La Maschera di Diego Maria Sànchez.
di
Tibet
genere
pulp
Il racconto è frutto della mia fantasia, comunque uno spunto iniziale l'ho ricavato ricordandomi di una antica farsa spagnola di Lope de Rueda, vissuto nella stessa epoca di Cervantés, intitolata "Farsa chiamata della MASCHERA" di tutt'altro tema e tenore, differente in tutto dal mio racconto, ma per giusto riconoscimento ne ho utilizzato anche un nome: Diego Sànchez, modificato in Diego Maria Sànchez.
Diego Maria Sànchez era un assassino, uno stupratore.
Per anni aveva imperversato nella provincia di San Cristòbal de Las Casas nello stato del Chiapas. Era una persona influente, uno dei sostenitori locali del Presidente Porfirio Diaz, dittatore del Messico.
Sceglieva le sue vittime fra le giovani abitanti della Sierra Madre.
Le sue vittime nel corso del ventennio erano innumerevoli, di certo diverse decine, sui corpi che comunque spesso non venivano ritrovati, abbandonati in qualche forra della montagna e divorati dagli animali, lasciava dei segni caratteristici, tagliava loro con un affilato coltello il clitoride, i capezzoli dei seni, questo dopo averle violentate e seviziate a lungo, dopo averle sottoposte a una lunga serie di torture.
Era il 1896 quando fu sorpreso sul fatto, lui alto funzionario del Gobierno Central di Ciudad de México inviato per una ispezione alla municipalità della città di El Triunfo alle falde della Cordigliera Central. Per quei giorni della sua permanenza fu ospitato dall'Alcalde nella sua casa.
Questi aveva una figlia... Cristina.
Aveva 16 anni allora ed era fidanzata, doveva sposarsi nella primavera successiva.
Di solito le vittime di Sànchez erano figlie di campesinos, voci senza eco, Cristina gli fece dimenticare la sua scaltrezza animale, con lei perse ogni forma di prudenza e in un torrido pomeriggio, durante le ore silenziose della siesta entrò nella camera della ragazza.
Sànchez era un uomo robusto ed ebbe presto ragione della fragilità della giovane, mentre con una mano le impediva di gridare, con l'altra la spogliava, godeva del suo terrore, godeva della sua debolezza di donna, godeva nel darle dolore, Cristina perse presto conoscenza evitandosi di vivere cosciente tutto quello che seguì.
Fu violentata, perse in quello stesso giorno la verginità e la vita. E' necessario dire per narrare compitamente i fatti che fu sodomizzata, ferocemente sodomizzata e ancora ripresa ripetutamente nel suo essere femmina, il mostro le staccò a morsi i capezzoli mentre la possedeva bestialmente.
Il viso di Sànchez era una maschera di sangue, gli occhi quelli di un folle mentre con il lungo tagliente coltello aveva iniziato la sua opera di sevizie, con delle rapide incisioni le aveva reciso il clitoride martoriato, tagliato i seni, seguitava nella sua opera di macellaio.
Era purtroppo troppo tardi quando entrò nella stanza la governante e il suo grido di terrore e angoscia svegliò la casa e fece accorrere il padre e i fratelli.
Sànchez fu preso e ucciso.
Giustiziato sul momento, massacrato.
Cristina morì subito dopo.
Il padre di Cristina, mestizo, meticcio di sangue misto di Conquistadores e di Maya, fece scuoiare la faccia di Sànchez e ne fece una maschera, una maschera che divenne presto cuoio conciato e che conservava pienamente la fisionomia originaria.
La maschera fu esposta su una parete esterna della casa in una vetrinetta e per quanto visse il padre restò in quel posto, poi scomparve senza nessun rimpianto da parte dei congiunti rimasti.
Rimase nel ricordo collettivo della gente e se ne parlò ancora a lungo con terrore fra coloro che avevano vissuto sia pure in forma marginale quel fatto spaventoso per poi smarrirne via via i particolari, ingigantirli e diventare infine leggenda.
Fino al 1926, anno nel quale ricomparve.
Come venne in possesso del giovane Alejandro Gutiérrez Hantley non è dato a sapere, probabile che il giovane studioso di etnologia la comprò incuriosito da qualche venditore indio di antichità.
La maschera ora apparteneva a lui, inizialmente non ne conosceva la storia, faceva collezione, come molti ricchi del tempo, di oggetti particolari. Discendente della antica famiglia ispano-inglese degli Hantley, proprietari delle miniere di oro a cielo aperto di Chicomuselo e di molto altro, risiedeva a Tecpàtan in una splendida residenza coloniale.
