Gemelle non sorelle 2°
di
Tara
genere
etero
GEMELLE-NON-SORELLE
RICCARDO*** 2°
Il treno diretto alla capitale, partito in orario, aveva da poco lasciato la stazione emettendo il suo caratteristico fischio, quando, improvvisamente, si era aperta la porta scorrevole dello scomparto ed era entrata lei, il fiore naturale più bello che avessi mai visto prima; un perfetto simbolo di femminilità che, indicando la poltrona vuota al mio fianco, domandò: “Mi posso sedere?”, con una voce che arrivò alle mie orecchie come se fosse una musica celestiale proveniente direttamente dall’universo
“Certamente!”, era stata la mia risposta, in sincronia con gli altri due viaggiatori, anche loro estasiati dalla Venere appena giunta fra di noi, lasciandoci tutti con il fiato sospeso.
La sua presenza, aveva immediatamente accalorato l’ambiente, così come, il suo delizioso sorriso, più eloquente del grazie sbocciato dalle sue labbra, aveva stuzzicato la nostra già fervida fantasia erotica, mentre, un raffinato profumo di femmina, si era diffuso fra le pareti del vagone rendendolo meno anonimo.
In quarantadue anni di vita, molti dei quali trascorsi come regista televisivo di stato, avevo incontrato moltissime donne, alcune assai belle, altre affascinanti, ma nessuna di loro con il garbo naturale di quella che si era appena materializzata fra di noi. Il riassunto di tutte le altre, al meglio delle loro doti fisiche, e con degli occhi straordinariamente felini, di un verde smeraldo intenso, un vero contrasto col candore latteo della sua meravigliosa epidermide, levigata naturalmente. Un’opera d’arte davvero unica, che il destino aveva posto di fronte a me, inguainata da una t-shirt bianca, così aderente, da sembrare un’unica cosa con la sua pelle e i grossi capezzoli imperniati al centro di due colline assolutamente perfette, sublimi, complemento indispensabile a un corpo che, definire solo bello, significa ridurre il concetto del termine stesso e negare l’arte, oltre a non avere fiducia nella provvidenza, nella fortuna e nel Supremo … i quali, quel mattino, sembrava si fossero trasferiti a bordo della carrozza del treno su cui viaggiavamo, incantando noi tutti con quella sintesi in carne e ossa umane, nella sua mirabolante magnificenza, al di là della quale, mi dispensava di uno smagliante e curioso sorriso.
“ Devo avere un aspetto davvero orribile”, pensai, “ come quei peccatori che risaltano nelle immagini della Divina Commedia illustrata ”, un’ edizione magnifica del testo dantesco che mi era stata donata, l’anno prima, durante l’inaugurazione di una grande libreria nel centro di Roma.
“Non mi giudichi sfacciata, se la guardavo con tanta insistenza … >>, disse ad un tratto, sorprendendomi nel bel mezzo dei miei pensieri fantastici. “Ma lei, assomiglia molto ad una mia carissima amica e compagna di liceo, di nome Teresa”, terminò, soave.
SARA***
L’estasi che per pochi istanti aveva caratterizzato il suo viso, di colpo, s’era mutata in vera angoscia, mentre, una vena sulla sua tempia, aveva preso a pulsare pericolosamente, ed il suo corpo, che pareva adagiato sui carboni ardenti, a sussultare tanto da sembrare colto da un’acuta forma di epilessia.
Sapevo di essere stata sbrigativa ma, il tempo incalzava, e non volevo perdere l’occasione per raggiungere il mio scopo, recuperando lo svantaggio iniziale che mi distanziava dalla mia amica, partita con un certo anticipo, rispetto a me.
“Parli di Tessi, vero?”, domandò, chiaramente sorpreso oltre che intimorito.
“Si, Tessi. Proprio lei. Perché, la conosce?”, chiesi, mostrando un eccessivo stupore nel sentire che la indicava con il nomignolo che usavo spesso anche io.
“E’ mia figlia …!”, rispose, con una profonda nota di amarezza nella voce.
“E tu, devi essere …, sì, ricordo: Sara, l’amica di mia figlia Tessi, suppongo?”, constatò, con evidente rammarico.
“Proprio io. E lei …, papà Riccardo, invece. Il grande regista!”, commentai, con una certa enfasi, anche se in me era sorto il dubbio di avere agito in modo troppo frettoloso, e poco avveduto.
Il gelo che per pochi istanti aveva ibernato l’ambiente, si era sciolto quasi subito lasciando spazio a un caloroso dialogo in cui avevo coinvolto intenzionalmente anche i due farfalloni che viaggiavano con noi, i quali, impettiti come galletti, iniziarono subito a pavoneggiarsi e a decantare qualità poco evidenti, oltre che corteggiarmi senza ritegno, stuzzicati dalla mia disponibilità. In varie occasioni, avevo mostrato loro le gambe accavallandole con lentezza estrema e poca attenzione, lasciando bene in vista la parte del triangolino che fasciava, in modo trasparente, il centro del mio corpo, affinché non dovessero più affidarsi alla fantasia per accertarsi qual era la foggia delle mie mutandine, il colore che io preferivo e la tonalità della peluria che per pura coincidenza, in quel preciso momento tentava di evadere ribelle e molto rigogliosa, dai bordi dello slip.
RICCARDO***
Era la prima volta che incontravo una perla nera così ben levigata, ma purtroppo, il destino avverso, m’impediva di incastonarla fra le tante perle bianche che componevano la collana delle mie passate esperienze. Inoltre, dovevo anche sopportare le battute volgari fatte dai due cascamorto, i quali, m’impedivano di attirare su di me tutta la sua attenzione; tastare il terreno per capire se fosse possibile tentare un approccio, avere una minima possibilità di conoscerla meglio, valutare intimamente la sublime magnificenza dell’universo, in lei, così bene evidenziato.
La sua solare affabilità, stimolava insani desideri, curiosità che non avrei potuto soddisfare poiché, la bella Sara, amica intima di mia figlia, era inevitabilmente intoccabile e, come se non bastasse, minorenne: “ anche se sapevo benissimo che questa ragione non avrebbe certo attenuato la mia ingordigia sessuale...”
“I suoi atteggiamenti da Lolita, sono esclusivamente a favore dei due ragazzoni, oppure includono anche il maturo genitore dell’amica …? “, domandai a me stesso, incerto.
Forse no. Magari ero soltanto uno dei tasselli idonei a completare il quadro dei suoi giochi erotici infantili, indispensabili a creare quell’intreccio di emozioni necessarie ad attivare un meccanismo insito nel cervello, dal quale poi trarre l’energia che libera una incontenibile forza di sessualità trasgressiva.
SARA***
Per fortuna, i due sciupa femmine della Valtellina, erano giunti alla loro fermata, così, dopo molte vane promesse da parte mia, di sentirci per telefono, e dopo un caloroso abbraccio con impertinenti toccatine ai miei seni e ai glutei, scesero lasciandomi finalmente sola con il bel Riccardo, genitore della mia più intrigante amica; colui al quale ambivo dedicare tutte le mie attenzioni, e che, nel frattempo, si era sistemato accanto al finestrino, in evidente stato di eccitazione, benché tentasse invano di nasconderla accavallando le gambe. Soltanto in quel momento notai che aveva posato la sua valigetta sul sedile vicino a lui e, la mia sacca da viaggio, su quello di fronte, come per lasciare intendere, a possibili nuovi viaggiatori, che i posti laterali ai nostri, erano occupati da persone che momentaneamente erano assenti.
Non potevo chiedere di meglio. Da quella posizione, sarebbe stato facilissimo stuzzicarlo, sollevando le gambe in maniera da mostrare, molto chiaramente, la triangolazione del mio ventre, oramai fradicio di umore, cagionato dalla situazione che si era venuta a creare ma, soprattutto dal desiderio di raggiungere lo scopo, ragioni che avevano dato origine ad una sorta di piacere sottocutaneo, indefinibile.
“Suvvia, Sara, raccontami di te, e dimmi: dove sei diretta?”.
“Tutta la sacrosanta verità …?”, domandai, con l’espressione di chi confida nell’altrui complicità.
“Certo, nient’altro che la verità!”, rispose, esibendo un’aria, a dir poco, inquisitoria.
Mi aveva colta impreparata, senza una storia da propinargli, così andai a braccio, con la speranza di essere abbastanza convincente.
“Vado a trovare un’amica a Firenze tanto per ritemprarmi prima degli esami”, dissi tutto d’un fiato, grata a me stessa per la fervida immaginazione dimostrata.
“Questa è la versione data ai miei genitori per avere il tempo di partecipare al concorso per diventare una “Velina”, confessai, falsamente.
“Sono certo che, con la tua bellezza, non avrai rivali !”, rispose, assai complimentoso, in modo addirittura esagerato.
Un gradito complimento il suo, che mi forniva lo spunto per indirizzare il discorso dove io desideravo.
“Ho sentito dire che per essere scelte, bisogna avere una spinta, concedere dei favori agli esaminatori”, lo incalzai, con il chiaro intento di attirarlo su argomenti ben definiti dove, forse, avrei potuto metterlo in difficoltà, imbarazzarlo a tal punto da averlo completamente nel mio pugno.
“Non dar credito a chi non conosce l’ambiente”, mi rassicurò, socchiudendo brevemente gli occhi, come se fosse stanco, mentre un sorriso gli tratteggiava gli angoli della bocca, delineando un ghigno da crotalo in procinto di assalire la sua preda, io, predestinata a lui per ragioni di complicità con sua figlia, come lei stessa era predestinata e assolutamente consenziente a mio padre, l’incorreggibile collezionista di tenere e procaci fanciulle che, per varie ragioni, gli si concedevano pur sapendo, alcune nostre coetanee, che egli era l’attempato genitore di una loro compagna di liceo, ragione per cui, sentivano in modo maggiore la soddisfazione di farsi scopare per quella specie di rivalsa che contrappone le ragazzine quando, le prime fregole sessuali, si fanno sentire.
RICCARDO***
Decisamente, la situazione sembrava volgere a mio favore. La piccola Sara mi procurava involontariamente il modo per prendermi cura di lei, e non solo moralmente, ma anche in modo protettivo, fisico. E la cosa, lo ammetto, mi procurava già un intenso piacere.
Dovevo prendere la palla al balzo e al diavolo tutte le precauzioni, oppure, lasciare quella occasione che, certamente, non si sarebbe ripetuta entro breve tempo, e forse, mai più!
“Comunque, tu sei tanto giovane. Per maggiore tranquillità, dovresti affidarti a qualcuno che sia introdotto nell’ambiente, che ti assicuri la partecipazione, oltre che una adeguata protezione”, la consigliai, pregustando la spinta morale e fisica che io stesso gli avrei dato molto volentieri.
“Da uno a cento, dimmi; quanto desideri partecipare al concorso?”, le chiesi, fingendomi assolutamente estraneo a un interesse protettivo diretto.
“Cento e uno!”, esclamò, senza un attimo di ripensamento.
“E se, per pura ipotesi, davvero ti chiedessero qualcosa in cambio, cosa saresti disposta a concedere?”. “Tutto, per il successo!”, esclamò, senza nessunissima esitazione.
SARA***
Era così intento a cercare il modo per approfittarsi di me, (che invece già gli appartenevo anima e corpo) da restare inerte quando posai i piedi nudi sulle sue ginocchia, lasciandoli poi anche scivolare, molto lentamente, verso la congiunzione inguinale del suo magnifico corpo, puntato da un asterisco talmente voluminoso da contrastare fortemente l’invadenza esercitata dalle mie estremità inferiori.
Iniziando una pratica sicuramente a lui congeniale, sperimentata chissà con quante altre donne, cominciò a massaggiarmi le caviglie delicatamente, in modo rilassante, tanto che, per agevolarlo maggiormente, finii per allungare le gambe, fino a stabilire un contatto con la sua parte più eccitata, lasciando che il movimento repentino, oltre a comprimergli bene il sesso, granitico, scomponesse l’orlo della mia gonna, liberando abbondantemente i femori accaldati.
RICCARDO***
Sicuramente, il sogno in cui navigavo estasiato, presto avrebbe lasciato posto a un’amara realtà quotidiana, ad un crudele risveglio dove, la meravigliosa creatura, svaniva nel nulla, così come dal nulla era emersa, svuotandomi la mente dai fantastici programmi afrodisiaci che avevo costruito con tanta fervida immaginazione.
Il risveglio tardava ad arrivare, anzi, la pressione che avvertivo sul mio ventre, prolungava all’infinito la piacevolezza che continuava a inondarmi di calorose sensazioni, tutte quante concentrate sull’inguine, come se un esercito di cortigiane, si dedicasse al mio sesso. “Possibile che il sogno continui mentre il tatto mi trasmette sensazioni così reali?”, chiesi a me stesso, estasiato dal piacere fisico e mentale gustato in contemporanea.
Eppure, quelle lunghe gambe tornite, che fremevano sotto le mie mani, rilasciando un tale calore, non potevano essere solo illusorie! Il bivio che s'intravedeva al termine delle cosce, appena celato dallo slip bianco, non poteva essere pura fantasia; aveva qualcosa di reale e di profumato, per essere frutto di fervida immaginazione.
L’unico modo per accertarlo, era quello di percorrere con mano la morbida epidermide che mi divideva dalla collinetta pulsante che si vedeva all’altra estremità di quelle lunghe leve, tornite e magnetizzanti.
SARA***
Quando avvertii la sua mano posarsi delicatamente sul mio ventre, tastandolo con il garbo di un cieco, e un cuneo insinuarsi nell’antro umido fra le mie gambe, tese allo spasimo per l’insolito stimolo che mi stava risucchiando dentro un vortice di godimento superlativo, non riuscii a trattenere un gemito, il più chiaro segno che avevo gradito l’intrusione del suo dito medio, ruvido e nervoso.
RICCARDO***
Avevo toccato il classico cielo con un dito. Il momento era stato molto esaltante, anche se conservavo ancora qualche dubbio sulla reale incarnazione di quella Dea che continuava a gemere oltre le tremule labbra socchiuse, e scossa da fremiti, causa della fuoriuscita dai capezzoli di goccioline profumate che, in breve, si erano estese tutto intorno alla maglietta, delineando maggiormente la corolla mammaria.
Certamente, non sognavo, o meglio, ero uscito da un sogno irreale divenuto realtà, fatta di morbida carne fremente, odorosi umori che moltiplicavano all’infinito le sensazioni di tanto, immenso piacere, appena gustato.
Era la prima volta che mi sentivo tanto preso da una ragazza quasi tre volte più giovane di me, e nonostante la differenza di età, sapevo che non avrei rinunciato a quella magnifica dispensatrice di piaceri, anche se conscio dei rischi a cui andavo incontro nell’abusare di una minorenne, anche se mostrava d’essere molto più adulta e donna di quelle che avevo conosciuto prima di lei.
Non era la prima esperienza di quel tipo ovvio, ma certo non così giovane e in luoghi tanto esposti. Inoltre non aveva preteso nulla in cambio, come di solito facevano le altre ragazze anzi, aveva mostrato di prediligere questo tipo di esperienze, in modo tanto spontaneo da farmi sperare in contatti ben più estasianti con quella sorta di mantide, molto più infernale che religiosa.
“Cosa stai pensando?”, mi chiese Sara, dopo aver sistemato la gonna, appena un pochino sgualcita nel fulmineo contatto epidermico che, pur nella sua brevità, era stato appagante per me, ma certamente, anche per lei.
A cosa posso fare per aiutarti a realizzare il tuo sogno”, risposi, fantasticando su quale spinta le avrei dato più volentieri.
SARA***
Trattenevo saldamente il suo capo fra le mie mani, e non solo. Dovevo attendere che Ric facesse la prima mossa per dargli l’illusione di avermi avvinghiata con le sue portentose spire, anche se non erano estremamente stringenti. Cementare le sue voglie, le intenzioni. Favorirlo nel prendersi cura di me in modo che nulla e potesse rovinare quella appetibile settimana di sesso sfrenato a cui ambivo con il massimo ardore.
Il sedile accanto al suo, concedeva meno visibilità alla gente che avrebbe potuto arrivare dalla parte più lontana del vagone, e il bracciolo non m’impediva certo di avvicinarmi fino a trasmettergli calore, quello che il bel Riccardo mostrò di gradire tantissimo.
“Vicini, vicini! Come nello spot pubblicitario”, ricordò con ironia, Ric, mentre furtivamente pizzicava la maglia umida intorno ai miei capezzoli. Soltanto in quell’istante notai la goccia di sudore solcargli lentamente il viso, scendere all’angolo della bocca e fermarsi lì trattenuta da una barriera invisibile.
Sospinta da un desiderio incomprensibile, istintivamente, la raccolsi con la lingua gustandola in tutta la sua saporita fragranza. Tutto in quell’ uomo era apprezzabile: la presenza maschia ma gentile, il fisico asciutto, non palestrato, ma comunque, ugualmente molto vigoroso.
Il sorriso accattivante, risaltato da una fila di denti bianchissimi, ma soprattutto, dotato di un aspetto così calamitante da sconvolgere il metabolismo di qualsiasi donna degna di gustare a fondo quel tipo di prelibatezze.
“Credi di riuscire a sganciarti dall’amica di Firenze?”, mi domandò Ric, mirando lo sguardo al di là del finestrino.
“Non ci sono problemi. Devo soltanto chiamarla e disdire il mio arrivo. Ci penserà poi lei a coprirmi con i miei genitori”, lo rassicurai.
“E allora, perché non lo fai? Poi, ti porto a Roma”, disse, tutto d’un fiato, come se temesse un mio ripensamento. Soltanto allora capii veramente cosa significa la frase: “ al settimo cielo! ”.
Ero davvero orgogliosa di me stessa. In un lasso di tempo molto limitato, ero stata capace di appropriarmi della volontà del bellissimo Riccardo, lasciandogli la convinzione di essere lui a gestire la situazione.
Senza attendere oltre, mandai un sms alla mia amica in toscana chiedendole di coprirmi a qualsiasi costo, con i miei, se l’avessero chiamata.
“Poi, ti racconterò tutto nei minimi particolari: contaci. Ma ti prego, non tradirmi … Inventati qualcosa di convincente. Magari, che sono ancora in spiaggia e ho dimenticato il cellulare a casa, se chiamassero di giorno; oppure, che sono già andata a letto, se di sera, e che li richiamerò io, il giorno dopo. Ad ogni modo, se ti dovessero chiamare, tu, avvisami subito, a qualsiasi ora del giorno o della notte, mi raccomando, in modo che io possa dare loro la stessa versione che hai dato tu.
“Ecco fatto! Ora sono completamente nelle tue mani >>, gli promisi, mendace, in quanto era lui ad essere nelle mie.
RICCARDO***
Tutto si era svolto così rapidamente da lasciarmi dubbioso circa la veridicità di quello che era avvenuto. Mi ritrovavo fra le mani una pupa da far venire il capogiro solo a guardarla; un’affascinante sirena che mi riscaldava il sangue nelle vene a distanza, ed io, inebetito, sfuggivo il suo sguardo continuando a restare seduto, inerte, senza nemmeno trovare la forza di programmare il dopo del nostro arrivo nella capitale.
Ero troppo conosciuto, negli Hotel intorno alla RAI, per presentarmi con una ragazzina, per di più, minorenne, poco rassomigliante alla mia figliola, anche se, forse, nessuno l’avrebbe riconosciuta, visto che da almeno un anno, Teresa, non veniva a Roma con me.
