La ragazza dai capelli rossi 1
di
Mr.Goodbye
genere
etero
Premessa: questo è l'inizio di una storia che non so dove porterà. Né so dirvi cosa accadrà nei prossimi capitoli. Critiche, commenti o qualsiasi altra cosa a: thelastperseus@gmail.com
--- Capitolo 1 - Incontro sul treno ---
Incontro sul treno
“Mi scusi…”
Perso nel mondo de sogni ode la voce, ma non vi presta attenzione.
“Signore?”
Il silenzio è spazzato. La magia del sonno svanita.
Apre un occhio, guarda fuori dal finestrino. È ancora notte. Come potrebbe essere altrimenti? L’arrivo è previsto alle cinque del mattino dopo troppe ore di viaggio. Solo qualche luce gli sfreccia davanti agli occhi. Con ogni probabilità lampioni.
“Scusi signore?”
Gira il capo lentamente. Nella cuccetta, oltre a lui, soltanto una ragazza. Ecco chi l’ha richiamato dal mondo dei sogni. Prova un moto di antipatia nei suoi confronti.
“Mi sa dire che ore sono? Ho finito la batteria nel telefono e… non so quando devo scendere e…”
Sospira. La ragazza era chiaramente in imbarazzo e dava l’impressione di non sapere nemmeno lei cosa volesse.
Vittorio prende il telefono dalla tasca e accende il display.
“Le due.”
La ragazza incurva appena le labbra.
“Grazie…”
Le rivolge un sorriso di cortesia e appoggia la testa allo schienale, chiudendo gli occhi.
“Mi scusi se l’ho svegliata…”
La voce della ragazza non tarda molto a farsi sentire ancora. Apre di nuovo gli occhi, tanto ormai il sonno era passato.
Ha i capelli rossi legati in un crocchio dietro la testa. Gli occhi sono verdi e grandi, come nei migliori cliché, circondati da un leggero velo di trucco, in parte colato. Il viso, tempestato di efelidi, aveva tratti morbidi e delicati. Il naso, piccolo e a punta, ha una piccola anella cromata nel lato sinistro. Tutto il corpo è avvolto da un pesante giaccone color verde militare, senza dubbio più grande di almeno una taglia, nel quale lei pare tenersi stretta, come a ricavarne una protezione dal mondo. Da quell’ammasso informe di tessuto spuntano due gambe fasciate da calze nere, con qualche strappo qua e là. Ai piedi Dottor Martens slacciati e, a giudicare dai segni dell’usura, non propriamente nuovi. Sul sedile accanto uno zaino rosso coperto di scritte, disegni, patch e spille.
Dà l’idea di essere in disordine, di aver sofferto e pianto. L’antipatia iniziale lascia spazio alla compassione e si chiede quale storia ci possa essere dietro quel viso.
“Non fa nulla, non ti preoccupare.”
Gli rivolge un sorriso di cortesia e la osserva mentre si infagotta nuovamente nel giaccone, quasi a voler sparire. Mosse le gambe, tenendo unite le ginocchia. I polpacci non erano grossi, ma nemmeno esili. Da quello sinistro spunta un tatuaggio, ma rimane coperto e non riesce a vederlo per bene.
Aspetta qualche istante nel caso la ragazza trovi qualcos’altro da dire e, quando parve essersi addormentata, si rilassa un’altra volta.
La porta dello scompartimento si apre dopo un tempo indefinito.
Vittorio apre gli occhi infastidito, ma deve ricredersi davanti alla divisa del controllore. La ragazza, invece, non pare svegliarsi.
“Chiedo scusa per avervi svegliato, ma devo controllare i biglietti.”
Vittorio annuisce svogliato e mostra il suo. Dalla ragazza ancora nessun segno di vita.
Il controllore la chiama gentilmente, senza sortire effetto. Lo stesso accadde quando le tocca una spalla. Infine le mette una mano sul ginocchio e, senza nessuna malizia, le scuote la gamba.
Solo allora la ragazza apre gli occhi e, nel momento in cui riconosce la divisa, sbianca.
“Mi scusi se l’ho svegliata, ma avrei bisogno di verificare il suo titolo di viaggio.”
