che la manteneva sempre giovane e bella. Anche con lo sguardo allampanato da terapie e non truccata, rimaneva una donna che non potevi non notare. E così ne aveva combinata una delle sue, dopo averla trovata con la 'bocca piena' di un altro paziente, l'avevano beccata in un ripostiglio che si sollazzava con un infermiere; e la capo sala aveva chiesto un colloquio con me. -"Il carnevale che parla male della quaresima", "Il toro che dice cornuto all'asino"-, in macchina andando in clinica, pensavo e ridevo di gusto, senza in realtà riflettere sulla pura e lercia verità di quello che eravamo diventate. Come potevo, io: sposata, in cerca di un figlio, dire qualcosa a mia madre; io, che collezionavo 'piselli' extra, due volte al mese, da 10 anni.
Nell'ultimo periodo vedevo Leonardo un po' stressato, spesso rimaneva silenzioso e non mi rendeva partecipe della sua vita come prima. La mia gravidanza che latitava, forse il lavoro, ma era molto meno presente anche in casa, usciva spesso, e non mi diceva dove andava. Per quanto stupido mi potesse sembrare, ho iniziato a controllare il suo telefono, le mail, con la vaga convinzione che ci fosse un'altra donna. L'assurdo era che se l'avessi scoperto non l'avrei perdonato, l'avrei messo in croce, proprio io che lo cornificavo da sempre. Ma lui era mio, era parte di quella, anche se banale, ma certa e sicura quotidianità, e per quanto lo tradissi, solo per un fatto erotico, gli volevo bene, anche se la parola 'amare' era distante dal mio cuore e dai miei sentimenti. Avevo sempre avuto, fin da bambina la 'sindrome dell'abbandono', preferivo soffrire, farmi andar bene qualsiasi cosa, piuttosto che essere lasciata o dimenticata.
Anche il secondo ed il terzo giorno non ero riuscita a cavar fuori una frase intera a Francesco, solo qualche «Sì», «No» stentati. Non sapevamo nulla di lui, solo il posto in mezzo al bosco dove doveva aver vissuto con la madre da sempre, in una sorta di prigionia, ma non sapevamo se fosse voluta o impostagli da qualcuno. L'unica era andare in quel paesello di campagna per avere qualche informazione, e fare un sopralluogo della casa.
Come ci aveva accennato il carabiniere, neppure i vicini, che poi tanto vicini non erano, sapevano un granché. Loro abitavano nella penultima abitazione lungo una strada che non aveva sbocchi, e finiva con un piccolo burrone con sotto un torrente. Proprio alla fine di quella via sterrata, a circa 2 km dai primi, c'era l'auto che Francesco stava distruggendo con una mazza, parcheggiata, davanti ad una casetta in legno.
Anche cercando altre informazioni, era uscito solo che da bambino aveva frequentato le scuole elementari in un paese vicino, e ci arrivava con lo scuolabus, insieme ad altri alunni del vicinato. Con l'inizio delle medie, nessuno lo aveva più visto, e alle domande dei pochi interessati, la madre rispondeva che era andato a vivere con il padre, altra figura 'fantasma' della storia. Quindi nessuno aveva più badato alla sua assenza, solo i vicini, molto raramente, soprattutto d'estate, lo vedevano passeggiare rapido nel giardino di casa sua. Anche i Servizi Sociali non avevano mai indagato, non si erano mai posti domande, non avendo nessun motivo per insospettirsi. L'unico che visitava la casa era il prete don. Pietro, che portava la spesa e aiutava come poteva la famiglia. Al colloquio con il prete il perché non avesse detto niente del ragazzino, era per noi un mistero.
Dovevo trovare una chiave di ingresso, un qualcosa che mi mettesse in comunicazione con lui, altrimenti non sarei riuscita a fare nulla sia a livello medico, non sapendo da cosa fosse stata provocata quella crisi di nervi, ne a livello di inserimento sociale, ossia se avesse qualcuno che potesse badare a lui, perché in quello stato depressivo non mi sembrava opportuno farlo tornare alla sua solitudine. E così passeggiando per strada una mattina ho incrociato un frate francescano, mi ha colpito il fatto che a fine novembre avesse dei sandali di pelle ed era scalzo, io con i sabot avevo i piedi ghiacciati, e mi sono fermata colpita da quella bizzarria. E da lì è scattata un'idea nel mio cervello. Quando alle 11:00 Francesco era nel mio ufficio gli ho detto: «Matteo 9:12», lui ha alzato lo sguardo, le pupille hanno preso vita: «"Gesù li udì e disse: -Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati.-» «E tu sei malato o sano?» «Credo di essere nato sano e mi hanno fatto ammalare...», erano le prime parole di senso compiuto che mi diceva, era chiaro che ora comprendesse che la sua vita era stata deviata lungo un binario morto. Però non ero del tutto convinta, credevo fosse tutta una messinscena, smanettai su internet e: «Efesini 4:26-27» «"Nell'ira, non peccate; non tramonti il sole sopra la vostra ira, e non date occasione al diavolo." So di aver peccato d'ira, ma quella macchina è la causa di tutto...». Subito dopo un versetto religioso diceva una frase compiuta, possibile che facesse così con sua madre? Possibile che sapesse tutta la Bibbia ed i Vangeli? E soddisfatta, ringraziando i piedi con l'alluce peloso di quel frate, ho cercato un modo diverso di comunicare, e ho continuato dicendo: «"Nessuno accende una lampada e la copre con un vaso o la pone sotto un letto; la pone invece su un lampadario, perché chi entra veda la luce"» e Francesco mi ha risposto: «Luca 8:16, ma io ho vissuto sempre nel buio, ma non potevo fare altrimenti: "Il figlio saggio rende lieto il padre; il figlio stolto contrista la madre" Proverbi 10:1, ma ora non c'è più...», mi sarei alzata e l'avrei abbracciato: «Se vuoi ti posso aiutare a tornare alla luce...» ho dovuto impegnarmi per non lasciar che le lacrime inondassero il mio viso.
Il neologismo 'infoibata' era quello che rendeva meglio quei giorni della mia vita, come se quell'entità superiore che sta sopra tutti noi volesse in qualche modo farmi redimere dai miei incalcolabili errori. Infatti il candore di quell'uomo-bambino, il comunicare con lui tramite detti biblici, un marito a casa che desiderava solo farmi madre e diventare padre, mi creavano gravi momenti di stress, legati ad una profonda vergogna per quel che avevo fatto in tutto quel tempo, e quasi mi sembrava che se fossi riuscita ad aiutare quel ragazzo anche Dio, in parte, mi avrebbe perdonato. La vivevo come una missione ed ogni giorno mi abbeveravo di acqua santa purificatrice, disintossicante. Ma come si usa dire: "il diavolo e l'acqua santa", e più passavo del tempo con Francesco e più il demonio tentatore, scardinava ogni buon proposito, la sua bellezza, questo disperato bisogno di affetto, il suo odore, instillavano dentro me la passione più sfrenata, più incontrollabile.
