Valentina, la poliziotta della stradale

di
genere
dominazione

Ringrazio una cara lettrice per i consigli e i suggerimenti!
(Dedicato a Valentina e Micaela)

Lo specchietto retrovisore alzava il sipario su una calda mattina di inizio Ottobre. Un mese che annuncia l’inverno in molti posti, ma non a Roma. Qui gli ultimi squarci d’estate regalano giornate di sole e temperature elevate. Valentina osservò le macchine dietro di lei, riflesse nello specchietto. Poggiò le mani affusolate e ben curate e lo spostò di pochi centimetri per potersi guardare. I suoi occhi verdi raccontavano bugie, le labbra carnose peccaminosi segreti. I lunghi capelli neri cadevano copiosi sulle spalle. Il viso sembrava uscito da un fotoromanzo osé. Valentina sorrise e scese dalla macchina. Nel voltarsi per chiudere lo sportello due operai, a pochi metri da lei, rimasero come incantati davanti alla sua silhouette. Era impossibile non guardarla. Valentina era bellissima e il suo abbigliamento era il frutto più proibito: una poliziotta della stradale. Non una semplice vigilessa, ma la ex recluta più alta come punteggio al C.A.P.S. Il suo lavoro consisteva nel pattugliare la Cassia e la Flaminia, due arterie nevralgiche del nord della capitale. Valentina si allontanò dalla macchina e superò i due operai. Lei notò come la guardavano, e anche se era lo stesso sguardo di libidine che la “seguiva” sin dai tempi del liceo, lei non poté che provare una ventata di piacere. Essere guardate e desiderate è uno dei pochi piaceri che una donna non baratterebbe mai. Specialmente Valentina.

“Che culo da dea” – disse uno dei due uomini. Come dargli torto. Due cupole di carne tonda e soda che gli allenamenti in palestra, e l’originale tocco di Dio, tonificavano ogni giorno. A 26 anni Valentina era nel fiore della bellezza e della sensualità. Gli stretti pantaloni neri della divisa, e la camicia abbottonata poco facevano per nascondere le sue gambe sinuose e la sua terza piena. 1.70 cm di proibito peccato. Valentina era consapevole della sua bellezza, come ogni mantide sapeva tessere ragnatele di sguardi e provocazioni. Il carattere deciso e maniacale nel lavoro, l’ambizione e la prorompente sensualità non potevano certo passare inosservati. I colleghi più giovani facevano a gara nell’invitarla ad uscire dopo il lavoro, i più anziani parlottavano tra loro come marinai in licenza. “Figa d’acciaio”, questo era il soprannome che le avevano dato. Ai tempi della scuola uno dei ragazzi dell’ultimo anno scrisse sul muro dei bagni: “Valentina P. se te lo fa venire duro, tu sbattila al muro”. A ben vedere le espressioni erano cambiate, ma la protagonista restava lei.
Valentina entrò in un bar e ordinò un caffè. I tagli di budget e personale fecero sì che da circa un mese, lei pattugliasse in solitaria. La cosa non le dispiaceva affatto. Poteva godersi il piacere di multare un uomo spericolato, senza irritare il collega. Lui la detestava quando si faceva prendere la mano, ma era così divertente vedere gli occhi di rabbia di certi uomini mentre lei staccava il blocchetto delle multe. Quelli stessi guidatori che vivevano nello stereotipo che “la donna non sa guidare”, erano costretti ad abbassare i toni e svuotare di 100-150 euro il portafogli.

