L'ufficio

di
genere
etero

Quella mattina nel mio ufficio si respirava un'aria diversa, molti erano pronti a partire per le vacanze invernali e c'era un'euforia diffusa in tutto il palazzo.
Il solito tempo bigio contrastava apertamente con la solarità che si respirava ed io me ne stavo a guardare fuori dalla finestra, assorto nei miei pensieri a tal punto da non sentire la voce che mi stava parlando, se una mano poggiata sulla mia spalla, non mi avesse distolto...
- Scusami se ti distraggo un po' da quello che stai pensando – mi disse Laura con un ampio sorriso, -
Ma ho qui l'ordine di trasferimento temporaneo alla tua unità, in sostituzione di Marco. –
Marco era il mio diretto collaboratore e stava andando in vacanza, così la direzione aveva avuto la splendida idea di sostituirlo per 15 giorni con lei che era una delle donne più ammirate dell'intero personale.
Mi sforzai di non mostrare completamente la mia soddisfazione per la scelta, – Ben arrivata – le dissi, - Vedrai che questi 15 giorni voleranno e tornerai al tuo lavoro di sempre.
- Potrebbe anche piacermi qui – rispose con un tono che non seppi definire; io, sicuramente, le avrei dato il tono a me più malizioso... ma se poi avessi sbagliato?
- Quella è la tua scrivania, togli pure le cose di Marco e sistemati come meglio credi – le dissi nel modo più cordiale possibile, cercando di non farle notare che la mia mente stava già correndo ai 15 giorni di beata solitudine che avremmo trascorso insieme.
La mattina trascorse più velocemente del solito e durante quell'arco di tempo non avevo fatto altro che guardarla in maniera discreta cogliendo le sfumature del suo abbigliamento, del suo corpo, delle suo movenze.
La giornata trascorse tra chiacchiere e pratiche e alle 18.00 ci salutammo dandoci appuntamento all'indomani.
La sera, da solo a casa mia, mi inventai mille situazioni diverse, Laura era una donna che esprimeva una sensualità pazzesca senza far nulla di eclatante, le sue labbra ben disegnate, i suoi occhi, il suo corpo flessuoso, i capelli che scostava con saputa maestria erano un preludio ad un amplesso animalesco, una sorta di scontro emozionale apocalittico destinato a concludersi in un rantolo unico di piacere.
Mi addormentai, tra pensieri piacevoli e tattiche stupide, promettendomi che avrei lasciato andare le cose senza forzare la mano.
Non so come ma l'indomani mattina arrivai con mezz'ora di anticipo e con il dubbio di non essermi vestito in maniera adeguata, (io sono sempre stato un po' trendy nel vestire), e per questi pensieri mi incazzai un po' con me stesso perché mi stavo comportando come un ragazzino pieno di brufoli ed eccitato, alla fine avevo 34 anni e un bel po' di esperienze alle spalle, e che diamine!!!
Quando Laura entrò in ufficio io stavo già in apnea da un pò, avendone sentito i passi, e il suo saluto squillante con la sua risata argentina ebbero l'effetto di farmi sentire come un centometrista ai blocchi di partenza.
- Ciao Luca – mi disse, - Hai trascorso una bella serata? -In una frazione di secondo pensai mille risposte, - Beh, non ho fatto altro che pensare a te –, risposi sentendomi un po' Homer quando litiga con il suo cervello…
- Ehm, volevo dire... al fatto che avremmo trascorso 15 giorni in ufficio insieme e che cercherò di renderteli meno faticosi possibili, tutto qui!
Continuai cercando di cancellare, con una spugna ipotetica, la frase che continuava a scorrere sulle pareti dell'ufficio.
– E tu? – ripresi, cercando di darle chiacchiera per non farle pensare a quello che avevo detto - Che hai fatto ieri? –
- Sincerità per sincerità, anche io ho pensato a te e a come saresti stato il mio - capo - in questi 15 giorni – replicò sempre con quel tono a cui non sapevo dare un significato.
Scoppiammo a ridere insieme, in maniera irrefrenabile, perché capimmo che un sottile filo ci legava a livello di sensazioni, emozioni ed intuito e le proposi una colazione abbondante al bar di sotto perché c'era sempre quella maledetta frase che si rincorreva sulle pareti e se la vedevo io la vedeva anche lei!
Scendendo insieme in ascensore ebbi modo di notare com'era vestita, un tailleur che ne esaltava le forme, la gonna appena sopra il ginocchio, calze nere velate e una scarpa con un tacco che ne esaltava la caviglia sottile, l'occhio seguì le curve dei suoi fianchi per soffermarsi, indugiando, troppo, sulla curva delle sue natiche.
