E poi

di
genere
tradimenti

Mi chiamo Franco e ricordo la scena come fosse ieri. Io e mia moglie, Vera, eravamo seduti al tavolo della cucina; lei piangeva, tenendo in mano le bollette già scadute e l’ingiunzione di sfratto.

Avevo perso il lavoro da un anno e i nostri risparmi ci avevano fatto sopravvivere per qualche mese; ma era dura tirare avanti con due figli piccoli. Ricordo quel senso di vuoto che sentivo sotto i piedi, quella percezione di essere sul ciglio di un baratro che, senza accorgercene, ci aveva inghiottito già da tempo. Avevo provato a fare mille lavori, tutti mal pagati, e tutti della durata di un giorno o poco più.

Sulla sedia giacevano alcuni volantini raccattati qua e là. I “Cerco ed offro lavoro” erano tutti una grossa presa per il culo, avevamo fatto esperienza anche di questo.

L’occhio umettato di mia moglie cadde su un annuncio che ci era sfuggito, oppure, molto verosimilmente, avevamo scartato. All’inizio, però. Ora le cose stavano prendendo una piega diversa, della serie quando altro non hai…

Dunque, l’annuncio diceva:

“AAA cercasi uomo dai trenta ai quaranta di bella presenza e senza legami, che sia disposto ad accompagnare donne over 60. No perditempo.”

Vera prese il volantino e me lo poggiò davanti. Col dito indicò l’annuncio invitandomi a leggere. Corrugai la fronte e lo spostai subito, scuotendo la testa. Interpretai la cosa come un rigurgito di disperazione, un atto dettato dallo sconforto del momento. Ma lei, senza smettere di fissarmi, riprese il volantino e stavolta me lo mise proprio sotto il naso.

“Vera… ma che diavolo stai pensando di fare?” Cominciai a temere che stesse facendo sul serio.

“Non lo hai capito?”

La guardai basito.

“Allora, punto primo: qui non dice che verrò pagato. Punto secondo: chiedono una persona libera. Io sono sposato e ti amo, per cui non sarei libero neppure se volessi. Punto terzo…”

“Basta.”

Lei mi interruppe con fermezza, ma anche con dolcezza, poggiando le dita sulle mie labbra.

“Prova. Chiama. Sei un bell’uomo, hai trentaquattro anni e faresti gola a qualunque donna. L’accompagnatore è l’alter ego del gigolò, ed i regali si sprecano, specie se la matrona rimane soddisfatta. Fidati, è così.”

Il suo atteggiamento mi spiazzò.

“Ti amo, e lo sai. Ma quello che non sai è che se io finora non mi sono ancora prostituita per risollevare le sorti economiche della nostra famiglia, è solo perché so che tu non lo avresti mai accettato.”

Calò il gelo tra noi, ma il mio silenzio fu un assenso: è vero, non lo avrei mai accettato e il mio stare zitto era anche dovuto al fatto che stavo riflettendo. Sentire da lei, mia moglie, che sarebbe stata disposta anche a prostituirsi, mi sconvolse.

“E tu? Saresti felice di vedermi tra le braccia di qualcun'altra?” La provocai.

Vera divenne seria, il suo volto si irrigidì.

“Tra le cosce, Franco, non tra le braccia. Tra le tue braccia ci sono io, tua moglie. Scopati questa vecchia baldracca e cerca di scucirle quanti più soldi possibile.”

Restai immobile, incapace di rispondere. Ma fu lei a proseguire.

“Prendilo come un lavoro. Io sarò qui ad aspettarti.”

Mi accarezzò dolcemente, mentre con l’altra mano stava già componendo il numero di cellulare impresso sul volantino, prima di passarmi l’apparecchio.

 

L’appuntamento fu fissato per le ventitré di due giorni dopo, in una stradina di periferia della nostra città. Con gli ultimi spiccioli rimasti, Vera aveva comprato per me un set di biancheria intima da paura. Boxer ultimo grido con tanto di evidenziatore del pacco e canotta da palestrato stile bodybuilder. Ricordo la mia reazione quando indossai quella roba, in camera da letto di casa. Guardandomi allo specchio non sapevo se ridere o piangere. Non avrei voluto per nulla al mondo, ma Vera mi abbracciò, incoraggiandomi a proseguire.

“Ricorda, amore, non stai andando a tradirmi. Stai andando al lavoro.”

Le sue parole sussurrate all’orecchio mi fecero un effetto strano. Forse per l’emozione, la paura o la tensione, o semplicemente per via della splendida sensualità di lei, il mio cazzo si inturgidì.

“Bravo, così ti voglio.”, bisbigliò Vera, mordicchiandomi il lobo. Ci baciammo. Un bacio lungo, appassionato, ricercato, sensuale. Come non lo era stato da tempo. La frustrazione ci aveva tenuti lontano, ora quella situazione rappresentava un’opportunità di riscatto, una possibilità di tornare a vivere.

Lei prese a scendere con la lingua sul mio corpo, mentre con una mano impastava il mio fardello. Iniziai a gemere, prima d’allora non ho memoria dell’ultima scopata che ci eravamo concessa. I suoi movimenti ritmati stavano risvegliando in me istinti ormai sepolti dalle preoccupazioni economiche. Stringeva il mio cazzo, protuberante grazie all’evidenziatore dei boxer, e lo faceva in maniera pulsante, ritmata, ciclica. Finalmente anche la sua bocca lo raggiunse. Il mio respiro divenne affannoso, volevo che mi spompinasse, lo volevo più di ogni altra cosa. Ecco, il mio lui sparì tra le sue fauci. Sentivo il suo alito caldo e rassicurante sui miei genitali ed il liquido seminale fuoriuscire dalla cappella. Ma come tutte le cose belle, anche questa durò poco. Vera richiuse il mio cazzo, pulsante e gonfio di voglia, in quel box che faticava a tenerlo dentro; ebbi la sensazione che avesse richiuso in gabbia una belva famelica pronta ad attaccare.

“Ma… ma… amore, mi lasci così?” Mi sentii come un bimbo a cui avessero tolto il lecca lecca.

Lei non si scompose e mi baciò, prima di parlare.

“Non sappiamo se questa vecchia troia riesca a fartelo venir duro. Almeno così ho avviato il motore.”

Mi fece l’occhiolino e proseguì.

“E poi, tra le cosce eri troppo pulito e profumato. Adesso sai di maschio e nessuna donna di questo mondo potrà resisterti.”

Mi diede due pizzicotti sul viso e guardò l’orologio al polso.

“Dai, sbrigati, è ora di andare.”, aggiunse.

…CONTINUA…
scritto il
2016-06-09
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