Valentina uscì dal bar e una grossa moto balzò sul marciapiede a pochi metri da lei. Era un Harley Davidson con una lunga processione di stemmi militari sulla fiancata. A guidarla un uomo di circa 35 anni, capelli neri corti e occhiali da sole, il casco dimenticato in chissà quale garage. Sembrava uscito da un film alla Easy Rider, ma il suo aspetto non aveva nulla dell’hippie sognatore dell’autostrada americana. I tratti marcati e i muscoli scolpiti sotto la nera t-shirt attillata, ricordavano un biker di provincia, cresciuto ad addominali, film d’azione e spacconate.
“Ma come diavolo guida! Scenda subito dal marciapiede!” – intimò Valentina, tutto d’un fiato con la sua voce calda ma decisa.
“Non ti scaldare dolcezza, vado a comprare le sigarette e torno” – rispose l’uomo con malcurata indifferenza. Nel farlo scese dalla moto e si tolse gli occhiali. Il suo viso era duro, ma attraente. Non era certo il tipo di uomo che una donna vorrebbe come marito della propria figlia, ma aveva il fascino rude e virile di chi ti dice con gli occhi: “Bella te la faccio fare io una vera scopata”. E probabilmente ci riusciva senza troppo sudare.
“Ma dove credi di andare? Arrivi qui tutto gas, senza casco e piazzi la tua moto bella e fresca sul marciapiede” – continuò Valentina.
“Ma chiudi un occhio cowgirl. Ci metto un minuto” – rispose l’uomo incamminandosi verso il bar-tabacchi. Valentina bruciò di rabbia. Di certo non era abituata ad essere trattata come la donna invisibile. Quell’uomo non si era curato della sua autorità, non aveva fatto una piega. La poliziotta tirò fuori il blocchetto e cominciò a scrivere.
“Ora vediamo chi ride stronzetto” – pensò mentre aggiungeva un’infrazione dietro l’altra. Staccò il foglio ed incastrò la multa tra una fessura posta accanto allo specchietto. Poi se ne andò.

Il motociclista tornò dopo oltre dieci minuti, la sigaretta in bocca e l’andatura spavalda.
“Puttana troia ma che cazzo…Quella stronza mi ha lasciato il regalino” – l’uomo sputò fuori le parole ad alta voce.
“Hey Diego. Sei stato marchiato anche tu da Figa d’Acciaio?”
“Che cosa?” – Diego si voltò e dietro di lui sopraggiunse Renato, il meccanico dello sfasciacarrozze lì vicino. Capelli brizzolati e pancia gonfia di birra.
“Certo, Figa d’Acciaio. Quel gran tocco di troia travestita da poliziotta. Oramai ci ha purgati tutti in zona” – L’uomo si avvicinò a Diego con passo pesante.
“180 euro ma a questa troia dà di volta il cervello…”
“Beh dai, meglio essere multati da una principessina del genere che da un vecchio stronzo con il distintivo”.
“Sarà anche bella, ma è una stronza…perché Figa d’Acciaio?” – chiese Diego, per la prima volta interessato alla conversazione.
“Ma hai visto che personalino? ‘Na modella prestata all’Arma. Un culo da far risvegliare i morti, cristo. E poi dovrebbe fare la testa di cuoio, o qualcosa del genere. Quella tipa ha grinta da vendere. Penso che da quando è arrivata, al centro operativo servano i pompieri per spengere i calori!”
“Immagino di sì” – la risposta di Diego fu concisa, la sua mente già si perdeva in labirinti indicibili.
“Beh ti saluto Diego, ti lascio ai tuoi pagamenti” – sogghignò Riccardo nel voltarsi.
“Fottiti bello mio. Ciao”
Diego montò in moto, ma ci vollero un paio di minuti prima che si decidesse di muoversi. I suoi pensieri presero forma come gli stessi modi sbrigativi con cui trattava le puttanelle che si scopava. In breve pianificò il modo per domare quella spavalda e bellissima poliziotta. Il giorno seguente il motociclista avrebbe avuto la sua vendetta.