“Quando arriveremo nella capitale, chiederò ospitalità ad amici. Visto che sei minorenne, sarà necessario essere cauti! E’ molto meglio se ci sistemeremo in una casa privata.
Sarò anche costretto ad assentarmi per una riunione urgente di lavoro. Ma, appena finita, ti raggiungerò per pianificare la tua scalata al successo”, la rassicurai, mentre tratteneva il mio dito indice fra le labbra tumide, libere da colori diversi da quelli naturali.
SARA***
Al nostro arrivo nella capitale, i giochi erano già stabiliti. Riccardo aveva già contattato per telefono un amico produttore, che era venuto ad attenderci alla stazione, mentre io, dalla toilette del treno, avevo chiamato Tessi per aggiornarla sull’evolversi dell’avventura con il suo vispo genitore, ricevendo le ultime notizie della sua performance sessuale con il mio.
“Ti presento Sara, Gianni, la futura Star del nostro mondo televisivo …! >>.
“Ciao cara. Benvenuta nella città dei sogni!”, era stato il suo saluto, chiaramente complice della situazione che coinvolgeva il suo amico regista. Sicuramente Ric gli aveva parlato di me, mentre io con Tessi, parlavo di lui. E, senza alcun dubbio, gli aveva pure confidato i particolari, come sovente fanno gli uomini per vantarsi. Lo intuivo dal comportamento del Gianni, dalle sue occhiate libidinose, dai sott’intesi in dialetto: “Amvedi, aoh, che bonazza sta gnocca … che ma’ portato sto fijo de’… su madre!“.
“Ciao Gianni”, risposi con naturalezza, mentre lui mi stringeva a se, con forza.
Adesso i tizzoni ardenti che avrei dovuto spegnere, si erano raddoppiati come per incanto.
In un imminente futuro, avrei dovuto parare anche le sue avance, gli assalti che avrebbe tentato, certo che Ric, per quella sorta di complicità maschile, di sicuro avrebbe permesso, forse, soltanto per ricambiare la disponibilità di Gianni ad ospitarci.
“Lasciami sotto il cavallo, per favore, e prosegui pure per casa tua. Appena mi libero dai fastidiosi impegni di lavoro, vi raggiungo”, gli consigliò, Riccardo, visibilmente desolato per il fatto che, il suo impegno alla RAI avrebbe ritardato molto le piacevolezze che già andava pregustando, indubbiamente.
“Ok Riccardo! Ai tuoi ordini, socio!”, rispose Gianni, accennando appena il classico saluto militare.
Era lampante che la nuova società, era appena stata fondata dai nuovi soci, con capitale sociale in caldi spermatozoi, che presto avrebbero impegnato spalmandoli sul mio corpo, ovviamente consenziente poiché, in fondo, era parte del gioco nel quale mi ero coinvolta coscientemente. E poi, a dire il vero, il socio aggiunto, non era proprio niente male. Un bel moro, di età indefinita, che certamente non superava i 50 anni, e con un mento squadrato alla ” Michael Douglas ”, che mi faceva letteralmente uscire di senno per quanto mi aveva affascinato
“Allora, a dopo, Sara …!”, puntualizzò Riccardo, chiudendo la portiera della BMV.
“E tu, marpione, tieni le mani sul volante, almeno finché non arrivo io!”, aveva poi aggiunto rivolto al guidatore, strizzando l’occhio.
Di logica il loro contendermi così chiaro ed esplicito, avrebbe dovuto offendermi; invece mi esaltava in modo tale da procurarmi una varietà di sensazioni che non superavano, verso l’alto, l’ombelico, e verso il basso, il punto più strategico che le donne hanno fra le gambe, il clitoride.
“Perché non vieni qui sul sedile anteriore?”, chiese Gianni, dopo aver fatto un bel pezzo di strada verso Ostia.
“Mi fermo un attimo …”, propose, rallentando l’auto.
“Non è assolutamente necessario. Posso benissimo passare nello spazio che c’è fra i due sedili …”, risposi, prontamente.
Prima che potesse replicare, ero già impegnata nel trasloco, divaricando esageratamente le gambe, mostrando interamente il contenuto al di sotto della mia gonna, troppo corta per sperare che celasse le mie grazie, e che, d’altronde, nemmeno lo desideravo.
Era diventato paonazzo, ansimante e in difficoltà a mantenere l’auto sulla carreggiata. Quando poi finalmente riuscì a schiarirsi la gola ed emettere un suono, compresi soltanto: “Orca vacca!” che, tradotto nel gergo usato dai maschietti, significava senza alcun dubbio: “Sei proprio una troia!”.
A dire il vero, in quel preciso istante, era lo stato d’animo in cui mi ero calata volutamente. Mi sentivo infinitamente puttana e, quella nuova sensazione, mi infondeva un’apprezzabile scossa vaginale, un prurito così intenso che avrei calmato volentieri con uno sfregamento, oppure lenito con l’ausilio d’una lingua, colma di saliva.
“Sei già stata sua?”, mi chiese improvvisamente, senza usare mezze parole, Gianni.
“Certamente!”, risposi, modulando la voce in modo da mostrare un piacere immenso nel ricordare un’esperienza che, in realtà, non avevo ancora assaporato.
“In tutti i sensi …?”, continuò, evidenziando molto interesse per le mie vicissitudini di carattere sessuale.
“Ovviamente!”, ammisi, mostrandomi convinta di avere capito chiaramente cosa intendeva per:” In tutti i sensi”.
“Sopra, sotto e dietro?”, ribadì lui, toccando con la mano i punti del mio corpo ai quali si riferiva, e soffermandosi a tastarmi con lascivia il ventre, intimamente già umido per colpa dall’argomento affrontato.
“Quando mi “concedo”, non mi pongo limiti “fisici” o morali!”, risposi, calcando bene la voce a ridosso del verbo concedere.
“Comunque, Sara, se aspiri a qualcosa di particolare, e non solo nel campo televisivo, devi sapere che io sono adatto a soddisfare ogni tuo desiderio”, ribadì lui, offrendomi subito la sua interessata complicità.
Non vi erano dubbi. Più che mai, avevo la certezza che Riccardo si fosse accordato con il suo amico per cedermi come merce di scambio, a buon mercato. Gianni gli concedeva la possibilità di scopare con me, in casa sua, per tutto il tempo che saremmo rimasti a Roma e lui, avrebbe fatto in modo, che l’amico, avesse i miei favori sessuali.
Un programma molto allettante che, a loro insaputa, avrebbe di certo compensato la mia emergente curiosità sessuale e portata a gustare finalmente le fantasie che da un bel po’ di tempo si stavano auto programmando nel mio cervello. “Grazie! Ne sono lusingata!”, ammisi, sistemando le gambe sotto il bacino, liberando così ampi spazi di epidermide in prossimità del tanga, fradicio e ormai inadatto a celare la peluria che traspariva dal tessuto lasciato a vista dalla mini arrotolata sul ventre.
“Ho promesso d’essere soltanto sua, ma se lui vuole che mi dedico anche a te, non mi opporrò alle sue richieste!”, continuai sfacciatamente, lasciandolo a bocca aperta.
Improvvisamente, preso da un raptus, si abbassò la cerniera dei pantaloni e, sbuffando come un toro in calore, dopo averlo estratto con irruenza, prese a massaggiarselo fino a quando non sbocciò in tutta la sua invidiabile interezza.
“Scusa, ma devo fermarmi, altrimenti, scoppio!”, disse, già preda ad un impellente bisogno di sfogarsi.
Non nego che la situazione mi fosse sfuggita dalle mani. D’altronde, io avevo contribuito a renderla esplosiva e, intimamente, avevo anche sperato che la circostanza si evolvesse in tal’ senso.
Dopo avere rallentato drasticamente, inforcò una stradina che terminava ai bordi di un campo di granturco, quasi adulto e, appena fermo, cominciò a masturbarsi velocemente, infiammato da una eccitazione che, immancabilmente, aveva coinvolto anche me.
Consapevole di essere la causa di tale esplosione morbosa, mi chinai subito sul suo sesso aggredendolo con la bocca, avvolgendo con faticosa estensione delle labbra, tutta quanta la mirabile circonferenza, fino a quando, dopo poco tempo, uno zampillo caldo, si mischiò all’abbondante mia salivazione, obbligandomi ad inghiottire l’intera composizione per non soffocare, traendone nel contempo una soddisfazione gustativa davvero sublime, molto superiore all’ingerimento del più prelibato dei manicaretti che io avessi mai gustato in tutta la mia breve esistenza.
L’ululato scaturito dai suoi polmoni, quasi inumano per la tonalità emessa inconsciamente, confermò che aveva raggiunto un apice di piacere,”mai provato prima”, come poi confermò quando le sue capacità fisiche e mentali ritornarono nella normalità.
Non una sola goccia, del suo seme, era andato perso. Per la prima volta, in modo del tutto istintivo, senza alcuna difficoltà, avevo ingerito il piacere liquido di un uomo apprezzandolo particolarmente; gustato l’aromatico e saporoso drink sessuale prima con il palato, poi con la gola, ed in fine, dentro di me, fino a quando non lo avvertii posarsi, oramai esausto nello stomaco, a breve distanza dal centro del mio corpo, letteralmente in subbuglio.
GIANNI***
“ Ma dove l’avrà trovata Riccardo una così disponibile puttanella! ”, domandai a me stesso non appena riuscii a riprendere l’autocontrollo. “ Nemmeno una sniffata sarebbe stata così stimolante! ”.
“E’ meglio che Riccardo non venga a sapere di questa sosta. Non vorrei dispiacergli. Tu mi capisci, vero, Sara?”, la consigliai, scioccamente, certo che lei avesse ben compreso l’accordo che le avevo proposto.
Mi guardava sorridente, con una tale aria furba e di complicità, da intimorirmi; poi, in modo quasi felino, dopo essersi avvinghiata al mio sesso, rimasto ancora libero e debilitato, con aria innocente chiese: “Ok. E tu, cosa offri in cambio per il mio silenzio …?”, mi domandò, noncurante dello stupore e della indignazione disegnata sul mio volto.
SARA***
Non avrei mai pensato che il mio gioco potesse prendere una piega tanto venale. Infatti, quando il produttore m’infilò alcune banconote arrotolate sotto la maglietta, sollevata quel minimo, inaspettatamente, tanto per arrivare in mezzo al seno e depositarli lì, come fosse un porta soldi naturale, li per li, restai impietrita, o meglio, offesa da quel suo gesto, molto più eloquente dello stesso aggettivo che lo comportava. Non erano i soldi che mi avevano spinta a soddisfarlo.“ Come si permetteva di trattarmi come una emerita prostituta? ”. Mi stavo caricando da sola, prima di esplodere e dirgli tutto ciò che si meritava, quando lui, con un sorriso sarcastico, aggiunse altri soldi, questa volta, inserendo un dito nel bordino superiore del mio tanga, allargandolo in modo pericoloso fino a quando riuscì a spingere i soldi a stretto contatto con la mia vagina.
“Ora, bastano? Sono quasi mille euro !”, dichiarò, aggiungendo anche che in quel preciso momento, non ne possedeva altri.
Aveva travisato il mio stupore e la conseguente rabbia come se fossero un segno di intima amarezza per il poco denaro ricevuto inizialmente.
Mi aveva completamente disarmata tanto che rinunciai ad aggredirlo, perciò restai del tutto in silenzio mentre lui avviava l’auto e riprendeva la strada che ancora ci divideva dalla sua abitazione. “Sarebbe meglio se tu nascondessi il denaro “, mi consigliò, rompendo un silenzio che pareva essere concordato tacitamente. “Sai, non vorrei mai che mia moglie equivocasse …”, aggiunse, subito dopo, indicando un biglietto da cento euro che faceva capolino dall’orlo della T-Shirt. Curiosamente, il fruscio del denaro nascosto sotto la maglia e specialmente quello dentro lo slip, iniziarono a infondermi uno strano bollore che diede origine a una sensazione strana, un piacere incomprensibile, diverso da quello provato nel foderare oralmente il suo membro marmoreo. Una specie di piacere mentale che si era poi dimostrato particolarmente piacevole, chiara dimostrazione che alle donne, spesso, piace un sacco essere trattate da sgualdrine, specialmente quando abboccano spontaneamente il fallo dell’uomo. Fu allora che avvertii le budella contorcersi, un fuoco intenso nascere dalle ginocchia e poi espandersi lungo le mie gambe, comprimere il centro del mio mondo sessuale portandolo a scontrarsi con tutta l’immensità del cielo, invasa da astri dorati che iniziarono a planare, volteggiare sopra e dentro di me fino a portarmi verso l’eruzione definitiva più devastante.
Quando la stupenda felicità iniziò a scemare, rituffandomi nuovamente nella cruda realtà, non osavo aprire gli occhi. Avvertivo lo sguardo di quell’uomo, pressoché sconosciuto, che aveva assistito alla mia anomala deviazione sessuale; e la cosa mi metteva in imbarazzo, anche se, il rapporto orale avuto poco prima con lui, mi stimolava a mostrare indifferenza. Calarmi nei panni di una puttana, aveva causato in me un piacere così incisivo da indurmi a solcare, in futuro, quel sentiero che avevo scoperto darmi emozioni molto intense, tali da compromettere il mio equilibrio sessuale e invogliarmi ad inseguire tendenze non del tutto usuali, e forse, anche pericolose, dal punto di vista psicologico!
Le travolgenti esperienze avute, - Teresa con mio padre e io col suo - dettagliate con tanta cura nei messaggi che ci eravamo scambiate nella giornata, avevano innescato in noi la libidine dell’informazione più trasgressiva: una competizione fatta a distanza sulle nostre esperienze, provate e da provare, a dimostrazione di una netta convinzione d’essere delle puttane nell’anima come nella mente, poiché, fisicamente, l’avevamo già dimostrato nelle frequenti esibizioni fatte in precedenza, nei posti più disparati, ovviamente sempre in posti dove nessuno ci conosceva, o meglio, dove la moralità delle persone che frequentavamo, non gli permetteva di esporsi fisicamente.
Una rivalità amichevole, con lo scopo di raggiungere la meta che ci eravamo prefissa, pur essendo consapevoli di percorrere un sentiero assai insidioso, e pieno zeppo di trappole, non facili da superare, visto la nostra minima esperienza attiva con l’ausilio del sesso forte.
GIANNI***
Non mi aveva più rivolto la parola per tutto il tragitto che ci aveva separato dalla strada del campo di grano fino a quando fermai l’auto all’interno del parco della mia villa. Si era solo limitata a mettere insieme le varie banconote con le quali avevo comprato il suo silenzio, per poi metterle dentro il tanga, a stretto contatto con la sua vagina, come se fosse stato un assorbente. In fine, s’era adagiata composta sul sedile e socchiuso gli occhi fingendo di dormire.
“Donna imprevedibile! ” pensai, tentando una valutazione logica del suo comportamento.
La sua avvenenza, davvero particolare, coadiuvata da un dolce sorriso, stravolgeva ogni mio minimo tentativo di comprenderla, disarmando persino l’innato senso bellicoso che scaturiva in me di fronte a situazioni che non riuscivo a controllare. “siamo arrivati? >>, chiese all’improvviso, riacquistando la sua particolare affabilità, la stessa che mi aveva incantato appena l’avevo vista.
“Si, bambina! “, mi lasciai sfuggire inconsciamente, suscitando in lei un’espressione tra il divertito e l’affesa.
“Però, sono una brava bimba, che ha succhiato tutto il latte dal tuo Biberon !”, ribadì, fiera di se stessa, imitando la voce di una bimbetta.
Per un attimo, rimasi sgomento, visto il tono alto e ironico della sua voce, ma poi, come se attendessimo tutti e due un segnale distensivo, iniziai a ridere di vero gusto, imitato da lei che, in precario equilibrio per l’improvvisa ilarità, si avvinghiò a me saldamente innescando un nuova tensione inguinale straripante di desiderio.
Avvertendo il mio rigonfiamento tenderle la gonna in modo inequivocabile, lasciò cadere il un braccio destro fino a toccarmi il sesso, che poi mi pizzicò provocandomi dolore.
“Stai buono! Hai già avuto la tua razione quotidiana”, mi sussurrò, piano, all’orecchio, così vicina da farmi avvertire il tepore del suo alito caldo sul lobo destro.
SARA***
A gelare i suoi bollori, e pure i miei, intervenne la moglie che, probabilmente, aveva scrutato la scena dall’ombra del pergolato, di fronte la porta d’entrata della villa.
“Piacere di conoscerti. Sono Sara, mi presentai, visto che il marito era rimasto, a dire poco come assente dopo l’intervento di Diana, incredibilmente bella, somigliante alla sventurata principessa d’Inghilterra, e non soltanto nel nome.
“Il piacere è mio, Sara !”, esclamò, non troppo convinta che quello fosse il mio vero nome.
“Vieni, cara. Sarai stanca per il viaggio. Andiamo dentro casa”, suggerì lei, prendendomi sottobraccio.
Il vasto salone ovale appena al di là di un lungo corridoio d’entrata, illuminato da molte luci soffuse, che imprimevano un senso di mistero a tutto l’ambiente, dai soffitti altissimi, era arredato con gusto in stile barocco e con grandi arazzi alle pareti, che ricordavano scene di caccia medioevale, uno dei quali, attirò istantaneamente la mia attenzione, visto ché, la preda, era una donna completamente nuda, inseguita da un’orda di cani e da cavalieri con arco e frecce, oltre che da due amazzoni a cavallo, con il seno nudo, tranne i capezzoli, nascosti da due piccolissimi scudi in oro.
“E’ eccitante vero, Sara?”, mi domandò improvvisamente, Diana, mentre mi porgeva il drink che aveva stabilito fosse adatto alla mia giovane età.
“Si, molto!”, ammisi, io stessa dubbiosa se la mia risposta era dettata dalla cortesia o se la sentivo veramente. “Lo è maggiormente se riesci a immedesimarti nel ruolo che tu ritieni più consono alle tue aspirazioni sessuali!”, replicò lei, accomodandosi al mio fianco, così vicina da infondermi, con le sue gambe, parte del suo calore.
“Tu, per ipotesi”, mi chiese curiosa, introducendo l’argomento con abile semplicità, proprio come se fossimo amiche`di vecchia data che si facevano confidenze di carattere sessuale. “In quale posizione vorresti trovarti, se avessi la possibilità di sostituire un dei personaggi che vedi in quella scena?”.
“Nella fuggitiva …!”, affermai prontamente, senza dubbi, convinta che il sentirmi una preda avrebbe innescato in me sensazioni particolarmente appaganti.
DIANA***
La ragazza cominciava a piacermi, anche se in un primo momento avevo avuto qualche dubbio sulla sua solare semplicità. Ora però dovevo accertarmi sulle precise intenzioni di Riccardo nei confronti di quella esternazione naturale della magnificenza femminile sulla terra, e se, come capitava sovente, ci avrebbe permesso di partecipare al suo banchetto sessuale con l’adorabile puledra.
Pregustavo già travolgenti assalti sessuali, coinvolgimenti carnali per tutti noi in un futuro molto prossimo. Una convinzione derivata dall’evidente curiosità sessuale mostrata dalla ragazza, e anche da quel suo esaltante profumo di femmina, rilasciato da un corpo acerbo ma teso ad una rigogliosa esplosione di femminilità, in breve tempo.