Dopo una decina di giorni, io e tutta l'equipe di psicologi, psichiatri ed educatori, spinta molto dalla mia diagnosi, ci siamo resi conto che per Francesco stare in una struttura psichiatrica, dove i quadri patologici: disturbi schizofrenici, dello spettro psicotico, della personalità con grave compromissione del funzionamento personale e sociale, era la peggiore delle modalità terapeutiche per lui, Francesco aveva bisogno di staccarsi dalla segregazione coatta in cui la madre l'aveva rinchiuso, e cercare di progredire a piccoli passi nel rieducarsi uomo, uomo di 27 anni, e non più vivere come un bambino oscurato dalla presenza materna. Quindi avevamo concordato di inserirlo in una comunità dove nell'interagire con altri pazienti, e con gli educatori poteva consentirgli di apprendere cose base per l'autogestione quotidiana della propria vita: cucinare, gestire le uscite, farsi la spesa, tutte quelle cose che per noi sono naturali e per lui no, non avendo mai potuto farle. Oramai aveva preso fiducia in me, ed una mattina, aveva cominciato senza che io le chiedessi niente: «"Se riconosciamo i nostri peccati, egli che è fedele e giusto, ci perdonerà i peccati e ci purificherà da ogni colpa" Giovanni 1:9.» sembrava parlasse di me e non di lui, ma per me sarebbe bastato ammetterli per poter essere perdonata?
E dopo aver detto questo versetto mi ha spiegato la sua vita. Sua madre era innamorata da sempre del parroco del paese, don Pietro, che sotto la tonaca era un uomo degenerato, violento e perverso e si era approfittato, fin dall'adolescenza, dell'amore che Caterina, madre di Francesco, provava per lui. Il prete, 20 anni più vecchio di lei faceva quel che voleva della donna, finché dopo due anni dal suo matrimonio con un boscaiolo di fuori, l'aveva lasciata incinta, una notte davanti a casa proprio in quella macchina che Francesco voleva distruggere. Il padre di Francesco li aveva colti sul fatto e se ne era andato ancor prima di sapere della gravidanza. Infatti pochi sapevano, o ricordavano l'esistenza di quell'uomo, e tutti erano convinti che don Pietro centrasse molto con quel figlio nato in pratica senza padre. Caterina aveva rinchiuso il nascituro in una sorte di prigionia fin da bambino, spiegando che nel mondo esterno il demonio lo avrebbe tentato ai peggiori peccati. Il bimbo ha così sviluppato pian piano un'avversione verso tutto quello che era fuori di casa. Sebbene però la lussuria di Caterina venisse purgata dal curato, la vergogna di avere avuto un figlio dalla loro perversione, l'aveva portata a rinchiudesi nella religione più ipocrita e bigotta, costringendo Francesco ad imparare tutti i testi sacri a memoria, e di poter parlare solo se avesse ricordato in maniera esatta salmi e versetti. Tutto questo Francesco l'aveva letto da bambino nel diario della madre, ma mi aveva anche detto, arrossendo e abbassando lo sguardo, che la madre faceva sesso con il prete davanti a lui, sul divano, o in cucina, come se lui non ci fosse. Il peccato più grande che pensava di aver commesso riguardava la morte della madre, nel momento che aveva avuto un infarto, lui credeva di non averla soccorsa, quindi si addossava quel gravissimo atto come una sua colpa, non sapendo che i dottori avevano determinato che la morte fosse sopraggiunta alle 21.30, subito dopo essersi coricata, ma lui se ne era accorto la mattina dopo. L'atto di violenza contro la macchina era dovuto al fatto che quello era stato il posto dove era stato concepito, dove il prete l'aveva ingravidata, con la scoperta del tradimento e via via tutto il resto. Ora il quadro si era fatto più chiaro, e Francesco è stato trasferito in un casa famiglia dove conviveva con altri tre pazienti e un educatore.
Io ero contenta di questo cambiamento così potevo vederlo più spesso, ed in una situazione diversa rispetto al mio studio: passeggiavamo nei parchi, al lago, andavamo al cinema, come fossimo morosi, o madre e figlio, non era chiaro neppure a me il mio ruolo. So di certo che le mie fantasie non erano di certo cessate, anzi farneticavo guardandogli il cavallo dei pantaloni almeno quattro volte ogni volta che stavo con lui, era più forte di me lo volevo, volevo il suo bel cazzo dentro la mia bocca, e infilato nella mia 'fessurina'. Facevo l'amore 'da riproduzione' con Leo, ma non ero più andata a caccia di nessun altro uomo, e se da un lato questo era positivo, il mio desiderio si accumulava come l'acqua di un torrente di montagna in piena bloccato da una diga. Poi è successo.
Un pomeriggio siamo andati al parco, ero appena uscita da una riunione plenaria, e indossavo un tailleur grigio, con una maglietta bianca in raso. Premetto che ho sempre odiato i collant e di solito vesto con le autoreggenti, sempre nascoste dalla gonna. Ma quel giorno in macchina, ho notato che Francesco, seduto al posto del passeggero, era più silenzioso e pensieroso del solito, così guardandolo ho abbassato lo sguardo sulla sua patta dei jeans, notando un gonfiore ben definito. Mille pensieri hanno iniziato a sovrapporsi: il bene, il mele; il giusto, lo sbagliato; la tentazione, l'astinenza; tutto si ingarbugliava nella mia mente destando però le mie ghiandole surrenali che involontariamente mi hanno fatto bagnare il perizoma. Quando ho seguito il suo sguardo, ho visto che allacciandomi la cintura di sicurezza della macchina, la gonna si era alzata a scoprire le mie cosce, ed il candore della mia pelle appariva chiaro appena sopra le autoreggenti nere. E d'istinto ho preso la decisione che ha cambiato la mia vita. Ho fatto inversione, ed ho guidato l'auto verso il laghetto, posto che conoscevo molto bene perché ci andavo spesso a fare jogging. Sapevo che al buio della sera di gennaio non ci sarebbe stato nessuno, e la casetta dove il custode teneva gli attrezzi, che sapevo come aprire, faceva proprio al caso nostro. Lungo il tragitto con la mano, fissandolo prima negli occhi facendogli capire le mie intenzioni, gli ho abbassato i pantaloni ed i boxer, ed ho iniziato a carezzagli il pene, che era lungo 22 cm circa, e duro come fosse di ferro. Non capivo più nulla, non ho resistito, ed ho preso una stradina sterrata laterale, ho parcheggiato in un luogo semi-nascosto ed ho slacciato la cintura. Ero in fibrillazione, tutto il mio corpo smaniava, desiderava quello che la mia mano destra toccava con tanta enfasi. Mi sono alzata la gonna ed ho sfilato gli slip, madidi dei miei succhi, e aprendo le gambe gli ho fatto vedere la mia fica aprendogliela, che sotto i miei peli scuri risaltava di un rosa chiaro. Lui era rosso in viso, ma l'ho tranquillizzato, e prendendo la sua mano me la sono messa tra le gambe. Ha iniziato a toccarmi in maniera quasi innocente, come fosse un bambino, gli ho direzionato le dita sul mio clitoride che turgido svettava sopra le grandi