La sezione del centro operativo sulla Cassia era tutto, tranne che una fortezza inespugnabile. Un piano d’uffici, gli spogliatoi, la sala computer e video-sorveglianza. In fondo svolgeva compiti di collegamento, burocrazia interna e cambio di vetture. Di conseguenza capitava spesso che un agente restasse solo durante la pausa pranzo. Era più che sufficiente. Valentina lo sapeva, perciò non aveva problemi a “sorvegliare” la sezione, quando toccava a lei il turno. Mancanze di gestione dall’alto, ed eccessiva fiducia che, quel giorno, gettarono Valentina faccia a faccia con le sue paure, le sue fantasie, e i suoi inconfessabili desideri. Diego entrò in sezione alle 13.08. Si incamminò verso gli uffici e si trovò davanti Valentina.
“Buongiorno cowgirl” – esordì l’uomo.
“Salve…” – rispose Valentina con un pizzico di sorpresa. I suoi occhi furbi squadrarono l’uomo. Era vestito come il giorno prima. Ma questa volta Valentina notò meglio l’aspetto dell’uomo. Le braccia muscolose e i jeans stretti rendevano quell’uomo di una bellezza ruvida, i suoi profondi occhi neri poco inclini ai compromessi. In un altro momento Valentina l’avrebbe trovato anche attraente, sicuramente incontrandolo in un night si sarebbe divertita a provocarlo. Ma questo non era quel momento. Nonostante il caldo non era certo la stagione per indossare i sandali. Eppure Diego calzava delle infradito marroni. Dettaglio che Valentina immagazzinò con disappunto, vista la sua idiosincrasia per i grossi piedi maschili.
“Vedo che è sola. Meglio, cosi possiamo parlare con calma della mia multa. Non crede di aver esagerato?” – il tono pacato nascondeva solo in parte la profonda aggressività dei suoi modi.
“Mi segua nel mio ufficio”.
Valentina precedeva di un metro il motociclista. Dietro di lei gli occhi di Diego sapevano come ingannare il tempo della breve passeggiata. Il sedere di Valentina si muoveva come la musica orientale sul corpo di una danzatrice. Impossibile reprimere il ritmo. Lei non aveva nemmeno bisogno di sculettare per esaltare la bellezza del suo fondoschiena. Era perfetto. Fuori programma arrivò un forte schiaffetto di Diego. La sua mano colpì potente il culo di Valentina, per poi ritrarsi come un serpente.
“Ma cosa cazzoooo faiiii?” – Valentina si voltò di scatto, strillando. Alzo il braccio per mollare uno schiaffo di orgogliosa riposta, ma Diego fu lesto nel fermarlo con una presa decisa.
“Hey bella non è colpa mia se il tuo culo parla e chiede attenzioni. Non vorrai farne una tragedia…” Valentina lo guardò con occhi rabbiosi e di sfida. Eppure la sicurezza con cui l’uomo teneva stretto il suo braccio, rimanendo impassibile a fissarla, la turbava e la stordiva.
“Avanti entra e siediti deficiente” – rispose nervosa.

Il motociclista sprofondò sulla sedia. A gambe larghe lasciò che la forma del suo cazzo, in crescente erezione, fosse ben visibile agli occhi di Valentina.
“Beh questo non è il luogo per pagare la multa quindi credo che…”:
“Ma io non sono qui per pagare. Anzi per farmi una chiacchierata con te dolcezza. Cosa cazzo mi rappresentano 180 euro. Su andiamo! – Diego la interruppe bruscamente.
“Innanzitutto modera il linguaggio. E poi andiamo lo dico io. Forse non ti è chiaro il codice di comportamento, figuriamoci quello stradale, allora….” – Valentina iniziò l’elenco delle sue infrazioni, e del suo comportamento così irrispettoso verso un pubblico ufficiale. Le sue parole si susseguirono con la naturale sicurezza di sempre. Tuttavia i suoi occhi, come un muscolo involontario, si soffermarono più volte sull’evidente gonfiore sotto la patta di Diego. L’uomo se ne accorse, fece finta di niente pregustandosi il seguito. Valentina continuò a parlare, scacciando ogni pensiero indecente. Non era proprio il momento di rispondere a provocazione con provocazione. E lei era una maestra in ogni forma di seduzione. Inoltre la rudezza del motociclista la spaventava quanto il cazzo duro sotto i jeans attraevano i suoi occhi, inevitabilmente e senza controllo.
“E questo è tutto, non credo ci sia altro da aggiungere” – Valentina si alzò e si diresse verso la porta. Determinata nel chiudere in fretta la conversazione e salutare l’uomo.
“A mai più rivederci” – pensò. L’ultimo pensiero formulato con raziocinio prima dell’oblio.

Il motociclista la prese per i fianchi e la trascinò sulla sedia. Una mossa rapita e violenta. In pochi istanti Valentina si ritrovò sopra le gambe di Diego. La presa era fortissima, i suoi fianchi armoniosi erano diventati di dominio dell’uomo. Iniziò a risalire con la mano sinistra palpandole il seno, con la destra scese e strinse le sue cosce. Mosse decise, di una rude voracità animale.
“Nooo! Che fai? Lasciami subito, subito ti ho detto” – Valentina urlò. E per la prima volta nella sua vita non furono urla spavalde. Il tono era spaventato ed incerto. Cercò di dimenarsi, di sfuggire alla presa, ma fu una lotta inutile e fallita in partenza. Diego aveva trenta centimetri in altezza, una cinquantina di muscoli di peso e un’indecifrabile foga di vantaggio su di lei.
“Lasciamiiiii, lasciamiiiii” – parole inascoltate. La mano di Diego scivolò sotto i bottoni della divisa e raggiunse le tette di Valentina. Le dita scansarono il reggiseno e come regalo ebbero i suoi capezzoli, induriti dall’adrenalina ed indifesi.
“Nooo fermoo. Aaahhhhh” – Valentina sentì i suoi capezzoli stretti in una morsa brutale. Quanto possono far male delle dita quando sono ben guidate.
“Sei già eccitata e ancora non lo sai. Vero cagna?” – Diego sapeva di quale essenza profumava l’atteggiamento e il corpo della poliziotta. Sapeva che appena lei avrebbe superato lo shock e l’umiliazione di essere sottomessa, sia la sua mente che il suo corpo risponderà sì. Era solo questione di tempo e ogni barriera sarebbe stata sbriciolata in mille pezzi. Lui ne era convito, e l’ora successiva non fece che avvalorare le sue certezze.

