Narciso
di
Mima
genere
masturbazione
“Non esiste nessun luogo che riesca a trasmettermi la stessa sensazione di pace” pensai mentre ammiravo l’enorme distesa d’acqua che si stagliava calma e imponente davanti ai miei occhi.
Due ore di camminata tra salite e sentieri ripidi ma alla fine del percorso riuscivo sempre a rimanere a bocca aperta.
Quel lago è per me un rifugio dalla realtà, un piccolo angolo in questo vasto mondo dove posso sdraiarmi allegramente sull'erba morbida, chiudere gli occhi e dimenticare ogni problema.
Il mio piccolo rifugio si trova su un’altura che sovrasta il lago, nascosto da una fitta vegetazione che lo protegge dalle orde di turisti, i quali preferiscono la spiaggia.
Per questo ogni qualvolta mi sentivo giù di morale, prendevo il primo autobus e mi dirigevo lì dove nessuno sarebbe venuto a cercarmi.
Era da un po’ di ore ormai che, con un libro vicino, ascoltavo sdraiata le urla dei bambini in lontananza, il verso dei gabbiani, i rumori delle barche e il suono dolce dell’acqua che, formando piccole onde, andava infrangendosi contro gli scogli sotto di me.
Un venticello leggero mosse delicatamente gli steli d’erba, accarezzandomi dolcemente le guance e girando di qualche pagina il libro posato.
“Narciso” diceva il titolo a caratteri cubitali.
Quel mito aveva sempre esercitato un certo fascino su di me, un uomo che amava se stesso a tal punto da struggersi di dolore.
In un flusso di coscienza inarrestabile pensai che anche a me sarebbe piaciuto poter parlare con me stessa, una me stessa in carne ed ossa che mi aiutasse nei momenti difficili, che mi facesse compagnia quando mi tornava in mente quella sensazione quasi perenne di essere un pesce fuor d'acqua.
Infondo chi ci conosce meglio di noi stessi? E in quella immensa solitudine in cui versava la mia vita, quanto sarebbe stato consolatorio poter parlare a tu per tu con me stessa?
“Non sbaglierei mai il regalo di compleanno da prenderle, avremmo gli stessi gusti su tutto e sono anche sicura che sarei per lei un'amante ideale” pensai scherzosamente tra me e me.
“Da quanto tempo questa malinconia non ti abbandona?” questo pensiero riecheggiava prepotentemente nella mia testa.
“Troppo” risposi come se mi rivolgersi ad un interlocutore esterno.
“Chi è rimasto nella tua vita?”
“Nessuno”
“Sicura?”
“Tu”
“Perché sei qui?”
Sotto sotto lo sapevo, il vero motivo per cui salivo quell'altura non era certo il panorama o la voglia di stare sola, ah! Dio solo sapeva quanto volessi smetterla di essere sola!
Un piccolo passo e sarebbe tutto finito.
Quell'epifania mi spaventò, chiusi gli occhi, cercando di pensare ad altro e piano piano scivolai in un sonno profondo.
Quando mi risvegliai era notte fonda e non capii esattamente dove fossi, mi sentivo estranea al mondo, come in una bolla scura e fredda.
“Mi sono davvero buttata?” pensai.
In quella bolla c’ero solo io, il mondo racchiudeva solo me e ...me.
Una strana sensazione mi stava possedendo nel dormiveglia in cui ero ancora immersa, mi sentivo davvero in compagnia di qualcun altro ed ero certa che quel qualcun altro fosse lei, la me nascosta da troppo tempo.
Mi abbracciai, come per afferrare quella sensazione e non lasciarla più sfuggire e quel contatto mosse in me qualcosa che era stato congelato per un periodo sembrato lungo un'eternità.
“Da quanto tempo non ti prendi cura di te stessa?”
“Troppo.”
Le mie mani iniziarono a muoversi da sole e scivolarono sul corpo morbido.
Mi abbandonai a quelle sensazioni piacevoli che il loro tocco mi regalava quando scorreva con movimenti circolari sulle braccia, sulla pancia, sulle gambe...come un massaggio rilassante e lento.
Sentivo sotto le dita le cicatrici sulla pelle, il passato che non voleva più scomparire dal mio corpo e si faceva vivo ogni giorno trascinandomi nella disperazione. Mi fermai a lungo su quelle cicatrici, come per fare pace con loro, con chi me le aveva procurate, con me stessa per essermene data la colpa.
Quella profonda conoscenza che stavo maturando col mio corpo mi portava ad esplorarlo con maggior curiosità, scostando le spalline del vestito e liberando il busto dalla stoffa.
Sentivo il vento che accarezzava teneramente la pelle assieme alle mani che diventavano sempre più avide nel toccare, nello scoprire i punti più sensibili del mio essere, mentre si dirigevano verso il seno morbido, dove i capezzoli, a contatto con l’aria fredda, svettavano verso il cielo scuro.
Il contatto mi fece gemere e i tocchi diventarono sempre più decisi e desiderati.
