Il seminterrato 6 - L'iniziazione con sorpresa

di
genere
tradimenti

Bussai.
- Entra, Piero.
- Non c’è Paolo?
- No, è fuori città.
- Ma, Cristina, m’avevi detto al telefono…
- Lo so. Ma è con me che devi parlare, non con gli inetti come lui. E come te, se non l’hai ancora capito.
- No, Cristina, era con Paolo che…
- Balle Piero. Tu vuoi un consiglio su come uscire da questa situazione insopportabile in cui ti sei cacciato con le tue mani e come fare a tornare con tua moglie senza perdere la faccia. Te lo do io, il consiglio. Enrica ti vuole, stupido. E vuole anche lo stile di vita a cui tu stesso l’hai iniziata. Allora è inutile che perdi tempo a parlare con questo o con quello. Con lei devi parlare, smidollato! E trovare un accordo.
- Non sono uno smidollato…
- Vabbè, sarà. Smidollato, inetto, inutile, mezza calzetta… chiamati come vuoi. Adesso vattene. Chiamala. Oggi, però, non a Natale. E finiamola una buona volta con questo tormentone di Piero ed Enrica che ormai va avanti da quest’autunno. Non ne possiamo più!

E mi accompagnò alla porta.

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Enrica aveva venti minuti di ritardo.
Erano quasi le due quando entrò, affannata e scarmigliata, da “Rosy e Gabriele” dove la stavo aspettando per pranzo.
- Scusa, Piero, ma ho finito la benzina e sono rimasta a piedi sui bastioni.

Infatti quando vivevo con lei ero io ad occuparmi di queste cose e controllavo sempre i livelli di benzina, olio e altri fluidi delle nostre auto. Senza di me, Enrica era persa.
Forse anche il fatto che il mio reddito avesse cessato di entrare in casa aveva reso le sue finanze abbastanza critiche e la vita più difficile, sebbene avessi sentito che Lawall qualche volta si facesse carico delle bollette.
- Senti, Piero, non ho avuto modo di scusarmi con te per quanto è successo alla festa di Lawall. Ti giuro, non so cosa mi ha preso, non ho scuse, ho sbagliato. Non avrebbe dovuto accadere.

Arrivarono i risotti e il vino. Attaccando i primi mi schiarii la voce.
- Enrica, secondo te, quale dovrebbe essere la conclusione ideale per la nostra storia? Se potessi scegliere la soluzione ottimale per te, quale sarebbe?
- Piero, io voglio che torni a casa! A qualsiasi costo! Ho parlato a lungo con Lawall e lui dice che forse dobbiamo smetterla con questa storia delle corna e tornare ad essere una coppia normale, Piero! Davvero! Non ce la faccio più. Torna da me, Piero, posso fare a meno del suo mostruoso uccello, ma non posso fare a meno di te.
- Enrica…
- Dimmi.
- Ho parlato con Cristina. Mi ha aperto gli occhi. Io sono un cornuto, me l’ha fatto capire lei. Enrica, ho bisogno, un bisogno spasmodico, che tu mi metta le corna col tuo bull. Ho bisogno di consegnare nelle tue mani la mia vita sessuale, affinché tu ne faccia il miglior uso.
- Come?
- Sì, Enrica. Cristina me l’ha fatto capire con chiarezza. Sono un inetto. Il mio desiderio è di vederti soddisfatta e felice, anche al di fuori di ciò che posso fare io per te. Ho pensato molto, ho guardato dentro di me. Non lo accettavo all'inizio, ma adesso tutto mi è chiaro. Se mi riprendessi con te io non ti porrò più nessuna condizione, nessun limite. Coltiverò solo la speranza che di quando in quando tu mi gratificherai con qualche pietosa sessione di sesso di consolazione, se non ti sarà di troppo disturbo.
- Piero, sei sicuro? – mi guardò dubbiosa.

Parlammo ancora per tutto il pranzo. Lei non poteva credere a questo mio subitaneo cambiamento di posizione, ma alla fine lo accettò.