Sara, era molto più donna di quanto mostrava la sua età. Il mio super abilitato olfatto, già captava segnali che non potevano essere travisati.
SARA***
Sapevo benissimo che Diana mi stava radiografando e, anche se usava molta discrezione, sentivo i suoi scandagli psicologici penetrare dentro di me, fino a raggiungere i segreti più reconditi del mio animo. La cosa però non mi disturbava affatto, anzi, gradivo molto le sue attenzioni, la sua curiosa intrusione.
Mi faceva sentire meritevole e, nello stesso tempo, come se io fossi una schiava prescelta, perché il confronto con le altre schiave, mostrava una fattura diversa, migliore in assoluto. Classico esempio di narcisismo, il mio: “sostantivo nel quale mi sono sempre riconosciuta, ammantata per colpa degli apprezzamenti che ricevevo di frequente da entrambi i sessi ”.
I miei pensieri, s’interruppero quando l’avviso acustico del cellulare, prese a trillare piano, comunicandomi l’arrivo di un messaggio: “Sono diventata donna anch’io …, Teresa >>. E subito dopo, un altro messaggio dove esprimeva il suo rammarico per essersi dimenticata di prendere la beata pillola e di non aver usato nemmeno il preservativo. “Non vorrei mai correre il rischio di diventare anche la tua matrigna, oltre che la tua migliore amica!”. Nel leggere l’sms, non riuscii a trattenere una fragorosa risata.
“Buone notizie, cara?”, mi chiese Diana, quando si riprese dallo spavento che le avevo causato con l’improvviso sfogo ilare che mi aveva sopraffatta.
“Scusate, un messaggio inatteso, troppo divertente”, spiegai, senza addentrarmi meglio nei dettagli.
RICCARDO***
La riunione in Rai, si era protratta per un tempo davvero lunghissimo. Forse, a renderlo più snervante e interminabile, era stata la smania di ritornare presto da Sara, quell’adorabile tarlo che mi aveva sconvolto durante tutta la riunione, perdurata ben oltre l’orario di cena, limite che non volevo affatto trasgredire, per ragioni di dieta.
Anche l’attesa del taxi era stata snervante. Alle nove della sera, a Roma città, i taxi, sono quasi tutti impegnati, ragione per cui, il mio carattere era diventato spinoso più di un riccio.
A fugare ogni mio malumore, bastò l’accoglienza riservatami da Sara che, appena mi vide entrare nel salone, mi corse incontro gioiosa e, con impeto davvero impareggiabile, dopo essersi avvinghiata al mio corpo serrando le gambe dietro i miei glutei, affondò la lingua dentro la mia bocca, in modo così lungo e piacevole da farmi rischiare il soffocamento.
Gianni e Diana, che fino a quel preciso momento erano rimasti a osservare la mia debacle psichico respiratoria, presero a battere le mani ironizzando sulla posa che risaltava bene in quel idilliaco quadretto.
A dire la verità, a scompensare la respirazione, era stato l’inatteso comportamento di Sara che, con la gradita sovrapposizione delle sue labbra sulle mie, mi aveva lasciato di stucco e senza fiato.
Come anche il lungo abitino nero aderente fino all’inverosimile, senza per altro mostrare la minima discrepanza nella di lei sinuosità statuaria, aveva contribuito a soffocarmi.
“Come mi trovi vestita così, Riccardo?”, mi chiese, mentre piroettava su se stessa in modo da consentire allo spacco laterale di mostrare interamente una delle sue lunghe gambe, inguainata da un’autoreggente in seta finissima, così bianca da infondere un contrasto di colori davvero immediato, al confronto del vestito nero.
“Meravigliosa!”, ero riuscito dire, mentre il mio pensiero volava alla sfortunata figlia dei miei amici, morta in un incidente stradale mentre rincasava dalla sartoria, dove aveva appena ritirato il bellissimo vestito che Diana aveva permesso a Sara di indossare.
“Davvero incantevole !” avevo aggiunto, temendo che il brutto ricordo falsasse la lode che le avevo fatto, spassionata e sincera.
“Ora, possiamo cenare “, disse Diana, al mio ritorno dalla veloce doccia ritemprante, che mi ero concesso prima di metterci a tavola.
In un angolo del salone, faceva bella mostra di se una grande tavola, meravigliosamente imbandita, al lato della quale, il maggiordomo filippino, attendeva che ci accomodassimo per iniziare il suo servizio.
SARA***
Come era prevedibile, il discorso preferito durante la cena, confermò la tendenza a trattare argomenti erotici, ad allusioni circa le forme degli ortaggi e all’uso che Gianni ne faceva su Diana, tanto per variare il trantran sessuale quotidiano.
“I funghi, oltre alla conformazione estetica che ricorda il fallo, annusati prima di cucinarli, stimolano una maggiore eccitazione inguinale”, dichiarò Gianni, serio.
“I filamenti esistenti all’interno della banana, tra il frutto e la sua buccia, essiccati e ben’ miscelati con il tabacco, esaltano molto il desiderio sessuale; ve lo posso garantire io, per esperienza personale”, confessò la moglie mostrando un cofanetto pieno zeppo di tabacco biondo, aromatizzato con delle bucce di mandarino.
“Tu fumi Sara?”, mi domandò improvvisamente Diana. “No, ma qualche volta, a ballare, in discoteca, ho tirato alcune boccate dallo spinello degli amici”.
“Quello che hanno in mezzo alle gambe …?”, ironizzò Gianni, strizzando l’occhio a sua moglie. “E hai provato qualcosa?”, chiese interessata, Diana. “A dire il vero, solo un senso di nausea”, ammisi, sinceramente.
“Allora, dopo cena, ti faremo fumare la banana!”, intervenne nuovamente Gianni, mentre, senza darlo a vedere, per l’ennesima volta, aveva avvicinato la sua sedia alla mia.
Ormai avvertivo la sua coscia sfiorarmi e, qualche volta, le sue mani scivolare all’interno delle mie cosce, sempre generosamente aperte al di là dello spacco; frementi per i vari e graditissimi palpeggiamenti. “Non vorrai mica drogarla, Diana?”, domandò Ric, dubbioso, alla donna che, con naturalezza assoluta, aveva ordinato al servitore di servirci il dessert.
“Non temere, bello! Libererò in lei soltanto gli istinti assopiti che sostano in ogni femmina normale.
L’atmosfera che si era creata, lasciava presagire un’ampia partecipazione al banchetto dove, a parte me, non vedevo altri agnelli sacrificali. La saggezza mi avrebbe consigliata di fuggire dalle grinfie di quei lupi famelici mentre, la mia emergente curiosità sessuale, continuava a posare calamite per attrarre l’ignoto.
“Facciamo un gioco? >>, propose Gianni, mentre eravamo intenti a gustare un semifreddo alla frutta.
“Quello fra di noi che estrarrà la carta più bassa, verrà bendato ed imboccato con un cucchiaino da dessert, un acino d’uva, un pezzo di banana ed altro presente sulla tavola, da un altro di noi che però, prima di fare questo, dovrà posare la mano sinistra su una parte del corpo del bendato. Se indovina chi l’ha imboccato, gli cede il posto, altrimenti, sarà costretto a pagare un pegno proposto da quello che non è stato riconosciuto, il quale, potrà incassare direttamente il pegno o delegare uno qualsiasi dei presenti all’incasso.
L’entusiasmo per il gioco proposto dal padrone di casa, aveva raggiunto l’unanimità. Io stessa, avevo applaudito molto e a lungo, e poi, subito dopo, mi offrii spontaneamente per essere bendata senza nemmeno attendere l’estrazione.
RICCARDO***
Sara continuava a stupirmi. L’enfasi e la giocosità con le quali s’era adattata all’ambiente, ma prima ancora a noi, la poneva su un livello irraggiungibile. Nulla la turbava, nemmeno la consapevolezza di essere manipolata, oggetto dei nostri desideri, merce di scambio che tutti pretendevamo di sottomettere al nostro esclusivo piacere.
Dopo averle bendato gli occhi e essermi accertato che non potesse vedere da sotto il tovagliolo, fui subito invaso dal desiderio di sfiorarle il seno, turgido, fremente, appena precariamente coperto dalle coppe minime dell’abito, non defilato, in origine, per potere contenere la naturale abbondanza della quale, Sara, era stata dotata: ma venni preceduto da Diana che, repentinamente, aveva posto la sua mano nella sua scollatura, penetrando con lentezza esasperata fra i seni imperlati di sudore, altalenando da un capezzolo e l’altro fino a quando la vide tremare per il contatto sublime ricevuto.
“Gianni!”, indicò, dopo un lasso di tempo interminabile.
Non credevo alle mie orecchie. Era impossibile scambiare un tocco così delicato di una donna con quello di Gianni.
Era evidente che barava, anche se non sapevo ancora qual era il vero motivo per cui lo avesse fatto.
Lo compresi solo quando la nostra ospite pretese il pagamento del pegno: “Un bacio sulla bocca!” che lei si preparò a ricevere senza obiettare minimamente, anzi, facilitando il compito di Diana che, con voluttà estrema, colmò con la sua lingua, la carnosa bocca di Sara, lasciata dischiusa leggermente per effetto del desiderio di ricevere un bacio saffico. Un bacio che le aveva tenute avvinghiate fino a quando, le nostre proteste, sollevarono seri dubbi sulla loro tendenza lesbica, subito smentita da Sara che, sorprendendomi per l’ennesima volta, iniziò a baciare ardentemente l’amico Gianni, per poi dedicare anche a me altrettanta passione e labbra.
“Il gioco continua?”, domandò Diana, che nel frattempo aveva confezionato un grosso spinello, zeppo di quella mistura esaltata poco prima, e che dopo avere aspirato alcune lunghe boccate, passò la canna a Sara, incitandola a provare quel viatico alla passione, al piacere disinibito e travolgente.
“Certo!”, intervenne il nostro ospitante, voglioso di ottenere la sua parte di palpeggiamenti.
“Lasciate che la nostra gazzella abbia il tempo di spiegare le ali … >>, ci consigliò Diana mentre insegnava alla ragazza com’era meglio fare per aspirare al top le boccate di fumo.
Per la prima volta in vita mia, avvertii un tarlo rodermi dentro, deviare il mio equilibrio, sempre propenso a condividere ogni mio avere senza ripensamenti; sentii nascere in me un disagio stimolato dalla gelosia e dalla bramosia, come dalla voglia di sperimentare fra le braccia della giovane amica di mia figlia, la gioia dall’ ingordo possesso di un qualcosa che, improvvisamente, volevo solo per me..., e non fosse più divisibile, per amicizia.
“Spero vogliate scusarmi, amici, ma la fatica per il lungo viaggio e la cena fuori orario, mi hanno stancato parecchio! Così, se non vi spiace, preferirei andare a nanna.
SARA***
L’intruglio che stavo fumando, iniziava ad infondermi un prurito indefinibile, ardori molto confusi che lentamente si andavano delineando dando impeto all’emergente eccitazione che mi accalorava con sempre maggiore intensità, attenuata soltanto dalla decisione di Riccardo che, con lo sguardo supplichevole, mi invitava a seguirlo.
Non potevo certo deluderlo poiché, in definitiva, il motivo per il quale mi trovavo in quella abnorme situazione, era soltanto lui.
Sembrava che tutti pendessero dalle mie labbra.
“In effetti, anch’io sono stanca!”, confessai, a malincuore. In fondo, mi sarebbe piaciuto vedere, ( partecipare, per l’esattezza ), all’evolversi della serata, allo zibaldone di membra che certamente si sarebbero contorte fra loro fino a vibrare all’unisono.
Una valida esperienza dalla quale avrei certamente appreso moltissimo, gustato volentieri con tutta me stessa.
La delusione apparsa sul volto dei nostri ospiti, non lasciava adito a errate interpretazioni. Entrambi, s’erano lasciati scivolare sul divano circolare proprio come se improvvisamente il burattinaio avesse allentato i fili delle proprie marionette. Ero davvero rammaricata! In brevissimo tempo avevo anche imparato ad apprezzare la loro innata simpatia, quella che affabilità che mi aveva subito messa a mio agio, e non ultimo, quel senso di eccitazione avevo gustato appena avevo varcato la soglia della loro villa.
Prima che potessi esprimere una sola parola, oltre l’ammissione già fatta riguardante la stanchezza, Ric mi cinse delicatamente alla vita avviandosi verso il piano superiore dove, molto probabilmente, sapeva esserci la stanza degli ospiti.
“Notte!”, ebbi appena il tempo di augurare prima che, con forza, difficilmente attribuibile a Ric,lui mi sollevo letteralmente da terra trattenendomi nella classica posa adottata dallo sposo, la prima volta che varca la soglia di casa con la sua sposina fra le braccia.
Col senno di poi, sono lieta che Ric avesse deciso di avermi in modo esclusivo.
Era così eccitato da non concedermi nemmeno di esprimere se avevo qualche impellente bisogno. Planò sul letto sopra di me iniziando subito a baciarmi il capezzolo che era uscito inavvertitamente dal vestito, teso al limite del cedimento dovuto al peso del suo corpo, a dir poco esagitato, invadente, simile a un polipo che avvolge inesorabilmente, con tutti i suoi tentacoli, limitando ogni mio movimento.
Nemmeno la conseguente lacerazione dell’abito calmò la sua ardente frenesia di avermi, di possedermi subito, senza neppure iniziare il rituale che, in genere, porta la donna alla massima eccitazione. Non che io ne avessi bisogno, in quel momento, assolutamente, ma non nego che, un certo tipo di preliminare, prima di essere sacrificata, non mi sarebbe poi affatto dispiaciuto. Sarebbe stato soltanto un incentivo maggiore alla mia già netta, chiara predisposizione a cedergli, a donargli la mia verginea intimità e tutto quello che avrebbe desiderato profanare.
Quando sprofondò dentro di me,( quasi subito …) un dardo rovente rivoltò le mie budella in modo insopportabile, tanto da strapparmi un urlo soffocato, trattenuto non so nemmeno io come, mentre il suo viso mostrava una strana piacevolezza per i gemiti di dolore da me lanciati
Anche se Riccardo aveva compreso quale cruenta realtà mi stava dilaniando, continuava imperterrito a sprofondare dentro di me, con prepotenza, intenzionato a raggiungere il più egoistico degli appagamenti. Incredibilmente, l’iniziale dolore che mi aveva fatta urlare, gradatamente, si andava mutando in un tenue piacere che, l’invadenza progressiva in profondità del suo pene, aumentava ad ogni più violento e successivo inserimento nel mio antro, ormai adattato alla sua enorme virilità. E quando il suo seme, brevemente trattenuto iniziò a scorrere nel mio interno come lava incandescente, il dolore lasciò il posto ad un interminabile susseguirsi di orgasmi, a sfoghi intensi e ripetuti da farmi girare la testa al limite dello svenimento.
“Dovevi toglierti, non venirmi dentro! Potrei restare incinta, ti rendi conto?”, lo rimproverai, bonariamente.
RICCARDO***
Mai avevo agito come un giovane mandrillo scriteriato! Con Sara, tutto il mio autocontrollo era venuto meno lasciando emergere la mia natura animalesca, il sadismo che da sempre avevo aborrito, rifiutato con tutto me stesso, ritenendo che fosse una anomalia psichica molto pericolosa. Anzi, la smorfia di dolore sul suo viso, aveva impennato maggiormente la mia eccitazione, dominato tutta la mia mente travolgendola in una ridda di sensazioni innaturali, ma assolutamente piacevoli per la intensità con cui avevano sferzato le mie membra.
“Perdonami piccola, non credevo che tu fossi ancora vergine …!”, si scusò, ponendo una mano sul cuore.
Il dolce sorriso, appena velato dalla sofferenza che certamente stava sopportando nel suo intimo, mi spingeva a sentirmi ancor più colpevole e desideroso di alleviarle il dolore.
“Va tutto bene, Ric, non temere! Mi spiace solo per le macchie di sangue lasciate sulle lenzuola ed anche sul copriletto!”, disse, spostandosi di lato.
Soltanto allora notai il suo interno cosce completamente arrossato e gocce di sangue, ancora fresche, delineare il punto dove ero affondato in lei selvaggiamente.
“Non temere, la nostra ospite è una donna molto comprensiva. E poi, come avrai notato, per te ha una certa attrazione. Non dirà assolutamente nulla, credimi, la rassicurai mentre si dirigeva al bagno, ovviamente per detergere i segni inconfutabili di una profanazione selvaggia, da parte mia, e ardentemente voluta, da parte sua.
Allo scrosciare dell’acqua della doccia, si unì il suono di una vocina ben intonata, un flebile canto, estremamente giulivo, che durò tutto il tempo che Sara trascorse a nettarsi dalle tracce lasciate dal burrascoso amplesso che l’aveva resa finalmente una vera donna, con tutte le credenziali in ordine.
Quando apparve nuovamente, tutta nuda, irrorata da una miriade di bollicine sparse in tutto il corpo, non asciugate per mostrarsi a me come fosse una sirena, il mio cuore ebbe un pericoloso sussulto, e il sangue prese a ribollire mentre, una nuova eccitazione, mi risvegliava il sesso, assai arrossato per la precedente tenzone sessuale, profanatrice della sua verginità.
Impegnato a ripiegare il copriletto e tendere le lenzuola in seta nera che la turbolenta passione aveva scompigliato, non avevo trovato il tempo per lavarmi.
“Concedimi solo un minuto …”, dissi, mentre mi dirigevo al bagno passandogli accanto.
“Penserò io a detergerti, caro! Affidati alla tua schiava!”, mi sussurrò a un orecchio, mentre le sue mani, avvolte strettamente al mio pene, iniziarono a trainarmi con decisione verso il letto.
Come ribellarsi ad una così straordinaria mantide, fonte dissetante di ardenti emozioni, sconosciute eccitazioni che prendevano forma ad ogni istante?
Avevo la strana sensazione di essere diventato lo schiavo invece che il padrone, come lei sosteneva. Infatti, appena giunti sul letto, era salita su di me, rimasto inerme, ed aveva iniziato ad avvolgermi il sesso con la lingua calda, nettandolo con ruscelli di saliva subito risucchiati dalla sua bocca ingorda, stimolandomi in modo tale da portarmi ad avere di nuovo il pene granitico, dolorante per l’inumana tensione.
Quella debilitante adolescente mi stava succhiando l’anima oltre la linfa mirabilmente riprodotta dal mio corpo, anche se non ero più nel pieno della baldanza giovanile.
SARA***
Il lieve ma persistente dolore inguinale, era la dimostrazione più concreta di come era cambiata la mia femminilità, quali esigenze future avrebbero caratterizzato i miei gusti sessuali, confermato il mio rapido passaggio da adolescente a vera femmina, vogliosa di altre esperienze che non avrebbero certo pianificato il mio modo di fare sesso, ma aperto illimitati confini, scandagliato antri misteriosi pieni di voluttà appetibili.
“Fermati, ti prego!”, implorò Riccardo, sulla soglia del godere, trattenendomi dall’affondare la bocca sul suo membro livido, secernente un umore spontaneo che, vigliaccamente, si tramutò presto in liquido seminale, anche se non più stimolato dalle mie labbra.