Resta immobile per un lungo istante, senza sapere cosa dire, cosa fare, in evidente difficoltà. È ovvio persino al più sprovveduto e, dopo il misero teatrino in cui finge di non trovarlo, ammette di non aver il biglietto.
“Così non va bene signorina. Ora devo farle la multa e farla scendere alla prossima stazione. Mi favorisca i documenti.”
La ragazza trema e pare sull’orlo di piangere.
Merda, pensa Vittorio. Un attimo dopo si alza in piedi.
“Mi scusi, la ragazza è con me.”
Il controllore lo guarda perplesso e incredulo.
“Prego?”
Vittorio guarda la ragazza, le cui mani tremano come foglie.
“È con me. Non l’ho detto subito perché sono stanco, è stata una giornata di lavoro davvero pesante e mi sono riaddormentato subito. Ma è con me.”
No, il controllore non è affatto convinto.
“E il biglietto?”
“Non ce l’abbiamo. Volevo venire a cercarla una volta saliti, ma sono stato in riunione tutto il giorno, sono esausto, e mi sono dimenticato. Mi dica quanto le devo pagare.”
“Perché non le ha fatto il biglietto ma lei ce l’ha?”
“Come le ho detto sono sceso per lavoro. Una riunione a cui non potevo mancare. Il biglietto per me l’ha fatto la mia azienda. Lei, invece, è mia nipote. Ha litigato in malo modo con mia sorella oggi pomeriggio e, quando ci siamo sentiti per telefono, visto che ero giù, le ho proposto di venire con me qualche giorno in vacanza. Il problema è stato che il mio treno stava già per partire quando lei è arrivata in stazione e… non abbiamo fatto il biglietto. Tutto qua. Per questo che la vede un po’ tesa. Vuole molto bene a sua mamma, ma stanno affrontando un brutto momento in famiglia e discutono spesso. E lei ci sta male.”
Il controllore passa lo sguardo da uno all’altra, poco convinto.
“Io non so se devo fidarmi o avvisare le forze dell’ordine a questo punto.”
Vittorio sospira e tira fuori il telefono dalla tasca.
“Non so quale strana idea lei si stia facendo, ma penso che al suo posto, io farei lo stesso. Se vuole, le mostro i messaggi in cui avviso mia sorella che la ragazza è con me.”
Il controllore allunga la mano per prendere il telefono, ma all’ultimo ci ripensa.
Per fortuna, pensa.
“No, non serve. Mi fido. Mi sembra una persona rispettabile, lei. Ma devo farvi il biglietto con la maggiorazione.”
“Lei deve fare quello che è giusto fare agente. E la ringrazio per la comprensione.”
“Dove scendete?”
“A Bologna.”
Il controllore non sembra affatto convinto ma, dopo aver rivolto ancora una volta uno sguardo sospettoso alla ragazza, tira fuori il terminale e compila il biglietto.
“Ecco.”
Vittorio paga senza scomporsi e ringrazia un’ultima volta il controllore.
“Bene, io non so chi tu sia, ma ora sei coperta fino a Bologna.”
Senza dire altro, rivolgendole solo un’occhiata fugace, si siede al suo posto, si appoggia allo schienale e chiude gli occhi, sperando di poter finalmente tornare a riposare.
“Perché l’ha fatto?”
Vittorio apre un occhio e la guarda. Lei è lì, con quei suoi occhioni verdi, a fissarlo. Una lacrima le riga una guancia e sembra sul punto di crollare.
“Perché mi ha aiutata?”
C’è veramente una risposta a quella domanda? No… solo l’istinto a suggerirgli di fare la cosa giusta. Ammesso che sia stata la cosa giusta. Oggi giorno non si può mai sapere cosa può succedere con il prossimo.
Sospira.
“Perché ho pensato fosse l’unica cosa giusta da fare.”
“Io… io… io non so se potrò ridarle i soldi…”
“Non importa. Non li voglio.”
Cala il silenzio. Anche se sommessamente, la ragazza sta piangendo. Calde lacrime le sformano il trucco intorno agli occhi e colano, sporche, lungo le guance.
