Il ragazzo più fortunato del mondo (quarta parte)

di
genere
gay

Riassunto della puntata precedente.
David; 19 anni, capelli biondo platino, occhioni da cerbiatto, innamorato della vita e del cazzo, scopre la sua incredibile perizia nell’arte del pompino, ma decide di passare al livello successivo, dove impara a proprio vantaggio che il celebre “culetto che poche ragazze al mondo possono vantare” non è soltanto un modo di dire. Ma riuscirà il nostro eroe a reggere l’enorme appetito sessuale di Federico; 22 anni, stallone muscoloso e superdotato o sarà infine sventrato da quel ragazzo forte come un toro, bello come un Dio?


Erano trascorsi due mesi da quando avevo concesso a Federico la mia verginità ed erano sessanta giorni esatti che camminavo come John Wayne e questo rendeva il mio stallone orgoglioso. Quando passeggiavamo insieme, mi esponeva come un trofeo, pretendendo che fossi sempre ben vestito e in tiro per lui, ma non mi sarei mai sognato di fare altrimenti.
Amavo Federico; mi faceva sentire la sua regina, dentro e fuori dal letto, ma penso che mi avrebbe ucciso se non avessi intensificato il mio yoga.
Un giorno gli proposi di frequentare il mio corso e lui accettò con piacere; era curiosissimo di scoprire quale magia mi permettesse di sopravvivere al suo stupro quotidiano.
Ebbene, alla sua prima lezione si presentò con dei pantaloncini di un tessuto elasticizzato talmente aderente da non lasciare nulla all’immaginazione e la parte di sopra non ve la sto neanche a dire. Ci stava così stretto che quando respirava sembrava che gli addominali dovessero bucargli la canotta.
Ora: vuoi perché non si vede spesso un Michelangelo abbandonare il suo posto alla cappella Sistina, vuoi perché la sua coscia scolpita mostrava un massiccio rigonfiamento che la scortava per metà della sua lunghezza, fatto sta che il suo ingresso causò lo sconcerto generale. Le altre allieve (tutte ragazze) lo guardarono come se non avessero mai visto un uomo in vita loro, beh, certo, magari non un uomo come lui, e non ascoltarono una sola parola della mia lezione.
Federico invece mi guardava sornione, a metà tra il -Ma chi se lo aspettava? Non è colpa mia!- e il -Guarda cosa ho il potere di fare. Eppure ho scelto te!-
Ma se il maschione provoca, ricordi che anche il maschietto possiede le sue doti! Così presi a spiegare una nuova posizione, chinandomi a 90 gradi proprio sotto il suo naso e, tempo dieci secondi, fu costretto a scappare via, perché i pantaloncini non facessero la fine di una camicia dell’incredibile Hulk. Che delusione fu per le ragazze!
Ma al di là di qualche scherzetto innocente, IDOLATRAVO Federico e lui mi ricompensava rendendomi la principessa (o principessa puttana, a seconda) più felice del mondo e così ogni giorno era testimone del nostro amore che eternamente si rinnovava.
Al mattino ero sempre io il primo a svegliarmi, ma rimanevo qualche minuto a sonnecchiare tra le sue braccia muscolose. Il suo uccellone era sempre costantemente in tiro a contatto col mio corpo e dormiva infiltrato tra le mie gambe, così che, a una poco attenta analisi, potesse sembrare il mio.
Il mio uccellino invece riposava sopra il suo. E che lettone largo aveva! Persino da barzotto era più corto di quella parte del mostro che mi spuntava dalle cosce!