Ansimando come un toro nell’arena, iniziò a mugolare senza freno, sobbalzando con il bacino, e a flettere come un arco in procinto di scoccare il dardo. Poi, colto dall’ennesima scarica di godimento, cominciò ad arrotolarsi sotto di me, assatanato, stretto dalle mie cosce, posseduto dal demonio, quel diavolo perverso che io le avevo iniettato sotto la pelle, nell’organo pulsante dentro il petto, ma soprattutto dentro il cervello, in modo così profondo da renderlo succube alla mia volontà.
Intimorita per la sequenza di orgasmi che gli avevano sbiancato il viso e accelerato i battiti del suo cuore, mi lasciai cadere al suo fianco, trattenendo una mano sul suo petto in modo da seguirne le pulsazioni che, del resto, si stabilizzarono nel breve volgere di pochi attimi.
Il suo corpo, immobile, animato dalle pupille frenetiche che spaziavano nell’universo, da sotto le palpebre ancora socchiuse, ricordava la posizione fetale, suscitando i me infinita tenerezza, ma anche un impellente desiderio di accarezzarlo, stringerlo al seno, allattarlo con la linfa che non aveva cessato di sgorgare copiosa dai miei capezzoli, tesi fino allo spasimo: induriti da una sorta di persistente godimento che non mi aveva ancora lasciata, abbandonata dall’istante in cui ero entrata nella sua vita.
Come un automa, sollecitata da forze indipendenti dalla mia volontà, dopo essermi seduta accanto a Ric, le sollevai il capo adagiandolo sul seno, premendo con forza un capezzolo sulle sue labbra che, subito, lo lambirono interamente lasciandolo sprofondare al suo interno, fra i denti che presero ad unirsi in modo lento ma costante, sino a causarmi un gemito di dolore, attenuato da un piacere raro di tipo masochistico, che già iniziava a invadermi, a pervadermi tutta sino a farmi implorare: “Si, stringi …!”,mi sorpresi a chiedere, supplicare mentre venivo assalita dalla medesima sensazione gustata durante la primaria deflorazione. “Così ?”, domandò lui, dopo avermi unito capezzoli ed averli poi risucchiati come due ciliegie mature, addentate per poi espellere il nocciolo.
Tutto intorno cominciò a roteare, la vista ad annebbiarsi tanto da rendermi quasi cieca, e una miriade di spilli ardenti a pungermi in modo doloroso, ma nello stesso tempo, anche così piacevole da favorirmi un altro intenso orgasmo.
Senza nemmeno accorgercene, avevamo ripreso la schermaglia con vero impegno. Lui, nuovamente indurito, espresse il desiderio di esplorare l’unico antro che ancora non gli apparteneva, e che, senza perdere tempo, aveva posizionato in modo da appropriarsene senza indugi, nonostante i miei tiepidi dinieghi, visto il nuovo aspetto assunto da quel boa, leggermente gonfio per effetto della non facile effrazione avvenuta prima.
“Mi sembrerà di partorire, se mi obblighi a contenerlo tutto!, obiettai, senza convinzione, stimolandolo oltremodo.
Per tutta risposta, prese a umettarmi abbondantemente l’ano con la lingua, accertandosi che la saliva penetrasse all’interno, divaricato dalla pressione delle sue dita prepotenti, per favorirne l’innaturale lubrificazione.
Non nego che il pensiero di ricevere quella enormità dietro, mi spaventasse parecchio; comunque non volevo assolutamente deludere me stessa o venir meno alla promessa che ci eravamo fatta io e Teresa: “Daremo tutte noi stesse, senza tabù. E se sarà necessario poi, subiremo anche violenza e dolore, per la causa!”. Concludemmo concordi lo pseudo giuramento siglandolo con una bevuta di coca cola, anziché col sangue, visto che tutt’e e due, ne temevamo la vista.
Il mio pensiero s’interruppe quando la lenta ma costante pressione del suo genitale, prese a divaricarmi dietro, aiutato dall’andirivieni del suo bacino, compressore naturale della trivella temperata che, curiosa, mi stava sodomizzando, plasmando le pareti arrendevoli senza concedermi un istante di sollievo. Pensai che partorire, forse, non avrebbe dato maggiore sofferenza di quella che stavo provando nella novella profanazione. Specialmente quando, rotti tutti gli indugi, stimolato dai miei mugolii soffocati, scambiati per gemiti di grande piacere, affondò dentro di me con determinazione selvaggia, dando voce a gridolini di vittoria per aver conquistato ciò che gli uomini ambiscono annoverare nel loro palmares di seduttori.
Per qualche istante, odiai lui, Teresa, i nostri ospiti e la natura stessa che mi aveva fatta donna, cavia soggetta a suscitare negli uomini così bestiali bramosie. Poi, l’attimo dopo, a ringraziare la sorte per la gratificante esperienza che iniziava a produrre inconfessabili, e orgasmi, tutti d’intensità superlativa, molto al di sopra di quelli che avevo provato nella perdita della verginità vaginale.
GIANNI***
L’ esaltante scena sessuale spiata tramite una piccolissima telecamera del circuito chiuso, installata nelle camere degli ospiti, la quale proiettata immagini scabrose sul televisore al plasma del salone, aveva stimolato la nostra fantasia erotica in modo tale che, mia moglie, pretese immediatamente di subire l’identico trattamento che Ric aveva riservato a Sara; anche se era evidente la diversa dilatazione della ragazza rispetto a Diana; più ricettiva, sia per l’età che per le varie concessioni fatte ai tanti nostri amici, con i quali l’avevo nel tempo condivisa durante i baccanali sessuali che avvenivano quasi sempre in casa nostra, oppure nei diversi locali sparsi in tutta Roma, adibiti allo scambio di coppie, e non solo, ma anche alle ammucchiate senza regole dove i presenti avevano diritto di abusare del primo soggetto a cui rivolgevano le proprie attenzioni. “Guarda Gianni, hanno ripreso ad amarsi!”
osservò lei, stupita della veloce ricarica di Ric che, da quando era salito in camera, con la ragazzina, non aveva risparmiato nemmeno una goccia del suo godere.
“Ora vedrai che le chiederà d’inginocchiarsi e di inghiottire il seme che le depositerà in bocca!”, commentò Diana, assumendo la medesima posizione comparsa nel monitor, pretendendo di ricevere anche lei, in tale modo, il gustoso siero di cui andava golosa. L’immagine seguente, confermò la sua predizione. Dopo essersi masturbato Ric riversò nella bocca di Sara, aperta come stesse per ricevere l’ostia, un fiume di piacere liquido, tanto irruente da crearle quasi un soffocamento quando lei sollevò il capo all’indietro favorendone la discesa nel cavo orale.
Evidentemente, mia moglie, in uno dei tanti festini orgiastici, aveva provato la medesima esperienza con il bel Riccardo, traendone una grande soddisfazione, che voleva ripetere assolutamente anche se, il sapore del mio seme, le avrebbe dato minor godimento. Infatti, subito dopo averlo ingerito, assente da quanto era appena accaduto fra noi, mi domandò ansiosa: “Sei certo di avere registrato tutto quello che è avvenuto nella loro camera …?”
“Non temere, cara. Ho messo in funzione entrambi i dischetti. Conosco alla perfezione i tuoi gusti ormai, e quanto tu ti senta attratta dalla quella ninfetta. Come sono anche certo che farai di tutto per fartela”.
Improvvisamente, il volto di Diana s’illuminò. L’espressione del suo viso mostrava quali desideri stavano prendendo forma nella sua mente, e cosa avrebbe fatto a colei che aveva esaltato la nostra fantasia, e soggiogato entrambi, anche se sapevo bene che le sessuali prestazioni della ragazza, erano di tipo mercenario. La perdita di sangue a cui avevamo assistito, e che mia moglie aveva stabilito fosse la rottura del velo vergineo, altro non era che l’introduzione violenta dell’enorme fallo del mio amico Ric che, probabilmente, aveva causato un trauma nelle pareti intime di Sara, la quale, per altro, dimostrava di non essere ancora del tutto sazia, vista la dedizione con la quale tentava di rianimare il suo partner, seriamente afflosciato, disteso sul letto inerte, come se fosse stato disossato.
“L’utile e anche il dilettevole, vuole la ninfetta! “, constatai, senza sentirmi a disagio, certo che, pagandola, avrebbe maggiorato il nostro piacere con le prestazioni particolari che poi avremmo di sicuro stabilito, anzi preteso dalla giovanissima prostituta.
“Cosa ne pensi, Gianni, interveniamo?”, chiese la mia “metà”, all’improvviso, demolendo così l’incastellatura che stavo edificando. Dire metà, riferendosi a Diana, forse era un po’ esagerato, vista la suddivisione multipla che avevo sempre favorito nei festini, dove, lei, si rendeva sempre disponibile a triplici penetrazioni, aperta, e anche molto arrendevole a tutti i partecipanti al baccanale sessuale, tanto da sottostare perfino ad incontri saffici, in modo dimostrativo, per eccitare all’inverosimile gli spettatori, poi, compartecipanti reali.
“Certamente, cara. Ti precedo, mentre tu vai a metterti indumenti più adatti”, la consigliai, per avere il tempo di accordarmi con Sara.
SARA***
Dopo una breve pausa, per attendere l’arrivo di Diana, in cui Gianni mi aveva offerto una cifra cospicua, l’indemoniato si era impossessato del mio fondo schiena e incominciato a premere ciecamente il pene fra le mie gambe, esposte alla vista di tutti; frementi e scosse da brividi intensi, per l’atmosfera che si era venuta a creare, ma pure dalla mia voglia di riprendere ancora un vero e animato energumeno palpitante dentro di me, qualsiasi fosse stata la strada che avrebbe intrapreso.
Vedendo la difficoltà del marito a innestarsi in una delle due mie aperture, Diana, che nel frattempo si era avvicinata amorevolmente, l’aiutò a trovare la retta via puntando l’attrezzo dell’uomo verso il mio posteriore, non prima di averlo umidificato abbondantemente con saliva, passando subito dopo al mio clitoride, esposto per effetto del nuovo desiderio che stava nascendo in me, e per l’invadenza sfacciata di quel augello nerboruto, tosto come l’acciaio, ma estremamente caloroso e animato che danzava nelle mie budella.
Improvvisamente, avvertii le fiamme dell’inferno lambirmi, marchiarmi dolorosamente, ma anche le porte del paradiso aprirsi, suggermi in un bacio saffico meraviglioso, attrarmi totalmente nell’immensità del cielo, dove tutto era incantevole: oltre le porte dell’universo, del puro piacere, quello che gustavo senza sosta, stuzzicata dai tre, alleati nel cibarsi della mia carne, eludendo con impegnata aggressione, il mio debole tentativo di sottrarmi alle loro ostruzioni soffocanti.
Tutti gli abusi sopportati durante l’intera notte, non avevano saziato del tutto la mia avidità sessuale, nonostante il fisico già risentisse della cruenta battaglia che mi aveva impegnata fino al mattino dopo, quando, un po’ stremata, lasciai il letto, dove giacevano ancora i miei amanti, sfiniti anche loro, per farmi una doccia bollente, il solo rimedio per recuperare un poco le forze perse.
Quando ritornai in camera, avvolta da un accappatoio da maschio, ritrovato appeso dentro il bagno, era vuota. Il letto, mostrava chiaramente quale cruenta schermaglia era stata combattuta su quelle coltri completamente sfatte, sgualcite e a tratti anche macchiate della mia doppia perduta verginità.
Scelto un cantuccio con tracce meno evidenti dell’avvenuta tenzone, mi lasciai andare sulle coltri, crollando subito in un sonno vuoto da incubi, sprofondata in un limbo dove, l’unica certezza, era soltanto la quiete ristoratrice dei miei pensieri, ma soprattutto, dei miei sensi violati.
Al mio risveglio, nel tardo pomeriggio, trovai un biglietto scritto da Diana la quale mi diceva di sentirmi a casa mia e di servirmi del piatto che mi aveva lasciato nel fornetto. Il languore che mi aveva assalita, mi spinse ad esplorare subito la cucina per cercare il cibo che mi era stato riservato. Non ricordo di averne mai ingurgitato tanto in un solo pasto. Un unico piatto ma zeppo di leccornie a base di pesce, frutti di mare, unitamente a lumachine in salsa verde, davvero deliziose, il tutto, inumidito dalla fresca coca light conservata in una coppa colma di ghiaccio.
In attesa del loro rientro, chiamai Teresa per metterla al corrente di tutto, dettagliando nei minimi particolari lo scontro sessuale avuto con suo padre, e poi, con il tacito consenso del genitore, anche con gli amici coniugi; ammucchiata dove Riccardo aveva partecipato con rinnovata voglia, ma anche con esigenze sessuali strane che, fino a quel momento, non mi aveva ancora mostrato.
“E’ stato stupendo, Tessi, credimi, in tutte le fasi!”, le confidai, lealmente, trattenendo a stento un gemito causato dai ricordi di quella notte infuocata.
“Mi raccomando, Sara. Componi il puzzle in modo che risalti il disegno che noi ci siamo prefisse”, mi raccomandò, poco prima che cadesse la linea per colpa del mio cellulare, scarico.
“Non dubitare, amica mia!”, promisi col pensiero, certa che la nostra comune lunghezza d’onda, le avrebbe trasmesso il messaggio telepaticamente.
Annoiata per la lunga attesa pomeridiana, presi a guardarmi intorno in cerca di qualche distrazione, senza provare curiosità per le mille cose sparse nel salone. La mia attenzione però, fu attratta da un telecomando lasciato accanto ad una mini telecamera sistemata sull’angolo superiore del camino, diretta verso l’ampio divano semi circolare, al centro del salone.
Il led rosso mostrava la funzionalità della stessa, collegata ad un sofisticato impianto di registrazione e a una enorme televisione al plasma sostenuta a mezz’aria da un braccetto snodato che scendeva dal soffitto, di sbieco, rispetto il divano, ma ben visibile da tutte le angolazioni.
Curiosa, incominciai a premere vari tasti fino a quando, un clic, azionò il televisore e nello stesso tempo l’impianto DVD che, immediatamente, inondò il salone di sospiri e mugolii inconfondibili, mentre, sul plasma, scorrevano immagini altamente pornografiche, dove mi riconobbi subito come protagonista
Non riuscivo a staccare gli occhi da quelle riprese che, se pur rubate, avevano qualcosa di molto eccitante, nonostante avessi sperimentato, in prima persona, quelle sequenze, a dir poco inquietanti, se fossero state presentate pubblicamente. La scaramuccia sessuale era stata ripresa con molta cura, dapprima in solitaria, con Riccardo, poi il set si era affollato. Erano entrati in azione attori nuovi, i padroni di casa, assistiti degnamente dal padre della mia amica Tessi, intenti a sperimentare su di me ogni sorta di angheria sessuale o insulto carnale che conoscevano, e ai quali, sottostavo spontaneamente ululando proprio come se fossi una lupa in calore.
Era esaltante vedermi preda nelle immagini registrate, dove lady Diana, assatanata, fondeva le sue labbra alle mie o nelle cavità più nascoste: o quando fiera, branditi i due mirabili sessi, l’indirizzava verso il mio corpo, sempre più ricettivo, capace di ospitarli entrambi nella loro estesa durezza.
“Sei proprio una donnaccia, Sara!”, mi sentii minacciare improvvisamente da una voce maschia.
L’insulto, mi aveva colta di sorpresa, ma non la voce che l’aveva lanciato, alle mie spalle, oltre una delle finestre del salone che dava direttamente sul vialetto intorno alla villa.
“Non muoverti di li”, aveva continuato Gianni “che vengo a pagare per le tue prestazioni”.
Non capivo perché fosse rientrato soltanto lui, ma la cosa non mi dispiaceva affatto.
Quell’ uomo, riusciva a darmi emozioni ogni volta diverse, ma sempre molto intense.
Togli l’accappatoio e mettiti sul divano a gambe aperte”, mi ordinò appena giunse di fianco a me, già psicologicamente pronta a recitare la parte della baldracca, ruolo che mi piaceva molto.
Non sapevo cosa gli passasse per la mente, ma ubbidii avvertendo un calore invadermi.
Dopo aver estratto una mazzetta di banconote dal taschino del camiciotto, ne arrotolò ben dieci da cento euro e me le infilò fra le labbra della vagina, con una esasperante lentezza, assicurandosi di inserirle in profondità e, ripetendo l’azione sotto le ascelle, fra le natiche, che avevo serrato per effetto dell’incontrastabile piacere che mi aveva colta, fatta tremare senza escludere un solo nervo del mio corpo teso, ululante, anelante verso il sadico uomo affinché reiterasse le azioni che avevano lanciato i miei sensi sulle stelle, oltre la realtà.
Quando l’intenso orgasmo raggiunse le più alte vette, come fossi stata un’invasata, presi a rotolarmi sul divano, incapace di frenare quel terribile impeto che fustigava la mia pelle, arroventava il crocevia all’interno delle mie cosce e devastava in modo irrefrenabile la mia volontà.
In quel preciso istante, se lui avesse potuto leggere dentro i miei pensieri, avrebbe potuto chiedermi qualsiasi cosa, persino la vita, tanto sentivo di essere sua, dipendente da lui, fino all’estremo.
Eccitato dalla mia eccitazione e indurito di riflesso, Gianni iniziò a sbottonarsi i pantaloni fino a liberare completamente l’attrezzo per il quale mi aveva pagata abbondantemente, chiedendomi poi di vezzeggiarlo fino a quando lo avesse desiderato.
“Come vuoi, padrone!”, mormorai istintivamente, mentre si avvicinava verso la mia bocca, già aperta in modo sproporzionato per ospitare tutta quella abbondanza che pareva avere acquisito una misura persino maggiore, della sera precedente.
La sua lunghezza, non era un problema da quando mi ero accorta di sopportare stimoli orali che superavano la laringe. Quello che mi metteva ancora in chiara difficoltà, era l’impetuoso gettito di seme che si era riversato sulla mia lingua, attorcigliata al suo membro, ma non abbastanza per dosare il nettare sgorgato impetuoso senza il minimo preavviso.
Un senso di nausea limitò il mio respiro sollecitando un conato che mi fece indietreggiare per riprendere fiato; ma venni subito bloccata da Gianni che, dopo avermi afferrato il capo, con tutte e due le mani, attraendolo con forza verso di se, nella foga del piacere, m’insultò brutalmente: “Affoga, puttana!”, esclamò con irruenza, liberando grugniti animaleschi.
Tutto quello che fino a quel momento mi aveva procurato sofferenza, fatto maledire il mio aguzzino fino a ideare di mozzargli con un morso il pene che m’impediva di respirare, d’un tratto si mutò in piacevole sottomissione, nella più intensa soddisfazione di sentirmi sua, proprietà assoluta di un padrone che aveva ogni diritto morale e fisico su tutta me stessa.
“Ora, ricomponiti! Fra non molto rientra Diana, e non sarebbe contenta di sapere che ti ho pagata …!”, mi ordinò, non appena i suoi ardori cessarono di prevalere sulla ragione.
Una fredda allusione che mi riportò subito alla normalità, mostrandomi la realtà che mi era sfuggita di mano, lasciando spazio esclusivamente al piacere e alla complicità.
Per un istante, pensai di chiarire con Gianni il motivo psicologico che mi spingeva a comportarmi in tale modo, poi, temendo di perdere quel tipo di emozioni di cui iniziavo a sentirne necessità, lasciai perdere.