Ma questo Valentina ancora non poteva prevederlo. Tutto ciò che provava in quei terribili istanti era paura ed impotenza. Capiva che quei violenti palpeggiamenti erano solo la prefazione di un libro già scritto: lo stupro e l’umiliazione di ogni centimetro della sua bellezza. Diego si alzò di scatto e la spinse a terra, in ginocchio. Con una mano strinse forte i suoi capelli e tirò. Un urlo si perse tra i locali della sezione.
“Stammi a sentire bella mia. Io non pago un bel cazzo. Sei tu che paghi me per il tempo che mi hai fatto perdere. E la pagherai con la tua bocca…tanto per cominciare”.
Diego si slacciò i pantaloni e tirò fuori un cazzo maestoso. La grossa vena in mezzo aveva il colore di una palude, il glande puzzava d’alcolismo, la lunghezza superava quella di ogni ragazzo o scappatella avuta in passato. Valentina se ne accorse con un solo sguardo pieno di terrore.
“Ti ho detto di lascarmiiii. Sono una poliziotta per Dio, tu sei pazzo!” – urlò mossa da orgogliosa rabbia, prima di ricevere uno schiaffo che quasi la sbatté a terra.
“Guarda il mio cazzo puttana! Hai visto come l’hai ridotto a forza di muovere il culo mentre ti ribellavi? E guarda che coglioni gonfi mi hai fato con tutte le tue contravvenzioni di merda. E guarda puttana. Guardaaaaa” – Diego le urlava tenendola inginocchiata, la camicetta slacciata e una tetta quasi fuori dal reggiseno. Valentina guardò quel cazzo duro a pochi centimetri dalla sua bocca. In un attimo pensò a tutti i sacrifici fatti per vincere concorsi e salire di grado. Al contrario avrebbe potuto “accomodarsi” e mettere in copertina il suo bel viso su tutte le riviste patinate in edicola. E poi lo sapeva, in cuor suo lo sapeva che sarebbe successo. Il suo culo e i suoi modi provocatori erano un invito allo stupro sin del liceo, e quanto è dura la vita di una bella donna poliziotto in un mondo pazzo come il nostro. Era solo questione di tempo e sarebbe successo. Un gruppo di alcolizzati il sabato notte, un immigrato, uno stalker, persino un collega respinto. Era come scritto nel destino che ora si presentava per il conto, sotto forma di un motociclista dai muscoli gonfi di cattive intenzioni.

“Cominciamo a divertirci troia” – Diego le ficcò il cazzo duro in bocca e iniziò a scoparsela. Si perché più che un pompino fu uno scempio orale. Il cazzo le sprofondava in gola fino a soffocarla, pompava cinque o sei volte, poi usciva e la schiaffeggiava sulle labbra.. Valentina non era mai stata usata così. Lei era una maestra di pompini, i suoi occhi verdi raccontavano bugie ma anche verità, ed una di queste era che nessuno rimaneva insoddisfatto al contatto delle sue labbra carnose. I suoi ragazzi si abbandonavano a lei, ma il motociclista non aveva questa intenzione. La scopò in bocca con foga animalesca per oltre dieci minuti, poi rallentò il ritmo e lasciò a Valentina il modo di proseguire.
“Succhia puttana, succhia più che puoi, siii” – Valentina iniziò quel pompino forzato. Nonostante la situazione riuscì a dare piacere con poche pennellate di lingua. Quando il cazzo le invadeva la gola chiudeva gli occhi. Poi gli apriva mentre faceva scivolare la lingua sul glande e su tutto il cazzo. Guardava il motociclista con occhi sottomessi. Era la sua cagna. Ogni tanto Diego le tirava forte i capelli, come a ricordarle chi era il padrone. Gemiti di piacere e urletti di dolore si sommavano in una sinfonia.
“Dai che ti piace succhiare, dai puttana, continua, siii” – Alcune gocce di sperma iniziarono a scivolare nella sua bocca. Un sapore amaro che lei conosceva bene. Schizzi che anticipavano un orgasmo ancora lontano da venire. Diego si piegò leggermente con il busto e iniziò a palparle le tette. Finì di sbottonare la camicia e strappò il reggiseno. Mentre Valentina continuava quel violento pompino, lui faceva ciò che voleva della sua terza così soda.