Pochi giorni dopo ero di nuovo a casa mia. Mi assicurò che di tanto in tanto avrei ancora potuto fare l’amore con lei e che mi amava troppo per negarmi il sesso in maniera definitiva.

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I giorni successivi servirono alla preparazione della cerimonia della mia iniziazione al “Toro, la vacca e il bue”, che era prevista per la settimana seguente. La cerimonia avrebbe sancito il mio ruolo di cornuto permanente e definitivo, sottomesso ai capricci di mia moglie.

Quando il giorno arrivò io ero pronto. Impaurito, ma deciso.

Lei era bellissima, elegante, sexy, conturbante per Lawall. Io però volevo credere che lei mi amasse ancora. Avevo fiducia che la mia cornificatrice avrebbe avuto pietà di me.
Mi venne vicino con il suo corto tubino nero e il suo profumo travolgente.
- Sei pronto, tesoro?
- Sì. E… ancora una cosa, Enrica.
- Sì?
- Non ti deluderò. Credimi.
- Certo Piero, tu sei mio ed è mio compito fare in modo che al mio cornuto non succeda nulla di male. Non devi aver paura.
- Enrica, ci siamo. È arrivato il momento.
- Stai tranquillo. Non sarà così brutto. Magari all’inizio, ma poi tutto si accomoderà nel migliore dei modi.

Non trovammo traffico per strada e arrivammo in anticipo. Il cornuto alla porta ci accolse con un sorriso.
- Benvenuti! Piero, ti sei deciso? Ti unisci a noi per davvero? – e mi mostrò la mano chiusa con l’indice e il mignolo sollevati nel gesto delle corna, facendomi l’occhiolino. - Bene, siamo contenti! Siete una mezz'oretta in anticipo. Magari volete prendere una cosa al bar, nell’attesa?

Ci dirigemmo al bar dove ordinammo del vino bianco. Chantal ce lo porse e mi fece un cenno ruotando un dito e formando con la bocca senza emettere alcun suono la frase “ci vediamo dopo”.
- Nervoso? – mi chiese Enrica.
- Un po’. Ma sono sicuro che le cose andranno meglio una volta che cominceremo.
- Mi fa piacere sentirti così fiducioso. Sono così orgogliosa di te… Sei il migliore, il più grande!

Intanto arrivò anche Lawall.
- Piero! Ciao! Sei pronto?
Annuii.
- Piero, io e Enrica abbiamo parlato. Sembra che non ci siano più problemi tra di noi, Giusto? Confermi?
- Tranquillo. Tutto a posto.
- Quindi stanotte è la grande notte. Hai paura?
- Sì, ma sto bene. Grazie.

Intanto uno dei cornuti alla porta ci informò che gli ospiti erano arrivati e che la cerimonia sarebbe cominciata entro cinque minuti, quindi di affrettarci a terminare le nostre bevande. Vidi Lawall che faceva di tutto per trattenere un sogghigno, ma che comunque disse:
- Buona fortuna! A te e a tutti noi!
Fummo condotti attraverso un corridoio in una ampia sala piena di mogli e bull.
Chantal, in un completo pantaloncini e top di cuoio nero, si avvicinò con il collare in mano.
- Rosa o azzurro? – chiese a Enrica.
- Rosa, per la mia puttanella! – rispose mia moglie ridacchiando, nell'attesa che Chantal fissasse il nastro rosa al mio collare prima di legarmelo al collo.
- Ecco qua. Ora tutti sapranno che sei la mia cornutella questa notte.
- Devo spogliarti nudo. – disse Chantal. E cominciò a togliermi i panni di dosso. Quando arrivò ai boxer ebbi un momento di vergogna, ma la giovane Chantal parve non degnare neanche di uno sguardo il mio reparto scopereccio.

Entrò il cornuto della porta.
- Ragazzi, è ora di andare al patibolo. La gente aspetta.
Lawall sghignazzò e mi diede una sonora pacca sul sedere nudo.
- Muoviti, svelto. Che poi ci vediamo, io e te.
Enrica mi prese la mano.
- Piero, tesoro, ormai…
- Lo so.