Fu Felipe, il suo vecchio servitore, a riconoscere la maschera, l'aveva vista da bambino esposta e alla sua vista lasciò cadere il vassoio e si mise a tremare violentemente, poi con voce emozionata raccontò di Sànchez, delle sue malefatte. Disse al padrone di non tenere in casa quel simbolo del male, non avrebbe portato del bene.
Il giovane rise, disse che erano tutte superstizioni.
Iniziò a documentarsi sull'uomo che era stato Diego Maria Sànchez.
Teneva la maschera sulla lucida scrivania di mogano, a volte sentiva stranamente la sensazione che la maschera lo guardasse e che la bocca contorta in un ghigno lo deridesse. Allontanava quella percezione inquietante con una risata.
Spesso si sorprendeva ad accarezzare con le dita la pelle ormai conciata dal tempo, dura come cuoio, della maschera. Ne provava una attrazione insopprimibile.
Da quando la maschera era sul suo tavolo di lavoro era in preda ad una fame sessuale inusuale. Senza limiti.
Alejandro aveva una moglie.
Bella quanto lui. Ricca e nobile di famiglia quanto lui.
Ora, spesso, che fosse mattina o pomeriggio o sera, non importava, lui la cercava sessualmente, spesso si presentavano a tavola in ritardo causando le maliziose facezie della servitù.
Il suo modo di fare l'amore cambiò, da tenero amante, dolce e premuroso, divenne crudele, egoista, bestiale e infaticabile. Sua moglie, Inéz, dopo i primi nuovi contatti si adattò al suo cambiamento. Si meravigliò anzi del piacere che aveva iniziato a provare, dei lunghi orgasmi a cascata che lui era in grado di provocarle. Godeva di essere cercata, inseguita, presa violentemente in ogni angolo della grande casa, spesso senza riguardo verso la servitù. Adorava essere piegata in avanti e posseduta da dietro dovunque fossero. Sentire la grossa verga spingere prepotente, entrare, allargarla, causarle un flusso continuo di umori che si riversano copiosi lungo le cosce, godeva il gioco del negarsi, di costringerlo alla violenza, a spogliarla, a strapparle gli abiti da addosso, godeva dei suoi morsi, di essere segnata da lui, dai suoi denti. Godeva di essere preda, abbattuta a terra, sui gradini della scala che portava al piano superiore. Lui che le alzava la gonna alla vita, strappava e buttava da parte il suo intimo e incollava la bocca alla sua fica e mordeva forte le gonfie labbra esterne, il clitoride infiammato e dolente dai ripetuti e frequenti contatti. Lo stringeva forte con i denti, tanto da causarle un dolore atroce che si mescolava con il suo piacere e la faceva cadere in orgasmi senza fine, né limite. Le doleva tutto e tutto le dava piacere. I capezzoli eternamente inturgiditi, sollecitati dai morsi, il clitoride, la bocca martoriata dai feroci baci del suo uomo. Presto lui la iniziò a pratiche sessuali inusuali nel suo ceto sociale. La costringeva in ginocchio e la possedeva in bocca, ferocemente spingeva la grossa verga fino in fondo, in gola, la teneva forte con le mani per la testa, intrecciando le dita nei suoi folti capelli corvini e la possedeva così fino a godere, le riversava in bocca, in gola, sul viso, sui capelli, quantità eccezionali del suo sperma. La iniziò al piacere anale, lei non godette subito di questo, la prima volta fu una vera e propria violenza, lei caldissima si, vogliosa si, ma timorosa di essere aperta da quel grosso tronco di carne fremente che era il cazzo del suo uomo. Si vedeva squartata, aperta per sempre. Lui la prese senza nessun riguardo. Spinta a forza con il petto sul tavolo, tenuta fortemente, il lungo tormento della penetrazione e poi le spinte, le sue urla che si propagavano per le ampie sale. I colpi sempre più vicini, frequenti, il dolore, il senso di disagio nel sentirsi riempita da quel corpo estraneo. Il godere, il piacere del suo uomo, il suo lungo urlo che si trasformava in rantolo. Lo sperma nel suo intestino.