“Siii sei una brava cagna. Ora andiamo nello spogliatoio e iniziamo a galoppare” – Diego la scostò e la fece alzare, abbracciandola come un trofeo. Valentina fu trascinata fuori dall’ufficio e condotta verso gli spogliatoi. Diego sapeva come muoversi là dentro.
“AAAHHHH lasciami, ora bastaaa” - La bella poliziotta scalciò e urlò. Ma la leonessa era in gabbia. Diego la gettò sulla panca tra le due file di armadietti. La guardò voglioso, toccandosi il cazzo. Poi si sfilò la maglietta mostrando pettorali scolpiti ed una “tartaruga” invidiabile. Si tolse i jeans, e i sandali, e si avvento sul corpo della ragazza.
“Nooooo non lo fare, smettilaaa” – Valentina cercò un appiglio, una via di fuga. Provò a graffiare la schiena del suo aggressore, ma lui quasi non se ne accorse. La baciò sul collo e divorò in bocca i suoi capezzoli dritti. Immobilizzata sotto il suo peso, Valentina non poté fare più nulla. Si dimenava, ma Diego le sfilò i pantaloni con una facilità irrisoria.
“Mutandine di pizzo nere, Wow! Ora vediamo cosa nascondi sotto Figa d’Acciaio” – A quelle parole Valentina provo un brivido per tutto il corpo. Allora anche lui era a conoscenza di quel nomignolo. Il suo potere sugli uomini e suoi colleghi si sbriciolò nell’istante che l’uomo le ficco 25 cm di cazzo in fica. Senza preavvisi. Senza ditalini di prefazione o baci di benvenuto. Tutto dentro in un solo spaventoso colpo.
“AAAAHHHH NOOOOO” – Valentina fu violata e le sue proteste furono come carta straccia. Inutili. Diego la scopava continuando a baciarla ovunque, sul corpo e sul collo. Con le braccia la teneva ferma. Poi, improvvisamente, la baciò in bocca. Una frustata al suo orgoglio. La lingua dell’uomo si fece strada dietro le sue labbra. Un bacio violento, ma passionale. Valentina veniva scopata e baciata. Ogni colpo di cazzo era come un atto d’accusa a tutti gli ammiccamenti fatti negli anni. Quel lungo bacio rubato fermò il tempo del dominio e della spavalderia. Ora era solo una troia, sottomessa ed impotente. Sentiva il cazzo farsi strada dentro di lei, e brividi di paura scendere per tutto il corpo. Le sue tette si muovevano all’unisono con le spinte di reni dell’uomo. La sua bocca era impastata di saliva e sperma. I pettorali dell’uomo odoravano di garage. Sentiva i suoi muscoli sfregarsi sulla pelle morbida e profumata. Contrasti e divergenze. Diego la scopava sempre più deciso e rabbioso. I muscoli dei glutei si contraevano, i bicipiti sull’attenti per prevenire gesti di ribellione di Valentina, ma lei si era arresa. I suoi occhi erano gonfi di rabbia e luccicanti di lacrime in arrivo. No. Non sarebbe successo. Lui la stava violentando, ma non poteva dargli questa soddisfazione. Valentina trattenne le lacrime e cercò di pensare ad altro. Ma ogni colpo la riportava lì, in quello spogliatoio. Dopo un infinito numero di gemiti, Diego si fermò. Il cazzo uscì da lei, gonfio e con qualche goccia di sperma sulla punta. Una pausa prima del nuovo giro di giostra.