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Il “patibolo”, come lo chiamavano, era praticamente una ghigliottina senza la lama. C’era quindi una corta panca sulla quale l’iniziando si doveva sdraiare piegandosi a novanta gradi, e la sua testa veniva tenuta ferma da due semilunette in legno che si chiudevano intorno al suo collo. Il tutto era posizionato in modo che il culo fossa rivolto dalla parte del pubblico. C’erano altri due mariti cornuti in attesa della cerimonia di iniziazione, nudi, con le loro mogli accanto che stavano preparando le corde per legarli saldamente al patibolo.

Enrica mi si avvicinò.
- Sdraiati bocconi sulla panca, Piero. Ecco così. Sporgi bene il culo in fuori. – c’era una nota di commozione nella sua voce.

Mi legò saldamente le mani a due anelli al lato della panca. Poi mi assicurò le caviglie strettamente. Mi chiuse la semilunetta di legno intorno al collo. Ora ero totalmente indifeso. Qualsiasi cosa mi avessero fatto io non avrei potuto far altro che sopportare e farmene una ragione. Stavo per subire la più efferata e dolorosa sculacciata possibile e non riuscivo a pensare ad altro. Tranne forse a quanto sarebbe successo dopo, nella seconda fase dell’iniziazione.
- Starò qui dietro di te. Ti starò accanto tutto il tempo. - Mi rassicurò mia moglie
Chantal si posizionò dietro di me tenendo in mano la canna di bambù, quella stessa che faceva parte del kit del cornuto che avevamo ricevuto con l’iscrizione.

Un’altra giovanissima ragazza si sistemò dietro il secondo iniziando mentre al terzo avrebbe pensato la sua stessa moglie. Enrica aveva valutato l’idea di somministrarmi lei stessa la punizione, ma poi non se l’era sentita e aveva lasciato che se ne occupasse Chantal.

Non conoscevo gli altri condannati. Non escludo che in qualche momento me li avessero presentati, ma non ne ero sicuro.

Improvvisamente calò il silenzio nella sala. Sentivo solo i passi e l’armeggiare di Chantal dietro di me. Malgrado fossi nudo la fronte mi si imperlò di sudore. Poi…

Poi vidi le stelle.

Il dolore della prima frustata fu assolutamente insopportabile e capii subito che resistere a cento di quelle botte sarebbe stato praticamente impossibile. Comunque strinsi i denti e mi dissi che ce l’avrei dovuta fare a tutti i costi. Ma le frustate successive furono ancora più dolorose. Chantal non aveva pietà e colpiva con un ritmo lento ma costante e i suoi colpi non perdevano affatto d’intensità per la stanchezza, come disperatamente volevo credere.
Cercavo di contare i colpi alla rovescia per cercare di distrarmi dal dolore.

Poi, verso la trentesima scudisciata, mi parve di non sentire più nulla, come se tutta la parte delle natiche, delle cosce e della schiena fosse ormai anestetizzata.
Allora Chantal si fermò un istante ad asciugarsi il sudore e quando riprese il dolore ritornò, più forte di prima, più profondo, più intollerabile. Con metodo, Chantal cercava di colpire le parti ancora non completamente arrossate, ma ogni tanto si faceva prendere dalla malignità e insisteva sullo stesso punto per quattro o cinque volte, fino a far scoppiare la pelle e a farmi sanguinare.

Alla sessantesima frustata il cornuto al mio fianco cominciò a gridare e a piangere, a chiedere pietà. Invano.

Poi, qualche colpo dopo, anche l’altro cornuto ruppe in singhiozzi, ma invece di chiedere pietà incominciò a urlare maledizioni e minacce con la voce rotta dal pianto.

