I sassi di Kamiros (cap.1 di 2)

di
genere
sentimentali

Era l’estate del 1993.
Luglio.
Il sole ed il caldo abbracciavano l’isola in una morsa feroce.
L’estate mediterranea.
L’estate greca.
Quell’estate lunga e meravigliosa, uguale tutti gli anni, eppure sempre diversa, sempre accecante, sempre profumata, quasi cristallizzata nella sua inconfondibile bellezza.
E il mare trasparente a fare da sfondo.

Conobbi Lucy in banca.
Lei vi si era recata per cambiare delle sterline in dracme.
L’impiegato, in un inglese stentato e macchinoso, non riusciva a spiegarle i termini dell’operazione, e la ragazza era in palese difficoltà; trovandomi in fila subito dietro di lei, e conoscendo l’inglese alla perfezione, reputai doveroso intervenire, spiegandole cosa l’uomo cercasse di dirle.
Lucy mi ringraziò per l’aiuto, prese finalmente le sue dracme e uscì dalla banca.
A ripensarci oggi, credo proprio che bastarono quei pochi minuti per farmi innamorare di lei.
Era una ragazza semplicemente splendida, bionda e slanciata, e con due occhi più verdi del mare di Grecia.
Quando uscii dalla banca, lei, ovviamente, non c’era già più, ed io me ne andai per la mia strada, convinto di non incontrarla di certo una seconda volta.
Ed invece la rividi.
Nel tardo pomeriggio del giorno dopo il destino mi fece incontrare di nuovo Lucy.

Ero andato al porto turistico, come del resto facevo molto spesso, ad aiutare un amico a lavare la sua barca e, tornando verso casa, vidi Lucy seduta ai tavolini di un caffe’, in compagnia di altre due ragazze.
Anche se da lontano, mi resi immediatamente conto che la ragazza era ancora più bella di come la ricordavo: il viso perfetto, gli occhi verdi ora celati dagli occhiali da sole, il seno racchiuso in un top turchese, le lunghe gambe lievemente abbronzate, tutto le conferiva un fascino indiscutibile e straordinario.
Non so come, ma anche lei mi riconobbe e mi sorrise.
Non persi ovviamente l’insperata occasione, e mi avvicinai al loro tavolo.
Dopo esserci presentati, le tre ragazze m’invitarono a bere qualcosa con loro e Lucy spiegò alle amiche (inglesi anch’esse) di come ci eravamo conosciuti il giorno precedente.
Parlammo del più e del meno, della loro settimana di vacanze che ormai stava volgendo al termine, e delle loro impressioni sul loro viaggio in Grecia.

Le due amiche di Lucy erano entrambe delle gran belle ragazze, ma di una bellezza diversa rispetto a quella della ragazza che così tanto mi aveva colpito; una bellezza sicuramente meno discreta, più aggressiva e, forse, più vistosa che reale.
Lucy era invece delicata, semplice ed affascinante, dolce e conturbante al tempo stesso.
Era una donna che ti attraeva inesorabilmente, e non solo fisicamente: non la conoscevo che da pochi minuti e già rimpiangevo di non averla incontrata prima.
Mi stava letteralmente stregando, senza fare però nulla per stregarmi.
Era semplicemente così.
Ed i miei occhi non riuscivano quasi a staccarsi da lei.

Mi raccontarono che il loro viaggio organizzato era stato piacevole, ma che, proprio perchè organizzato sin nei minimi dettagli, le aveva in parte private del conoscere gli usi e le tradizioni locali, i sapori e gli odori della cucina greca, i tratti di mare nascosti al turismo di massa, i panorami mozzafiato delle nostre isole incantate.
Avevano ancora solo due giorni di vacanza, e questo era un pò il loro rimpianto.
Le tre amiche mi stavano dando il pretesto, servito su un piatto d’argento, di poterle incontrare ancora una volta.

Emozionato, neanche fosse la prima volta che mi capitava di fare la corte ad una ragazza, dissi loro che in due giorni avremmo potuto rimediare a quelle mancanze di cui un pochino si stavano lamentando.
Non essendo propriamente presentabile dopo aver lavato una barca, proposi loro di rivederci verso le dieci di quella sera stessa.
Le avrei portate volentieri a cena in un locale greco, per far loro assaggiare un pò di cibo e d’atmosfera locale.
Con mia grande gioia, accettarono subito con entusiasmo, e Lucy in modo particolare.

All’ora stabilita, passai al loro albergo a prenderle con l’auto.
Lucy era stupenda nella sua semplicità: con una normalissima maglietta azzurra ed un paio di pantaloni bianchi di cotone mi lasciò veramente senza fiato.
Non so se sia vero che alcune donne, qualunque cosa indossino, siano sempre e comunque meravigliose; ma se questo è vero, Lucy era certamente una di quelle donne.
Anche le amiche di Lucy erano indubbiamente desiderabili, ma io non le vidi neppure.
Quella sera ebbi attenzioni solo per lei, per Lucy.
Il mio olfatto s’inebriò solo del suo profumo, le mie orecchie ascoltarono solo la sua voce, i miei occhi non si stancarono mai di posarsi su lei.
E con mio grande stupore (ed anche un pò di timore), il mio cuore iniziò a battere solo per lei.