Vittorio non sa cosa dire né cosa pensare. Ha solo fatto ciò che pensava fosse giusto fare. Il destino di quella ragazza non lo riguarda. Chiude gli occhi e finge di non sentire i singhiozzi di quella rossa. Vorrebbe dormire, ma può solo fingere, sperando che la situazione non si complichi più del previsto.
E nulla succede fino a quando non viene annunciata la fermata di Bologna.
Vittorio si alza, raccoglie le sue cose ma, sulla porta dello scompartimento si ferma. Gli occhi della ragazza sono fissi su di lui. Ha pianto. Tanto. E il suo viso è un misto di emozioni contrastanti tra loro tanto che non riesce a definirle.
“Ti auguro buona fortuna.”
La ragazza tira su con il naso e accenna un sorriso. Il sorriso più triste che Vittorio abbia mai visto.
“Grazie.”
Resta fermo un attimo. Vorrebbe dire qualcosa di sensato, di positivo, di incoraggiante, ma qualsiasi parola gli pare vuota e stupida. Non resta altro da fare che continuare per la propria strada.
“Mi scusi…”
È appena sceso dal treno, appena messo i piedi sulla banchina quando la voce della ragazza lo richiama
No, non farlo, non girarti, gli sussurra una voce nella testa.
Si ferma.
Cazzo no, vai via, continua la voce.
Il ricordo di quel viso in lacrime.
E sono proprio le lacrime a fregarlo.
Si gira e la vede lì in piedi, con lo zaino su una spalla, aggrappata allo stipite della porta del vagone, come avesse paura ad esporsi.
Sei fottuto. Ride la voce.
“Dimmi.”
“Io… sono scappata di casa. Non ho un posto dove andare.”
Ora sono solo che cazzi tuoi. Conclude la voce.
“È uno scherzo?”
“Vorrei che lo fosse.”
Vittorio si guarda attorno. Non sapeva che sarebbe finita così dal momento in cui ha deciso di aiutarla?
“D’accordo. Vieni con me. Stanotte starai sul mio divano.”
“Grazie!!!”
E in un attimo gli salta al collo, abbracciandolo con tutte le sue forze.
In che guaio mi sto infilando…
--- Capitolo 1 - Incontro sul treno ---
Incontro sul treno
“Mi scusi…”
Perso nel mondo de sogni ode la voce, ma non vi presta attenzione.
“Signore?”
Il silenzio è spazzato. La magia del sonno svanita.
Apre un occhio, guarda fuori dal finestrino. È ancora notte. Come potrebbe essere altrimenti? L’arrivo è previsto alle cinque del mattino dopo troppe ore di viaggio. Solo qualche luce gli sfreccia davanti agli occhi. Con ogni probabilità lampioni.
“Scusi signore?”
Gira il capo lentamente. Nella cuccetta, oltre a lui, soltanto una ragazza. Ecco chi l’ha richiamato dal mondo dei sogni. Prova un moto di antipatia nei suoi confronti.
“Mi sa dire che ore sono? Ho finito la batteria nel telefono e… non so quando devo scendere e…”
Sospira. La ragazza era chiaramente in imbarazzo e dava l’impressione di non sapere nemmeno lei cosa volesse.
Vittorio prende il telefono dalla tasca e accende il display.
“Le due.”
La ragazza incurva appena le labbra.
“Grazie…”
Le rivolge un sorriso di cortesia e appoggia la testa allo schienale, chiudendo gli occhi.
“Mi scusi se l’ho svegliata…”
La voce della ragazza non tarda molto a farsi sentire ancora. Apre di nuovo gli occhi, tanto ormai il sonno era passato.
Ha i capelli rossi legati in un crocchio dietro la testa. Gli occhi sono verdi e grandi, come nei migliori cliché, circondati da un leggero velo di trucco, in parte colato. Il viso, tempestato di efelidi, aveva tratti morbidi e delicati. Il naso, piccolo e a punta, ha una piccola anella cromata nel lato sinistro. Tutto il corpo è avvolto da un pesante giaccone color verde militare, senza dubbio più grande di almeno una taglia, nel quale lei pare tenersi stretta, come a ricavarne una protezione dal mondo. Da quell’ammasso informe di tessuto spuntano due gambe fasciate da calze nere, con qualche strappo qua e là. Ai piedi Dottor Martens slacciati e, a giudicare dai segni dell’usura, non propriamente nuovi. Sul sedile accanto uno zaino rosso coperto di scritte, disegni, patch e spille.