Io raggiunsi il punto di rottura alla settantanovesima sferzata. A ventuno dalla fine.
Gridai, piansi, implorai pietà. Giurai che sarei stato rispettoso e ubbidiente, che non avrei più creato nessun fastidio, che avrei eseguito con gioia tutti gli ordini che mi sarebbero stati impartiti. Che sarei stato servizievole verso tutti, che avrei accettato volentieri tutte le umiliazioni a cui mi avrebbero sottoposto.
Intanto mi agitavo convulsamente contraendo i muscoli e cercando disperatamente di sottrarmi ai colpi ormai insopportabili. Ma senza risultato.

Poi, finalmente, il supplizio terminò.

Chantal si avvicinò e cominciò a slegarmi laboriosamente, mentre singhiozzavo senza controllo. Il mio culo era blu e rosso, la pelle spaccata in più punti e sentivo il dolore pulsare impietosamente.
Quando finalmente riuscii a riprendermi un poco mi alzai, aiutato da Lawall, che non perse occasione di affondare il coltello nella piaga:
- Sei stato un vero boy scout, Piero.

Cercai di rivestirmi, ma non c’era verso di rimettermi boxer e pantaloni, per cui decisi di rimanere nudo. Ormai ero abituato alla vergogna.

Anche il pubblico si stava alzando, deliziato dallo spettacolo. Mi guardai intorno e incrociai lo sguardo di mia moglie che mi fissava ammirata con le lacrime agli occhi.

Conoscevo quello sguardo, era orgogliosa di me!

Intanto vidi uno degli altri cornuti appena scesi dal patibolo che si avvicinava all'uscita dopo essersi faticosamente rivestito, decisamente rabbuiato. Sua moglie lo chiamò e lui si girò e ritornò sui suoi passi. Ci fu un rapido scambio di battute che non riuscii ad afferrare tra i due e improvvisamente lui le mollò un tremendo sganassone in piena faccia, alzandola da terra e facendola volare per tre metri. Ricadde sul pavimento e lì rimase senza più muoversi. Due bull lo afferrarono subito, prima che potesse infierire sulla donna, e lo buttarono fuori nella notte.

Lawall mi guardò.
- Tranquillo, non ti faccio niente… - dissi con un mezzo sorriso.
- Non tutti ce la fanno. Tu pare di sì, invece, no?
- Almeno credo…
- Stai bene?
- Stai scherzando, no?
- Voglio dire…
- Ma sì, in fondo era quello che mi aspettavo. Ce la faccio.

Malgrado l’aria arrogante, sentii una certa solidarietà. E qualcos'altro. Avrei capito presto di cosa si sarebbe trattato.

Enrica si avvicinò.
- Tesoro… - incominciò, con un sorriso nervoso.
- Tutto bene, cara, posso sopportare tutto.
- Ho visto, Piero. Sei stato proprio un vero… come dire? Eroe? – mi guardava ammirata!
Lawall fece un passo indietro, lasciandoci vivere questo momento tutto nostro. Poi propose:
- Aspettiamo un momento prima di andare in camera. Perché non prendiamo qualcosa al bar prima?
- Credo proprio di aver bisogno di un goccio. O due. Magari anche cinque…

Non c’era verso che mi sedessi, col mio culo dolorante. Quindi rimanemmo in piedi davanti al banco con i nostri drink. Io presi un doppio cognac per tenermi su. Dovevo essere un bello spettacolo: nudo con il culo viola e un collare da cane al collo, appoggiato tranquillamente al banco.

Enrica guardò l’orologio.
- Che ne direste se ora andassimo in camera?

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Finalmente potevo vedere la camera dove Lawall e Enrica mi avevano cornificato la prima volta. Non mi fece una grande impressione.
C’era un letto matrimoniale con due comodini dell’Ikea, un armadio talmente piccolo da risultare del tutto inutile, un bagno che sembrava pensato per i puffi. Il tutto risultava abbastanza squallido.

Enrica prese il comando delle operazioni, mentre Lawall si spogliava.
Lei invece rimase vestita, sorprendentemente. Ero comunque convinto che non lo sarebbe rimasta a lungo. Si sdraiarono a letto, l’uno accanto all'altra. Io rimasi in piedi davanti a loro.
- Sali sul letto e inginocchiati tra le gambe di Lawall, caro.

