I sassi di Kamiros (cap.2 di 2)

di
genere
sentimentali

Ora Lucy gemeva più forte: le sue mani si accarezzavano il seno, tormentandosi i capezzoli.
L’eccitazione la rendeva ancora più bella, ancora più splendente, come una nuvola illuminata dai raggi del sole al tramonto.
I biondi capelli che le sfioravano le spalle, la pelle luminosa, lievemente scurita dal sole, i segni più chiari del costume a sottolineare la sua fantastica nudità: non ho più incontrato in vita mia una donna così bella e sensuale, con un fascino così straripante da stordirmi e lasciarmi confuso.
Le infilai le mani sotto le natiche e la sollevai leggermente, mentre lei si divaricava le labbra della vagina con le dita, offrendola aperta ed invitante alla mia bocca impaziente.
Iniziai a leccarla, cercando il suo clitoride indurito e bevendo i suoi umori, dolci del suo sapore e salati dall’acqua di mare; e quando raggiunse l’orgasmo, fummo entrambi travolti dalla sua straordinaria intensità.

Mi sdraiai accanto a Lucy e appoggiai le mie labbra sulle sue, perchè volevo sentisse il sapore che il suo piacere mi aveva lasciato.
Ci guardammo in silenzio per alcuni istanti, e poi sentii la sua mano scivolare sul mio pene dolente: me lo massaggiò lievemente per un pò, poi si mise in ginocchio di fronte a me e mi tolse il costume.
Le sue mani presero a masturbarmi, dapprima lentamente, poi con più rapidità, ed io ero in paradiso vedendo quelle sue erotiche mani, dalle lunghe unghie smaltate di rosso, scivolare meravigliose sul mio pene eretto e fremente.
E quando Lucy si accorse che stavo per venire, si piegò in avanti e mi avvolse tutto tra le sue morbide labbra, iniziando nel contempo a masturbarsi.

Prigioniero della sua lingua, le schizzai il mio piacere nella bocca, mentre lei veniva una seconda volta nella sua mano.
E quando Lucy mi baciò non capii se il sale sulle sue labbra veniva dal mio seme o dal mare.
Ma capii perfettamente, e senza alcuna ombra di dubbio, che mi ero innamorato perdutamente di lei.

Il giorno successivo era quello in cui Lucy sarebbe partita.
Il suo traghetto per il Pireo avrebbe preso il mare quella sera, e quindi ci prendemmo tutto il giorno per noi due, non volendo perdere neanche un minuto delle poche ore che ancora ci restavano.

Portai Lucy a Kamiros, una piccola spiaggia che solo i locali conoscono, una stretta striscia di sabbia e ciottoli fuori dal tempo e dallo spazio, senza un passato e senza un futuro.
Scogli, sabbia, sassi, mare.
E noi due.
Appena arrivati facemmo il bagno, e in pochi istanti eravamo nudi, e in un attimo ero dentro di lei.
E mentre il mio pene era stretto deliziosamente dalle sue accoglienti pareti, e mentre la sua vagina mi abbracciava e mi amava, i nostri cuori silenziosamente, con paura e con rabbia, piangevano tutta la loro disperazione.
Mentre i nostri corpi si davano a vicenda tutto il piacere possibile, le nostre anime si straziavano al pensiero che tutto stava irrimediabilmente finendo.

Seduti su una piatta roccia, poco prima di andare via e di riaccompagnare all’albergo Lucy, lei raccolse un sasso rotondo e mi disse: - Questo è il peso che sento di avere nel mio cuore. Ti prego, conservalo. Così ti ricorderai di me. -
E così dicendo mi appoggiò il sasso nel palmo della mano.
Ero disperato.
Ed ero pazzo di lei.

Anche io raccolsi un sasso rotondo che simboleggiasse il mio peso nel cuore e lo diedi a Lucy.
- Così anche tu potrai ricordarti di me… -

Una lacrima le scendeva lungo la guancia mentre serrava nel pugno il sasso che le avevo dato.
La baciai, leccandole via quella lacrima solitaria, mentre la spiaggia di Kamiros sembrava trattenere il respiro anche lei, forse per non piangere insieme a noi.

E la giornata passò.
Troppo velocemente per il nostro giovane amore.
Troppo velocemente per tutto quello che provavamo uno per l’altra.

La sera, di fronte al traghetto, nell’inevitabile confusione che precede le partenze, ci abbracciammo a lungo, incapaci di capire come tutto potesse essere successo in soli tre giorni.
Parlammo poco: qualche banalità (il prossimo anno ritorno, prima o poi verrò a Londra, non ti perdere il mio indirizzo) e tanto, tantissimo silenzio.
Sapevamo entrambi che un amore appena iniziato era già finito.
Inevitabilmente.