La bottiglietta di lubrificante (ne usavamo talmente tanto che cominciava ad essere una spesa, ma con un ettaro di cazzo da lubrificare e una mia probabile emorragia interna in caso di negligenza, era il caso di non farlo mancare mai) era diventata il nostro orsacchiotto di pelouche, così ne prendevo un pochino, spalmavo accuratamente e gli afferravo la cappella stringendola tra le natiche e, con un movimento ondulatorio (da ex ballerino sapevo il fatto mio) lasciavo che il suo ariete penetrasse la porta del mio desiderio. E così, soggiogato persino mentre il mio stallone dormiva e stretto il suo bicipite/coperta tra le mani, me la godevo una mezzora, mentre dal mio viso s’involavano ed esplodevano cuoricini come bolle di sapone.
Ma certo, quella goduria assurda era ben poca cosa senza la spinta del suo motore da mille cavalli, così, dopo essermi beato a sufficienza, mi svincolavo per svegliare il mio maschione e adempiere al primo dovere della mia giornata.
Ero delicatissimo, non volevo turbare il riposo del guerriero, ma era troppo bello giocare con il suo uccellone. Se con un dito gli premevo la venuzza, toglierlo era far saltare una diga. Il sangue irrompeva (se ne sentiva il suono, ragazzi) fino a renderlo un’arma impropria e mi ci schiaffeggiavo leggermente il visetto. Me lo premevo sul volto, lo coprivo di baci e cominciavo a leccare, ma era talmente lungo il percorso fino alla sommità, che la mia lingua si prosciugava già alla base della cappella. Ma la natura aveva fatto bene il suo lavoro, perché era talmente appetitoso il sapore acidulo del suo glande scoperto, che al suo contatto mi tornava l’acquolina e mi bagnavo su più fronti. Dieci secondi di pennellate e sbavavo come una cagna, trenta secondi e dovevo riprendere fiato, un minuto e il mio Adone apriva gli occhi.
Adorava la mia sveglia, diceva che non avrebbe mai più voluto iniziare la giornata in modo diverso.
L’unica cosa che non si spiegava era come mai si svegliasse già lubrificato.
-Sarà un segno del cielo!- Rispondevo con aria innocente.
-Sai che non credo molto a queste cose e poi non ce li vedo gli angeli a lubrificarmi il cazzo, cioè… ma lo sanno i superiori come passano la notte?-
-Sarai la dannazione del firmamento, amore mio. Comunque è sicuramente il residuo di ieri sera.-
-Allora ho fatto cadere un angioletto!- Diceva accarezzandomi. Mi sa che aveva capito.
Ma era Federico il vero angelo caduto, l’eroe che rinunciò al suo posto in paradiso per amore dei mortali. Il mio Prometeo soffriva infatti della perversione sessuale più altruista che si potesse immaginare. Niente lo eccitava quanto vedermi impazzire di piacere e vedere la mia espressione disarmata e sopraffatta dalla sua perfezione; quel ragazzo era veramente l’anello mancante tra il superuomo e Dio. Che dire; ci eravamo trovati.
Così, quando cominciavo a masturbarlo per dargli una prima calmata, lui si appoggiava spalle alla parete e, stiracchiandosi, si metteva in posa per me.
E io impazzivo. Ora si esibiva in un flex da farmi tremare le palle per il desiderio di leccare quelle catene montuose che sembravano poter trascinare un toro, ora univa i pugni gonfiando i pettorali possenti. Dio quanto mi eccitava vederli fuoriuscire dalla sua siluette, sovrastando il tronco snello,fasciato di muscoli egualmente perfetti. Oppure ruotava i polsi per mostrare dei tricipiti che erano l’invidia della palestra per dimensioni e definizione, o ancora fletteva gli addominali, sogno proibito di tutte le ragazze come me, e mi portava una mano sul ventre perché li sentissi contrarre al suo volere.