labbra, ed ha iniziato a giocarci, ed io sono venuta subito, chiudendo gli occhi e godendomi con tutta me stessa quei secondi di pura perdizione, di stacco dalla realtà. Avevo talmente tanta fame e sete di lui, che mi ha fatto tornare in mente, come solo poche volte mi capitava, Oreste ed il mio primo rapporto sessuale, ma ora a tutti i suoi tocchi avevo un fremito, ero percorsa da spasmi, ogni volta che che sfiorava la mia 'pallina' sentivo quasi un dolore, che aumentava il bisogno di sentirlo tutto dentro me. Mi ero concentrata su me stessa, ma quando mi sono girata abbassandomi sotto i suoi addominali, la sua strisciolina di peli scuri che dall'ombelico arrivava appena sopra la sua erezione, ho rivisto Francesco sotto la doccia il primo giorno del ricovero. Il suo cazzo era morfologicamente perfetto, la sottile pelle ricopriva solo in parte il glande, ed il rosa della sua punta era per me un invito a baciarlo. E così, con tutta la maestria, l'esperienza, e la mia lussuria, ho giostrato la mia lingua perdendomi in quel membro visto e rivisto nei miei sogni da 40 giorni. Con la mano destra gli menavo piano l'asta, tirando la pelle indietro e inglobavo la sua cappella in bocca, facendo, pressione con le labbra, prima più forte, poi più piano, e lo sentivo indurirsi ancora di più, diventare tra le mie fameliche fauci più lungo e marmoreo. Francesco in silenzio respirava affannosamente, e mi osservava con gli occhi fissi, con occhi di un bimbo meravigliato e felice. Era incantevole sentire la piccola scanalatura che dalla punta scendeva verso la sua lunga asta, ero immersa in un mondo di sordide ma meravigliose sensazioni, e quel uomo-bambino si lasciava trastullare nel vizio, nel peccato, chiedendosi perché un Dio così buono negasse cose così belle. Poi quasi allo spasmo del desiderio, ha detto con voce ansante: «"Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due formeranno una carne sola." Efesini 5:31» E con quelle parole tutta la mia trasgressione e perversione ha raggiunto il margine più alto, mi sono tirata su, ho abbassato il suo sedile, gli sono andata sopra e senza neppure dirigerlo, il suo lungo paletto è entrato tutto dentro me, senza alcuna difficoltà, senza nessun attrito da quanto ero bagnata dall'eccitazione. Ho aperto bene le cosce ed ho cominciato ad andare su e giù, baciandolo nelle labbra e graffiandogli la schiena con le unghie, ero in preda al delirio. Cavalcavo sempre più forte, con colpi che risuonavano nell'abitacolo dell'auto in un "ciac ciac" sempre più rapido e deciso, finché con le mani mi sono strizzata i capezzoli, e tirando la testa indietro mi sono lasciata trasportare dal più lungo e denso orgasmo della mia esistenza, il mio corpo vibrava e tremava in un dolce abbraccio di godimento, quando ho sentito invadere le mie pareti vaginali del suo caldo liquido, e sono crollata in avanti buttandomi tra le sue braccia.
Tornata a casa ho trovato un biglietto di Leo che mi diceva che non sarebbe arrivato per cena. Rimasta sola, mentre mangiavo, ho ripensato a quel pomeriggio con Francesco, e a quanto fosse indispensabile per la mia vita, e forse io per lui. Però come un tarlo scava il legno anche se non lo vedi, dentro me c'era presente un'enorme paura, che cercavo di celare, ma era lì, e girava in tutto il mio sistema nervoso: mi era venuto dentro ed io non prendevo la pillola da un pezzo. Ormai ero un donna persa, e la mia perfida mente, come ha lavarmi la coscienza nelle acque di scolo di un allevamento di bestiame, o nel liquame, ha elaborato un piano tanto assurdo e malato che anch'io stentavo a credere di averlo solo pensato. Mi sono fatta la doccia, ed ho aspettato mio marito, nuda davanti al caminetto acceso, strusciando col ditino il mio clitoride per essere pronta ed eccitata al suo rientro. Quando mi ha vista così, cosa che non succedeva da anni, è quasi corso in doccia e dopo, mi ha penetrato con forza, con quel giochino avevo rispolverato in lui la sua vecchia passione, e mi ha scopata duro, vigorosamente fino a farmi godere.
Dopo due settimane, e dopo sei giorni di ritardo il verdetto del test di gravidanza non dava scampo nello scrivere 'positivo', e quando l'ho visto ho perso la forza nelle gambe e la fronte mi si è imperlata di sudore. Cosa dovevo fare? Di chi erano quelle cellule in via di sviluppo dentro me? Se ne avessi parlato la mia vita, tutto quello che avevo costruito con Leonardo, si sarebbe disgregata, sfaldata come la terra dopo un terremoto.
Ho avvertito, dopo una visita ginecologica mio marito, che piangendo dalla felicità e dalla commozione mi ha abbracciato, ed anch'io ho versato lacrime, che sapevano dell'amaro del fiele.
Nel frattempo Francesco ha iniziato a vivere un'altra fase della sua esistenza, ed essendo estremamente intelligente, l'adattamento al mondo esterno non gli ha dato alcun turbamento. Ero al secondo mese, e tutti sapevano della mia gravidanza e si felicitavano con me e con Leonardo, ed io non ho avuto il coraggio di dire niente a nessuno e neppure di fare, di nascosto, le analisi del DNA. Da quando avevo scoperto di essere incinta, non ho avuto più rapporti vaginali con nessuno, mi sembrava un sacrilegio, ma la santità per me non era assolutamente considerata, almeno due volte a settimana davo il mio culetto a Francesco, in alberghetti lungo la tangenziale, dove nessuno poteva conoscerci. In quei mesi avevo trasformato quel ragazzo piovutomi dal cielo nella mia macchina perfetta per la mia vita, sia per il sesso, che per tutte quelle emozioni che suscitava in me il vederlo giorno per giorno imparare cose che noi davamo scontate. Non potevo vivere senza di lui, ero diventata: sua madre, la sua ragazza, la sua psicologa, la sua preda per ogni fantasia erotica gli passasse per la mente; e lui era il mio bimbo da crescere, lo avevo reso a son di farlo godere il mio schiavo sessuale, io lo amavo, e lui viveva per me.
Al nono mese esatto, la corsa in macchina, dopo la rottura della acque, il parto, una meravigliosa bambina con i miei occhi, Maria Sole, 3 chili di cicciottelle cosciotte e guance rosse, e quando me la sono poggiata al petto ho capito dal suo calore che la cosa più bella della vita è racchiusa in quell'attimo, la consapevolezza di mettere al mondo una cosina così microscopica, indifesa, ma già pronta ad affrontare ogni avversità che la sua strada le porrà di fronte. Leonardo era in parte a me, sembrava un statua di Michelangelo, marmoreo teneva tra le sue braccia quel piccolo corpo con una delicatezza che i miei occhi trovarono, non saprei dove, altre lacrime che pensavo finite da tempo. La prima volta che mia madre l'ha vista mi ha detto, non toccandola neppure: «Non assomiglia per niente a Leonardo, chissà...», ed io stizzita, ho preso il passeggino e me ne sono andata con la ma nuova fonte di vita.