Dà l’idea di essere in disordine, di aver sofferto e pianto. L’antipatia iniziale lascia spazio alla compassione e si chiede quale storia ci possa essere dietro quel viso.
“Non fa nulla, non ti preoccupare.”
Gli rivolge un sorriso di cortesia e la osserva mentre si infagotta nuovamente nel giaccone, quasi a voler sparire. Mosse le gambe, tenendo unite le ginocchia. I polpacci non erano grossi, ma nemmeno esili. Da quello sinistro spunta un tatuaggio, ma rimane coperto e non riesce a vederlo per bene.
Aspetta qualche istante nel caso la ragazza trovi qualcos’altro da dire e, quando parve essersi addormentata, si rilassa un’altra volta.
La porta dello scompartimento si apre dopo un tempo indefinito.
Vittorio apre gli occhi infastidito, ma deve ricredersi davanti alla divisa del controllore. La ragazza, invece, non pare svegliarsi.
“Chiedo scusa per avervi svegliato, ma devo controllare i biglietti.”
Vittorio annuisce svogliato e mostra il suo. Dalla ragazza ancora nessun segno di vita.
Il controllore la chiama gentilmente, senza sortire effetto. Lo stesso accadde quando le tocca una spalla. Infine le mette una mano sul ginocchio e, senza nessuna malizia, le scuote la gamba.
Solo allora la ragazza apre gli occhi e, nel momento in cui riconosce la divisa, sbianca.
“Mi scusi se l’ho svegliata, ma avrei bisogno di verificare il suo titolo di viaggio.”
Resta immobile per un lungo istante, senza sapere cosa dire, cosa fare, in evidente difficoltà. È ovvio persino al più sprovveduto e, dopo il misero teatrino in cui finge di non trovarlo, ammette di non aver il biglietto.
“Così non va bene signorina. Ora devo farle la multa e farla scendere alla prossima stazione. Mi favorisca i documenti.”
La ragazza trema e pare sull’orlo di piangere.
Merda, pensa Vittorio. Un attimo dopo si alza in piedi.
“Mi scusi, la ragazza è con me.”
Il controllore lo guarda perplesso e incredulo.
“Prego?”
Vittorio guarda la ragazza, le cui mani tremano come foglie.
“È con me. Non l’ho detto subito perché sono stanco, è stata una giornata di lavoro davvero pesante e mi sono riaddormentato subito. Ma è con me.”
No, il controllore non è affatto convinto.
“E il biglietto?”
“Non ce l’abbiamo. Volevo venire a cercarla una volta saliti, ma sono stato in riunione tutto il giorno, sono esausto, e mi sono dimenticato. Mi dica quanto le devo pagare.”
“Perché non le ha fatto il biglietto ma lei ce l’ha?”
“Come le ho detto sono sceso per lavoro. Una riunione a cui non potevo mancare. Il biglietto per me l’ha fatto la mia azienda. Lei, invece, è mia nipote. Ha litigato in malo modo con mia sorella oggi pomeriggio e, quando ci siamo sentiti per telefono, visto che ero giù, le ho proposto di venire con me qualche giorno in vacanza. Il problema è stato che il mio treno stava già per partire quando lei è arrivata in stazione e… non abbiamo fatto il biglietto. Tutto qua. Per questo che la vede un po’ tesa. Vuole molto bene a sua mamma, ma stanno affrontando un brutto momento in famiglia e discutono spesso. E lei ci sta male.”
Il controllore passa lo sguardo da uno all’altra, poco convinto.
“Io non so se devo fidarmi o avvisare le forze dell’ordine a questo punto.”
Vittorio sospira e tira fuori il telefono dalla tasca.