- Ti piace? – mi chiese a bruciapelo.
Pensai che una vampata di rossore così intensa io non l'avevo mai avuta e risposi in tono che reputai dignitoso: – Sì, complimenti, è veramente uno spettacolo guardarti. -Lei sorrise e mi disse: – Non arrossire, lo guardano tutti, ma guardato da te ha un altro senso. –
Io lasciai cadere la frase anche perché era entrata altra gente in ascensore.
Tornammo su, dopo la colazione, ridendo, e subito dopo guardammo le pratiche che richiedevano una certa urgenza; starle accanto, il suo odore, il suo profumo, scatenava i miei sensi per cui me ne tornai alla mia scrivania, con una scusa qualsiasi, e cominciai a far finta di scrivere qualcosa per darmi un tono.
Alzai lo sguardo e vidi che mi guardava con aria divertita, le labbra leggermente schiuse, il palmo della sua mano sotto il mento e l'altra mano che giocherellava con una matita.
Abbassai lo sguardo quel tanto che bastava per vedere le sue gambe leggermente schiuse sotto la scrivania, le accavallò con classe e i mie occhi presero a seguire la linea della sua caviglia, risalendo piano, piano.
La sua gonna si era accorciata un po' e si intravedeva la linea più scura di quelle che dovevano essere delle autoreggenti, mi sentii eccitato, in maniera prepotente, pensavo che se mi fossi dovuto alzare avrei fatto una figura unica visto che si notava evidentemente il mio stato.
Lei continuò nel suo gioco e mentre leggeva qualcosa, (faceva finta sicuramente),schiuse le gambe tornate in posizione normale e giocava con le ginocchia facendole toccare e allontanandole.
Quel movimento mi faceva vedere il bianco della sua pelle al di là delle calze e il suo intimo che doveva essere nero. La vidi che mi guardava mentre io stavo con lo sguardo fisso tra le sue gambe, la sua mano si poggiò sul bordo della gonna, che fece risalire un po', mettendo allo scoperto quelle gambe che mi sarei tuffato a baciare. Sempre lentamente, con le dita si accarezzò la pelle candida e risalì strusciandole sulla stoffa di quello che doveva essere un perizoma.
Mi ritrovai con la mano sul mio sesso che pulsava, urlava, voleva aria e libertà, e vidi che lei guardava quello che stavo facendo, scivolò un po' sulla sua poltrona allargando bene le gambe, consentendomi di guardarla tutta, scostò il perizoma e vidi il rosa della sua carne schiusa.
Era completamente rasata, il suo profumo mi arrivava in maniera prepotente, vidi le sue dita roteare lentamente sul clitoride, la sua lingua che passava sulle labbra bagnandole, l'altra mano che accarezza il seno.
Spingeva le dita, le ritraeva e poi le portava alle labbra leccandole piano piano, io ero così eccitato che mi faceva male, tanto era duro. Mi alzai nello stesso momento in cui lei mi disse: – Leccamela – ed io non mi feci pregare, era quello che volevo.
Si spostò con la poltrona consentendomi di inginocchiarmi tra le sue gambe aperte e la mia lingua cominciò a passare tra le grandi labbra sfiorandole appena, indugiava sul clitoride, le labbra lo avvolgevano per succhiarlo e rilasciarlo, sentivo i suoi gemiti e i suoi umori tra le mie labbra, le mie dita accarezzavano la parte interna delle sue cosce, le immergevo e le ritraevo, la lingua sferzava e poi si fermava a pulsarle contro.
- Se continui così vengo - mi disse in un quasi rantolo, non me ne curai, continuai a leccarla facendole mettere le gambe sulle mie spalle e la mia lingua la prendeva spingendosi dentro fino alla radice e accarezzandole l'interno delle pareti, era un dardo, veloce e caldo.
Sentivo il suo respiro corto, affannato, sempre più veloce, le sue mani cominciarono a spingere la mia testa e il suo bacino si spingeva contro la mia bocca fino a quando non la sentii tremare, un tremito lungo, liberatorio. I suoi umori avevano un sapore leggermente acidulo e io non mi levai fin quando non smise di tremare.
Mi alzai e la baciai passandole i suoi sapori.
- Questo è il mio benvenuto - le dissi, - quello che speravo di darti veramente. –
Lei mi guardò con gli occhi che luccicavano.
- E tu? - mi chiese.
- Abbiamo 15 giorni per restituirci tutto – le risposi ribaciandola.
Non è più andata via dal mio ufficio e i nostri momenti adesso hanno i tempi di coloro che sanno di aver tempo.
scritto il
2016-09-07
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