GIANNI***
RICCARDO*** 2°
Il treno diretto alla capitale, partito in orario, aveva da poco lasciato la stazione emettendo il suo caratteristico fischio, quando, improvvisamente, si era aperta la porta scorrevole dello scomparto ed era entrata lei, il fiore naturale più bello che avessi mai visto prima; un perfetto simbolo di femminilità che, indicando la poltrona vuota al mio fianco, domandò: “Mi posso sedere?”, con una voce che arrivò alle mie orecchie come se fosse una musica celestiale proveniente direttamente dall’universo
“Certamente!”, era stata la mia risposta, in sincronia con gli altri due viaggiatori, anche loro estasiati dalla Venere appena giunta fra di noi, lasciandoci tutti con il fiato sospeso.
La sua presenza, aveva immediatamente accalorato l’ambiente, così come, il suo delizioso sorriso, più eloquente del grazie sbocciato dalle sue labbra, aveva stuzzicato la nostra già fervida fantasia erotica, mentre, un raffinato profumo di femmina, si era diffuso fra le pareti del vagone rendendolo meno anonimo.
In quarantadue anni di vita, molti dei quali trascorsi come regista televisivo di stato, avevo incontrato moltissime donne, alcune assai belle, altre affascinanti, ma nessuna di loro con il garbo naturale di quella che si era appena materializzata fra di noi. Il riassunto di tutte le altre, al meglio delle loro doti fisiche, e con degli occhi straordinariamente felini, di un verde smeraldo intenso, un vero contrasto col candore latteo della sua meravigliosa epidermide, levigata naturalmente. Un’opera d’arte davvero unica, che il destino aveva posto di fronte a me, inguainata da una t-shirt bianca, così aderente, da sembrare un’unica cosa con la sua pelle e i grossi capezzoli imperniati al centro di due colline assolutamente perfette, sublimi, complemento indispensabile a un corpo che, definire solo bello, significa ridurre il concetto del termine stesso e negare l’arte, oltre a non avere fiducia nella provvidenza, nella fortuna e nel Supremo … i quali, quel mattino, sembrava si fossero trasferiti a bordo della carrozza del treno su cui viaggiavamo, incantando noi tutti con quella sintesi in carne e ossa umane, nella sua mirabolante magnificenza, al di là della quale, mi dispensava di uno smagliante e curioso sorriso.
“ Devo avere un aspetto davvero orribile”, pensai, “ come quei peccatori che risaltano nelle immagini della Divina Commedia illustrata ”, un’ edizione magnifica del testo dantesco che mi era stata donata, l’anno prima, durante l’inaugurazione di una grande libreria nel centro di Roma.
“Non mi giudichi sfacciata, se la guardavo con tanta insistenza … >>, disse ad un tratto, sorprendendomi nel bel mezzo dei miei pensieri fantastici. “Ma lei, assomiglia molto ad una mia carissima amica e compagna di liceo, di nome Teresa”, terminò, soave.
SARA***
L’estasi che per pochi istanti aveva caratterizzato il suo viso, di colpo, s’era mutata in vera angoscia, mentre, una vena sulla sua tempia, aveva preso a pulsare pericolosamente, ed il suo corpo, che pareva adagiato sui carboni ardenti, a sussultare tanto da sembrare colto da un’acuta forma di epilessia.
Sapevo di essere stata sbrigativa ma, il tempo incalzava, e non volevo perdere l’occasione per raggiungere il mio scopo, recuperando lo svantaggio iniziale che mi distanziava dalla mia amica, partita con un certo anticipo, rispetto a me.
“Parli di Tessi, vero?”, domandò, chiaramente sorpreso oltre che intimorito.
“Si, Tessi. Proprio lei. Perché, la conosce?”, chiesi, mostrando un eccessivo stupore nel sentire che la indicava con il nomignolo che usavo spesso anche io.
“E’ mia figlia …!”, rispose, con una profonda nota di amarezza nella voce.
“E tu, devi essere …, sì, ricordo: Sara, l’amica di mia figlia Tessi, suppongo?”, constatò, con evidente rammarico.
“Proprio io. E lei …, papà Riccardo, invece. Il grande regista!”, commentai, con una certa enfasi, anche se in me era sorto il dubbio di avere agito in modo troppo frettoloso, e poco avveduto.
Il gelo che per pochi istanti aveva ibernato l’ambiente, si era sciolto quasi subito lasciando spazio a un caloroso dialogo in cui avevo coinvolto intenzionalmente anche i due farfalloni che viaggiavano con noi, i quali, impettiti come galletti, iniziarono subito a pavoneggiarsi e a decantare qualità poco evidenti, oltre che corteggiarmi senza ritegno, stuzzicati dalla mia disponibilità. In varie occasioni, avevo mostrato loro le gambe accavallandole con lentezza estrema e poca attenzione, lasciando bene in vista la parte del triangolino che fasciava, in modo trasparente, il centro del mio corpo, affinché non dovessero più affidarsi alla fantasia per accertarsi qual era la foggia delle mie mutandine, il colore che io preferivo e la tonalità della peluria che per pura coincidenza, in quel preciso momento tentava di evadere ribelle e molto rigogliosa, dai bordi dello slip.
RICCARDO***
Era la prima volta che incontravo una perla nera così ben levigata, ma purtroppo, il destino avverso, m’impediva di incastonarla fra le tante perle bianche che componevano la collana delle mie passate esperienze. Inoltre, dovevo anche sopportare le battute volgari fatte dai due cascamorto, i quali, m’impedivano di attirare su di me tutta la sua attenzione; tastare il terreno per capire se fosse possibile tentare un approccio, avere una minima possibilità di conoscerla meglio, valutare intimamente la sublime magnificenza dell’universo, in lei, così bene evidenziato.
La sua solare affabilità, stimolava insani desideri, curiosità che non avrei potuto soddisfare poiché, la bella Sara, amica intima di mia figlia, era inevitabilmente intoccabile e, come se non bastasse, minorenne: “ anche se sapevo benissimo che questa ragione non avrebbe certo attenuato la mia ingordigia sessuale...”
“I suoi atteggiamenti da Lolita, sono esclusivamente a favore dei due ragazzoni, oppure includono anche il maturo genitore dell’amica …? “, domandai a me stesso, incerto.
Forse no. Magari ero soltanto uno dei tasselli idonei a completare il quadro dei suoi giochi erotici infantili, indispensabili a creare quell’intreccio di emozioni necessarie ad attivare un meccanismo insito nel cervello, dal quale poi trarre l’energia che libera una incontenibile forza di sessualità trasgressiva.
SARA***
Per fortuna, i due sciupa femmine della Valtellina, erano giunti alla loro fermata, così, dopo molte vane promesse da parte mia, di sentirci per telefono, e dopo un caloroso abbraccio con impertinenti toccatine ai miei seni e ai glutei, scesero lasciandomi finalmente sola con il bel Riccardo, genitore della mia più intrigante amica; colui al quale ambivo dedicare tutte le mie attenzioni, e che, nel frattempo, si era sistemato accanto al finestrino, in evidente stato di eccitazione, benché tentasse invano di nasconderla accavallando le gambe. Soltanto in quel momento notai che aveva posato la sua valigetta sul sedile vicino a lui e, la mia sacca da viaggio, su quello di fronte, come per lasciare intendere, a possibili nuovi viaggiatori, che i posti laterali ai nostri, erano occupati da persone che momentaneamente erano assenti.
Non potevo chiedere di meglio. Da quella posizione, sarebbe stato facilissimo stuzzicarlo, sollevando le gambe in maniera da mostrare, molto chiaramente, la triangolazione del mio ventre, oramai fradicio di umore, cagionato dalla situazione che si era venuta a creare ma, soprattutto dal desiderio di raggiungere lo scopo, ragioni che avevano dato origine ad una sorta di piacere sottocutaneo, indefinibile.
“Suvvia, Sara, raccontami di te, e dimmi: dove sei diretta?”.
“Tutta la sacrosanta verità …?”, domandai, con l’espressione di chi confida nell’altrui complicità.
“Certo, nient’altro che la verità!”, rispose, esibendo un’aria, a dir poco, inquisitoria.
Mi aveva colta impreparata, senza una storia da propinargli, così andai a braccio, con la speranza di essere abbastanza convincente.
“Vado a trovare un’amica a Firenze tanto per ritemprarmi prima degli esami”, dissi tutto d’un fiato, grata a me stessa per la fervida immaginazione dimostrata.
“Questa è la versione data ai miei genitori per avere il tempo di partecipare al concorso per diventare una “Velina”, confessai, falsamente.
“Sono certo che, con la tua bellezza, non avrai rivali !”, rispose, assai complimentoso, in modo addirittura esagerato.
Un gradito complimento il suo, che mi forniva lo spunto per indirizzare il discorso dove io desideravo.
“Ho sentito dire che per essere scelte, bisogna avere una spinta, concedere dei favori agli esaminatori”, lo incalzai, con il chiaro intento di attirarlo su argomenti ben definiti dove, forse, avrei potuto metterlo in difficoltà, imbarazzarlo a tal punto da averlo completamente nel mio pugno.
“Non dar credito a chi non conosce l’ambiente”, mi rassicurò, socchiudendo brevemente gli occhi, come se fosse stanco, mentre un sorriso gli tratteggiava gli angoli della bocca, delineando un ghigno da crotalo in procinto di assalire la sua preda, io, predestinata a lui per ragioni di complicità con sua figlia, come lei stessa era predestinata e assolutamente consenziente a mio padre, l’incorreggibile collezionista di tenere e procaci fanciulle che, per varie ragioni, gli si concedevano pur sapendo, alcune nostre coetanee, che egli era l’attempato genitore di una loro compagna di liceo, ragione per cui, sentivano in modo maggiore la soddisfazione di farsi scopare per quella specie di rivalsa che contrappone le ragazzine quando, le prime fregole sessuali, si fanno sentire.
RICCARDO***
Decisamente, la situazione sembrava volgere a mio favore. La piccola Sara mi procurava involontariamente il modo per prendermi cura di lei, e non solo moralmente, ma anche in modo protettivo, fisico. E la cosa, lo ammetto, mi procurava già un intenso piacere.
Dovevo prendere la palla al balzo e al diavolo tutte le precauzioni, oppure, lasciare quella occasione che, certamente, non si sarebbe ripetuta entro breve tempo, e forse, mai più!
“Comunque, tu sei tanto giovane. Per maggiore tranquillità, dovresti affidarti a qualcuno che sia introdotto nell’ambiente, che ti assicuri la partecipazione, oltre che una adeguata protezione”, la consigliai, pregustando la spinta morale e fisica che io stesso gli avrei dato molto volentieri.
“Da uno a cento, dimmi; quanto desideri partecipare al concorso?”, le chiesi, fingendomi assolutamente estraneo a un interesse protettivo diretto.
“Cento e uno!”, esclamò, senza un attimo di ripensamento.
“E se, per pura ipotesi, davvero ti chiedessero qualcosa in cambio, cosa saresti disposta a concedere?”. “Tutto, per il successo!”, esclamò, senza nessunissima esitazione.
SARA***
Era così intento a cercare il modo per approfittarsi di me, (che invece già gli appartenevo anima e corpo) da restare inerte quando posai i piedi nudi sulle sue ginocchia, lasciandoli poi anche scivolare, molto lentamente, verso la congiunzione inguinale del suo magnifico corpo, puntato da un asterisco talmente voluminoso da contrastare fortemente l’invadenza esercitata dalle mie estremità inferiori.
Iniziando una pratica sicuramente a lui congeniale, sperimentata chissà con quante altre donne, cominciò a massaggiarmi le caviglie delicatamente, in modo rilassante, tanto che, per agevolarlo maggiormente, finii per allungare le gambe, fino a stabilire un contatto con la sua parte più eccitata, lasciando che il movimento repentino, oltre a comprimergli bene il sesso, granitico, scomponesse l’orlo della mia gonna, liberando abbondantemente i femori accaldati.
RICCARDO***
Sicuramente, il sogno in cui navigavo estasiato, presto avrebbe lasciato posto a un’amara realtà quotidiana, ad un crudele risveglio dove, la meravigliosa creatura, svaniva nel nulla, così come dal nulla era emersa, svuotandomi la mente dai fantastici programmi afrodisiaci che avevo costruito con tanta fervida immaginazione.
Il risveglio tardava ad arrivare, anzi, la pressione che avvertivo sul mio ventre, prolungava all’infinito la piacevolezza che continuava a inondarmi di calorose sensazioni, tutte quante concentrate sull’inguine, come se un esercito di cortigiane, si dedicasse al mio sesso. “Possibile che il sogno continui mentre il tatto mi trasmette sensazioni così reali?”, chiesi a me stesso, estasiato dal piacere fisico e mentale gustato in contemporanea.
Eppure, quelle lunghe gambe tornite, che fremevano sotto le mie mani, rilasciando un tale calore, non potevano essere solo illusorie! Il bivio che s'intravedeva al termine delle cosce, appena celato dallo slip bianco, non poteva essere pura fantasia; aveva qualcosa di reale e di profumato, per essere frutto di fervida immaginazione.
L’unico modo per accertarlo, era quello di percorrere con mano la morbida epidermide che mi divideva dalla collinetta pulsante che si vedeva all’altra estremità di quelle lunghe leve, tornite e magnetizzanti.
SARA***
Quando avvertii la sua mano posarsi delicatamente sul mio ventre, tastandolo con il garbo di un cieco, e un cuneo insinuarsi nell’antro umido fra le mie gambe, tese allo spasimo per l’insolito stimolo che mi stava risucchiando dentro un vortice di godimento superlativo, non riuscii a trattenere un gemito, il più chiaro segno che avevo gradito l’intrusione del suo dito medio, ruvido e nervoso.
RICCARDO***
Avevo toccato il classico cielo con un dito. Il momento era stato molto esaltante, anche se conservavo ancora qualche dubbio sulla reale incarnazione di quella Dea che continuava a gemere oltre le tremule labbra socchiuse, e scossa da fremiti, causa della fuoriuscita dai capezzoli di goccioline profumate che, in breve, si erano estese tutto intorno alla maglietta, delineando maggiormente la corolla mammaria.
Certamente, non sognavo, o meglio, ero uscito da un sogno irreale divenuto realtà, fatta di morbida carne fremente, odorosi umori che moltiplicavano all’infinito le sensazioni di tanto, immenso piacere, appena gustato.
Era la prima volta che mi sentivo tanto preso da una ragazza quasi tre volte più giovane di me, e nonostante la differenza di età, sapevo che non avrei rinunciato a quella magnifica dispensatrice di piaceri, anche se conscio dei rischi a cui andavo incontro nell’abusare di una minorenne, anche se mostrava d’essere molto più adulta e donna di quelle che avevo conosciuto prima di lei.
Non era la prima esperienza di quel tipo ovvio, ma certo non così giovane e in luoghi tanto esposti. Inoltre non aveva preteso nulla in cambio, come di solito facevano le altre ragazze anzi, aveva mostrato di prediligere questo tipo di esperienze, in modo tanto spontaneo da farmi sperare in contatti ben più estasianti con quella sorta di mantide, molto più infernale che religiosa.
“Cosa stai pensando?”, mi chiese Sara, dopo aver sistemato la gonna, appena un pochino sgualcita nel fulmineo contatto epidermico che, pur nella sua brevità, era stato appagante per me, ma certamente, anche per lei.
A cosa posso fare per aiutarti a realizzare il tuo sogno”, risposi, fantasticando su quale spinta le avrei dato più volentieri.
SARA***
Trattenevo saldamente il suo capo fra le mie mani, e non solo. Dovevo attendere che Ric facesse la prima mossa per dargli l’illusione di avermi avvinghiata con le sue portentose spire, anche se non erano estremamente stringenti. Cementare le sue voglie, le intenzioni. Favorirlo nel prendersi cura di me in modo che nulla e potesse rovinare quella appetibile settimana di sesso sfrenato a cui ambivo con il massimo ardore.
Il sedile accanto al suo, concedeva meno visibilità alla gente che avrebbe potuto arrivare dalla parte più lontana del vagone, e il bracciolo non m’impediva certo di avvicinarmi fino a trasmettergli calore, quello che il bel Riccardo mostrò di gradire tantissimo.
“Vicini, vicini! Come nello spot pubblicitario”, ricordò con ironia, Ric, mentre furtivamente pizzicava la maglia umida intorno ai miei capezzoli. Soltanto in quell’istante notai la goccia di sudore solcargli lentamente il viso, scendere all’angolo della bocca e fermarsi lì trattenuta da una barriera invisibile.
Sospinta da un desiderio incomprensibile, istintivamente, la raccolsi con la lingua gustandola in tutta la sua saporita fragranza. Tutto in quell’ uomo era apprezzabile: la presenza maschia ma gentile, il fisico asciutto, non palestrato, ma comunque, ugualmente molto vigoroso.
Il sorriso accattivante, risaltato da una fila di denti bianchissimi, ma soprattutto, dotato di un aspetto così calamitante da sconvolgere il metabolismo di qualsiasi donna degna di gustare a fondo quel tipo di prelibatezze.
“Credi di riuscire a sganciarti dall’amica di Firenze?”, mi domandò Ric, mirando lo sguardo al di là del finestrino.
“Non ci sono problemi. Devo soltanto chiamarla e disdire il mio arrivo. Ci penserà poi lei a coprirmi con i miei genitori”, lo rassicurai.
“E allora, perché non lo fai? Poi, ti porto a Roma”, disse, tutto d’un fiato, come se temesse un mio ripensamento. Soltanto allora capii veramente cosa significa la frase: “ al settimo cielo! ”.
Ero davvero orgogliosa di me stessa. In un lasso di tempo molto limitato, ero stata capace di appropriarmi della volontà del bellissimo Riccardo, lasciandogli la convinzione di essere lui a gestire la situazione.
Senza attendere oltre, mandai un sms alla mia amica in toscana chiedendole di coprirmi a qualsiasi costo, con i miei, se l’avessero chiamata.
“Poi, ti racconterò tutto nei minimi particolari: contaci. Ma ti prego, non tradirmi … Inventati qualcosa di convincente. Magari, che sono ancora in spiaggia e ho dimenticato il cellulare a casa, se chiamassero di giorno; oppure, che sono già andata a letto, se di sera, e che li richiamerò io, il giorno dopo. Ad ogni modo, se ti dovessero chiamare, tu, avvisami subito, a qualsiasi ora del giorno o della notte, mi raccomando, in modo che io possa dare loro la stessa versione che hai dato tu.
“Ecco fatto! Ora sono completamente nelle tue mani >>, gli promisi, mendace, in quanto era lui ad essere nelle mie.
RICCARDO***
Tutto si era svolto così rapidamente da lasciarmi dubbioso circa la veridicità di quello che era avvenuto. Mi ritrovavo fra le mani una pupa da far venire il capogiro solo a guardarla; un’affascinante sirena che mi riscaldava il sangue nelle vene a distanza, ed io, inebetito, sfuggivo il suo sguardo continuando a restare seduto, inerte, senza nemmeno trovare la forza di programmare il dopo del nostro arrivo nella capitale.
Ero troppo conosciuto, negli Hotel intorno alla RAI, per presentarmi con una ragazzina, per di più, minorenne, poco rassomigliante alla mia figliola, anche se, forse, nessuno l’avrebbe riconosciuta, visto che da almeno un anno, Teresa, non veniva a Roma con me.