Avevo capito ciò che si aspettavano da me ed ero leggermente riluttante, ma obbedii. Quella notte avrebbe visto la mia resa totale, sarei diventato volontariamente il cuckold più completo e convinto.

Lawall mi mise il suo arnese sotto il naso.
- Tesoro, tocca a te adesso. – mi incoraggiò Enrica.
Presi in mano il suo membro e lo masturbai per qualche secondo per fargli raggiungere la piena erezione, quindi presi in bocca il suo glande – più di quello non ci entrava - con coraggio. Era nero e salato e la sensazione in bocca mi lasciò dubbioso. Però sentii che invece a lui piaceva, perché ebbe un sussulto. Dopo qualche tempo lo sentii irrigidirsi e di colpo mi ritrovai con la bocca e la gola piene del suo seme. Cercai di inghiottire il più possibile, prima di togliermi. Lawall mi scompigliò i capelli come si fa con i bambini per farmi capire che aveva gradito e poi con un gesto mi fece cenno di alzarmi e mi scacciò dal letto.

Enrica mi sorrise, facendomi capire che mi ero comportato bene e che era orgogliosa di me. Qualsiasi cosa sarebbe successa nei mesi e negli anni a venire quel momento sarebbe stato nostro, mio e di Enrica, non di Lawall e Enrica.

Lawall mi rivolse un'occhiata severa e mi indicò col dito un angolo della stanza. Intuii che intendesse che avrei dovuto posizionarmi proprio in quel punto. E rimasi nell'angolo, nudo e dolorante, in piedi. Zitto e fermo. In attesa. Pieno di soggezione e rispetto.

Lawall le tolse gli slip e me li lanciò. Me li portai alla faccia, dio, com'erano bagnati! E profumati! Guardai Enrica nuda e rimasi ancora una volta colpito dalla sua bellezza, dalle sue gambe lunghe, dai suo seni morbidi. Sentii il desiderio fortissimo di lei crescere dentro di me. Come suo cornuto, avrei mai più avuto il permesso di averla? Pregai il cielo per un suo atto di benevolenza.

Intanto lui le si mise sopra nella posizione del missionario e dimostrò di essere quella martellante macchina da sesso che si diceva fosse. Appena la penetrò, mia moglie spalancò gli occhi e cominciò a mugolare. Fui testimone del suo primo orgasmo, ma lui non si fermò. Enrica inarcò la schiena incontrollabilmente nel tentativo di andargli incontro il più possibile fino ad alzare il sedere di almeno trenta centimetri dal materasso, mentre emetteva suoni striduli dalla bocca.
Alla fine raggiunsero insieme il climax e crollarono sul letto. Lawall rotolò via e finirono sdraiati uno accanto all'altra, ansimando forte, persi nei loro pensieri.
Enrica poco a poco si riprese e mi disse:
- Lawall ha ancora bisogno di te, Piero.
Non esitai. Mi posizionai tra le sue poderose cosce e ricominciai a leccarlo e a succhiarlo per riportarlo di nuovo in vita. Questa volta mi ci volle un po’ di più, ma alla fine ce la feci.

Enrica mi sorrise ed io cercai di alzarmi per rimettermi al mio posto ai piedi del letto, ma questa volta Lawall mi prese per un braccio e mi fermò. Non diceva una parola, ma aveva l’occhio torbido.
- Girati sulla pancia e alza bene il culo per aria che Lawall adesso te lo mette, Piero.
Avevo sospettato che qualcosa del genere potesse accadere, ma per me fu comunque una sorpresa. Ubbidii, ma lentamente, con riluttanza.

