Vacanza al sud - capitolo 1 -

di
genere
etero

Un vecchissimo racconto d'archivio. Non riesco a fare il conto di quanti anni fa l'abbia scritto. Ritrovato per caso. Colgo l'occasione per riproporlo.


Vacanza al Sud - Capitolo 1 -


Estate di alcuni anni fa. Un paesino lontano, nel sud Italia, come ce ne possono essere tanti. Anche se sono solo i primi giorni di giugno, l’alta stagione è ancora lontana. Nonostante i turisti non mancano ed il caldo è considerevole. Io mi trovo qui per motivi di lavoro, altro che piacere.
O almeno in parte. Ufficialmente, lunedì scorso sono stato mandato in una città poco lontana da dove mi trovo ora. La commessa di lavoro è scaduta giovedì ed io sarei dovuto partire venerdì, di primo mattino, per tornare a casa. Sono uscito dall’hotel presso cui alloggiavo con la valigia in mano, l’auto proprio davanti a me. Caricato il bagaglio sono salito a bordo, aria condizionata quasi al massimo per spezzare quell’inferno, e sono partito. Mezz’ora. Una dannata mezz’ora nel traffico caotico di una grande città per arrivare al casello dell’autostrada e ancora non ero arrivato. Questa parte di viaggio mi era sembrata eterna. E' in situazioni come queste che mi rallegro di abitare in una cittadina tranquilla e pacifica della provincia. Poco caos, poco stress legato al traffico e tutto diventa più leggero. Finalmente il cartello per entrare in autostrada!
Di colpo, poco prima di svoltare verso il casello, un pensiero, un flash che così veloce com’è venuto se ne va, ma ormai il seme è piantato. Metto la freccia, uno sguardo veloce agli specchietti e accosto. Ripenso alle parole che mi ha detto il proprietario dell’hotel: un piccolo ometto del sud dall’accento tipico e decisamente simpatico. Nel poco tempo che sono stato suo ospite (gentilmente pagato dall’azienda per cui lavoro) abbiamo legato e ci siamo persi in una marea di chiacchiere. Credo che, quando avrò le ferie, tornerò volentieri a trovare quell’ometto; forse si ricorderà ancora di me. Guardo i carabinieri, dall’altro lato della strada, fermare un camion. Tra le tante cose, il piccolo ometto del sud mi ha parlato di suo cugino, di quel ben ristorantino che gestisce in un piccolo paese poco distante, così carino e accogliente che si affaccia sul mare, dove si cucina un pesce come non se ne trova di uguali. Sorrido. Imposto il navigatore: poco meno di un’ora per arrivarci. Chi ho a casa che mi aspetta? Nessuno. Tiro fuori il cellulare dai pantaloni:
“Ufficio.”
Pochi istanti che si colleghi alla rete, qualche squillo a vuoto e poi la voce del capo.
“Ciao capo, sono io. Senti, qua è tutto a posto. Il lavoro è andato perfetto, come da programma… sì sì, nulla da segnalare… ecco, appunto di questo volevo parlarti…cioè che non rientro. Non subito almeno. Segnami un pomeriggio di ferie, mi faccio il weekend lungo al mare… ok, perfetto. Sì, ci vediamo lunedì mattina in ufficio… perfetto, grazie, anche a te!”
E adesso via! Giro l’auto e affondando il pedale del gas punto bello e tranquillo al paesino del cugino.
Il paesaggio che mi circonda lascia senza fiato. E più mi avvicino al mare, meglio è. Niente da dire, i paesaggi che si possono trovare nel sud Italia sono davvero fantastici e incredibili, troppo spesso dimenticati o ignorati.
Arrivare al paesino si rivela facile e veloce, basta seguire la statale. Quando arrivo è già mattino inoltrato ed il sole scotta sulla pelle. Il paesino è davvero piccolo, saranno quindici, forse venti, case, ma deliziosamente pittoresco e con un aspetto fiabesco. Onestamente? Non ci verrei a vivere, ma per scappare dalla quotidianità della vita con qualche giorno di assoluto relax, sì. Mi ritorna in mente “Mediterraneo”, quel vecchio film con Diego Abatantuono.