“Quando arriveremo nella capitale, chiederò ospitalità ad amici. Visto che sei minorenne, sarà necessario essere cauti! E’ molto meglio se ci sistemeremo in una casa privata.
Sarò anche costretto ad assentarmi per una riunione urgente di lavoro. Ma, appena finita, ti raggiungerò per pianificare la tua scalata al successo”, la rassicurai, mentre tratteneva il mio dito indice fra le labbra tumide, libere da colori diversi da quelli naturali.
SARA***
Al nostro arrivo nella capitale, i giochi erano già stabiliti. Riccardo aveva già contattato per telefono un amico produttore, che era venuto ad attenderci alla stazione, mentre io, dalla toilette del treno, avevo chiamato Tessi per aggiornarla sull’evolversi dell’avventura con il suo vispo genitore, ricevendo le ultime notizie della sua performance sessuale con il mio.
“Ti presento Sara, Gianni, la futura Star del nostro mondo televisivo …! >>.
“Ciao cara. Benvenuta nella città dei sogni!”, era stato il suo saluto, chiaramente complice della situazione che coinvolgeva il suo amico regista. Sicuramente Ric gli aveva parlato di me, mentre io con Tessi, parlavo di lui. E, senza alcun dubbio, gli aveva pure confidato i particolari, come sovente fanno gli uomini per vantarsi. Lo intuivo dal comportamento del Gianni, dalle sue occhiate libidinose, dai sott’intesi in dialetto: “Amvedi, aoh, che bonazza sta gnocca … che ma’ portato sto fijo de’… su madre!“.
“Ciao Gianni”, risposi con naturalezza, mentre lui mi stringeva a se, con forza.
Adesso i tizzoni ardenti che avrei dovuto spegnere, si erano raddoppiati come per incanto.
In un imminente futuro, avrei dovuto parare anche le sue avance, gli assalti che avrebbe tentato, certo che Ric, per quella sorta di complicità maschile, di sicuro avrebbe permesso, forse, soltanto per ricambiare la disponibilità di Gianni ad ospitarci.
“Lasciami sotto il cavallo, per favore, e prosegui pure per casa tua. Appena mi libero dai fastidiosi impegni di lavoro, vi raggiungo”, gli consigliò, Riccardo, visibilmente desolato per il fatto che, il suo impegno alla RAI avrebbe ritardato molto le piacevolezze che già andava pregustando, indubbiamente.
“Ok Riccardo! Ai tuoi ordini, socio!”, rispose Gianni, accennando appena il classico saluto militare.
Era lampante che la nuova società, era appena stata fondata dai nuovi soci, con capitale sociale in caldi spermatozoi, che presto avrebbero impegnato spalmandoli sul mio corpo, ovviamente consenziente poiché, in fondo, era parte del gioco nel quale mi ero coinvolta coscientemente. E poi, a dire il vero, il socio aggiunto, non era proprio niente male. Un bel moro, di età indefinita, che certamente non superava i 50 anni, e con un mento squadrato alla ” Michael Douglas ”, che mi faceva letteralmente uscire di senno per quanto mi aveva affascinato
“Allora, a dopo, Sara …!”, puntualizzò Riccardo, chiudendo la portiera della BMV.
“E tu, marpione, tieni le mani sul volante, almeno finché non arrivo io!”, aveva poi aggiunto rivolto al guidatore, strizzando l’occhio.
Di logica il loro contendermi così chiaro ed esplicito, avrebbe dovuto offendermi; invece mi esaltava in modo tale da procurarmi una varietà di sensazioni che non superavano, verso l’alto, l’ombelico, e verso il basso, il punto più strategico che le donne hanno fra le gambe, il clitoride.
“Perché non vieni qui sul sedile anteriore?”, chiese Gianni, dopo aver fatto un bel pezzo di strada verso Ostia.
“Mi fermo un attimo …”, propose, rallentando l’auto.
“Non è assolutamente necessario. Posso benissimo passare nello spazio che c’è fra i due sedili …”, risposi, prontamente.
Prima che potesse replicare, ero già impegnata nel trasloco, divaricando esageratamente le gambe, mostrando interamente il contenuto al di sotto della mia gonna, troppo corta per sperare che celasse le mie grazie, e che, d’altronde, nemmeno lo desideravo.
Era diventato paonazzo, ansimante e in difficoltà a mantenere l’auto sulla carreggiata. Quando poi finalmente riuscì a schiarirsi la gola ed emettere un suono, compresi soltanto: “Orca vacca!” che, tradotto nel gergo usato dai maschietti, significava senza alcun dubbio: “Sei proprio una troia!”.
A dire il vero, in quel preciso istante, era lo stato d’animo in cui mi ero calata volutamente. Mi sentivo infinitamente puttana e, quella nuova sensazione, mi infondeva un’apprezzabile scossa vaginale, un prurito così intenso che avrei calmato volentieri con uno sfregamento, oppure lenito con l’ausilio d’una lingua, colma di saliva.
“Sei già stata sua?”, mi chiese improvvisamente, senza usare mezze parole, Gianni.
“Certamente!”, risposi, modulando la voce in modo da mostrare un piacere immenso nel ricordare un’esperienza che, in realtà, non avevo ancora assaporato.
“In tutti i sensi …?”, continuò, evidenziando molto interesse per le mie vicissitudini di carattere sessuale.
“Ovviamente!”, ammisi, mostrandomi convinta di avere capito chiaramente cosa intendeva per:” In tutti i sensi”.
“Sopra, sotto e dietro?”, ribadì lui, toccando con la mano i punti del mio corpo ai quali si riferiva, e soffermandosi a tastarmi con lascivia il ventre, intimamente già umido per colpa dall’argomento affrontato.
“Quando mi “concedo”, non mi pongo limiti “fisici” o morali!”, risposi, calcando bene la voce a ridosso del verbo concedere.
“Comunque, Sara, se aspiri a qualcosa di particolare, e non solo nel campo televisivo, devi sapere che io sono adatto a soddisfare ogni tuo desiderio”, ribadì lui, offrendomi subito la sua interessata complicità.
Non vi erano dubbi. Più che mai, avevo la certezza che Riccardo si fosse accordato con il suo amico per cedermi come merce di scambio, a buon mercato. Gianni gli concedeva la possibilità di scopare con me, in casa sua, per tutto il tempo che saremmo rimasti a Roma e lui, avrebbe fatto in modo, che l’amico, avesse i miei favori sessuali.
Un programma molto allettante che, a loro insaputa, avrebbe di certo compensato la mia emergente curiosità sessuale e portata a gustare finalmente le fantasie che da un bel po’ di tempo si stavano auto programmando nel mio cervello. “Grazie! Ne sono lusingata!”, ammisi, sistemando le gambe sotto il bacino, liberando così ampi spazi di epidermide in prossimità del tanga, fradicio e ormai inadatto a celare la peluria che traspariva dal tessuto lasciato a vista dalla mini arrotolata sul ventre.
“Ho promesso d’essere soltanto sua, ma se lui vuole che mi dedico anche a te, non mi opporrò alle sue richieste!”, continuai sfacciatamente, lasciandolo a bocca aperta.
Improvvisamente, preso da un raptus, si abbassò la cerniera dei pantaloni e, sbuffando come un toro in calore, dopo averlo estratto con irruenza, prese a massaggiarselo fino a quando non sbocciò in tutta la sua invidiabile interezza.
“Scusa, ma devo fermarmi, altrimenti, scoppio!”, disse, già preda ad un impellente bisogno di sfogarsi.
Non nego che la situazione mi fosse sfuggita dalle mani. D’altronde, io avevo contribuito a renderla esplosiva e, intimamente, avevo anche sperato che la circostanza si evolvesse in tal’ senso.
Dopo avere rallentato drasticamente, inforcò una stradina che terminava ai bordi di un campo di granturco, quasi adulto e, appena fermo, cominciò a masturbarsi velocemente, infiammato da una eccitazione che, immancabilmente, aveva coinvolto anche me.
Consapevole di essere la causa di tale esplosione morbosa, mi chinai subito sul suo sesso aggredendolo con la bocca, avvolgendo con faticosa estensione delle labbra, tutta quanta la mirabile circonferenza, fino a quando, dopo poco tempo, uno zampillo caldo, si mischiò all’abbondante mia salivazione, obbligandomi ad inghiottire l’intera composizione per non soffocare, traendone nel contempo una soddisfazione gustativa davvero sublime, molto superiore all’ingerimento del più prelibato dei manicaretti che io avessi mai gustato in tutta la mia breve esistenza.
L’ululato scaturito dai suoi polmoni, quasi inumano per la tonalità emessa inconsciamente, confermò che aveva raggiunto un apice di piacere,”mai provato prima”, come poi confermò quando le sue capacità fisiche e mentali ritornarono nella normalità.
Non una sola goccia, del suo seme, era andato perso. Per la prima volta, in modo del tutto istintivo, senza alcuna difficoltà, avevo ingerito il piacere liquido di un uomo apprezzandolo particolarmente; gustato l’aromatico e saporoso drink sessuale prima con il palato, poi con la gola, ed in fine, dentro di me, fino a quando non lo avvertii posarsi, oramai esausto nello stomaco, a breve distanza dal centro del mio corpo, letteralmente in subbuglio.
GIANNI***
“ Ma dove l’avrà trovata Riccardo una così disponibile puttanella! ”, domandai a me stesso non appena riuscii a riprendere l’autocontrollo. “ Nemmeno una sniffata sarebbe stata così stimolante! ”.
“E’ meglio che Riccardo non venga a sapere di questa sosta. Non vorrei dispiacergli. Tu mi capisci, vero, Sara?”, la consigliai, scioccamente, certo che lei avesse ben compreso l’accordo che le avevo proposto.
Mi guardava sorridente, con una tale aria furba e di complicità, da intimorirmi; poi, in modo quasi felino, dopo essersi avvinghiata al mio sesso, rimasto ancora libero e debilitato, con aria innocente chiese: “Ok. E tu, cosa offri in cambio per il mio silenzio …?”, mi domandò, noncurante dello stupore e della indignazione disegnata sul mio volto.
SARA***
Non avrei mai pensato che il mio gioco potesse prendere una piega tanto venale. Infatti, quando il produttore m’infilò alcune banconote arrotolate sotto la maglietta, sollevata quel minimo, inaspettatamente, tanto per arrivare in mezzo al seno e depositarli lì, come fosse un porta soldi naturale, li per li, restai impietrita, o meglio, offesa da quel suo gesto, molto più eloquente dello stesso aggettivo che lo comportava. Non erano i soldi che mi avevano spinta a soddisfarlo.“ Come si permetteva di trattarmi come una emerita prostituta? ”. Mi stavo caricando da sola, prima di esplodere e dirgli tutto ciò che si meritava, quando lui, con un sorriso sarcastico, aggiunse altri soldi, questa volta, inserendo un dito nel bordino superiore del mio tanga, allargandolo in modo pericoloso fino a quando riuscì a spingere i soldi a stretto contatto con la mia vagina.
“Ora, bastano? Sono quasi mille euro !”, dichiarò, aggiungendo anche che in quel preciso momento, non ne possedeva altri.
Aveva travisato il mio stupore e la conseguente rabbia come se fossero un segno di intima amarezza per il poco denaro ricevuto inizialmente.
Mi aveva completamente disarmata tanto che rinunciai ad aggredirlo, perciò restai del tutto in silenzio mentre lui avviava l’auto e riprendeva la strada che ancora ci divideva dalla sua abitazione. “Sarebbe meglio se tu nascondessi il denaro “, mi consigliò, rompendo un silenzio che pareva essere concordato tacitamente. “Sai, non vorrei mai che mia moglie equivocasse …”, aggiunse, subito dopo, indicando un biglietto da cento euro che faceva capolino dall’orlo della T-Shirt. Curiosamente, il fruscio del denaro nascosto sotto la maglia e specialmente quello dentro lo slip, iniziarono a infondermi uno strano bollore che diede origine a una sensazione strana, un piacere incomprensibile, diverso da quello provato nel foderare oralmente il suo membro marmoreo. Una specie di piacere mentale che si era poi dimostrato particolarmente piacevole, chiara dimostrazione che alle donne, spesso, piace un sacco essere trattate da sgualdrine, specialmente quando abboccano spontaneamente il fallo dell’uomo. Fu allora che avvertii le budella contorcersi, un fuoco intenso nascere dalle ginocchia e poi espandersi lungo le mie gambe, comprimere il centro del mio mondo sessuale portandolo a scontrarsi con tutta l’immensità del cielo, invasa da astri dorati che iniziarono a planare, volteggiare sopra e dentro di me fino a portarmi verso l’eruzione definitiva più devastante.
Quando la stupenda felicità iniziò a scemare, rituffandomi nuovamente nella cruda realtà, non osavo aprire gli occhi. Avvertivo lo sguardo di quell’uomo, pressoché sconosciuto, che aveva assistito alla mia anomala deviazione sessuale; e la cosa mi metteva in imbarazzo, anche se, il rapporto orale avuto poco prima con lui, mi stimolava a mostrare indifferenza. Calarmi nei panni di una puttana, aveva causato in me un piacere così incisivo da indurmi a solcare, in futuro, quel sentiero che avevo scoperto darmi emozioni molto intense, tali da compromettere il mio equilibrio sessuale e invogliarmi ad inseguire tendenze non del tutto usuali, e forse, anche pericolose, dal punto di vista psicologico!
Le travolgenti esperienze avute, - Teresa con mio padre e io col suo - dettagliate con tanta cura nei messaggi che ci eravamo scambiate nella giornata, avevano innescato in noi la libidine dell’informazione più trasgressiva: una competizione fatta a distanza sulle nostre esperienze, provate e da provare, a dimostrazione di una netta convinzione d’essere delle puttane nell’anima come nella mente, poiché, fisicamente, l’avevamo già dimostrato nelle frequenti esibizioni fatte in precedenza, nei posti più disparati, ovviamente sempre in posti dove nessuno ci conosceva, o meglio, dove la moralità delle persone che frequentavamo, non gli permetteva di esporsi fisicamente.
Una rivalità amichevole, con lo scopo di raggiungere la meta che ci eravamo prefissa, pur essendo consapevoli di percorrere un sentiero assai insidioso, e pieno zeppo di trappole, non facili da superare, visto la nostra minima esperienza attiva con l’ausilio del sesso forte.
GIANNI***
Non mi aveva più rivolto la parola per tutto il tragitto che ci aveva separato dalla strada del campo di grano fino a quando fermai l’auto all’interno del parco della mia villa. Si era solo limitata a mettere insieme le varie banconote con le quali avevo comprato il suo silenzio, per poi metterle dentro il tanga, a stretto contatto con la sua vagina, come se fosse stato un assorbente. In fine, s’era adagiata composta sul sedile e socchiuso gli occhi fingendo di dormire.
“Donna imprevedibile! ” pensai, tentando una valutazione logica del suo comportamento.
La sua avvenenza, davvero particolare, coadiuvata da un dolce sorriso, stravolgeva ogni mio minimo tentativo di comprenderla, disarmando persino l’innato senso bellicoso che scaturiva in me di fronte a situazioni che non riuscivo a controllare. “siamo arrivati? >>, chiese all’improvviso, riacquistando la sua particolare affabilità, la stessa che mi aveva incantato appena l’avevo vista.
“Si, bambina! “, mi lasciai sfuggire inconsciamente, suscitando in lei un’espressione tra il divertito e l’affesa.
“Però, sono una brava bimba, che ha succhiato tutto il latte dal tuo Biberon !”, ribadì, fiera di se stessa, imitando la voce di una bimbetta.
Per un attimo, rimasi sgomento, visto il tono alto e ironico della sua voce, ma poi, come se attendessimo tutti e due un segnale distensivo, iniziai a ridere di vero gusto, imitato da lei che, in precario equilibrio per l’improvvisa ilarità, si avvinghiò a me saldamente innescando un nuova tensione inguinale straripante di desiderio.
Avvertendo il mio rigonfiamento tenderle la gonna in modo inequivocabile, lasciò cadere il un braccio destro fino a toccarmi il sesso, che poi mi pizzicò provocandomi dolore.
“Stai buono! Hai già avuto la tua razione quotidiana”, mi sussurrò, piano, all’orecchio, così vicina da farmi avvertire il tepore del suo alito caldo sul lobo destro.
SARA***
A gelare i suoi bollori, e pure i miei, intervenne la moglie che, probabilmente, aveva scrutato la scena dall’ombra del pergolato, di fronte la porta d’entrata della villa.
“Piacere di conoscerti. Sono Sara, mi presentai, visto che il marito era rimasto, a dire poco come assente dopo l’intervento di Diana, incredibilmente bella, somigliante alla sventurata principessa d’Inghilterra, e non soltanto nel nome.
“Il piacere è mio, Sara !”, esclamò, non troppo convinta che quello fosse il mio vero nome.
“Vieni, cara. Sarai stanca per il viaggio. Andiamo dentro casa”, suggerì lei, prendendomi sottobraccio.
Il vasto salone ovale appena al di là di un lungo corridoio d’entrata, illuminato da molte luci soffuse, che imprimevano un senso di mistero a tutto l’ambiente, dai soffitti altissimi, era arredato con gusto in stile barocco e con grandi arazzi alle pareti, che ricordavano scene di caccia medioevale, uno dei quali, attirò istantaneamente la mia attenzione, visto ché, la preda, era una donna completamente nuda, inseguita da un’orda di cani e da cavalieri con arco e frecce, oltre che da due amazzoni a cavallo, con il seno nudo, tranne i capezzoli, nascosti da due piccolissimi scudi in oro.
“E’ eccitante vero, Sara?”, mi domandò improvvisamente, Diana, mentre mi porgeva il drink che aveva stabilito fosse adatto alla mia giovane età.
“Si, molto!”, ammisi, io stessa dubbiosa se la mia risposta era dettata dalla cortesia o se la sentivo veramente. “Lo è maggiormente se riesci a immedesimarti nel ruolo che tu ritieni più consono alle tue aspirazioni sessuali!”, replicò lei, accomodandosi al mio fianco, così vicina da infondermi, con le sue gambe, parte del suo calore.
“Tu, per ipotesi”, mi chiese curiosa, introducendo l’argomento con abile semplicità, proprio come se fossimo amiche`di vecchia data che si facevano confidenze di carattere sessuale. “In quale posizione vorresti trovarti, se avessi la possibilità di sostituire un dei personaggi che vedi in quella scena?”.
“Nella fuggitiva …!”, affermai prontamente, senza dubbi, convinta che il sentirmi una preda avrebbe innescato in me sensazioni particolarmente appaganti.
DIANA***
La ragazza cominciava a piacermi, anche se in un primo momento avevo avuto qualche dubbio sulla sua solare semplicità. Ora però dovevo accertarmi sulle precise intenzioni di Riccardo nei confronti di quella esternazione naturale della magnificenza femminile sulla terra, e se, come capitava sovente, ci avrebbe permesso di partecipare al suo banchetto sessuale con l’adorabile puledra.
Pregustavo già travolgenti assalti sessuali, coinvolgimenti carnali per tutti noi in un futuro molto prossimo. Una convinzione derivata dall’evidente curiosità sessuale mostrata dalla ragazza, e anche da quel suo esaltante profumo di femmina, rilasciato da un corpo acerbo ma teso ad una rigogliosa esplosione di femminilità, in breve tempo.