Il motociclista la prese per i fianchi e la sollevò dalla panca. Con una mossa decisa la spinse contro uno degli armadietti, la faccia premuta contro la fredda plastica dello sportelletto. Vista da dietro era come una Venere moderna: i fianchi sottili confluivano in un sedere prosperoso come quello di una ballerina brasiliana, ma con la pelle color mattino.
“Da sballo qua dietro. Eh puttana!” – Diego iniziò a palpare il sue culo perfetto e la sculacciò due o tre volte. Colpi violenti che morivano in una stretta che faceva affondare i polpastrelli tra la carne. Valentina gemette di dolore, ma le braccia chiuse a x dietro la sua schiena non potevano accennare nessuna difesa. Diego riprese a scoparla da dietro. Con foga anche maggiore. Il cazzo prendeva possesso delle sue pareti vaginali, bagnate di umori. Scivolava dentro di lei violentando il suo corpo, ma inebriando i suoi sensi. Valentina lo capì quando Diego lo tirò fuori per sbatterlo con prepotenza sulle sue chiappe. Negli istanti che intercorsero tra quei “massaggi” e una nuova penetrazione, Valentina desiderò solamente di ricevere un’altra poderosa spinta da quel cazzo marmoreo. La sua "Figa d’Acciaio" era un lago in cui confluivano tutti i desideri proibiti, tutte le oscure fantasie. Cos’era successo? Forse era il freddo della plastica sul suo volto che si scontrava con il calore tra le gambe. Forse era la vista dei vestiti stracciati a terra, mischiati a quelli di Diego in un abbraccio mortale mentre chi li indossava affondava, attimo dopo attimo, in acque torbide e meravigliose. Forse era l’energia animalesca di quell’uomo. I muscoli sudati addosso a lei, quel cazzo che non accennava un cedimento. Diego la stava scopando, la stava trattando come l’ultima puttana della notte. Ed era bellissimo.
“Ti stai bagnando. Vero troia? – le sussurrò Diego.
“Si..” – rispose ad occhi chiuse. Sottomessa.
“Beh goditela puttana. Goditela! – L’eccitazione di Valentina non spostò di un millimetro i modi del motociclista. Non fece nessuna concezione alla gentilezza. I suoi baci sul collo e sulle braccia nude erano succhiotti profondi, i colpi di cazzo mitragliate sulla sua intimità. Nessun uomo aveva mai osato trattarla così. Come carne per il sesso, da usare e sottomettere. Quando Valentina sentì le fitte di un orgasmo imminente si senti come morire. Per rinascere. La bella e irraggiungibile “Figa d’Acciaio” non esisteva più, ora c’era solo una donna che voleva godere e venire nell’umiliazione. E così fece. La sua vagina fu inondata di sangue e umori. Diego continuò a scoparla con maggior vigore, esaltato dallo scettro di potere su Valentina. Dopo pochi istanti la poliziotta venne ancora; il primo orgasmo multiplo della sua vita. Una sensazione indescrivibile. Diego raggiunse l’orgasmo in contemporanea con il terzo di Valentina. Le due intimità si incontrarono e vennero insieme. Getti copiosi di sperma inondarono la rossa fica, il glande affogava trionfante in quel fiume di lussuria.

Il cazzo di Diego usci da lei. L’uomo la voltò e la guardo. Il volto di Valentina era dolcemente sconvolto. I suoi occhi erano spalancati sul nuovo mondo appena scoperto. Le labbra chiedevano baci prepotenti, i capelli spettinati e senza regole. Diego la schiaffeggiò per due volte. Non furono percosse bastarde per farle del male. Fu piuttosto un avvertimento: “Ora godi, ma ricordati che sei sotto il mio dominio”. Le labbra dei due si incontrarono. Valentina si lasciò baciare. Attimi di parità presto disintegrati. Diego la gettò violentemente a terra. Le mise un piede sullo stomaco, poi lo fece risalire su per il corpo fino alla faccia. A pochi centimetri dal su meraviglioso viso.
“Lecca puttana”. – parole secche. Senza appello.
“Ma sei impazzito? Io...”
“Ti ho detto di leccare. Subito” – Diego le poggiò forte il piede sulle labbra e iniziò a muoverlo. Valentina sentì spezzarsi dentro di lei, l’ultimo muro di fiero orgoglio. Quell’uomo aveva abusato di lei, ora voleva umiliarla del tutto. Se c’era una cose che lei odiava erano grandi piedi maschili. E quelli di Diego avevano una pianta larga e lunga; e maleodorante. Ora si trovava con il viso schiacciato sotto quello schifo. Sottomessa e senza fuga. La sua lingua toccò la pelle del tallone un attimo prima che la mente ordinò di farlo. Fu per spirito di conservazione, paura di una reazione davvero violenta, o fu perché ormai i ruoli erano definiti? Diego comandava e lei doveva solo obbedire. A qualsiasi richiesta.
“Cosi brava cagnetta, lavora!” – Diego si gustò leccate e baci di Valentina al suo piede masturbandosi. Dai suoi occhi un quadro magnifico e irriverente: “Figa d’Acciaio” nuda e sottomessa e costretta ad un feticismo forzato. Cinque minuti passarono, ma furono lunghi un secolo. Un conato di vomito per quella malsana costrizione, venne ricacciato dalle risate e dalle urla di Diego. I suoi piedi puzzavano di anfibi e sudici calzini. Poi il volto di Valentina riapparve, bellissimo e sperduto.