Ma la mia preferita era vedergli sistemare una mano dietro la testa. Così in una metà del suo corpo voluttuoso splendeva un pettorale immenso e turgido, che strabordava dalle dita anche a prenderlo con tutte e due le mani e, nell’altra, fuoriusciva un dorsale che avrebbe fatto cagare sotto Capitan America e, gonfiando il bicipite, ci passava sopra la punta della lingua o posava le labbra in un bacetto, mantenendo lo sguardo su di me per non perdersi un secondo della mia estasi. In quella posizione passava quindi un piede sul mio uccellino e lo carezzava dalla base alla punta e dalla punta alla base, vietandomi di venire o i suoi muscoloni “me l’avrebbero fatta pagare”. Ma non riuscivo quasi mai a resistere e questo lo eccitava da morire.
Vedendomi in quello stato tra l’agonia e il visibilio, mi afferrava allora per i capelli e portava la mia bocca al suo cazzo, dicendo: -Magari oggi riesci a prenderlo tutto!- Ma pensare di arrivare a toccare con le labbra i peli del suo pube era semplice utopia. Sarei morto soffocato almeno cinque centimetri prima o per l’ulcera se fossi riuscito a raggiungere il traguardo.
Al che lo spompinavo per bene. Ero proprio bravo, niente da dire; lo riducevo quasi come lui era in grado di fare con me. Mugolava, strillava e prendeva a pugni il letto o spiegazzava il materasso dagli angoli, non sapendo come sfogare la sua eccitazione, finché non esplodeva. Federico adorava venire sia sul mio visino da efebo (e poi mi obbligava a restare così per ore, cosa che adoravo) sia che provassi a ingoiare, ma tanto il suo getto era così grandioso e violento che non riuscivo a trattenerne in bocca che una metà, mentre il resto schizzava via gorgogliando.
Seguiva un'abbondante colazione a letto. Non la preparavamo mai insieme, ma era sempre l’uno a portarla all’altro. Era un servizio che entrambi adoravamo e che ci contendevamo ogni mattina. Mi faceva sentire bene servire il mio maschione arrapante, ma anche lui preferiva portarmela al farsela portare, perché voleva essere il mio cavaliere perfetto. Così ero contento di servirlo, ma anche di esserne servito, perché questo lo rendeva felice.
Quindi mi possedeva selvaggiamente. A meno che, prima non fossi riuscito ad obbedire al suo comando di non eiaculare. In tal caso, manteneva la promessa e armava il suo corpo invincibile contro di me.
-Principeeeessa?! Perché prima mi hai disobbedito?-
-Non è colpa mia! È che non posso resisterti! Nessuno potrebbe!-
-Niente scuse. Lo sai adesso cosa ti fanno questi??- E fletteva un bicipite da far spavento da sotto i pettorali o si “bussava” sul marmo del ventre.
-No, no, ti prego!- E gli baciavo il cazzo per chiedere pietà.
-Va bene, allora, visto che sei una principessa devota e mi sento magnanimo, ti concedo due minuti di vantaggio.- E prendeva posizione sopra il letto, statuario, con entrambe le mani sui fianchi. Avrei voluto fare un corso di pittura e ritrarlo in quel momento. Era il mio eroe, il mio imperatore, il mio…
-Sì, sono figo, l’abbiamo capito. Smetti di sbavare e sbrigati che due minuti passano in fretta!- E così partivo all’attacco. Federico si divertiva un casino a veder infrangere i miei tentativi di smuoverlo da lì. Sudavo come una bestia e qualche volta provai anche a colpirlo, ma sarebbe stato più facile staccare a mano una colonna dal panteon che muovergli un braccio contro la sua volontà.
-E adesso è il mio turno.- Dichiarava, scaduto il termine. Per me era la frase più arrapante del mondo, eppure, a sentirla, il mio cazzo si nascondeva dalla paura. Ero un piccolo pavone che ritirava la coda davanti allo strapotente maschio alfa.
Da quel momento in poi ero in sua totale balia: mi sollevava come un bilanciere e faceva ripetizioni, spalmava il mio volto sulla muraglia dei suoi addominali, mi intrappolava tra le cosce e si passava annoiato la mani tra i capelli o si metteva in posa, gonfiando uno o entrambi i bicipiti di pietra, dove le vene sgorgavano come cristallo di rocca.