Non avevo fretta, volevo che il mio processo di guarigione avvenisse con calma, perché non mi perdessi nemmeno una sensazione, un’emozione, un momento da stampare nella memoria.
Mi alzai in piedi e feci scivolare il vestito lungo i fianchi rimanendo in intimo, in mezzo agli alberi.
Posai con cura il vestito vicino a me e continuai con la svestizione, rimanendo completamente nuda.
Richiusi gli occhi ed in inginocchio assaporai per qualche minuto la bellezza di quella liberazione, con la dolce sensazione dei capelli che, mossi dal vento, mi accarezzavano la schiena.
Volevo andare fino in fondo, superare la paura che mi teneva bloccata ormai da anni, dovevo abbattere quel muro che avevo alzato attorno al cuore perché non smettesse di battere.
Ricominciai il lento massaggio, soppesando con attenzione i seni e gustando la piacevole sensazione che mi donava quel tocco.
Iniziai a scendere, arrivando al ciuffetto di peli scuri che faceva capolino in mezzo alle gambe e dischiusi le labbra diventando sempre più impaziente di andare oltre.
Supina, inizia a disegnare dei cerchi sul clitoride, in un crescendo di intensità che mi portò ad iniziare una lenta penetrazione.
Quanto mi mancavano quelle sensazioni di piacere, quell'abbandonarsi alle percezioni del tatto senza pensare a cosa sarebbe venuto dopo. Se c’è un momento nella vita nella quale non si pensa al futuro sono certa che sia quello del sesso, quando le sensazioni sono così prorompenti che a nessuno verrebbe in mente di chiedersi “e dopo?”. Il dopo non esiste, quella bolla scura nella quale ero racchiusa era ferma nel tempo, un tempo dove potevo fare l’amore con me stessa per ore, sentendomi libera, sentendomi viva.
Non provai mai più un orgasmo intenso come quello provato la notte in cui feci pace per sempre con i lati più reconditi del mio essere.
I desideri repressi si erano manifestati tutti in una volta sola, scacciando i demoni che mi avevano perseguitata fino ad allora.
Guardai il precipizio vicino a me.
“Non oggi.” Pensai rivolgendo lo sguardo al cielo pieno di stelle.
Mi addormentai così quella notte, in mezzo alla natura, nuda, con un piccolo sorriso che faceva capolino sulle labbra.
Mi ero salvata, anzi, lei mi aveva salvata, quella lei nascosta dentro di me che mi faceva compagnia quando il mondo mi voltava le spalle. Quella lei che sapeva sempre che regalo volessi per il mio compleanno, quali fossero i miei gusti e che sarebbe sempre stata la mia amante ideale.
Dovevo vivere per me. Per lei. Per noi.
Due ore di camminata tra salite e sentieri ripidi ma alla fine del percorso riuscivo sempre a rimanere a bocca aperta.
Quel lago è per me un rifugio dalla realtà, un piccolo angolo in questo vasto mondo dove posso sdraiarmi allegramente sull'erba morbida, chiudere gli occhi e dimenticare ogni problema.
Il mio piccolo rifugio si trova su un’altura che sovrasta il lago, nascosto da una fitta vegetazione che lo protegge dalle orde di turisti, i quali preferiscono la spiaggia.
Per questo ogni qualvolta mi sentivo giù di morale, prendevo il primo autobus e mi dirigevo lì dove nessuno sarebbe venuto a cercarmi.
Era da un po’ di ore ormai che, con un libro vicino, ascoltavo sdraiata le urla dei bambini in lontananza, il verso dei gabbiani, i rumori delle barche e il suono dolce dell’acqua che, formando piccole onde, andava infrangendosi contro gli scogli sotto di me.
Un venticello leggero mosse delicatamente gli steli d’erba, accarezzandomi dolcemente le guance e girando di qualche pagina il libro posato.
“Narciso” diceva il titolo a caratteri cubitali.
Quel mito aveva sempre esercitato un certo fascino su di me, un uomo che amava se stesso a tal punto da struggersi di dolore.
In un flusso di coscienza inarrestabile pensai che anche a me sarebbe piaciuto poter parlare con me stessa, una me stessa in carne ed ossa che mi aiutasse nei momenti difficili, che mi facesse compagnia quando mi tornava in mente quella sensazione quasi perenne di essere un pesce fuor d'acqua.
Infondo chi ci conosce meglio di noi stessi? E in quella immensa solitudine in cui versava la mia vita, quanto sarebbe stato consolatorio poter parlare a tu per tu con me stessa?
“Non sbaglierei mai il regalo di compleanno da prenderle, avremmo gli stessi gusti su tutto e sono anche sicura che sarei per lei un'amante ideale” pensai scherzosamente tra me e me.
“Da quanto tempo questa malinconia non ti abbandona?” questo pensiero riecheggiava prepotentemente nella mia testa.
“Troppo” risposi come se mi rivolgersi ad un interlocutore esterno.
“Chi è rimasto nella tua vita?”
“Nessuno”
“Sicura?”
“Tu”
“Perché sei qui?”