Sara, era molto più donna di quanto mostrava la sua età. Il mio super abilitato olfatto, già captava segnali che non potevano essere travisati.
SARA***
Sapevo benissimo che Diana mi stava radiografando e, anche se usava molta discrezione, sentivo i suoi scandagli psicologici penetrare dentro di me, fino a raggiungere i segreti più reconditi del mio animo. La cosa però non mi disturbava affatto, anzi, gradivo molto le sue attenzioni, la sua curiosa intrusione.
Mi faceva sentire meritevole e, nello stesso tempo, come se io fossi una schiava prescelta, perché il confronto con le altre schiave, mostrava una fattura diversa, migliore in assoluto. Classico esempio di narcisismo, il mio: “sostantivo nel quale mi sono sempre riconosciuta, ammantata per colpa degli apprezzamenti che ricevevo di frequente da entrambi i sessi ”.
I miei pensieri, s’interruppero quando l’avviso acustico del cellulare, prese a trillare piano, comunicandomi l’arrivo di un messaggio: “Sono diventata donna anch’io …, Teresa >>. E subito dopo, un altro messaggio dove esprimeva il suo rammarico per essersi dimenticata di prendere la beata pillola e di non aver usato nemmeno il preservativo. “Non vorrei mai correre il rischio di diventare anche la tua matrigna, oltre che la tua migliore amica!”. Nel leggere l’sms, non riuscii a trattenere una fragorosa risata.
“Buone notizie, cara?”, mi chiese Diana, quando si riprese dallo spavento che le avevo causato con l’improvviso sfogo ilare che mi aveva sopraffatta.
“Scusate, un messaggio inatteso, troppo divertente”, spiegai, senza addentrarmi meglio nei dettagli.
RICCARDO***
La riunione in Rai, si era protratta per un tempo davvero lunghissimo. Forse, a renderlo più snervante e interminabile, era stata la smania di ritornare presto da Sara, quell’adorabile tarlo che mi aveva sconvolto durante tutta la riunione, perdurata ben oltre l’orario di cena, limite che non volevo affatto trasgredire, per ragioni di dieta.
Anche l’attesa del taxi era stata snervante. Alle nove della sera, a Roma città, i taxi, sono quasi tutti impegnati, ragione per cui, il mio carattere era diventato spinoso più di un riccio.
A fugare ogni mio malumore, bastò l’accoglienza riservatami da Sara che, appena mi vide entrare nel salone, mi corse incontro gioiosa e, con impeto davvero impareggiabile, dopo essersi avvinghiata al mio corpo serrando le gambe dietro i miei glutei, affondò la lingua dentro la mia bocca, in modo così lungo e piacevole da farmi rischiare il soffocamento.
Gianni e Diana, che fino a quel preciso momento erano rimasti a osservare la mia debacle psichico respiratoria, presero a battere le mani ironizzando sulla posa che risaltava bene in quel idilliaco quadretto.
A dire la verità, a scompensare la respirazione, era stato l’inatteso comportamento di Sara che, con la gradita sovrapposizione delle sue labbra sulle mie, mi aveva lasciato di stucco e senza fiato.
Come anche il lungo abitino nero aderente fino all’inverosimile, senza per altro mostrare la minima discrepanza nella di lei sinuosità statuaria, aveva contribuito a soffocarmi.
“Come mi trovi vestita così, Riccardo?”, mi chiese, mentre piroettava su se stessa in modo da consentire allo spacco laterale di mostrare interamente una delle sue lunghe gambe, inguainata da un’autoreggente in seta finissima, così bianca da infondere un contrasto di colori davvero immediato, al confronto del vestito nero.
“Meravigliosa!”, ero riuscito dire, mentre il mio pensiero volava alla sfortunata figlia dei miei amici, morta in un incidente stradale mentre rincasava dalla sartoria, dove aveva appena ritirato il bellissimo vestito che Diana aveva permesso a Sara di indossare.
“Davvero incantevole !” avevo aggiunto, temendo che il brutto ricordo falsasse la lode che le avevo fatto, spassionata e sincera.
“Ora, possiamo cenare “, disse Diana, al mio ritorno dalla veloce doccia ritemprante, che mi ero concesso prima di metterci a tavola.
In un angolo del salone, faceva bella mostra di se una grande tavola, meravigliosamente imbandita, al lato della quale, il maggiordomo filippino, attendeva che ci accomodassimo per iniziare il suo servizio.
SARA***
Come era prevedibile, il discorso preferito durante la cena, confermò la tendenza a trattare argomenti erotici, ad allusioni circa le forme degli ortaggi e all’uso che Gianni ne faceva su Diana, tanto per variare il trantran sessuale quotidiano.
“I funghi, oltre alla conformazione estetica che ricorda il fallo, annusati prima di cucinarli, stimolano una maggiore eccitazione inguinale”, dichiarò Gianni, serio.
“I filamenti esistenti all’interno della banana, tra il frutto e la sua buccia, essiccati e ben’ miscelati con il tabacco, esaltano molto il desiderio sessuale; ve lo posso garantire io, per esperienza personale”, confessò la moglie mostrando un cofanetto pieno zeppo di tabacco biondo, aromatizzato con delle bucce di mandarino.
“Tu fumi Sara?”, mi domandò improvvisamente Diana. “No, ma qualche volta, a ballare, in discoteca, ho tirato alcune boccate dallo spinello degli amici”.
“Quello che hanno in mezzo alle gambe …?”, ironizzò Gianni, strizzando l’occhio a sua moglie. “E hai provato qualcosa?”, chiese interessata, Diana. “A dire il vero, solo un senso di nausea”, ammisi, sinceramente.
“Allora, dopo cena, ti faremo fumare la banana!”, intervenne nuovamente Gianni, mentre, senza darlo a vedere, per l’ennesima volta, aveva avvicinato la sua sedia alla mia.
Ormai avvertivo la sua coscia sfiorarmi e, qualche volta, le sue mani scivolare all’interno delle mie cosce, sempre generosamente aperte al di là dello spacco; frementi per i vari e graditissimi palpeggiamenti. “Non vorrai mica drogarla, Diana?”, domandò Ric, dubbioso, alla donna che, con naturalezza assoluta, aveva ordinato al servitore di servirci il dessert.
“Non temere, bello! Libererò in lei soltanto gli istinti assopiti che sostano in ogni femmina normale.
L’atmosfera che si era creata, lasciava presagire un’ampia partecipazione al banchetto dove, a parte me, non vedevo altri agnelli sacrificali. La saggezza mi avrebbe consigliata di fuggire dalle grinfie di quei lupi famelici mentre, la mia emergente curiosità sessuale, continuava a posare calamite per attrarre l’ignoto.
“Facciamo un gioco? >>, propose Gianni, mentre eravamo intenti a gustare un semifreddo alla frutta.
“Quello fra di noi che estrarrà la carta più bassa, verrà bendato ed imboccato con un cucchiaino da dessert, un acino d’uva, un pezzo di banana ed altro presente sulla tavola, da un altro di noi che però, prima di fare questo, dovrà posare la mano sinistra su una parte del corpo del bendato. Se indovina chi l’ha imboccato, gli cede il posto, altrimenti, sarà costretto a pagare un pegno proposto da quello che non è stato riconosciuto, il quale, potrà incassare direttamente il pegno o delegare uno qualsiasi dei presenti all’incasso.
L’entusiasmo per il gioco proposto dal padrone di casa, aveva raggiunto l’unanimità. Io stessa, avevo applaudito molto e a lungo, e poi, subito dopo, mi offrii spontaneamente per essere bendata senza nemmeno attendere l’estrazione.
RICCARDO***
Sara continuava a stupirmi. L’enfasi e la giocosità con le quali s’era adattata all’ambiente, ma prima ancora a noi, la poneva su un livello irraggiungibile. Nulla la turbava, nemmeno la consapevolezza di essere manipolata, oggetto dei nostri desideri, merce di scambio che tutti pretendevamo di sottomettere al nostro esclusivo piacere.
Dopo averle bendato gli occhi e essermi accertato che non potesse vedere da sotto il tovagliolo, fui subito invaso dal desiderio di sfiorarle il seno, turgido, fremente, appena precariamente coperto dalle coppe minime dell’abito, non defilato, in origine, per potere contenere la naturale abbondanza della quale, Sara, era stata dotata: ma venni preceduto da Diana che, repentinamente, aveva posto la sua mano nella sua scollatura, penetrando con lentezza esasperata fra i seni imperlati di sudore, altalenando da un capezzolo e l’altro fino a quando la vide tremare per il contatto sublime ricevuto.
“Gianni!”, indicò, dopo un lasso di tempo interminabile.
Non credevo alle mie orecchie. Era impossibile scambiare un tocco così delicato di una donna con quello di Gianni.
Era evidente che barava, anche se non sapevo ancora qual era il vero motivo per cui lo avesse fatto.
Lo compresi solo quando la nostra ospite pretese il pagamento del pegno: “Un bacio sulla bocca!” che lei si preparò a ricevere senza obiettare minimamente, anzi, facilitando il compito di Diana che, con voluttà estrema, colmò con la sua lingua, la carnosa bocca di Sara, lasciata dischiusa leggermente per effetto del desiderio di ricevere un bacio saffico. Un bacio che le aveva tenute avvinghiate fino a quando, le nostre proteste, sollevarono seri dubbi sulla loro tendenza lesbica, subito smentita da Sara che, sorprendendomi per l’ennesima volta, iniziò a baciare ardentemente l’amico Gianni, per poi dedicare anche a me altrettanta passione e labbra.
“Il gioco continua?”, domandò Diana, che nel frattempo aveva confezionato un grosso spinello, zeppo di quella mistura esaltata poco prima, e che dopo avere aspirato alcune lunghe boccate, passò la canna a Sara, incitandola a provare quel viatico alla passione, al piacere disinibito e travolgente.
“Certo!”, intervenne il nostro ospitante, voglioso di ottenere la sua parte di palpeggiamenti.
“Lasciate che la nostra gazzella abbia il tempo di spiegare le ali … >>, ci consigliò Diana mentre insegnava alla ragazza com’era meglio fare per aspirare al top le boccate di fumo.
Per la prima volta in vita mia, avvertii un tarlo rodermi dentro, deviare il mio equilibrio, sempre propenso a condividere ogni mio avere senza ripensamenti; sentii nascere in me un disagio stimolato dalla gelosia e dalla bramosia, come dalla voglia di sperimentare fra le braccia della giovane amica di mia figlia, la gioia dall’ ingordo possesso di un qualcosa che, improvvisamente, volevo solo per me..., e non fosse più divisibile, per amicizia.
“Spero vogliate scusarmi, amici, ma la fatica per il lungo viaggio e la cena fuori orario, mi hanno stancato parecchio! Così, se non vi spiace, preferirei andare a nanna.
SARA***
L’intruglio che stavo fumando, iniziava ad infondermi un prurito indefinibile, ardori molto confusi che lentamente si andavano delineando dando impeto all’emergente eccitazione che mi accalorava con sempre maggiore intensità, attenuata soltanto dalla decisione di Riccardo che, con lo sguardo supplichevole, mi invitava a seguirlo.
Non potevo certo deluderlo poiché, in definitiva, il motivo per il quale mi trovavo in quella abnorme situazione, era soltanto lui.
Sembrava che tutti pendessero dalle mie labbra.
“In effetti, anch’io sono stanca!”, confessai, a malincuore. In fondo, mi sarebbe piaciuto vedere, ( partecipare, per l’esattezza ), all’evolversi della serata, allo zibaldone di membra che certamente si sarebbero contorte fra loro fino a vibrare all’unisono.
Una valida esperienza dalla quale avrei certamente appreso moltissimo, gustato volentieri con tutta me stessa.
La delusione apparsa sul volto dei nostri ospiti, non lasciava adito a errate interpretazioni. Entrambi, s’erano lasciati scivolare sul divano circolare proprio come se improvvisamente il burattinaio avesse allentato i fili delle proprie marionette. Ero davvero rammaricata! In brevissimo tempo avevo anche imparato ad apprezzare la loro innata simpatia, quella che affabilità che mi aveva subito messa a mio agio, e non ultimo, quel senso di eccitazione avevo gustato appena avevo varcato la soglia della loro villa.
Prima che potessi esprimere una sola parola, oltre l’ammissione già fatta riguardante la stanchezza, Ric mi cinse delicatamente alla vita avviandosi verso il piano superiore dove, molto probabilmente, sapeva esserci la stanza degli ospiti.
“Notte!”, ebbi appena il tempo di augurare prima che, con forza, difficilmente attribuibile a Ric,lui mi sollevo letteralmente da terra trattenendomi nella classica posa adottata dallo sposo, la prima volta che varca la soglia di casa con la sua sposina fra le braccia.
Col senno di poi, sono lieta che Ric avesse deciso di avermi in modo esclusivo.
Era così eccitato da non concedermi nemmeno di esprimere se avevo qualche impellente bisogno. Planò sul letto sopra di me iniziando subito a baciarmi il capezzolo che era uscito inavvertitamente dal vestito, teso al limite del cedimento dovuto al peso del suo corpo, a dir poco esagitato, invadente, simile a un polipo che avvolge inesorabilmente, con tutti i suoi tentacoli, limitando ogni mio movimento.
Nemmeno la conseguente lacerazione dell’abito calmò la sua ardente frenesia di avermi, di possedermi subito, senza neppure iniziare il rituale che, in genere, porta la donna alla massima eccitazione. Non che io ne avessi bisogno, in quel momento, assolutamente, ma non nego che, un certo tipo di preliminare, prima di essere sacrificata, non mi sarebbe poi affatto dispiaciuto. Sarebbe stato soltanto un incentivo maggiore alla mia già netta, chiara predisposizione a cedergli, a donargli la mia verginea intimità e tutto quello che avrebbe desiderato profanare.
Quando sprofondò dentro di me,( quasi subito …) un dardo rovente rivoltò le mie budella in modo insopportabile, tanto da strapparmi un urlo soffocato, trattenuto non so nemmeno io come, mentre il suo viso mostrava una strana piacevolezza per i gemiti di dolore da me lanciati
Anche se Riccardo aveva compreso quale cruenta realtà mi stava dilaniando, continuava imperterrito a sprofondare dentro di me, con prepotenza, intenzionato a raggiungere il più egoistico degli appagamenti. Incredibilmente, l’iniziale dolore che mi aveva fatta urlare, gradatamente, si andava mutando in un tenue piacere che, l’invadenza progressiva in profondità del suo pene, aumentava ad ogni più violento e successivo inserimento nel mio antro, ormai adattato alla sua enorme virilità. E quando il suo seme, brevemente trattenuto iniziò a scorrere nel mio interno come lava incandescente, il dolore lasciò il posto ad un interminabile susseguirsi di orgasmi, a sfoghi intensi e ripetuti da farmi girare la testa al limite dello svenimento.
“Dovevi toglierti, non venirmi dentro! Potrei restare incinta, ti rendi conto?”, lo rimproverai, bonariamente.
RICCARDO***
Mai avevo agito come un giovane mandrillo scriteriato! Con Sara, tutto il mio autocontrollo era venuto meno lasciando emergere la mia natura animalesca, il sadismo che da sempre avevo aborrito, rifiutato con tutto me stesso, ritenendo che fosse una anomalia psichica molto pericolosa. Anzi, la smorfia di dolore sul suo viso, aveva impennato maggiormente la mia eccitazione, dominato tutta la mia mente travolgendola in una ridda di sensazioni innaturali, ma assolutamente piacevoli per la intensità con cui avevano sferzato le mie membra.
“Perdonami piccola, non credevo che tu fossi ancora vergine …!”, si scusò, ponendo una mano sul cuore.
Il dolce sorriso, appena velato dalla sofferenza che certamente stava sopportando nel suo intimo, mi spingeva a sentirmi ancor più colpevole e desideroso di alleviarle il dolore.
“Va tutto bene, Ric, non temere! Mi spiace solo per le macchie di sangue lasciate sulle lenzuola ed anche sul copriletto!”, disse, spostandosi di lato.
Soltanto allora notai il suo interno cosce completamente arrossato e gocce di sangue, ancora fresche, delineare il punto dove ero affondato in lei selvaggiamente.
“Non temere, la nostra ospite è una donna molto comprensiva. E poi, come avrai notato, per te ha una certa attrazione. Non dirà assolutamente nulla, credimi, la rassicurai mentre si dirigeva al bagno, ovviamente per detergere i segni inconfutabili di una profanazione selvaggia, da parte mia, e ardentemente voluta, da parte sua.
Allo scrosciare dell’acqua della doccia, si unì il suono di una vocina ben intonata, un flebile canto, estremamente giulivo, che durò tutto il tempo che Sara trascorse a nettarsi dalle tracce lasciate dal burrascoso amplesso che l’aveva resa finalmente una vera donna, con tutte le credenziali in ordine.
Quando apparve nuovamente, tutta nuda, irrorata da una miriade di bollicine sparse in tutto il corpo, non asciugate per mostrarsi a me come fosse una sirena, il mio cuore ebbe un pericoloso sussulto, e il sangue prese a ribollire mentre, una nuova eccitazione, mi risvegliava il sesso, assai arrossato per la precedente tenzone sessuale, profanatrice della sua verginità.
Impegnato a ripiegare il copriletto e tendere le lenzuola in seta nera che la turbolenta passione aveva scompigliato, non avevo trovato il tempo per lavarmi.
“Concedimi solo un minuto …”, dissi, mentre mi dirigevo al bagno passandogli accanto.
“Penserò io a detergerti, caro! Affidati alla tua schiava!”, mi sussurrò a un orecchio, mentre le sue mani, avvolte strettamente al mio pene, iniziarono a trainarmi con decisione verso il letto.
Come ribellarsi ad una così straordinaria mantide, fonte dissetante di ardenti emozioni, sconosciute eccitazioni che prendevano forma ad ogni istante?
Avevo la strana sensazione di essere diventato lo schiavo invece che il padrone, come lei sosteneva. Infatti, appena giunti sul letto, era salita su di me, rimasto inerme, ed aveva iniziato ad avvolgermi il sesso con la lingua calda, nettandolo con ruscelli di saliva subito risucchiati dalla sua bocca ingorda, stimolandomi in modo tale da portarmi ad avere di nuovo il pene granitico, dolorante per l’inumana tensione.
Quella debilitante adolescente mi stava succhiando l’anima oltre la linfa mirabilmente riprodotta dal mio corpo, anche se non ero più nel pieno della baldanza giovanile.
SARA***
Il lieve ma persistente dolore inguinale, era la dimostrazione più concreta di come era cambiata la mia femminilità, quali esigenze future avrebbero caratterizzato i miei gusti sessuali, confermato il mio rapido passaggio da adolescente a vera femmina, vogliosa di altre esperienze che non avrebbero certo pianificato il mio modo di fare sesso, ma aperto illimitati confini, scandagliato antri misteriosi pieni di voluttà appetibili.
“Fermati, ti prego!”, implorò Riccardo, sulla soglia del godere, trattenendomi dall’affondare la bocca sul suo membro livido, secernente un umore spontaneo che, vigliaccamente, si tramutò presto in liquido seminale, anche se non più stimolato dalle mie labbra.