Quella era un’operazione “mortalmente” sexy, perché non si rendeva conto di serrare troppo le gambe e mi spremeva come un tubetto di dentifricio, sorridendo ai miei goffi tentativi di sottrarmi facendo leva con le braccia o colpendo le fasce invulnerabili che mi tenevano prigioniero.
Quella tra noi non era una sfida, come non lo sarebbe stata a testate tra una pecorella e un toro da monta. Qualche volta mi mise persino sulle ginocchia per sculacciarmi e non pensiate che non provassi a liberarmi! Ma più che belare, povera pecorella, che potevo fare? Infine mi buttava sul letto e, bloccandomi polsi e caviglie, mi penetrava da bravo toro col suo cazzo impossibile. Più sottomesso di così…
-Beh, non so cosa ne dica l’arbitro, ma credo di aver vinto.-
-Se pensi che mi arrenda proprio ora… devi essere pazzo!- Quindi mi possedeva selvaggiamente.
Qualcuno potrebbe pensare che oramai mi fossi abituato a prendere quella belva nel culo e che il mio svenimento della prima volta fosse dovuto soltanto all’inesperienza. Niente di più sbagliato! Nulla eccitava Federico quanto ridurmi in quello stato di morte apparente. Dopo aver visto cosa era in grado di fare, non provava neanche a venire finché non mi avesse del tutto sopraffatto, soverchiato e annientato con la sua immensa forza e mascolinità. Ogni fibra del suo corpo era protesa al mio piacere, ogni muscolo pulsava tremando per la mia completa sottomissione e mi rovesciava perché potessi guardarlo mentre mi arpionava col suo cazzo gigantesco. Mi schiacciava affondando tra le mie gambe aperte.
-Cazzo, stallone ma come fai? OH DIO, PIETA'! AAAAH, AAAAAAAAAH, SIIIIIIIIIIII'!-
Venivo in continuazione, non potevo fermarmi; godevo come una scrofa!! E questo finché non mi afferrava tra le mani e il mio intero corpo diventava una semplice appendice, carne allo sbaraglio, proseguimento della mano con cui si masturbava ed io cedevo, perdendo i sensi come il poeta davanti alla grazia redentrice. Con il mio si perdeva anche lo sguardo di Federico, finalmente libero di venire, padrone assoluto del mio regno più profondo.
Prima ho scritto “godevo come una scrofa” per definire la mia estasi, ma temo sia del tutto inesatto, perché non ho mai sentito dire di scrofe svenute dal piacere. Ma è difficile trovare termini di paragone quando si ha a che fare con l’ineffabile. Non si può dire “alto come l’Everest” a 50 km da terra, o “veloce come la luce” viaggiando indietro del tempo. Allo stesso modo sarebbe fuorviante affermare: “godevo come una creatura vivente” facendo l’amore con il mio ragazzo.
Ma comunque sia, il tempo di riprendermi e me lo mangiavo di coccole. Ci tenevo tantissimo; erano il mio ringraziamento per quello che aveva appena fatto ed era fondamentale capisse quanto “a fondo” ero soddisfatto del trattamento regale che ogni giorno mi riservava.
Così cominciavo sempre velocissimo, dovevo sembrare pazzo. Penso che nei primi trenta secondi potessi dargli non meno di una novantina di baci, sparsi in tutto il corpo e questo lo galvanizzava. Poi rallentavo per godermi il contatto dei suoi muscoli sulle labbra.
Federico in quei momenti chiudeva gli occhi e sorrideva mentre si lasciava baciare e, arrivato al viso, mi porgeva la guancia o il mento perché continuassi. Capitava che gli tornasse ancora duro dopo un po’ di questo servizio, non tanto per i baci in sé, ma perché lo facevo con tanta di quella sincera gratitudine che sentiva ogni volta d’aver superato sé stesso.