“Non so quale strana idea lei si stia facendo, ma penso che al suo posto, io farei lo stesso. Se vuole, le mostro i messaggi in cui avviso mia sorella che la ragazza è con me.”
Il controllore allunga la mano per prendere il telefono, ma all’ultimo ci ripensa.
Per fortuna, pensa.
“No, non serve. Mi fido. Mi sembra una persona rispettabile, lei. Ma devo farvi il biglietto con la maggiorazione.”
“Lei deve fare quello che è giusto fare agente. E la ringrazio per la comprensione.”
“Dove scendete?”
“A Bologna.”
Il controllore non sembra affatto convinto ma, dopo aver rivolto ancora una volta uno sguardo sospettoso alla ragazza, tira fuori il terminale e compila il biglietto.
“Ecco.”
Vittorio paga senza scomporsi e ringrazia un’ultima volta il controllore.
“Bene, io non so chi tu sia, ma ora sei coperta fino a Bologna.”
Senza dire altro, rivolgendole solo un’occhiata fugace, si siede al suo posto, si appoggia allo schienale e chiude gli occhi, sperando di poter finalmente tornare a riposare.
“Perché l’ha fatto?”
Vittorio apre un occhio e la guarda. Lei è lì, con quei suoi occhioni verdi, a fissarlo. Una lacrima le riga una guancia e sembra sul punto di crollare.
“Perché mi ha aiutata?”
C’è veramente una risposta a quella domanda? No… solo l’istinto a suggerirgli di fare la cosa giusta. Ammesso che sia stata la cosa giusta. Oggi giorno non si può mai sapere cosa può succedere con il prossimo.
Sospira.
“Perché ho pensato fosse l’unica cosa giusta da fare.”
“Io… io… io non so se potrò ridarle i soldi…”
“Non importa. Non li voglio.”
Cala il silenzio. Anche se sommessamente, la ragazza sta piangendo. Calde lacrime le sformano il trucco intorno agli occhi e colano, sporche, lungo le guance.
Vittorio non sa cosa dire né cosa pensare. Ha solo fatto ciò che pensava fosse giusto fare. Il destino di quella ragazza non lo riguarda. Chiude gli occhi e finge di non sentire i singhiozzi di quella rossa. Vorrebbe dormire, ma può solo fingere, sperando che la situazione non si complichi più del previsto.
E nulla succede fino a quando non viene annunciata la fermata di Bologna.
Vittorio si alza, raccoglie le sue cose ma, sulla porta dello scompartimento si ferma. Gli occhi della ragazza sono fissi su di lui. Ha pianto. Tanto. E il suo viso è un misto di emozioni contrastanti tra loro tanto che non riesce a definirle.
“Ti auguro buona fortuna.”
La ragazza tira su con il naso e accenna un sorriso. Il sorriso più triste che Vittorio abbia mai visto.
“Grazie.”
Resta fermo un attimo. Vorrebbe dire qualcosa di sensato, di positivo, di incoraggiante, ma qualsiasi parola gli pare vuota e stupida. Non resta altro da fare che continuare per la propria strada.
“Mi scusi…”
È appena sceso dal treno, appena messo i piedi sulla banchina quando la voce della ragazza lo richiama
No, non farlo, non girarti, gli sussurra una voce nella testa.
Si ferma.
Cazzo no, vai via, continua la voce.
Il ricordo di quel viso in lacrime.
E sono proprio le lacrime a fregarlo.
Si gira e la vede lì in piedi, con lo zaino su una spalla, aggrappata allo stipite della porta del vagone, come avesse paura ad esporsi.
Sei fottuto. Ride la voce.
“Dimmi.”
“Io… sono scappata di casa. Non ho un posto dove andare.”
Ora sono solo che cazzi tuoi. Conclude la voce.
“È uno scherzo?”
“Vorrei che lo fosse.”
Vittorio si guarda attorno. Non sapeva che sarebbe finita così dal momento in cui ha deciso di aiutarla?
“D’accordo. Vieni con me. Stanotte starai sul mio divano.”
“Grazie!!!”
E in un attimo gli salta al collo, abbracciandolo con tutte le sue forze.
In che guaio mi sto infilando…
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