“Coraggio cagna, finiamo la corsa in bellezza” – Diego la prese e la mise in ginocchio accanto alla panca. Le piegò il busto in avanti, lasciando il suo maestoso culo in esposizione. Prese le manette dai pantaloni della divisa e l’ammanettò con i polsi dietro la schiena. Il motivo era evidente. Valentina lo capì e urlò:
“Nooo ti prego questo nooooo” – la sua voce tremava di un panico mai provato. Valentina era vergine. Il suo buchetto era inviolato. L’ultimo e inaccessibile portone, oltrepassato quello solo l’Inferno e il Paradiso.
“Ohh sìì, questo sì puttana!” – Diego sputò sul buchetto chiuso, una lubrificazione posticcia ed inutile. Perché Valentina avrebbe urlato e sofferto in ogni caso.
“Noooo aiutoooooo”
“Ferma e godi culo di marmo!” – Diego soffocò le sue urla con la mano e appoggiò il cazzo tra le chiappe.
“Mmmmpf” – La bocca di Valentina intonò urla silenziose, i suoi occhi spalancati dalla paura di un dolore che arrivò come una fucilata di un plotone d’esecuzione. La sua ultima verginità venne così abbattuta. Il cazzo lacerò le pareti ed entrò. Scavò in lei e la inculò con animalesca prepotenza. Ogni colpo era accolto da gemiti e scosse di paura. E il pianto non poté esser più ricacciato via. Le lacrime le rigarono il volto, taglienti come frecce. Valentina sentì come divedersi in due. Diego lacerò carne e orgoglio alla stessa maniera.
“Mmmmpf” – Il dolore arrivò alle tempie di Valentina, così come il piacere nel profondo di lei. Negli anfratti più nascosti della sua lussuria. I modi violenti e quell’abuso continuo la eccitarono nuovamente. Continuò a piangere, ma questo non fermò le ondate e i fremiti su tutta la sua pelle. I capezzoli dritti cercavano appigli nel vuoto, il calore la fasciava ovunque. Il dolore ballava con il piacere a ritmi vertiginosi. La sodomia continuò fin quasi allo svenimento. Poi Diego si staccò da lei e la spinse per i capelli a terra accanto agli armadietti. Si lasciò andare ad un osceno ed ultimo orgasmo. Le schizzò in faccia, mischiando così sperma alle lacrime. Si avvicinò e con la mano la cosparse di liquido seminale dal viso fin sulle tette.

“Sei stata una scopata fantastica. Credo proprio che ci rivedremo…” – Con quelle parole Diego si rivestì e se ne andò. Erano quasi le 15 e Valentina fu lasciata nuda, ammanettata ed umiliata nello spogliatoio della sezione. Smise di piangere, rimanendo immobile. Come stordita e alla ricerca di ricordi e perché. Quelle ultime due ore l’avevano fatta morire e rinascere. Un rumore la svegliò dai pensieri. Era la porta che si apriva.
“Oh Cristo! Cosa ti hanno fatto???” – La sua collega Micaela la raggiunse sconvolta. Le tolse le manette e la guardò impietrita. Il volto di Valentina era uno straccio di sperma e lacrime, ma i suoi occhi fiorivano d’eccitazione perversa. Valentina si toccò tra le gambe e si infilò un dito nella vagina. Poi li tirò fuori e lo leccò con una lunga e rallentata succhiata. Guardò la sua collega e disse:
“È stato bellissimo…”

Commenti e critiche sempre graditi a marco.dionisi@yahoo.com
scritto il
2010-10-09
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