Il metrò

di
genere
etero

Facevamo quel tragitto in metrò da mesi ormai, ci incontravamo tutte le mattine e i pomeriggi, si andava al lavoro e si ritornava puntuali come un orologio svizzero.
Non avevo ancora ben capito se fossi io a non voler perdere quel treno a quell'ora o fosse lei a fare in modo di poterci incontrare.
La cosa mi stuzzicava mentalmente e le mie fantasie punzecchiavano anche altro di me, tanto che negli ultimi tempi faticavo a nascondere il mio stato alla vista dei passeggeri.
Metrò affollatissimo, venerdì 21 giugno, ore 17.45, come sempre in piedi attaccati al reggimani.
Il tragitto durava circa 20 minuti ed entrambi scendevamo all'ultima fermata dove ci aspettavano le nostre rispettive auto in un ampio parcheggio.
Ci eravamo presentati in uno dei tragitti e ormai si chiacchierava del più e del meno in attesa della nostra fermata. Lei, Laura, 36 anni, segretaria d'azienda, single per scelta come amava dire, viveva un appartamentino a circa quattro isolati da casa mia, e mi raccontava delle sue peripezie per arredarlo e per renderlo a misura di donna che vive da sola. Mi parlava del suo lavoro, dei suoi hobbies, delle sue aspettative e della palestra che si era attrezzata in casa per mantenersi in forma.
E si vedeva quanto lo fosse!
Lei parlava e io avevo lo sguardo perso nel vuoto; pensavo al suo corpo slanciato, al suo seno tra le mie labbra, alle mie mani tra le sue cosce e a come l'avrei posseduta senza sosta.
Ogni tanto mi riprendevo e asserivo senza aver ben compreso il discorso: avevo una gran fortuna, perché le mie asserzioni non le sembrarono mai fuori luogo.
Quel venerdì pomeriggio il metrò era particolarmente affollato e ci trovammo in una posizione che era un inno alla sveltina.
Lei in piedi, braccio alzato per reggersi, ed io dietro lei nella stessa identica posizione alla fine del vagone, con tutte le altre persone sedute e il corridoio praticamente pieno di gente.
Insomma fatevi un tragitto a Milano nel metrò a quell'ora e ne avrete una chiara visione.
Spingi tu che spingo io mi trovai praticamente quasi incollato al centro dei suoi glutei. Lei indossava un abitino poco sopra al ginocchio, di quelli che cadono addosso leggeri, morbidi, e che scolpiscono i lineamenti. Io avevo dei pantaloni di lino marrone e una Lacoste.
Parlavamo sottovoce delle prossime ferie estive, ma entrambi eravamo attenti a quel contatto che si faceva via via sempre più intimo e pressante: vampate di calore ci travolgevano, e faticavamo a tenerle a bada.
La voglia di baciarla stava diventando incontrollabile. Immaginavo la mia mano che l'afferrava al basso ventre per spingerla ancor di più contro di me e le mie dita che affondavano in lei.
Ad un tratto Laura cominciò a contrarre i glutei ritmicamente, le stavo incollato e sentivo la pressione che esercitava sul mio cazzo ormai teso allo spasimo dentro i pantaloni, lo catturava leggermente con la contrazione e lo rilasciava. Questo giochetto mi stava facendo venire, tant'è che mi staccai non prima di aver visto lei mordicchiarsi le labbra per il piacere intenso che provava.
Trascorsi pochissimi minuti riprendemmo quel dolce supplizio interrompendolo ogni volta che eravamo al limite, noncuranti della folla presente nel metrò.
Era come se il vagone si fosse improvvisamente svuotato: né rumori, né persone, solo i nostri respiri affannati e i mugolii trattenuti a fatica.
Arrivò la nostra fermata, non so se fu una liberazione o una tragedia immane, visto quello che si era creato tra noi due.
Uscimmo dal metrò in quel caldo pomeriggio di giugno, in uno stato di eccitazione fantastico. Scambiammo pochissime parole mentre l'accompagnavo alla sua auto.
C'era una sorta di piacevole imbarazzo malcelato che ci rendeva complici di una biricchineria da diciottenni, e che rendeva la situazione piacevole e allegra.
Laura salì sulla sua auto, abbassò il finestrino e mi fece un gran sorriso. La gente, anonima presenza per noi, prelevava le auto dal parcheggio e andava via: aveva fretta di raggiungere la propria casa e non si accorgeva del pathos esistente in quel momento, in quell'area di parcheggio.
Per fortuna!
La salutai e lei abbassò per un attimo lo sguardo andandolo a posare proprio dove ancor vibrante era la mia eccitazione. Allungò la mano e mi accarezzò lentamente sorridendo del mio imbarazzo per essere lì allo scoperto e in mezzo alla gente.
Fu un lampo, la sua mano si introdusse dentro i miei pantaloni, lo tirò fuori caldissimo lasciandolo allo scoperto, a pulsare di desiderio. Mi mise la mano dietro il culo, mi spinse verso la sua bocca che mi avvolse in un calore indescrivibile. La sua lingua, la saliva, il modo in cui lo succhiava mi fecero esplodere in un piacere copioso che lei trattenne.
Si staccò, mi sorrise e sussurrò prima di andar via: - dammi mezz'ora, via Tigli 21, ti aspetto! –
Fu una serata indimenticabile.
Adesso il metrò lo usiamo solo quando vogliamo ripetere il giochino: ormai andiamo al lavoro insieme con la mia o la sua auto.
Rossorainbow
scritto il
2016-06-24
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