Quando fu il momento di salire a bordo, Lucy, il volto inondato di lacrime, mi strinse ancora più forte.
La baciai ancora una volta e le misi al collo un laccetto di cuoio con appesa una conchiglia.
- Tienila sempre al collo. In questa conchiglia c’è tutto il mio amore per te - le dissi, la voce ridotta ad un sussurro.
E poi lei andò via.
Da me.
E dalla mia vita.

Rimasi sul molo a vedere il traghetto che si allontanava, e in quel momento odiai quel mare che amavo fin da bambino, quel mare che era una parte imprescindibile della mia esistenza, quel mare che ora me la stava portando via. Per sempre.
E quando le lacrime mi arrivarono alle labbra, mi accorsi che erano salate come le gocce di acqua di mare che avevo baciato sulla pelle della donna che ora sapevo di amare con tutto me stesso.
Restai lì, da solo, in cima a quell’ultimo molo, fino al momento in cui il traghetto divenne un minuscolo puntino sull’orizzonte: poi, le ombre della sera, lo cancellarono definitivamente alla mia vista.

Sono passati dodici anni da quei giorni, e di Lucy non ho più saputo nulla.
Il tempo aiuta a dimenticare, e dimenticare vuol dire soffrire di meno.
Ho sempre pensato a lei, in questi anni, e in certe giornate sento la sua mancanza come se Lucy fosse appena andata via.

Ma ieri, per posta, mi è arrivato un piccolo pacchetto.
Sopra, con una grafia nitida e precisa, il mio nome e il mio indirizzo.
L’ho aperto e vi ho trovato una fotografia di Lucy, più donna e più bella che mai. Accanto a lei si vede un uomo sorridente.
Lucy tiene in braccio un bimbo di pochi mesi e un altro, di tre o quattro anni, biondo come la madre, è seduto ai suoi piedi.
Una famiglia felice.
Un papà ed una mamma, orgogliosi ed innamorati.
E mi trovo a sorridere, perché dalla foto vedo che Lucy ha ancora al collo la mia conchiglia.

Nel pacchetto, avvolto in un pezzettino di stoffa verde, c’è anche il sasso che Lucy si era portata via, il mio peso nel cuore.
E ora, a distanza di dodici anni, comprendo ancora perfettamente cosa vuole Lucy che io faccia per noi.

La spiaggia di Kamiros è senza tempo, senza un passato e senza un futuro.
Scogli, sabbia, sassi, mare.
Ed io.
Da solo.
Con i miei ricordi.
E con il cuore ancora gonfio d’amore e nostalgia.

Mi siedo sulla roccia che ci ha visti innamorati tanti anni fa, per quei pochi istanti di felicità che il fato ci aveva concesso, e dalla tasca della giacca tiro fuori i nostri due pesi nel cuore.
Quei due ciottoli, lisci, tondi e levigati dal mare che hanno rappresentato, per dodici anni, gli stretti confini di un impossibile amore di poche ore.
Lucy è riuscita a togliersi il suo peso dal cuore.
Io invece no.
Forse domani ci riuscirò.
Magari fra un mese. O un anno.
Chissà.

Me le rigiro in mano ancora una volta, pietre lisce e dagli spigoli invisibili, guardandole e pensando a lei, sopraffatto, come sempre, dal suo ricordo.
Con l’altra mano tengo la fotografia che Lucy mi ha inviato, immaginando che in un altro mondo e in un’altra vita avrei potuto avere lei, il suo sorriso ed il suo amore.
Ma in questa vita ho di lei, adesso, solo una fotografia.
Della donna che ancora amo e che non devo più amare.

Tendo il braccio e lancio in mare i due sassi, i nostri sassi, tra le onde, per rimettere tutto al suo giusto posto.
Spariscono in un attimo.
Per sempre.
Un’onda s’infrange sulla riva sollevando bianchi e spumeggianti spruzzi.
Ciao, Lucy.
Ti amo come allora.
Ma tu non lo saprai mai.

Guardo il mare un’ultima volta.
E in quest’acqua verde e così cristallina vedo scritto il nostro destino.
Accosto la fiamma dell’accendino ad un angolo della foto.
Un filo di fumo viene portato via dal vento, mentre la fiamma divora la carta.
Ciao, amore mio.
Non saprai mai che il mio cuore si è fermato una sera di dodici anni fa.
Per te.

E finalmente, ora, queste lacrime che scorrono sul mio volto, che bagnano la mia pelle riarsa dal sole, che scivolano sulle mie guance segnate dalla salsedine, non mi sembrano più salate.
Sono dolci.
O amare.
O forse alcune sono dolci ed altre amare.
Come è dolce il tuo ricordo.
E come è amaro il rimpianto.

Scogli, sabbia, sassi, mare.
Anche Kamiros piangerebbe, se potesse.
Addio, amore mio.
Addio per sempre.

Fine

diagorasrodos@libero.it
scritto il
2011-03-05
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