Avevo il culo in aria, proprio di fronte a Lawall. Indifeso e esposto.
- Tieni, Lawall. – Disse Enrica passandogli il lubrificante.
- Piero, rilassati e lascia che Lawall ti faccia. Sarà fastidioso all'inizio, ma poi vedrai che ti troverai bene. Potrebbe persino piacerti. Credimi. - Nel dire così mi carezzò la guancia. – Ti tengo la mano, se vuoi.
Sentii le dita di Lawall massaggiare il mio ano col freddo lubrificante. Mi infilò prima un dito, poi due e infine tre, cercando di far arrivare il gel il più possibile in profondità. Non potevo più scappare. La mia sola via d’uscita era cercare di rilassare i muscoli il più possibile.

Umiliato com'ero, mi ritrovai a desiderare che lo facesse e nello stesso momento ad averne paura. Mi sentivo strano.

Sentii la punta dell’enorme cazzo spingere contro il mio buco. Perdio, com'era grosso! Mi prese l’ansia. Cominciai a grugnire e a respirare affannosamente. Mi salvò Enrica.
- È quasi tutto dentro, Piero, non lottare, arrenditi, lascia che Lawall te lo metta. Vedrai, alla fine andrà tutto bene.

Non proprio. Bene non direi, ma almeno sopportabile. Mi ritrovai anch'io a stringere i denti e strizzare gli occhi, mentre Lawall collassava su di me nell'orgasmo, schiacciandomi sotto il suo peso e ansimando rumorosamente.

Eccomi qua. Ero ormai diventato un cornuto, un cornuto convinto e totalmente umiliato. Cercai di ripetermi che questo ero, questo era quello che volevo, questo era quello che avevo sempre voluto, ma in fondo al mio animo c’era sempre la paura che Enrica mi potesse lasciare e il dubbio che non ce l’avremmo fatta come coppia. Senza di lei io non avrei potuto sopravvivere.

Mentre mi stavo riprendendo con gli occhi chiusi, perso nei miei pensieri, sentii le labbra di Enrica baciarmi sulla bocca. Aprii gli occhi. Erano le due del mattino.
- Sei stato magnifico, Piero!

Guardai la reazione di Lawall, sdraiato nudo accanto a noi.
- Sei sicura che non vuoi che resti? Possiamo rimanere qui, Desirée non ci scaccia.
- No, Lawall, io e mio marito abbiamo bisogno di andare a casa e di rimanere soli per i prossimi giorni. Ho imparato questa notte quanto mi ama e quanti sacrifici è disposto a fare per me. Per farmi felice. Quindi, no, grazie. Puoi andare. Ci vedremo ancora tra qualche tempo.

Si alzò e cominciò a vestirsi. Io guardai Enrica interrogativamente.
- Sì, se ne va a casa sua, cornuto mio, adesso anche noi andiamo a casa nostra e tu mi scoperai a morte tutto il giorno. Siamo soli, io e te. Come una volta.

Non potevo credere alle mie orecchie. Non potevo essere più felice.
- Sììì, Sììì!!!

++++++++++++++++++++++++++++

Vestirmi e poi sedermi in macchina fu una tortura, con il culo rosso che mi ritrovavo e il bruciore all'ano. Ma alla fine ce la feci, pur stringendo i denti, e guidai nella notte verso casa. Enrica mi stava addosso, la testa appoggiata alla mia spalla e la mano che mi carezzava una gamba.
- Stai bene?
- Sono molto spaventato, stanotte ho bisogno di te, ho un bisogno assoluto di fare l’amore con te. E fino a quando potrò continuare ad averti, sarò assolutamente felice!
- Lo so, Piero. L’ho capito. Stai tranquillo: tu sarai sempre il mio uomo principale.

Tutte le volte che Lawall o qualcun altro userà il tuo culo, io ci sarò per te. Ho visto il tuo commovente sforzo per farti piacere una cosa che non ti aggrada solo per farmi contenta. Io non posso che esserti riconoscente e ti gratificherò sempre.

Mi venne un singulto. Quanto tempo sarebbe passato prima che Lawall o qualche altro suo amante avrebbero avuto voglia di prendermi? Quanto avrei dovuto ancora soffrire?
Non mi restava che aspettare e vedere.

La speranza è l’ultima a morire.
scritto il
2015-03-19
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