Ansimando come un toro nell’arena, iniziò a mugolare senza freno, sobbalzando con il bacino, e a flettere come un arco in procinto di scoccare il dardo. Poi, colto dall’ennesima scarica di godimento, cominciò ad arrotolarsi sotto di me, assatanato, stretto dalle mie cosce, posseduto dal demonio, quel diavolo perverso che io le avevo iniettato sotto la pelle, nell’organo pulsante dentro il petto, ma soprattutto dentro il cervello, in modo così profondo da renderlo succube alla mia volontà.
Intimorita per la sequenza di orgasmi che gli avevano sbiancato il viso e accelerato i battiti del suo cuore, mi lasciai cadere al suo fianco, trattenendo una mano sul suo petto in modo da seguirne le pulsazioni che, del resto, si stabilizzarono nel breve volgere di pochi attimi.
Il suo corpo, immobile, animato dalle pupille frenetiche che spaziavano nell’universo, da sotto le palpebre ancora socchiuse, ricordava la posizione fetale, suscitando i me infinita tenerezza, ma anche un impellente desiderio di accarezzarlo, stringerlo al seno, allattarlo con la linfa che non aveva cessato di sgorgare copiosa dai miei capezzoli, tesi fino allo spasimo: induriti da una sorta di persistente godimento che non mi aveva ancora lasciata, abbandonata dall’istante in cui ero entrata nella sua vita.
Come un automa, sollecitata da forze indipendenti dalla mia volontà, dopo essermi seduta accanto a Ric, le sollevai il capo adagiandolo sul seno, premendo con forza un capezzolo sulle sue labbra che, subito, lo lambirono interamente lasciandolo sprofondare al suo interno, fra i denti che presero ad unirsi in modo lento ma costante, sino a causarmi un gemito di dolore, attenuato da un piacere raro di tipo masochistico, che già iniziava a invadermi, a pervadermi tutta sino a farmi implorare: “Si, stringi …!”,mi sorpresi a chiedere, supplicare mentre venivo assalita dalla medesima sensazione gustata durante la primaria deflorazione. “Così ?”, domandò lui, dopo avermi unito capezzoli ed averli poi risucchiati come due ciliegie mature, addentate per poi espellere il nocciolo.
Tutto intorno cominciò a roteare, la vista ad annebbiarsi tanto da rendermi quasi cieca, e una miriade di spilli ardenti a pungermi in modo doloroso, ma nello stesso tempo, anche così piacevole da favorirmi un altro intenso orgasmo.
Senza nemmeno accorgercene, avevamo ripreso la schermaglia con vero impegno. Lui, nuovamente indurito, espresse il desiderio di esplorare l’unico antro che ancora non gli apparteneva, e che, senza perdere tempo, aveva posizionato in modo da appropriarsene senza indugi, nonostante i miei tiepidi dinieghi, visto il nuovo aspetto assunto da quel boa, leggermente gonfio per effetto della non facile effrazione avvenuta prima.
“Mi sembrerà di partorire, se mi obblighi a contenerlo tutto!, obiettai, senza convinzione, stimolandolo oltremodo.
Per tutta risposta, prese a umettarmi abbondantemente l’ano con la lingua, accertandosi che la saliva penetrasse all’interno, divaricato dalla pressione delle sue dita prepotenti, per favorirne l’innaturale lubrificazione.
Non nego che il pensiero di ricevere quella enormità dietro, mi spaventasse parecchio; comunque non volevo assolutamente deludere me stessa o venir meno alla promessa che ci eravamo fatta io e Teresa: “Daremo tutte noi stesse, senza tabù. E se sarà necessario poi, subiremo anche violenza e dolore, per la causa!”. Concludemmo concordi lo pseudo giuramento siglandolo con una bevuta di coca cola, anziché col sangue, visto che tutt’e e due, ne temevamo la vista.
Il mio pensiero s’interruppe quando la lenta ma costante pressione del suo genitale, prese a divaricarmi dietro, aiutato dall’andirivieni del suo bacino, compressore naturale della trivella temperata che, curiosa, mi stava sodomizzando, plasmando le pareti arrendevoli senza concedermi un istante di sollievo. Pensai che partorire, forse, non avrebbe dato maggiore sofferenza di quella che stavo provando nella novella profanazione. Specialmente quando, rotti tutti gli indugi, stimolato dai miei mugolii soffocati, scambiati per gemiti di grande piacere, affondò dentro di me con determinazione selvaggia, dando voce a gridolini di vittoria per aver conquistato ciò che gli uomini ambiscono annoverare nel loro palmares di seduttori.
Per qualche istante, odiai lui, Teresa, i nostri ospiti e la natura stessa che mi aveva fatta donna, cavia soggetta a suscitare negli uomini così bestiali bramosie. Poi, l’attimo dopo, a ringraziare la sorte per la gratificante esperienza che iniziava a produrre inconfessabili, e orgasmi, tutti d’intensità superlativa, molto al di sopra di quelli che avevo provato nella perdita della verginità vaginale.
GIANNI***
L’ esaltante scena sessuale spiata tramite una piccolissima telecamera del circuito chiuso, installata nelle camere degli ospiti, la quale proiettata immagini scabrose sul televisore al plasma del salone, aveva stimolato la nostra fantasia erotica in modo tale che, mia moglie, pretese immediatamente di subire l’identico trattamento che Ric aveva riservato a Sara; anche se era evidente la diversa dilatazione della ragazza rispetto a Diana; più ricettiva, sia per l’età che per le varie concessioni fatte ai tanti nostri amici, con i quali l’avevo nel tempo condivisa durante i baccanali sessuali che avvenivano quasi sempre in casa nostra, oppure nei diversi locali sparsi in tutta Roma, adibiti allo scambio di coppie, e non solo, ma anche alle ammucchiate senza regole dove i presenti avevano diritto di abusare del primo soggetto a cui rivolgevano le proprie attenzioni. “Guarda Gianni, hanno ripreso ad amarsi!”
osservò lei, stupita della veloce ricarica di Ric che, da quando era salito in camera, con la ragazzina, non aveva risparmiato nemmeno una goccia del suo godere.
“Ora vedrai che le chiederà d’inginocchiarsi e di inghiottire il seme che le depositerà in bocca!”, commentò Diana, assumendo la medesima posizione comparsa nel monitor, pretendendo di ricevere anche lei, in tale modo, il gustoso siero di cui andava golosa. L’immagine seguente, confermò la sua predizione. Dopo essersi masturbato Ric riversò nella bocca di Sara, aperta come stesse per ricevere l’ostia, un fiume di piacere liquido, tanto irruente da crearle quasi un soffocamento quando lei sollevò il capo all’indietro favorendone la discesa nel cavo orale.
Evidentemente, mia moglie, in uno dei tanti festini orgiastici, aveva provato la medesima esperienza con il bel Riccardo, traendone una grande soddisfazione, che voleva ripetere assolutamente anche se, il sapore del mio seme, le avrebbe dato minor godimento. Infatti, subito dopo averlo ingerito, assente da quanto era appena accaduto fra noi, mi domandò ansiosa: “Sei certo di avere registrato tutto quello che è avvenuto nella loro camera …?”
“Non temere, cara. Ho messo in funzione entrambi i dischetti. Conosco alla perfezione i tuoi gusti ormai, e quanto tu ti senta attratta dalla quella ninfetta. Come sono anche certo che farai di tutto per fartela”.
Improvvisamente, il volto di Diana s’illuminò. L’espressione del suo viso mostrava quali desideri stavano prendendo forma nella sua mente, e cosa avrebbe fatto a colei che aveva esaltato la nostra fantasia, e soggiogato entrambi, anche se sapevo bene che le sessuali prestazioni della ragazza, erano di tipo mercenario. La perdita di sangue a cui avevamo assistito, e che mia moglie aveva stabilito fosse la rottura del velo vergineo, altro non era che l’introduzione violenta dell’enorme fallo del mio amico Ric che, probabilmente, aveva causato un trauma nelle pareti intime di Sara, la quale, per altro, dimostrava di non essere ancora del tutto sazia, vista la dedizione con la quale tentava di rianimare il suo partner, seriamente afflosciato, disteso sul letto inerte, come se fosse stato disossato.
“L’utile e anche il dilettevole, vuole la ninfetta! “, constatai, senza sentirmi a disagio, certo che, pagandola, avrebbe maggiorato il nostro piacere con le prestazioni particolari che poi avremmo di sicuro stabilito, anzi preteso dalla giovanissima prostituta.
“Cosa ne pensi, Gianni, interveniamo?”, chiese la mia “metà”, all’improvviso, demolendo così l’incastellatura che stavo edificando. Dire metà, riferendosi a Diana, forse era un po’ esagerato, vista la suddivisione multipla che avevo sempre favorito nei festini, dove, lei, si rendeva sempre disponibile a triplici penetrazioni, aperta, e anche molto arrendevole a tutti i partecipanti al baccanale sessuale, tanto da sottostare perfino ad incontri saffici, in modo dimostrativo, per eccitare all’inverosimile gli spettatori, poi, compartecipanti reali.
“Certamente, cara. Ti precedo, mentre tu vai a metterti indumenti più adatti”, la consigliai, per avere il tempo di accordarmi con Sara.
SARA***
Dopo una breve pausa, per attendere l’arrivo di Diana, in cui Gianni mi aveva offerto una cifra cospicua, l’indemoniato si era impossessato del mio fondo schiena e incominciato a premere ciecamente il pene fra le mie gambe, esposte alla vista di tutti; frementi e scosse da brividi intensi, per l’atmosfera che si era venuta a creare, ma pure dalla mia voglia di riprendere ancora un vero e animato energumeno palpitante dentro di me, qualsiasi fosse stata la strada che avrebbe intrapreso.
Vedendo la difficoltà del marito a innestarsi in una delle due mie aperture, Diana, che nel frattempo si era avvicinata amorevolmente, l’aiutò a trovare la retta via puntando l’attrezzo dell’uomo verso il mio posteriore, non prima di averlo umidificato abbondantemente con saliva, passando subito dopo al mio clitoride, esposto per effetto del nuovo desiderio che stava nascendo in me, e per l’invadenza sfacciata di quel augello nerboruto, tosto come l’acciaio, ma estremamente caloroso e animato che danzava nelle mie budella.
Improvvisamente, avvertii le fiamme dell’inferno lambirmi, marchiarmi dolorosamente, ma anche le porte del paradiso aprirsi, suggermi in un bacio saffico meraviglioso, attrarmi totalmente nell’immensità del cielo, dove tutto era incantevole: oltre le porte dell’universo, del puro piacere, quello che gustavo senza sosta, stuzzicata dai tre, alleati nel cibarsi della mia carne, eludendo con impegnata aggressione, il mio debole tentativo di sottrarmi alle loro ostruzioni soffocanti.
Tutti gli abusi sopportati durante l’intera notte, non avevano saziato del tutto la mia avidità sessuale, nonostante il fisico già risentisse della cruenta battaglia che mi aveva impegnata fino al mattino dopo, quando, un po’ stremata, lasciai il letto, dove giacevano ancora i miei amanti, sfiniti anche loro, per farmi una doccia bollente, il solo rimedio per recuperare un poco le forze perse.
Quando ritornai in camera, avvolta da un accappatoio da maschio, ritrovato appeso dentro il bagno, era vuota. Il letto, mostrava chiaramente quale cruenta schermaglia era stata combattuta su quelle coltri completamente sfatte, sgualcite e a tratti anche macchiate della mia doppia perduta verginità.
Scelto un cantuccio con tracce meno evidenti dell’avvenuta tenzone, mi lasciai andare sulle coltri, crollando subito in un sonno vuoto da incubi, sprofondata in un limbo dove, l’unica certezza, era soltanto la quiete ristoratrice dei miei pensieri, ma soprattutto, dei miei sensi violati.
Al mio risveglio, nel tardo pomeriggio, trovai un biglietto scritto da Diana la quale mi diceva di sentirmi a casa mia e di servirmi del piatto che mi aveva lasciato nel fornetto. Il languore che mi aveva assalita, mi spinse ad esplorare subito la cucina per cercare il cibo che mi era stato riservato. Non ricordo di averne mai ingurgitato tanto in un solo pasto. Un unico piatto ma zeppo di leccornie a base di pesce, frutti di mare, unitamente a lumachine in salsa verde, davvero deliziose, il tutto, inumidito dalla fresca coca light conservata in una coppa colma di ghiaccio.
In attesa del loro rientro, chiamai Teresa per metterla al corrente di tutto, dettagliando nei minimi particolari lo scontro sessuale avuto con suo padre, e poi, con il tacito consenso del genitore, anche con gli amici coniugi; ammucchiata dove Riccardo aveva partecipato con rinnovata voglia, ma anche con esigenze sessuali strane che, fino a quel momento, non mi aveva ancora mostrato.
“E’ stato stupendo, Tessi, credimi, in tutte le fasi!”, le confidai, lealmente, trattenendo a stento un gemito causato dai ricordi di quella notte infuocata.
“Mi raccomando, Sara. Componi il puzzle in modo che risalti il disegno che noi ci siamo prefisse”, mi raccomandò, poco prima che cadesse la linea per colpa del mio cellulare, scarico.
“Non dubitare, amica mia!”, promisi col pensiero, certa che la nostra comune lunghezza d’onda, le avrebbe trasmesso il messaggio telepaticamente.
Annoiata per la lunga attesa pomeridiana, presi a guardarmi intorno in cerca di qualche distrazione, senza provare curiosità per le mille cose sparse nel salone. La mia attenzione però, fu attratta da un telecomando lasciato accanto ad una mini telecamera sistemata sull’angolo superiore del camino, diretta verso l’ampio divano semi circolare, al centro del salone.
Il led rosso mostrava la funzionalità della stessa, collegata ad un sofisticato impianto di registrazione e a una enorme televisione al plasma sostenuta a mezz’aria da un braccetto snodato che scendeva dal soffitto, di sbieco, rispetto il divano, ma ben visibile da tutte le angolazioni.
Curiosa, incominciai a premere vari tasti fino a quando, un clic, azionò il televisore e nello stesso tempo l’impianto DVD che, immediatamente, inondò il salone di sospiri e mugolii inconfondibili, mentre, sul plasma, scorrevano immagini altamente pornografiche, dove mi riconobbi subito come protagonista
Non riuscivo a staccare gli occhi da quelle riprese che, se pur rubate, avevano qualcosa di molto eccitante, nonostante avessi sperimentato, in prima persona, quelle sequenze, a dir poco inquietanti, se fossero state presentate pubblicamente. La scaramuccia sessuale era stata ripresa con molta cura, dapprima in solitaria, con Riccardo, poi il set si era affollato. Erano entrati in azione attori nuovi, i padroni di casa, assistiti degnamente dal padre della mia amica Tessi, intenti a sperimentare su di me ogni sorta di angheria sessuale o insulto carnale che conoscevano, e ai quali, sottostavo spontaneamente ululando proprio come se fossi una lupa in calore.
Era esaltante vedermi preda nelle immagini registrate, dove lady Diana, assatanata, fondeva le sue labbra alle mie o nelle cavità più nascoste: o quando fiera, branditi i due mirabili sessi, l’indirizzava verso il mio corpo, sempre più ricettivo, capace di ospitarli entrambi nella loro estesa durezza.
“Sei proprio una donnaccia, Sara!”, mi sentii minacciare improvvisamente da una voce maschia.
L’insulto, mi aveva colta di sorpresa, ma non la voce che l’aveva lanciato, alle mie spalle, oltre una delle finestre del salone che dava direttamente sul vialetto intorno alla villa.
“Non muoverti di li”, aveva continuato Gianni “che vengo a pagare per le tue prestazioni”.
Non capivo perché fosse rientrato soltanto lui, ma la cosa non mi dispiaceva affatto.
Quell’ uomo, riusciva a darmi emozioni ogni volta diverse, ma sempre molto intense.
Togli l’accappatoio e mettiti sul divano a gambe aperte”, mi ordinò appena giunse di fianco a me, già psicologicamente pronta a recitare la parte della baldracca, ruolo che mi piaceva molto.
Non sapevo cosa gli passasse per la mente, ma ubbidii avvertendo un calore invadermi.
Dopo aver estratto una mazzetta di banconote dal taschino del camiciotto, ne arrotolò ben dieci da cento euro e me le infilò fra le labbra della vagina, con una esasperante lentezza, assicurandosi di inserirle in profondità e, ripetendo l’azione sotto le ascelle, fra le natiche, che avevo serrato per effetto dell’incontrastabile piacere che mi aveva colta, fatta tremare senza escludere un solo nervo del mio corpo teso, ululante, anelante verso il sadico uomo affinché reiterasse le azioni che avevano lanciato i miei sensi sulle stelle, oltre la realtà.
Quando l’intenso orgasmo raggiunse le più alte vette, come fossi stata un’invasata, presi a rotolarmi sul divano, incapace di frenare quel terribile impeto che fustigava la mia pelle, arroventava il crocevia all’interno delle mie cosce e devastava in modo irrefrenabile la mia volontà.
In quel preciso istante, se lui avesse potuto leggere dentro i miei pensieri, avrebbe potuto chiedermi qualsiasi cosa, persino la vita, tanto sentivo di essere sua, dipendente da lui, fino all’estremo.
Eccitato dalla mia eccitazione e indurito di riflesso, Gianni iniziò a sbottonarsi i pantaloni fino a liberare completamente l’attrezzo per il quale mi aveva pagata abbondantemente, chiedendomi poi di vezzeggiarlo fino a quando lo avesse desiderato.
“Come vuoi, padrone!”, mormorai istintivamente, mentre si avvicinava verso la mia bocca, già aperta in modo sproporzionato per ospitare tutta quella abbondanza che pareva avere acquisito una misura persino maggiore, della sera precedente.
La sua lunghezza, non era un problema da quando mi ero accorta di sopportare stimoli orali che superavano la laringe. Quello che mi metteva ancora in chiara difficoltà, era l’impetuoso gettito di seme che si era riversato sulla mia lingua, attorcigliata al suo membro, ma non abbastanza per dosare il nettare sgorgato impetuoso senza il minimo preavviso.
Un senso di nausea limitò il mio respiro sollecitando un conato che mi fece indietreggiare per riprendere fiato; ma venni subito bloccata da Gianni che, dopo avermi afferrato il capo, con tutte e due le mani, attraendolo con forza verso di se, nella foga del piacere, m’insultò brutalmente: “Affoga, puttana!”, esclamò con irruenza, liberando grugniti animaleschi.
Tutto quello che fino a quel momento mi aveva procurato sofferenza, fatto maledire il mio aguzzino fino a ideare di mozzargli con un morso il pene che m’impediva di respirare, d’un tratto si mutò in piacevole sottomissione, nella più intensa soddisfazione di sentirmi sua, proprietà assoluta di un padrone che aveva ogni diritto morale e fisico su tutta me stessa.
“Ora, ricomponiti! Fra non molto rientra Diana, e non sarebbe contenta di sapere che ti ho pagata …!”, mi ordinò, non appena i suoi ardori cessarono di prevalere sulla ragione.
Una fredda allusione che mi riportò subito alla normalità, mostrandomi la realtà che mi era sfuggita di mano, lasciando spazio esclusivamente al piacere e alla complicità.
Per un istante, pensai di chiarire con Gianni il motivo psicologico che mi spingeva a comportarmi in tale modo, poi, temendo di perdere quel tipo di emozioni di cui iniziavo a sentirne necessità, lasciai perdere.
GIANNI***
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