Sono passati quattro anni, ho scoperto in Leo un grande padre, affettuoso e dolcissimo, ma la mia lussuria seppur leggermente diminuita, non mi dava scampo, e ho fatto sempre quel sesso, che mi avvolgeva caldo e rigenerante, con Francesco, che era diventato lo zio acquisito di Maria Sole. Non avrei potuto fare altrimenti, da quando ho perso la verginità a 20 anni con Orazio, il demoniaco serpente non mi ha lasciato vivere in pace, ed ho potuto solo accondiscendere ad ogni sua tentazione.
Quando siamo nati io e mio fratello gemello, tirava un forte vento di Scirocco, il vento della follia, così viene spesso citato. Ma quell'insana brezza aveva lambito solo me, lasciando nella ragione mio fratello. D'altro canto la mia vita è stata un crocevia di persone dissennate, pazze, matte: mia madre, Orazio nel suo condannarsi ad un isolamento coatto per scelta, la madre di Francesco nel carcerare suo figlio, avuto con un prete, anch'esso avendo tradito le parole della chiesa, io... Forse la più deviata verso l'insanità mentale però sono stata io, 11 anni di tradimenti, 240 uomini hanno varcato il mio bassoventre, un rapporto con un paziente, una figlia con un padre non certificato; a pensarci bene nessun Dio di nessuna religione potrà mai perdonarmi. Alla fine della fiera, forse il più savio, il più assennato era proprio Francesco, che non ha avuto nessuna colpa se la sua vita è stata indirizzata verso la chiusura ad un mondo che esisteva ma che lui non poteva neppure immaginare.
Non ho fatto mai le analisi, data la somiglianza tra Leo e Francesco, ed il fatto che Maria Sole avesse preso molto da me, nessuno ha avuto dei dubbi o dei sospetti. Ma quando a 4 anni, tornata dall'asilo ha iniziato a dire, con voce pura e innocente: «Ave Maria, piena di grazia il Signore è con...» e ha continuato fino alla fine, Leonardo le ha chiesto: «Chi è che te l'ha insegnata? Che brava, la sai tutta...» lei da quelle delicate labbrine ha risposto: «La maestra ce l'ha letta una volta prima di uscire.» ed io: «Una sola volta? Ma che brava la mia bambina, che memoria»
Il cuore mi si è gonfiato, una trepidazione sottopelle ed ho pensato:-non sa ancora leggere, come può essere-, e, anche se sapevo per certo che non avrebbe potuto dire niente di sicuro, ho capito perfettamente chi era suo padre. Ed io che da quando avevo 15 anni ho sempre odiato mia madre, son finita a fare una vita ben più peccaminosa della sua, ma è più facile guardare le colpe altrui che scavare in noi stessi.
Testa bassa, piccoli passi, capelli unti, vestito con jeans logori ed una maglietta stinta. Avevo quasi finito il mio turno, ma in caso di TSO è preferibile essere in due dottori per gestire in maniera migliore l'ingresso.
I Carabinieri ci hanno riferito che: «stava distruggendo l'auto della madre con una mazza, la macchina è in disuso da anni, ed è parcheggiata nel giardino di casa. I vicini spaventati, perché non l'avevano mai visto così, ci han chiamato. Il problema, è che sembra che non abbia nessun parente, la madre è deceduta un mese fa, e oltre ai vicini nessuno sa dell'esistenza di Francesco. Infatti non trovando l'indirizzo, in piazza del paesetto ci hanno negato che in quella casa vivesse un ragazzo, per lo meno non da anni. Pare impossibile ai nostri giorni, ma è così. Non ha opposto nessuna resistenza, ma l'ordine era di portarlo qui, è difficile che riesca a gestirsi da solo. A proposito non ha detto una parola, solo un infinito rosario di versetti della Bibbia, credo sia quella, non sono molto religioso, e parlava talmente veloce che era difficile capirlo. Ora lo lasciamo nelle vostre mani, buona giornata.»
In turno c'era il mio collega Paolo, e dopo un primo sommario approccio al paziente, tornando in ambulatorio mi ha detto: «Credo sia in crisi di astinenza, bisognerà fare delle analisi, non posso dire di cosa, se droghe, alcol, o farmaci, sicuramente non eroina o cocaina. La sudorazione massiccia, le pupille dilatate, mi portano a pensarla così. E' collaborativo, ed è orientabile nello spazio e nel tempo, anche se ha detto solo una frase: "Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi", Matteo 6:14, me la sono annotata, voglio vedere se è giusta.
Ora ha accettato di farsi fare una doccia, dopo lo vedrAi e ti renderai conto, è tutto così strano.»
Avendo visto le condizioni dei suoi vestiti, sono andata nel mio ufficio, a cercare una tuta da ginnastica. Quando mio marito non voleva più qualcosa, io di solito, lo portavo a lavoro proprio per casi simili: tute, magliette, boxer, in un reparto del genere possono sempre essere utili invece di buttarli. Passando davanti ai bagni, ho visto l'infermiera uscire, e la curiosità mi ha fatto entrare nella zona docce. Attraverso il vetro l'ho visto di schiena: alto 1.80, spalle larghe, poi, il mio sguardo, non nego, con un po' di perversione, si è soffermato sui suoi glutei, scultorei, tondi, tonici. Sembrava una statua. Si stava lavando i capelli lunghi e si è girato, ma non poteva intravedermi, ed ho visto che tra le gambe pendeva floscio, ma imponete, il suo pene. Una sottile strisciolina di peli neri andava dall'ombelico alla basa del glande, che era lungo, e ben proporzionato anche da mollo. Il mio cuore inconsciamente ha accelerato i suoi battiti, ed una malata ed insana voglia si è instillata in me. Era bellissimo, mi sono destata da tanta bellezza, ed uscendo ho incrociato di nuovo la stessa infermiera con un asciugamano tra le braccia, mi ha guardato con occhi strani, e le ho detto, celando i miei lussuriosi e sconsiderati pensieri: « Volevo vedere, se gli poteva andar bene una tuta di mio marito, visto che mi pare non abbia con se nulla di pulito, vado a prenderla in ufficio e la do a lei» e la ragazza, in maniera ironica, ma che mi ha messo in difficoltà, ha risposto: «Benissimo dottoressa, infatti gli abiti che aveva addosso erano sporchi luridi, la tuta le andrà bene di sicuro, se ricordo suo marito, ma se gli vanno bene anche i boxer, può ritenersi una donna fortunata, ha notato il...» credo di essere arrossita, ma mi sono data un contegno: «Signorina si figuri se vado a vedere certe cose, aspetti che vado a prendere la tuta.» Stavo completamente perdendo il senno, era più di 10 giorni che non mi facevo scopare da qualcuno che non fosse mio marito, nel suo rituale quasi religioso, stessa posizione, stesso minutaggio, poco petting, e subito dopo: salvietta umidificata per me, e bidet per lui. 20 minuti dal togliersi le mutande a rimettersi quelle pulite.