Seguo le indicazioni che mi sono state date e trovo il ristorante con facilità. Parcheggio volutamente distante: voglio farmi due passi in questo paesino così apparentemente adorabile. In lontananza si sente il rumore del mare e lo stridio dei gabbiani, le case hanno tinte color pastello. Entro nella hall, pulita, ordinata e molto modesta. Da dietro il banco della reception un uomo, che avrà una quarantina d’anni, abbassa il giornale che stava leggendo e mi squadra da capo a piedi con aria di supponenza.
“Salve.” Mi dice con l’accento tipico del suo paese, seduto tranquillo senza accennare ad alzarsi.
“Buongiorno! Sono qui si passaggio, vorrei restare fino a domenica, se possibile. Sono stato dal signor Carmelo tutta la settimana per lavoro e mi ha consigliato di venire qui per rilassarmi adeguatamente per il weekend.”
A sentire il nome del parente, il viso dell’uomo si illumina neanche fosse un albero di Natale in piene feste. Si alza, gettando il giornale in un angolo e aggira il banco, stringendomi in un abbraccio come fossi il figliol prodigo che torna a casa dopo anni di assenza.
“Aaaah! Carmelo! Quel grandissimo farabutto! Ti ha trattato bene, vero? Perché se non è così vado a dirgliene quattro! Certo che ho una stanza per te! Vieni, accomodati!”
Iniziamo così a chiacchierare piacevolmente sul chi io sia, chi sia Carmelo, suo cognato, la sua famiglia, il suo lavoro e tutto il resto fino a quando non arriviamo alla camera che mi ha destinato. Scopro che si tratta più di una pensione, per quanto carina, graziosa e ben tenuta, che di un vero hotel, e che è dotata di una bellissima piscina, su cui si affaccia la finestra della mia camera.
Durante la nostra chiacchierata, il mio nuovo amico mi consiglia un bellissimo ristorantino che si affaccia, da una parte sulla piazza del paese e, dall’altra, sul mare. Guarda caso, il locale è gestito da suo cugino. Sorrido cortesemente e gli prometto che, sicuramente, non mancherò di visitarlo. Tutto fila splendidamente liscio. Lascio i documenti, porto la valigia in camera e scendo in paese a fare due passi. Prima tappa, divenuta essenziale a questo punto, è il bazar locale perché nella valigia non ho nulla di adatto ad affrontare il weekend di vacanza al mare. La scelta è limitata, non me ne stupisco, ma esco poco dopo piuttosto soddisfatto, con una bella borsetta contenente bermuda, telo da mare, infradito e qualche altra piccola sciocchezza che penso potrà tornarmi utile in questi due giorni e mezzo di relax. Guardo l’ora: visto che è metà mattina e ho ancora un paio d’re prima di pranzo, decido di trascorrere il resto del tempo a passeggiare per i vicoli del paese. È decisamente carino: le case sono dipinte con colori dalle tonalità pastello e il traffico è davvero scarso. Sarà sicuramente un “paese per vecchi”, pochi giovai e poche attrattive per le serate, ma è molto bucolico e pittoresco. Devo dire che mi piace.
All’ora di pranzo, non avendo una meta particolare, decido di fare pausa al “famoso” ristorantino del cugino dell'ometto. Il locale si presenta subito bene, pulito e ordinato, con un giardinetto ben tenuto che si affaccia sulla piazza del paese e un’ombreggiata e deliziosa terrazza sul mare. Il colore dominante è il bianco, con tovaglie color panna, copri-macchie e tovaglioli anch’essi candidi. Nella piazzetta del paese c’è una bella fontanella a tema marino con delfini e pesci che sembrano rincorrersi, con un muretto dove vedo dei giovani intenti a chiacchierare. Il rumore del mare, in sottofondo, che mi lambisce i timpani è una vera delizia.
Non appena entro mi viene incontro il cameriere, pantaloni neri, camicia bianca, capelli neri corti, composto, educato, il viso pulito e ben curato. Gli spiego, con poche e veloci parole, chi sono, perché sono lì e, come poco prima, quando dico chi mi ha mandato, assisto ad un vero mutamento in chi mi sta di fronte, diventando quasi come uno di casa. Dentro di me sorrido e mi auguro davvero che non facciano sempre così con tutti e spero che tutto questo buonismo duri almeno fin dopo il momento del conto. Gentilissimo, il cameriere mi fa accomodare dove voglio io. È ancora presto e non c’è molta gente. Sono già quasi seduto, quando un tavolinetto attira la mia attenzione. Non ha assolutamente nulla di speciale, è esattamente come tutti gli altri, ma mi rendo conto che dalla posizione in cui si trova mi sarebbe possibile ammirare sia il mare che la fontana del paese.