Dopo la terza eiaculazione eravamo abbastanza sicuri di poter passare almeno qualche ora insieme senza correre il rischio di rendere improduttiva la giornata. Purtroppo bisognava mettersi a studiare e questo spiega l’importanza della routine del primo mattino.
Così, ci mettevamo al tavolo, Fede posava un piede sopra il mio (il territorio è pur sempre il territorio), ci salutavamo con un sorriso e sprofondavamo sui libri.
Non capitò mai che la prima interruzione fosse per il pranzo. Uno dei due a un certo punto cedeva e questo poteva capitare a entrambi. Se ero io, cominciavo a scivolare sotto il tavolo per adorare il suo cazzo con una devozione che sfiorava il fanatismo. Se invece era lui, mi prendeva di peso e mi portava in camera, scaraventandomi sul letto, incurante che fossi a metà di un capoverso. Ma non ricordo di aver mai protestato. Gridato, questo sì.
Dopo pranzo: palestra! Federico era inamovibile su questo punto, non la saltammo un solo giorno e francamente, visto l’effetto che gli faceva, non avevo nulla da obiettare. Non ho idea di come riuscisse a caricare quei pesi astronomici, svuotato di testosterone com’era. Io, dopo la nostra "routine” facevo fatica sollevare i pesetti fuxia da 4 kili! Così mi ripromisi un giorno di astinenza per vedere cosa sarebbe stato in grado di fare il mio toro a pieno regime.
Il giorno del nostro secondo mesiversario restai a lungo ad osservarmi allo specchio dello spogliatoio. Stavo diventando proprio un gran figo! Non che fossi mai stato da buttare (sarò presuntuoso, però è la verità), bei capelli biondo chiaro, nasino greco, occhioni azzurri, ma adesso cavolo! In due mesi di sesso sfrenato e palestra ero diventato sodissimo! Persino il culetto mi si era alzato e quello era sempre stato il mio pezzo forte.
Certo, confronto al mio uomo ero ancora niente e lui si divertiva a farmelo notare.
-Com’è sexy la tua panzetta, tesoro.-
-PANZETTA?? Ma che dici? Guarda che tartarugone sto facendo!-
-Ah sì, scommettiamo? Mettiti seduto.- E mi abbassava forzandomi una mano sulla spalla, così che un paio di rotolini si mangiassero il duro lavoro degli ultimi mesi.
-Va beh, ma è normale da seduti!-
-Io non direi.- Al che mi si sedeva di fianco, mostrando degli addominali su cui si sarebbe potuta stappare una bottiglia di birra.
Solo a fine allenamento ci si separava. Concedendo a sé stessi quella necessaria libertà di cui ogni relazione ha bisogno, ma i miei amici si scocciarono ben presto di sentirmi parlare solo di Federico. E, arrivata la sera, dopo il corso di yoga, le pecore tornavano arrapatissime all’ovile.
Di solito a quell’ora lo chiamava la madre: -Ciao ma’, come stai?- Adoravo il modo che aveva di chiederlo; non era la solita domanda retorica, ci teneva davvero a sapere di lei. Mi faceva tanto pensare alla canzone di Hercules: “…perché hai dentro un gran cuore e non solo muscoli!” Così lui usciva dalla stanza ed io cominciavo a vedere un film, ma non riuscii mai ad andare oltre il quarto d’ora iniziale. Il cartellone non dava che la mia sodomizzazione su tutti i canali e a tutte le ore e noi non ci perdemmo una replica. Quindi, consumati d’amore, l’uno negli occhi dell’altro, così vicini da percepire il calore intrecciato delle nostre parole, ci inoltravamo nelle dichiarazioni più stucchevoli e porche di cui noi piccioncini fossimo capaci e ci addormentavamo abbracciati, vinti dall’immensa gioia d’aver vissuto un’altra giornata insieme e nella segreta speranza di potersi sognare.

Continua…
scritto il
2017-09-21
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