Tornata in ambulatorio, ero girata di spalle che cercavo dei documenti, quando l'infermiera l'ha fatto accomodare davanti alla scrivania. Mi son girata e per un secondo mi si è bloccato il respiro, non credevo di aver visto un uomo, e ne avevo visti tanti, più bello di lui. Ero fin imbarazzata e facevo difficoltà a trovare le parole. Con un gesto ho fatto uscire l'infermiera. La tuta di Leonardo gli stava alla perfezione, e per un attimo il mio cervello bacato ha pensato che avrei voluto lui, con quella tuta a casa nelle mie giornate, e non Leonardo, avevo ancora l'immagine di quel lungo 'coso' tra le sue gambe, che mi riportava alla mente quello di Orazio, quello di 15 anni prima, quello della mia perdita della verginità. Poi i suoi occhi azzurri, i capelli lunghi ancora umidi dalla doccia, la sua bocca carnosa... le mie perversioni, la mia voglia mai doma, il pensiero di quello che gli avrei fatto... e sotto la gonna la mia calda 'patata' ha iniziato ad ammantarsi di umidità. Sarei dovuta stare io dall'altra parte della scrivania, non lui: io era la malata, io ero la persona da curare.
Ma come avevo capito fin troppo bene l'importante è fare tutto ciò che si vuole senza farsi scoprire, stando nell'ombra, mantenendo un profilo basso, quello che per anni mia madre aveva fatto con mio padre, io lo facevo con Leonardo: la più infedele delle donne la notte prima, e la mattina del giorno dopo, la perfetta dolce mogliettina, in un gioco infame, vizioso e depravato, ma oleato a tal punto da non far percepire nessun cigolio. In ogni caso Leonardo avrebbe sofferto: se l'avesse saputo, forse se ne sarebbe andato di casa, e la solitudine senza le certezze ormai decennali tra noi, lo avrebbe disgregato; e se fosse rimasto, si sarebbe logorato giorno per giorno... ed io avrei smesso? Mi sarei privata di quel mondo che mi serviva più dell'aria che respiravo? La risposta era «No», ed allora era meglio questo perfido, meschino doppio gioco che però sanava il mio sudicio senso di mancanza; ed il suo bisogno di me, del mio amore, che a lui ignaro pareva tutto quello che avessi da donare ad un uomo.
Francesco è stato più di un'ora davanti a me, senza dire una sola parola, dopo la descrizione del carabiniere, e la sua possibile astinenza, gli avevamo somministrato un calmante a blando effetto, per arginare possibili gesti di violenza. Ma io ero completamente tranquilla davanti a lui, anzi era un piacere per gli occhi. La tuta blu elettrico sembrava far vivere i suoi di una luce propria, annebbiati solo leggermente dalla terapia. I suoi capelli, non lavati da tanto tempo, risplendevano lucidi sotto il neon, lo osservavo, lo fissavo come fosse una cavia, la mia cavia. L'ho mandato a riposarsi, l'indomani l'avrei rivisto la mattina, sperando di riuscire ad instaurare un dialogo.
Tornando a casa, era il mio giorno di ovulazione, sapevo che mi spettava la 'galoppata per l'inseminazione', così chiamavo quei giorni, quelli in cui Leonardo mi copulava anche due volte al giorno, per la ricerca di un "positivo" al test di gravidanza. Non che mi dispiacesse così tanto, ma una che è abituata a mangiare astice e aragosta, non può accontentarsi di gamberetti precotti...
Già in macchina, il pensiero mio veleggiava alto, su quel ragazzo, presa da un inspiegabile perdita di controllo, io che di solito gestivo anche le mie relazioni sessuali extraconiugali con rigore e distacco. E per di più, essendo stato ricoverato nel mio turno, il suo 'caso' spettava a me, ovviamente con la supervisione di tutta l'equipe. Quindi era mio il compito di seguirlo e di predisporre per lui una terapia o incontri mirati con la psicologa, e questo mi faceva scattare un senso di protezione e quasi di maternità, che andavano ad aggiungersi alla tentazione erotica.
Quando nella semioscurità della camera, stavo succhiando il cazzo di mio marito, per dargli un po' di energia in più, sognavo di essere con Francesco in quella doccia, di abbassarmi tra le sue gambe, e sentire il suo membro prendere forma nella mia bocca, fino a farglielo diventare duro, da non dover usare le mani. Anche dopo essere stata penetrata da Leo, sempre, come prassi: pancia in alto e lui sopra, anche quando mi era venuto dentro, avevo alzato le gambe per far fluire meglio il suo sperma, per aumentare le possibilità di gravidanza, il desiderio malsano di quel che avevo visto non mi lasciava. Sarebbe stato meglio, inventando una scusa, lasciare il caso ad un collega? Anche con il senno di poi, non saprei cosa rispondere.
Mia madre doveva avere un segreto, una specie di "Ritratto di Dorian Gray", un quadro che la manteneva sempre giovane e bella. Anche con lo sguardo allampanato da terapie e non truccata, rimaneva una donna che non potevi non notare. E così ne aveva combinata una delle sue, dopo averla trovata con la 'bocca piena' di un altro paziente, l'avevano beccata in un ripostiglio che si sollazzava con un infermiere; e la capo sala aveva chiesto un colloquio con me. -"Il carnevale che parla male della quaresima", "Il toro che dice cornuto all'asino"-, in macchina andando in clinica, pensavo e ridevo di gusto, senza in realtà riflettere sulla pura e lercia verità di quello che eravamo diventate. Come potevo, io: sposata, in cerca di un figlio, dire qualcosa a mia madre; io, che collezionavo 'piselli' extra, due volte al mese, da 10 anni.
Nell'ultimo periodo vedevo Leonardo un po' stressato, spesso rimaneva silenzioso e non mi rendeva partecipe della sua vita come prima. La mia gravidanza che latitava, forse il lavoro, ma era molto meno presente anche in casa, usciva spesso, e non mi diceva dove andava. Per quanto stupido mi potesse sembrare, ho iniziato a controllare il suo telefono, le mail, con la vaga convinzione che ci fosse un'altra donna. L'assurdo era che se l'avessi scoperto non l'avrei perdonato, l'avrei messo in croce, proprio io che lo cornificavo da sempre. Ma lui era mio, era parte di quella, anche se banale, ma certa e sicura quotidianità, e per quanto lo tradissi, solo per un fatto erotico, gli volevo bene, anche se la parola 'amare' era distante dal mio cuore e dai miei sentimenti. Avevo sempre avuto, fin da bambina la 'sindrome dell'abbandono', preferivo soffrire, farmi andar bene qualsiasi cosa, piuttosto che essere lasciata o dimenticata.
Anche il secondo ed il terzo giorno non ero riuscita a cavar fuori una frase intera a Francesco, solo qualche «Sì», «No» stentati. Non sapevamo nulla di lui, solo il posto in mezzo al bosco dove doveva aver vissuto con la madre da sempre, in una sorta di prigionia, ma non sapevamo se fosse voluta o impostagli da qualcuno. L'unica era andare in quel paesello di campagna per avere qualche informazione, e fare un sopralluogo della casa.
Come ci aveva accennato il carabiniere, neppure i vicini, che poi tanto vicini non erano, sapevano un granché. Loro abitavano nella penultima abitazione lungo una strada che non aveva sbocchi, e finiva con un piccolo burrone con sotto un torrente. Proprio alla fine di quella via sterrata, a circa 2 km dai primi, c'era l'auto che Francesco stava distruggendo con una mazza, parcheggiata, davanti ad una casetta in legno.