Sono in bassa Italia, praticamente sul mare, al ristorante. Non sono un esperto di pesce, tutt’altro, ma un sano spaghetto allo scoglio, una grigliata e un piatto di cozze, questa volta, non me li toglie nessuno. Il pane sembra fatto in casa, ancora tiepido nelle mie mani quando lo spezzo. Il cestino è decorato con alcuni grissini, chiaramente caserecci, farciti con diverse spezie profumate. Vedo gabbiani volare sopra le nostre teste. Spengo il telefono e mi rilasso. Sono in vacanza, da solo, lontano da affanni e preoccupazioni. Tutto procede a meraviglia. Io ho già avuto modo di apprezzare i miei spaghetti quando i ragazzi della fontana se ne vanno. Continuo tranquillo a godermi il mio pranzo.
Lo spaghetto era davvero squisito e sono in pausa, in attesa del secondo, quando due ragazze sbucano nella piazzetta, forse da una stradina laterale e, passando accanto alla fontana, vengono dritte verso il ristorante. Una bionda, una castana. La bionda è carina, senza dubbio, ma per me, non esiste nemmeno. È l’altra, quella castana, su cui mi soffermo, chiaramente in costume da bagno, con il perizoma coperto dai pantaloncini colorati. Lunghi capelli castani. Occhi grandi. Viso dolce. Carina. Carina da morire. Quasi mi incanto a fissarla mentre viene verso di me con la sua amica.
Arrivate, scambiano baci e abbracci con il cameriere e siedono sugli sgabelli del bancone, sgranocchiando patatine e stuzzichini vari, mentre il ragazzo prepara loro da bere. Parlano nel loro dialetto stretto e le mie possibilità di capire cosa stiano dicendo sono praticamente nulle. Ridono e scherzano allegramente e mi sembra chiaro che tra loro si conoscano tutti bene. Le ragazze mi guardano, ci scambiamo uno sguardo veloce e poi io continuo il pranzo, loro tornano a parlare con il cameriere e a sgranocchiare patatine. Nonostante questo, mentre mangio mi ritrovo a pensare all’età che possano avere. Vent’anni? Ventidue? Sì, probabile, anche se non ne sono sicuro. All’improvviso spunta il cuoco e scattano i festeggiamenti. Io non capisco un’acca di quello che dicono, almeno fino a quando il signore, dotato di una discreta pancia, si avvicina a me per salutarmi. Mi alzo in piedi, ci scambiamo i convenevoli, si rivela cortese e simpatico. Riconosco che sa cucinare davvero bene e mi ringrazia. Da quello che capisco, o intuisco, la ragazza castana sembra essere sua nipote. O qualcosa del genere. Il mio sguardo si alterna tra il mio adorato piatto pieno di ogni ben di Dio marittimo e la ragazza castana. Più volte mi capita di incrociare il suo stesso sguardo.
Finalmente si siedono. Mi stupisce che non siano molto lontane da me. La castana mi è praticamente di fronte, la biondina mi da le spalle, senza però coprire la linea di vista tra me e la sua amica. Che sia un caso? Non lo so, in questo momento poco mi importa. Impossibile negare al mio sguardo di spostarsi dal mio piatto al panorama, alle loro curve, allo sguardo della ragazza. Le ragazze si siedono comodamente. Mani sui braccioli, schiena appoggiata indietro e gambe appena appena larghe. Il pezzo superiore del bikini copre i loro seni senza esagerare. I pantaloncini… sento il sangue gelarsi nelle mie vene. Per quanto siano sedute a tavola e sia una limpida e luminosa giornata di sole, io resto di sasso. Gli shorts della ragazza si sono spostati. Faccio fatica a credere a quello che sto vedendo. Riporto lo sguardo sul mio piatto cercando di distogliere l’attenzione e non apparire inopportuno, ma la curiosità è più forte e non riesco a resistere.