Sotto sotto lo sapevo, il vero motivo per cui salivo quell'altura non era certo il panorama o la voglia di stare sola, ah! Dio solo sapeva quanto volessi smetterla di essere sola!
Un piccolo passo e sarebbe tutto finito.
Quell'epifania mi spaventò, chiusi gli occhi, cercando di pensare ad altro e piano piano scivolai in un sonno profondo.
Quando mi risvegliai era notte fonda e non capii esattamente dove fossi, mi sentivo estranea al mondo, come in una bolla scura e fredda.
“Mi sono davvero buttata?” pensai.
In quella bolla c’ero solo io, il mondo racchiudeva solo me e ...me.
Una strana sensazione mi stava possedendo nel dormiveglia in cui ero ancora immersa, mi sentivo davvero in compagnia di qualcun altro ed ero certa che quel qualcun altro fosse lei, la me nascosta da troppo tempo.
Mi abbracciai, come per afferrare quella sensazione e non lasciarla più sfuggire e quel contatto mosse in me qualcosa che era stato congelato per un periodo sembrato lungo un'eternità.
“Da quanto tempo non ti prendi cura di te stessa?”
“Troppo.”
Le mie mani iniziarono a muoversi da sole e scivolarono sul corpo morbido.
Mi abbandonai a quelle sensazioni piacevoli che il loro tocco mi regalava quando scorreva con movimenti circolari sulle braccia, sulla pancia, sulle gambe...come un massaggio rilassante e lento.
Sentivo sotto le dita le cicatrici sulla pelle, il passato che non voleva più scomparire dal mio corpo e si faceva vivo ogni giorno trascinandomi nella disperazione. Mi fermai a lungo su quelle cicatrici, come per fare pace con loro, con chi me le aveva procurate, con me stessa per essermene data la colpa.
Quella profonda conoscenza che stavo maturando col mio corpo mi portava ad esplorarlo con maggior curiosità, scostando le spalline del vestito e liberando il busto dalla stoffa.
Sentivo il vento che accarezzava teneramente la pelle assieme alle mani che diventavano sempre più avide nel toccare, nello scoprire i punti più sensibili del mio essere, mentre si dirigevano verso il seno morbido, dove i capezzoli, a contatto con l’aria fredda, svettavano verso il cielo scuro.
Il contatto mi fece gemere e i tocchi diventarono sempre più decisi e desiderati.
Non avevo fretta, volevo che il mio processo di guarigione avvenisse con calma, perché non mi perdessi nemmeno una sensazione, un’emozione, un momento da stampare nella memoria.
Mi alzai in piedi e feci scivolare il vestito lungo i fianchi rimanendo in intimo, in mezzo agli alberi.
Posai con cura il vestito vicino a me e continuai con la svestizione, rimanendo completamente nuda.
Richiusi gli occhi ed in inginocchio assaporai per qualche minuto la bellezza di quella liberazione, con la dolce sensazione dei capelli che, mossi dal vento, mi accarezzavano la schiena.
Volevo andare fino in fondo, superare la paura che mi teneva bloccata ormai da anni, dovevo abbattere quel muro che avevo alzato attorno al cuore perché non smettesse di battere.
Ricominciai il lento massaggio, soppesando con attenzione i seni e gustando la piacevole sensazione che mi donava quel tocco.
Iniziai a scendere, arrivando al ciuffetto di peli scuri che faceva capolino in mezzo alle gambe e dischiusi le labbra diventando sempre più impaziente di andare oltre.
Supina, inizia a disegnare dei cerchi sul clitoride, in un crescendo di intensità che mi portò ad iniziare una lenta penetrazione.
Quanto mi mancavano quelle sensazioni di piacere, quell'abbandonarsi alle percezioni del tatto senza pensare a cosa sarebbe venuto dopo. Se c’è un momento nella vita nella quale non si pensa al futuro sono certa che sia quello del sesso, quando le sensazioni sono così prorompenti che a nessuno verrebbe in mente di chiedersi “e dopo?”. Il dopo non esiste, quella bolla scura nella quale ero racchiusa era ferma nel tempo, un tempo dove potevo fare l’amore con me stessa per ore, sentendomi libera, sentendomi viva.
Non provai mai più un orgasmo intenso come quello provato la notte in cui feci pace per sempre con i lati più reconditi del mio essere.
I desideri repressi si erano manifestati tutti in una volta sola, scacciando i demoni che mi avevano perseguitata fino ad allora.
Guardai il precipizio vicino a me.
“Non oggi.” Pensai rivolgendo lo sguardo al cielo pieno di stelle.
Mi addormentai così quella notte, in mezzo alla natura, nuda, con un piccolo sorriso che faceva capolino sulle labbra.
Mi ero salvata, anzi, lei mi aveva salvata, quella lei nascosta dentro di me che mi faceva compagnia quando il mondo mi voltava le spalle. Quella lei che sapeva sempre che regalo volessi per il mio compleanno, quali fossero i miei gusti e che sarebbe sempre stata la mia amante ideale.
Dovevo vivere per me. Per lei. Per noi.
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