Anche cercando altre informazioni, era uscito solo che da bambino aveva frequentato le scuole elementari in un paese vicino, e ci arrivava con lo scuolabus, insieme ad altri alunni del vicinato. Con l'inizio delle medie, nessuno lo aveva più visto, e alle domande dei pochi interessati, la madre rispondeva che era andato a vivere con il padre, altra figura 'fantasma' della storia. Quindi nessuno aveva più badato alla sua assenza, solo i vicini, molto raramente, soprattutto d'estate, lo vedevano passeggiare rapido nel giardino di casa sua. Anche i Servizi Sociali non avevano mai indagato, non si erano mai posti domande, non avendo nessun motivo per insospettirsi. L'unico che visitava la casa era il prete don. Pietro, che portava la spesa e aiutava come poteva la famiglia. Al colloquio con il prete il perché non avesse detto niente del ragazzino, era per noi un mistero.
Dovevo trovare una chiave di ingresso, un qualcosa che mi mettesse in comunicazione con lui, altrimenti non sarei riuscita a fare nulla sia a livello medico, non sapendo da cosa fosse stata provocata quella crisi di nervi, ne a livello di inserimento sociale, ossia se avesse qualcuno che potesse badare a lui, perché in quello stato depressivo non mi sembrava opportuno farlo tornare alla sua solitudine. E così passeggiando per strada una mattina ho incrociato un frate francescano, mi ha colpito il fatto che a fine novembre avesse dei sandali di pelle ed era scalzo, io con i sabot avevo i piedi ghiacciati, e mi sono fermata colpita da quella bizzarria. E da lì è scattata un'idea nel mio cervello. Quando alle 11:00 Francesco era nel mio ufficio gli ho detto: «Matteo 9:12», lui ha alzato lo sguardo, le pupille hanno preso vita: «"Gesù li udì e disse: -Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati.-» «E tu sei malato o sano?» «Credo di essere nato sano e mi hanno fatto ammalare...», erano le prime parole di senso compiuto che mi diceva, era chiaro che ora comprendesse che la sua vita era stata deviata lungo un binario morto. Però non ero del tutto convinta, credevo fosse tutta una messinscena, smanettai su internet e: «Efesini 4:26-27» «"Nell'ira, non peccate; non tramonti il sole sopra la vostra ira, e non date occasione al diavolo." So di aver peccato d'ira, ma quella macchina è la causa di tutto...». Subito dopo un versetto religioso diceva una frase compiuta, possibile che facesse così con sua madre? Possibile che sapesse tutta la Bibbia ed i Vangeli? E soddisfatta, ringraziando i piedi con l'alluce peloso di quel frate, ho cercato un modo diverso di comunicare, e ho continuato dicendo: «"Nessuno accende una lampada e la copre con un vaso o la pone sotto un letto; la pone invece su un lampadario, perché chi entra veda la luce"» e Francesco mi ha risposto: «Luca 8:16, ma io ho vissuto sempre nel buio, ma non potevo fare altrimenti: "Il figlio saggio rende lieto il padre; il figlio stolto contrista la madre" Proverbi 10:1, ma ora non c'è più...», mi sarei alzata e l'avrei abbracciato: «Se vuoi ti posso aiutare a tornare alla luce...» ho dovuto impegnarmi per non lasciar che le lacrime inondassero il mio viso.
Il neologismo 'infoibata' era quello che rendeva meglio quei giorni della mia vita, come se quell'entità superiore che sta sopra tutti noi volesse in qualche modo farmi redimere dai miei incalcolabili errori. Infatti il candore di quell'uomo-bambino, il comunicare con lui tramite detti biblici, un marito a casa che desiderava solo farmi madre e diventare padre, mi creavano gravi momenti di stress, legati ad una profonda vergogna per quel che avevo fatto in tutto quel tempo, e quasi mi sembrava che se fossi riuscita ad aiutare quel ragazzo anche Dio, in parte, mi avrebbe perdonato. La vivevo come una missione ed ogni giorno mi abbeveravo di acqua santa purificatrice, disintossicante. Ma come si usa dire: "il diavolo e l'acqua santa", e più passavo del tempo con Francesco e più il demonio tentatore, scardinava ogni buon proposito, la sua bellezza, questo disperato bisogno di affetto, il suo odore, instillavano dentro me la passione più sfrenata, più incontrollabile.
Dopo una decina di giorni, io e tutta l'equipe di psicologi, psichiatri ed educatori, spinta molto dalla mia diagnosi, ci siamo resi conto che per Francesco stare in una struttura psichiatrica, dove i quadri patologici: disturbi schizofrenici, dello spettro psicotico, della personalità con grave compromissione del funzionamento personale e sociale, era la peggiore delle modalità terapeutiche per lui, Francesco aveva bisogno di staccarsi dalla segregazione coatta in cui la madre l'aveva rinchiuso, e cercare di progredire a piccoli passi nel rieducarsi uomo, uomo di 27 anni, e non più vivere come un bambino oscurato dalla presenza materna. Quindi avevamo concordato di inserirlo in una comunità dove nell'interagire con altri pazienti, e con gli educatori poteva consentirgli di apprendere cose base per l'autogestione quotidiana della propria vita: cucinare, gestire le uscite, farsi la spesa, tutte quelle cose che per noi sono naturali e per lui no, non avendo mai potuto farle. Oramai aveva preso fiducia in me, ed una mattina, aveva cominciato senza che io le chiedessi niente: «"Se riconosciamo i nostri peccati, egli che è fedele e giusto, ci perdonerà i peccati e ci purificherà da ogni colpa" Giovanni 1:9.» sembrava parlasse di me e non di lui, ma per me sarebbe bastato ammetterli per poter essere perdonata?
E dopo aver detto questo versetto mi ha spiegato la sua vita. Sua madre era innamorata da sempre del parroco del paese, don Pietro, che sotto la tonaca era un uomo degenerato, violento e perverso e si era approfittato, fin dall'adolescenza, dell'amore che Caterina, madre di Francesco, provava per lui. Il prete, 20 anni più vecchio di lei faceva quel che voleva della donna, finché dopo due anni dal suo matrimonio con un boscaiolo di fuori, l'aveva lasciata incinta, una notte davanti a casa proprio in quella macchina che Francesco voleva distruggere. Il padre di Francesco li aveva colti sul fatto e se ne era andato ancor prima di sapere della gravidanza. Infatti pochi sapevano, o ricordavano l'esistenza di quell'uomo, e tutti erano convinti che don Pietro centrasse molto con quel figlio nato in pratica senza padre. Caterina aveva rinchiuso il nascituro in una sorte di prigionia fin da bambino, spiegando che nel mondo esterno il demonio lo avrebbe tentato ai peggiori peccati. Il bimbo ha così sviluppato pian piano un'avversione verso tutto quello che era fuori di casa. Sebbene però la lussuria di Caterina venisse purgata dal curato, la vergogna di avere avuto un figlio dalla loro perversione, l'aveva portata a rinchiudesi nella religione più ipocrita e bigotta, costringendo Francesco ad imparare tutti i testi sacri a memoria, e di poter parlare solo se avesse ricordato in maniera esatta salmi e versetti. Tutto questo Francesco l'aveva letto da bambino nel diario della madre, ma mi aveva anche detto, arrossendo e abbassando lo sguardo, che la madre faceva sesso con il prete davanti a lui, sul divano, o in cucina, come se lui non ci fosse. Il peccato più grande che pensava di aver commesso riguardava la morte della madre, nel momento che aveva avuto un infarto, lui credeva di non averla soccorsa, quindi si addossava quel gravissimo atto come una sua colpa, non sapendo che i dottori avevano determinato che la morte fosse sopraggiunta alle 21.30, subito dopo essersi coricata, ma lui se ne era accorto la mattina dopo. L'atto di violenza contro la macchina era dovuto al fatto che quello era stato il posto dove era stato concepito, dove il prete l'aveva ingravidata, con la scoperta del tradimento e via via tutto il resto. Ora il quadro si era fatto più chiaro, e Francesco è stato trasferito in un casa famiglia dove conviveva con altri tre pazienti e un educatore.