Lei è lì, bella, a gambe aperte… e il suo sesso è in mostra. Mi sento avvampare come un liceale. Vorrei guardare meglio, ma devo farlo con molta discrezione. Non sarebbe educato farmi trovare intento a guardare tra le cosce della fanciulla e, come ospite, potrebbe risultare molto poco piacevole. Mi sforzo di tenere lo sguardo sul piatto… maledetta sia la mia curiosità! Alzo lo sguardo. Riesco a intravedere l’inguine… e anche un po’ di più. Una buona metà del suo sesso, della sua tenera carne, è esposta al sole. Io non so se sia per caso o per volontà… ma una cosa del genere non mi è mai capitata e rimango allibito. Lei continua a chiacchierare con la sua amica e sembra non essersi accorta di nulla. Dal canto mio, faccio davvero fatica a staccare gli occhi da quello spettacolo inusuale. Sembra depilata.
Inconsapevolmente mangio una cozza. Apro il guscio a metà, con due dita, e succhio il mollusco facendolo scivolare tra le mie labbra, gustandone il sapore sulla lingua. E mi trovo a pensare a quanto possa essere morbido e gustoso il sesso di quella ragazza. La mia fantasia decolla e mi immagino come sia la sua carne, come possa essere far scivolare la mia lingua tra quelle labbra così morbide… scuoto la testa. Riprenditi, penso. E quasi ci riesco. Ma poi alzo lo sguardo, osservo il suo viso. Ci guardiamo. Le sorrido. Lei ricambia, ma in maniera molto più fredda della mia e appena appena di cortesia. Poi l’occhio mi cade. Il sesso è lì, esposto. Posso notare la carne rosa, delicata. No, non ci sono peli. Non mi stupisco. Sento il sangue ribollire e un principio di erezione crescere nei miei pantaloni. A fatica torno al mio piatto. Finisco la grigliata. Dovrebbe essere un momento di relax. Loro sono ancora lì che parlano. Le guardo, le osservo. Lei vede che la guardo. Sono straniero in terra straniera. Meglio stare calmi.
Il cameriere viene a portarmi via il piatto, mi chiede se è tutto a posto e scambiamo due chiacchiere sul posto e sul sapore del pesce. Io mi concedo un po’ di sana distrazione e rispondo molto cortesemente: è raro mangiare pesce così buono dalle mie parti. Lo osservo mentre si allontana, composto e professionale. Scambia qualche parola in dialetto con le ragazze e sparisce in cucina. Mi appoggio allo schienale della sedia con un bel sospiro. E lei, dannazione, è ancora lì davanti a me. Non voglio credere che non si sia accorta di nulla, è impossibile. Così la sua amica. Per me è una calamita. Sarà che per me è stata una settimana davvero impegnativa, sarà che lei mi piace ed è assai carina, sarà quel che sarà… ma vedere il suo sesso così è davvero… conturbante.
Il cameriere ritorna sorridente. Questa volta non è un sorriso di cortesia, è decisamente malizioso. Mi appoggia gentilmente il piatto sul tavolo. Uno scoppio di risate cristalline porta le nostre attenzioni sulle ragazze.
“Allora, signore, tutto bene?”
“Oh, sì, assolutamente!”
“Le piace il posto? Trova di suo gradimento il panorama?”
“Mi creda, non credo che esista un posto con un panorama migliore!”
Risulta ovvio che anche il cameriere se ne sia accorto ed è altrettanto ovvio a quale belvedere si riferisca. Ci guardiamo, complici.
“Lieto che gradisca!”
Si allontana, passando accanto alla ragazza e dandole una pacca sulla spalla. Sento che si dicono qualcosa nel loro dialetto che io non capisco, lei arrossisce e si sposta subito, chiudendo quella deliziosa visione. Lei mi guarda, rossa, con un’espressione che non riesco a capire. Lei sorride e le rivolgo un lieve inchino con il cenno del capo. Mi sento un po’ a disagio ora che sono stato scoperto in flagranza. Non posso far altro che sorriderle di rimando. Non mi sono nemmeno reso conto che, nel frattempo, anche loro hanno pranzato.
Lo spettacolo è finito. Il pranzo anche.
Prendo un caffè per riprendermi dallo stato di semi eccitazione in cui sono finito e torno al mondo reale. Il profilo della ragazza mi garba assai.
Mi alzo e, pensando ancora al suo sesso esposto, vado a pagare. Riprendo la mia passeggiata, senza fretta. Ho la sensazione che sarà un weekend più lungo del previsto…
scritto il
2020-03-13
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