La tua pietra è l'agata

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interviste


La bruja.
La strega degli amuleti.

La tua pietra è l'agata, mi disse, dopo che ebbe esaminato i piccoli ciottoli simili a delle rune nordiche che aveva gettato nella ciotola.
Mi porse la piccola pietra grezza nera... l'agata, l'onice nero.

Ti infonderà forza d'animo.
Ti proteggerà dai pericoli connessi ai viaggi.
Radicherà le tue energie ed entrerai in sintonia con le forze della natura. Bilancerà le energie della mente e del corpo, ti conferirà vigore fisico permettendoti di affrontare ogni impresa con una maggiore convinzione nelle tue capacità.
La sua influenza agirà come un tonico permettendoti di affrontare le paure e le preoccupazioni con decisione e di sentirti a tuo agio in qualunque ambiente circostante, comunicherai con sicurezza e diminuirà lo stress.

E' un grande talismano contro la sfortuna.
Ricorda... mi disse ancora con la sua voce simile ad una litania,
è una pietra femminile, rimanile fedele e ne sarai appagato.
Incastonala in un anello e portalo sul medio della mano derecha.
L'anello deve essere in oro.
E l'oro deve essere vecchio, vissuto.
Più è vissuto, più vite ha attraversato nella sua esistenza maggiore sarà il potere dell'amuleto. Più morti e disgrazie ha vissuto meglio ti proteggerà.

Ne avrai bisogno, hai un brutto futuro... muy malo.

Ho una vecchia moneta... dissi io aprendo la camicia e mostrandogliela, ha visto più morti questa che la falce della Signora in Nero, è un vecchio doblone fuso con l'oro rapinato dai Conquistadores, l'oro pregno del sangue dei Maya, l'oro artefice del loro sterminio, l'oro trasportato a spalla alla nave per la Spagna da innumerevoli uomini non più liberi, falcidiati dalla fatica e dalla sofferenza, i corpi dei caduti abbandonati lungo la carretera de oro e poi il naufragio con altri morti quando si inabissò il galeone Notre Dame de la Deliverance che trasportava 15 mila dobloni tra i quali il mio, migliaia di lingotti, forzieri di polvere doro e molto altro ancora.
Bastano come morti?

I suoi occhi erano diventati specchi di lava nera e io ne sprofondai dentro.

Buena sorte... buena sorte... buena sorte.

Feci fondere la moneta e fare l'anello con l'agata, lo misi al medio della mano destra e lo dimenticai, forse mi protesse e forse no, forse era superstizione la mia, forse fu solo la fortuna che spesso mi salvò la vita.
L'anello vide altre morti non meno crudeli di quelle viste prima.

Poi incontrai te.
La mia strada era buia... senza luce.
E tu me la illuminasti, tu eri la luce del sole, della luna e di tutte le stelle.
Mi facesti rivivere, rinascere, non più dal grembo inaridito e ingrato di mia madre ma dal tuo... generoso e gioioso.
I giorni... che si prolungavano nelle notti e rinascevano ancora all'alba del nuovo giorno, le lunghe ore passate insieme, mai sazi, i miei lombi instancabili che percuotevano le tue rotondità, i baci interminabili che avevano inizio dalla tua bocca e terminavano sui tuoi piedi, passando per il paradiso che avevi fra le cosce... fra le natiche... inoltrandosi nella valle tra le dolci colline che era il tuo seno e poi ancora lungo il dorso arcuato... la perfezione miracolosa che era il tuo sedere, il collo... la nuca.
Quanto mi sono dissetato alla tua fontana che continuamente sgorgava fiumi di nettare!
E quante ore con la bocca unita al tuo garofano scuro in un contatto senza fine!
E averti...
interamente...
anima e corpo...
e averti...
e i tuoi gemiti...
le tue urla di piacere e in risposta i miei grugniti...
il mio ruggito di soddisfazione estrema...
Il lungo attimo carico di tenerezza, di parole cariche di amore, i progetti... i sogni.
E il ricominciare.

Diedi a te l'anello con l'agata.
Un pegno d'amore.

Poi... poi... poi...
Poi...

L'incontro tuo con la morte e io che morivo con te.
Forse l'agata non era la tua pietra e neanche la mia.