Le portai da “Christos”, un locale di un villaggio nel centro dell’isola, un piccolo paesino fuori da ogni rotta turistica.
Per le ragazze fu una cena veramente memorabile.
Dopo le varie portate di tutti gli antipasti greci, arrivò il pesce, cucinato in mille modi diversi, uno più delizioso dell’altro.
La musica suonata da un’orchestrina faceva da piacevole sottofondo alla serata.
Poi iniziarono le danze e le ragazze vollero provare a ballare il sirtaki.
Cindy ed Helen, le amiche di Lucy, trovarono in Dimitri e Nikos (due ragazzi con i quali andavo a pescare spesso d’inverno) i loro cavalieri, mentre io mi dedicai interamente a Lucy.

Quando fummo tutti stanchi del sirtaki, l’orchestrina attaccò con i lenti e fu così che Lucy finì tra le mie braccia per la prima volta.
Allora avevo ventisette anni (e lei ne aveva ventidue), e non era certo la prima volta che ballavo con una ragazza che mi piaceva.
Eppure era come se fosse veramente la prima volta: la tenevo abbracciata con delicatezza, quasi avessi paura di fare qualcosa di sbagliato e di rovinare quella magica serata, quasi temessi di sciuparla, e di sciupare quel qualcosa che indiscutibilmente si andava creando fra di noi.
Perché era evidente che Lucy si sentiva lusingata dalle mie attenzioni, come era altrettanto chiaro che io le piacessi: e non poco, in verità.

Ballammo non so per quanto tempo, guardandoci spesso negli occhi, quasi senza parlare, ma dicendoci tutto lo stesso con quegli sguardi.
La serata passò troppo in fretta, e quando giunse l’ora riaccompagnai Lucy e le amiche in albergo, con la promessa di rivederci il giorno successivo e di trascorrere l’intera giornata sulla barca di Nikos.
Quando le amiche si allontanarono, strinsi a me Lucy e le sfiorai le labbra con le mie, coronando il sogno che da ore mi vorticava insistente nella testa.
Lei mi sorrise e andò via.

Eravamo partiti di buon mattino per raggiungere, con un paio d’ore di navigazione, la vicina isola di Symi.
Avevamo ormeggiato la barca in una piccola baia deserta, lontano da tutto e da tutti.
Subito c’eravamo tuffati in quelle fresche acque cristalline, giocando e scherzando tutti insieme, neanche fossimo dei bambini.
Poi Lucy ed io avevamo nuotato fino a riva, lasciando la compagnia, e, mano nella mano, avevamo raggiunto un tratto di roccia piatto e levigato, l’ideale per potersi sdraiare a prendere il sole.
Vicini uno all’altra, cullati dalle onde che schiaffeggiavano lo scoglio, parlammo a lungo di noi, dei suoi studi in Inghilterra, del mio lavoro estivo di guida turistica, della sua famiglia e della mia, delle sue passioni e delle mie ambizioni.
Parlammo delle nostre vite, così distanti e così diverse.
E quando finalmente ci baciammo, sembrò non esserci più nulla attorno a noi.

Il sole sfavillante di quella giornata estiva forse impallidì, il mare sembrò calmarsi, il vento divenne una tenue brezza.
Solo quel contatto tra le nostre bocche sembrava esistere.
Le nostre lingue si esplorarono, prima quasi timorose, poi sempre più audaci.
Feci scorrere la mie labbra sul suo collo e la sentii vibrare di piacere e di desiderio.
Fremevano i nostri corpi e battevano veloci i nostri cuori.

Lucy si tolse il reggiseno, offrendosi ai miei baci appassionati.
La presi per mano e la feci alzare, portandola al riparo di un’altra roccia, lontano dagli eventuali sguardi dei nostri amici.
In quella specie di rifugio, ripresi a baciarle il seno e a leccarle i turgidi capezzoli, per poi scendere verso l’ombelico, disegnando con la mia lingua umidi ornamenti sulla sua pelle bollente.
Sentii il suo respiro farsi sempre più affannoso: la guardai in viso e nella sua espressione lessi la passione e l’amore, il desiderio e la gioia, la fantastica consapevolezza di essere in una magia, di vivere in una favola che non è stata mai raccontata.

Lentamente le feci scendere le mutandine del costume, facendole scorrere lungo le sue gambe lisce e morbide, fino a sfilarle completamente dai piedi: quindi le baciai il ventre e l’interno delle cosce, e poi ancora le gambe, e la mia lingua indugiò a lungo sul braccialetto dorato che le cingeva la caviglia, per poi risalire lentamente lungo il polpaccio.
La mia erezione era quasi straziante, ma volevo resistere il più a lungo possibile per donare a Lucy tutto il piacere che lei desiderava, per regalarle quella parte di me che con le altre ragazze non era mai emersa, per farla sentire veramente unica e speciale, come era per me lei in quel momento.

- continua -

diagorasrodos@libero.it
scritto il
2011-03-05
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