Tempesta estiva

di
genere
sentimentali



La pioggia incessante aveva impregnato ogni lembo dei miei vestiti, penetrando in essi e appropriandosene egoisticamente.
I capelli, fradici, si erano attaccati alla fronte, al collo, e gocciolavano sulle mie mani, intente a coprire il viso mentre, seduta per terra, su un marciapiede qualunque, piangevo dirottamente.
L'ombrello, appoggiato poco distante, ballava seguendo le carezze dure del vento, e amplificava il rumore delle gocce che, assieme a me, si fondevano con la Terra in una danza triste e malinconica.


Le gocce che penetravano nel mio vestito scivolavano sulla pelle così come le mani di lui soltanto pochi momenti prima, veloci, decise, accendevano il fuoco della passione laddove lasciavano il suo tocco che tanto amavo.
I baci fugaci sul collo, il mio ansimare che si faceva sempre più disinibito e indecente, riempiendo la piccola taverna illuminata da una sola minuscola finestrella.
La penombra sembrava quasi nascondere il nostro atto di trasgressione al mondo, come una mezza tenda dietro al quale rifugiarsi ma che non offre protezione a quei sentimenti che non riuscivo a trattenere, nonostante il patto che io e lui avevamo stretto.
“Niente amore, é una relazione di solo sesso.”
Quelle parole riecheggiavano nella mia mente e non mi lasciavano tregua, così come i suoi movimenti sempre più veloci mentre iniziava l'ultima corsa prima del piacere.
Ogni colpo era per me una coltellata, ogni tocco una sentinella messa lì a ricordarmi la linea che non potevo oltrepassare.
Quello che vivevamo era per me una tempesta estiva: così intensa al punto da poter sradicare le fondamenta del mio essere più profondo, così fottutamente breve da non poter farglielo capire.
Un disastro, una catastrofica bellezza travolgente, senza alcun futuro.
Quel sentimento travolge una persona all'istante, annullando la ragione e spazzando via pensieri e programmi.
Come potevo combattere contro la natura, come potevo resistere alla voglia di stargli vicino, nonostante tutto?
Il vortice di passione mi travolgeva assieme alla consapevolezza di essere nient'altro che un mero oggetto nella sua mente, di essere un corpo senza nome, storia, memoria, eppure in quei minuti di idilliaca lussuria, riuscivo quasi a dimenticare la malinconia che pervadeva la nostra relazione mai esistita e mi lasciavo trasportare dal suo impeto e dalla sua voracità.
Mentre lui si spostava velocemente da un seno all'altro, ora giocando col capezzolo, ora succhiandolo, io mi sentivo amata, voluta, persa nella corrente del mio sentimento di amore e quindi di abbandono totale al mio lui, al mio demone, che profanava ogni centimetro della mia pelle senza fermarsi un secondo, senza amore, senza sentimento.
“Dopotutto questa situazione me la sono cercata” mi dicevo, cercando di convincermi che fosse tutto normale.
Ma poi, arrivò il giorno.
“Senti, questa era l'ultima volta.”
Mi aveva colto così di sorpresa che non ero riuscita a rispondere.
E poi, non ricordo nulla, se non la corsa disperata sotto la pioggia, mentre scappavo da lui, da me, dai pensieri, da quella taverna, dalla sensazione del suo tocco, dai baci, da noi, che non eravamo mai esistiti se non nella mia mente.


La pioggia continuava la sua caduta incessante e non provavo nessuno stimolo ad alzarmi.
Mi parve di percepire una sensazione di calore, prima di sentirmi in simbiosi con la Terra, con la natura, attraverso quelle gocce che, accarezzando prima la mia pelle, ricadevano dolcemente sul suolo.
“Un balsamo contro la sua presenza”
Ricordo che pensai questo.
Quelle gocce erano come una purificazione, una doccia consolatoria contro il menefreghismo dell'uomo che amavo, una carezza che cercava di cancellare il suo profumo dal corpo che aveva usato.
Le gocce sembravano ripercorrere ogni sua mossa, eliminandola: entrando nella scollatura e scivolando lungo seni, pancia, cosce, lasciando lungo il loro passaggio un calore che pareva provenire dalle stelle, dall'universo, da quel pianeta che sembrava aver assistito alla mia fuga precipitosa e cercava in qualche modo di consolare quella sua disperata piccola abitante.
Feci l'amore con la Terra quel giorno, e per quanto le ferite non si siano ancora rimarginate del tutto, quando mi alzai e ripresi il piccolo ombrello azzurro in mano, il mio corpo era percorso da un calore mai provato, una forza interiore che aveva inglobato e distrutto quel sentimento ingombrante che é l'amore, trasformandolo poi nel tempo in una triste e malinconica apatia.
Un meccanismo di autodifesa discutibile ma efficace, per le anime fragili, ferite continuamente dal mondo sempre più asettico in cui si ritrovano a vivere.
Con le gote rosse e le mani gelide, ripresi la strada di casa, lasciando in quelle gocce, ormai assorbite dal terreno, la parte irrazionale del mio essere, risucchiata nell'entroterra dove si univa a quella di mille altre persone, nell’enorme cuore del nostro piccolo mondo che, in quel momento, batteva all'unisono con il mio.





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scritto il
2017-08-13
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