Io ero contenta di questo cambiamento così potevo vederlo più spesso, ed in una situazione diversa rispetto al mio studio: passeggiavamo nei parchi, al lago, andavamo al cinema, come fossimo morosi, o madre e figlio, non era chiaro neppure a me il mio ruolo. So di certo che le mie fantasie non erano di certo cessate, anzi farneticavo guardandogli il cavallo dei pantaloni almeno quattro volte ogni volta che stavo con lui, era più forte di me lo volevo, volevo il suo bel cazzo dentro la mia bocca, e infilato nella mia 'fessurina'. Facevo l'amore 'da riproduzione' con Leo, ma non ero più andata a caccia di nessun altro uomo, e se da un lato questo era positivo, il mio desiderio si accumulava come l'acqua di un torrente di montagna in piena bloccato da una diga. Poi è successo.
Un pomeriggio siamo andati al parco, ero appena uscita da una riunione plenaria, e indossavo un tailleur grigio, con una maglietta bianca in raso. Premetto che ho sempre odiato i collant e di solito vesto con le autoreggenti, sempre nascoste dalla gonna. Ma quel giorno in macchina, ho notato che Francesco, seduto al posto del passeggero, era più silenzioso e pensieroso del solito, così guardandolo ho abbassato lo sguardo sulla sua patta dei jeans, notando un gonfiore ben definito. Mille pensieri hanno iniziato a sovrapporsi: il bene, il mele; il giusto, lo sbagliato; la tentazione, l'astinenza; tutto si ingarbugliava nella mia mente destando però le mie ghiandole surrenali che involontariamente mi hanno fatto bagnare il perizoma. Quando ho seguito il suo sguardo, ho visto che allacciandomi la cintura di sicurezza della macchina, la gonna si era alzata a scoprire le mie cosce, ed il candore della mia pelle appariva chiaro appena sopra le autoreggenti nere. E d'istinto ho preso la decisione che ha cambiato la mia vita. Ho fatto inversione, ed ho guidato l'auto verso il laghetto, posto che conoscevo molto bene perché ci andavo spesso a fare jogging. Sapevo che al buio della sera di gennaio non ci sarebbe stato nessuno, e la casetta dove il custode teneva gli attrezzi, che sapevo come aprire, faceva proprio al caso nostro. Lungo il tragitto con la mano, fissandolo prima negli occhi facendogli capire le mie intenzioni, gli ho abbassato i pantaloni ed i boxer, ed ho iniziato a carezzagli il pene, che era lungo 22 cm circa, e duro come fosse di ferro. Non capivo più nulla, non ho resistito, ed ho preso una stradina sterrata laterale, ho parcheggiato in un luogo semi-nascosto ed ho slacciato la cintura. Ero in fibrillazione, tutto il mio corpo smaniava, desiderava quello che la mia mano destra toccava con tanta enfasi. Mi sono alzata la gonna ed ho sfilato gli slip, madidi dei miei succhi, e aprendo le gambe gli ho fatto vedere la mia fica aprendogliela, che sotto i miei peli scuri risaltava di un rosa chiaro. Lui era rosso in viso, ma l'ho tranquillizzato, e prendendo la sua mano me la sono messa tra le gambe. Ha iniziato a toccarmi in maniera quasi innocente, come fosse un bambino, gli ho direzionato le dita sul mio clitoride che turgido svettava sopra le grandi labbra, ed ha iniziato a giocarci, ed io sono venuta subito, chiudendo gli occhi e godendomi con tutta me stessa quei secondi di pura perdizione, di stacco dalla realtà. Avevo talmente tanta fame e sete di lui, che mi ha fatto tornare in mente, come solo poche volte mi capitava, Oreste ed il mio primo rapporto sessuale, ma ora a tutti i suoi tocchi avevo un fremito, ero percorsa da spasmi, ogni volta che che sfiorava la mia 'pallina' sentivo quasi un dolore, che aumentava il bisogno di sentirlo tutto dentro me. Mi ero concentrata su me stessa, ma quando mi sono girata abbassandomi sotto i suoi addominali, la sua strisciolina di peli scuri che dall'ombelico arrivava appena sopra la sua erezione, ho rivisto Francesco sotto la doccia il primo giorno del ricovero. Il suo cazzo era morfologicamente perfetto, la sottile pelle ricopriva solo in parte il glande, ed il rosa della sua punta era per me un invito a baciarlo. E così, con tutta la maestria, l'esperienza, e la mia lussuria, ho giostrato la mia lingua perdendomi in quel membro visto e rivisto nei miei sogni da 40 giorni. Con la mano destra gli menavo piano l'asta, tirando la pelle indietro e inglobavo la sua cappella in bocca, facendo, pressione con le labbra, prima più forte, poi più piano, e lo sentivo indurirsi ancora di più, diventare tra le mie fameliche fauci più lungo e marmoreo. Francesco in silenzio respirava affannosamente, e mi osservava con gli occhi fissi, con occhi di un bimbo meravigliato e felice. Era incantevole sentire la piccola scanalatura che dalla punta scendeva verso la sua lunga asta, ero immersa in un mondo di sordide ma meravigliose sensazioni, e quel uomo-bambino si lasciava trastullare nel vizio, nel peccato, chiedendosi perché un Dio così buono negasse cose così belle. Poi quasi allo spasmo del desiderio, ha detto con voce ansante: «"Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due formeranno una carne sola." Efesini 5:31» E con quelle parole tutta la mia trasgressione e perversione ha raggiunto il margine più alto, mi sono tirata su, ho abbassato il suo sedile, gli sono andata sopra e senza neppure dirigerlo, il suo lungo paletto è entrato tutto dentro me, senza alcuna difficoltà, senza nessun attrito da quanto ero bagnata dall'eccitazione. Ho aperto bene le cosce ed ho cominciato ad andare su e giù, baciandolo nelle labbra e graffiandogli la schiena con le unghie, ero in preda al delirio. Cavalcavo sempre più forte, con colpi che risuonavano nell'abitacolo dell'auto in un "ciac ciac" sempre più rapido e deciso, finché con le mani mi sono strizzata i capezzoli, e tirando la testa indietro mi sono lasciata trasportare dal più lungo e denso orgasmo della mia esistenza, il mio corpo vibrava e tremava in un dolce abbraccio di godimento, quando ho sentito invadere le mie pareti vaginali del suo caldo liquido, e sono crollata in avanti buttandomi tra le sue braccia.