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NON PENSARE... NON PENSARE!
Chiudi la mente…

Il pensiero di lei tornava come l’onda che si infrange su di una scogliera. Come il movimento del mare continuo e irresistibile. Senza fine… senza pause.
Cercavo di opporre una diga a quei pensieri ma non esisteva rimedio. Non esisteva un angolo di mondo dove nascondermi per evitare la lama rovente del ricordo.
Io provavo a dimenticare, ci provavo in ogni modo ma più che qualche attimo di oblio non riuscivo ad ottenere e poi riemergeva e tornava lì di fronte a me a chiedere…
Perché…? Perché…? Perché…? Perché lei?
E io non avevo risposte.
Erano giorni che sostavo in solitudine in quell’hotel in riva al Pacifico, le giornate passate al bar a bordo piscina o in mare in lunghe nuotate incurante del pericolo delle forti correnti che a volte trascinavano al largo.
Non mi spaventavano, no… forse le cercavo, nel mio subconscio le cercavo, ma probabile che loro non volessero me… non era il momento. Troppo semplice. Per la gente del posto ero il “gringo loco”, non sprecavano più il fiato per avvertirmi del pericolo, tra il resto la spiaggia era costellata di cartelli che avvertivano della cosa.
Aspettavo una chiamata.
Un lavoro, se lavoro possiamo chiamarlo.
Stavo cercando di esaurire le riserve alcoliche del bar quando la vidi. Non so se mi apparve magnifica per via dell’alcol… come era probabile, ma certo che era uno spettacolo di donna.
Era in compagnia. Due uomini e due donne. Facile catalogarla. Gli uomini erano americani o canadesi non so… forse di qualche compagnia petrolifera o delle banane… e loro, le donne, erano putas… puttane, di alto bordo ma puttane. Affittate a giorni come il fuoristrada Toyota che immaginavo avessero.
Alta… la pelle ambrata di mulatta, poco seno… e un culo magnifico. Largo… largo… largo. Ora non ricordo il suo viso, so che era bella… ma il suo culo si che lo ricordo. Largo…
In piscina uno dei due la spinse contro il bordo e si mise a brancicarla… la mano che la toccava fra le cosce, lei rideva.
La volevo. La desideravo. Lei poteva darmi quei pochi attimi di oblio che cercavo. Lo sapevo che lei era adatta.
Attesi fino ad aver l’opportunità di rivolgerle la parola e molto semplicemente le dissi di aver bisogno di lei, vinsi presto la sua resistenza promettendole di darle quello che riteneva di chiedere. Mi poteva raggiungere durante la siesta mi disse… senz’altro i due uomini che l’accompagnavano sarebbero crollati e lei si sarebbe liberata. Il numero della mia camera e l’accordo per il compenso chiuse il breve colloquio.
L’attendevo sul letto… il roteare delle pale del ventilatore sul soffitto mi ricordava il rotore dell’elicottero…
Un leggero bussare e l’avevo. Ricordo il lungo momento perso dietro di lei a leccarle quel suo magnifico culo… il suo odore… e il suo sudore fra le natiche. E poi ancora i colpi forti mentre la possedevo da dietro. Lo scontrarsi del mio ventre e dei miei lombi contro quel grosso culo… e io… che non riuscivo a godere. E la scopata senza fine… io bagnato del mio sudore e lei che mi incitava a venire…
Poi… finalmente l’urlo liberatorio ma non così… non scopandola, ma grazie alle sue mani e alla sua bocca. Le sue mani… una che mi teneva per la base del pene mentre mi leccava… e l’altra con le dita nel mio culo.
L’urlo liberatorio…
Le chiesi se poteva fermarsi con me dopo che aveva finito con gli americani e quanto durava il suo impegno con loro. Il week end disse, dopo era libera. Costo trecento dollari al giorno più le spese. Hotel, vitto e trasporto. Non più di tre giorni perché doveva rientrare a San Josè.
Un giorno solo durò la cosa… fece a tempo a raccontarmi di sé in quelle lunghe ore sul letto, qualche parola che scambiammo fra una scopata e l’altra, aveva un bambino… e viveva per lui.
E io mi chiesi se mai avrei incontrato una persona felice.

Se mai nella mia vita l’avrei incontrata...

Quando mi chiamarono al telefono e sentii la sua voce, la voce del mio contatto che mi diceva di alzare le chiappe e muovermi… ne fui sollevato. Non era lei che poteva darmi l’oblio.
Lei… e il suo bambino.
La pagai anche per i giorni che restavano, feci che potesse rientrare e ci congedammo.
Le augurai… una buona vita e tanta fortuna.
Il suo sorriso triste di riscontro mi fece capire che non ci credeva.

L'anello con l'agata?
L'avevo gettato in mare.
di
scritto il
2018-03-22
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