Tornata a casa ho trovato un biglietto di Leo che mi diceva che non sarebbe arrivato per cena. Rimasta sola, mentre mangiavo, ho ripensato a quel pomeriggio con Francesco, e a quanto fosse indispensabile per la mia vita, e forse io per lui. Però come un tarlo scava il legno anche se non lo vedi, dentro me c'era presente un'enorme paura, che cercavo di celare, ma era lì, e girava in tutto il mio sistema nervoso: mi era venuto dentro ed io non prendevo la pillola da un pezzo. Ormai ero un donna persa, e la mia perfida mente, come ha lavarmi la coscienza nelle acque di scolo di un allevamento di bestiame, o nel liquame, ha elaborato un piano tanto assurdo e malato che anch'io stentavo a credere di averlo solo pensato. Mi sono fatta la doccia, ed ho aspettato mio marito, nuda davanti al caminetto acceso, strusciando col ditino il mio clitoride per essere pronta ed eccitata al suo rientro. Quando mi ha vista così, cosa che non succedeva da anni, è quasi corso in doccia e dopo, mi ha penetrato con forza, con quel giochino avevo rispolverato in lui la sua vecchia passione, e mi ha scopata duro, vigorosamente fino a farmi godere.
Dopo due settimane, e dopo sei giorni di ritardo il verdetto del test di gravidanza non dava scampo nello scrivere 'positivo', e quando l'ho visto ho perso la forza nelle gambe e la fronte mi si è imperlata di sudore. Cosa dovevo fare? Di chi erano quelle cellule in via di sviluppo dentro me? Se ne avessi parlato la mia vita, tutto quello che avevo costruito con Leonardo, si sarebbe disgregata, sfaldata come la terra dopo un terremoto.
Ho avvertito, dopo una visita ginecologica mio marito, che piangendo dalla felicità e dalla commozione mi ha abbracciato, ed anch'io ho versato lacrime, che sapevano dell'amaro del fiele.
Nel frattempo Francesco ha iniziato a vivere un'altra fase della sua esistenza, ed essendo estremamente intelligente, l'adattamento al mondo esterno non gli ha dato alcun turbamento. Ero al secondo mese, e tutti sapevano della mia gravidanza e si felicitavano con me e con Leonardo, ed io non ho avuto il coraggio di dire niente a nessuno e neppure di fare, di nascosto, le analisi del DNA. Da quando avevo scoperto di essere incinta, non ho avuto più rapporti vaginali con nessuno, mi sembrava un sacrilegio, ma la santità per me non era assolutamente considerata, almeno due volte a settimana davo il mio culetto a Francesco, in alberghetti lungo la tangenziale, dove nessuno poteva conoscerci. In quei mesi avevo trasformato quel ragazzo piovutomi dal cielo nella mia macchina perfetta per la mia vita, sia per il sesso, che per tutte quelle emozioni che suscitava in me il vederlo giorno per giorno imparare cose che noi davamo scontate. Non potevo vivere senza di lui, ero diventata: sua madre, la sua ragazza, la sua psicologa, la sua preda per ogni fantasia erotica gli passasse per la mente; e lui era il mio bimbo da crescere, lo avevo reso a son di farlo godere il mio schiavo sessuale, io lo amavo, e lui viveva per me.
Al nono mese esatto, la corsa in macchina, dopo la rottura della acque, il parto, una meravigliosa bambina con i miei occhi, Maria Sole, 3 chili di cicciottelle cosciotte e guance rosse, e quando me la sono poggiata al petto ho capito dal suo calore che la cosa più bella della vita è racchiusa in quell'attimo, la consapevolezza di mettere al mondo una cosina così microscopica, indifesa, ma già pronta ad affrontare ogni avversità che la sua strada le porrà di fronte. Leonardo era in parte a me, sembrava un statua di Michelangelo, marmoreo teneva tra le sue braccia quel piccolo corpo con una delicatezza che i miei occhi trovarono, non saprei dove, altre lacrime che pensavo finite da tempo. La prima volta che mia madre l'ha vista mi ha detto, non toccandola neppure: «Non assomiglia per niente a Leonardo, chissà...», ed io stizzita, ho preso il passeggino e me ne sono andata con la ma nuova fonte di vita.
Sono passati quattro anni, ho scoperto in Leo un grande padre, affettuoso e dolcissimo, ma la mia lussuria seppur leggermente diminuita, non mi dava scampo, e ho fatto sempre quel sesso, che mi avvolgeva caldo e rigenerante, con Francesco, che era diventato lo zio acquisito di Maria Sole. Non avrei potuto fare altrimenti, da quando ho perso la verginità a 20 anni con Orazio, il demoniaco serpente non mi ha lasciato vivere in pace, ed ho potuto solo accondiscendere ad ogni sua tentazione.
Quando siamo nati io e mio fratello gemello, tirava un forte vento di Scirocco, il vento della follia, così viene spesso citato. Ma quell'insana brezza aveva lambito solo me, lasciando nella ragione mio fratello. D'altro canto la mia vita è stata un crocevia di persone dissennate, pazze, matte: mia madre, Orazio nel suo condannarsi ad un isolamento coatto per scelta, la madre di Francesco nel carcerare suo figlio, avuto con un prete, anch'esso avendo tradito le parole della chiesa, io... Forse la più deviata verso l'insanità mentale però sono stata io, 11 anni di tradimenti, 240 uomini hanno varcato il mio bassoventre, un rapporto con un paziente, una figlia con un padre non certificato; a pensarci bene nessun Dio di nessuna religione potrà mai perdonarmi. Alla fine della fiera, forse il più savio, il più assennato era proprio Francesco, che non ha avuto nessuna colpa se la sua vita è stata indirizzata verso la chiusura ad un mondo che esisteva ma che lui non poteva neppure immaginare.
Non ho fatto mai le analisi, data la somiglianza tra Leo e Francesco, ed il fatto che Maria Sole avesse preso molto da me, nessuno ha avuto dei dubbi o dei sospetti. Ma quando a 4 anni, tornata dall'asilo ha iniziato a dire, con voce pura e innocente: «Ave Maria, piena di grazia il Signore è con...» e ha continuato fino alla fine, Leonardo le ha chiesto: «Chi è che te l'ha insegnata? Che brava, la sai tutta...» lei da quelle delicate labbrine ha risposto: «La maestra ce l'ha letta una volta prima di uscire.» ed io: «Una sola volta? Ma che brava la mia bambina, che memoria»
Il cuore mi si è gonfiato, una trepidazione sottopelle ed ho pensato:-non sa ancora leggere, come può essere-, e, anche se sapevo per certo che non avrebbe potuto dire niente di sicuro, ho capito perfettamente chi era suo padre. Ed io che da quando avevo 15 anni ho sempre odiato mia madre, son finita a fare una vita ben più peccaminosa della sua, ma è più facile guardare le colpe altrui che scavare in noi stessi.
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