Presto iniziò a godere di quel modo di fare sesso. Godeva nell'essere penetrata, sbattuta, riempita, l'orgasmo che provava era diverso da ogni altro. Lo cercava. Si offriva. Si metteva sul pavimento a carponi e gli mostrava il suo splendido culo, la pelle soda color dell'avorio. Il suo garofano scuro che appariva arrossato, gonfio, usato. Lui la possedeva in piedi, le ginocchia piegate, penetrandola a fondo, forzando i colpi, prendendola alternativamente davanti e dietro.
Alejandro passava le sue giornate così. Raggiungeva il suo studio, lavorava un po', lo lasciava alla ricerca di lei. Ritornava. E nuovamente lo lasciava. Fino a sera. La notte si fermava nello studio. Dormiva poco. Mangiava poco. Dimagriva e gli occhi avevano assunto un aspetto febbrile. Spesso tornava nella loro camera nuziale e la svegliava preso da un eccesso di libidine.
Nelle ore che passava alla scrivania, al suo tavolo di lavoro, mentre avrebbe dovuto catalogare i reperti che aveva collezionato, era condizionato dalla maschera di Sànchez, ne subiva incoscientemente la presenza. Spesso passava le dita sulla bocca distorta nel ghigno e i suoi pensieri si modificavano, si sentiva trasportare in tempi e luoghi diversi, a vivere sensazioni talmente forti e vivide che lo spaventavano, allora sentiva aumentare a dismisura il suo desiderio sessuale, gli diventava impossibile rimandare, lasciava tutto e cercava la moglie. Per poi ritornare nuovamente nello studio.
Evitava di allontanarsi.
Non frequentavano più gli ambienti sociali che di solito li vedevano protagonisti.
Aveva smesso di lasciare la città e la moglie per i suoi viaggi di ricerca.
Era legato alla maschera.
Una notte, alla luce della sola lampada da tavolo, mentre era seduto alla scrivania avvenne il fatto che determinò tutto il seguito.
Preso da una decisione improvvisa prese la maschera e se la applicò al viso. Gli si adattava perfettamente.
E nel suo cervello si aprì un vortice. Gli sembrò di galleggiare, di essere preso da quel movimento vorticoso, di girare nelle sue spire, di sprofondare sempre più.
La maschera, ormai parte di lui, gli fece conoscere cose incredibili, sensazioni che sfuggivano alla sensibilità umana, piaceri diabolici, alieni ai normali mortali.
Visse così parte della vita di Sànchez, ne fu coinvolto, affascinato.
Divenne Sànchez.
Sànchez rivisse in lui.
Iniziò per lui una nuova vita, due dimensioni diverse e non compatibili.
Una con la maschera, l'altra senza.
La sua prima vittima fu la giovanissima figlia di un suo affittuario che allevava cavalli sulle pendici della montagna.
Lui, Alejandro, spesso si fermava a dormire nella sua capanna mentre era in viaggio. Aveva notato la figura leggiadra della ragazza. Le sue forme, il giovane seno.
La attese sulla curva della strada che lei doveva percorrere per raggiungere il lontano paesino dove faceva provviste.
Indossava la maschera. Gli dava una sicurezza infinità, una sensazione di forza sovrumana, una libidine senza limiti.
La prese, la stordì e la caricò sulla groppa del suo cavallo allontanandosi dal luogo del rapimento. Gli sembrava ora di conoscere ogni metro quadro dei luoghi, alla sua conoscenza si era aggiunta quella di Sànchez.
Legò la ragazza a dei paletti conficcati a terra e ne attese il risveglio.
Dopo, molto più tardi buttò il povero corpo martoriato fra i cespugli e se andò. Si sentiva leggero, liberato.
Aveva rovesciato la clessidra, solo che i granelli già la stavano riempiendo di nuovo, già si stava annunciando una nuova tragedia.
Iniziò di nuovo l'era del terrore per il paese.
Aumentarono le precauzioni e lui dovette essere più spavaldo, più temerario, per soddisfare le sue voglie bestiali, arrivò a sterminare una intera famiglia nel sonno per poter avere la giovane figlia.
Alejandro era cambiato. E se ne accorse anche Inéz, sua moglie. Notò dopo un certo periodo anche la coincidenza delle sue assenze con le sparizioni e i delitti. Poi la mancanza continua di vestiti dal guardaroba di Alejandro, vestiti che lui buttava per precauzione perché macchiati di sangue. Gli chiese spiegazioni ed ebbe la verità. Diventò sua complice. Prima solo consenziente, poi attiva tanto era il potere della maschera. Ora i delitti erano più vari. Iniziarono a sparire anche dei ragazzi, giovani uomini. I corpi ritrovati mostravano l'evirazione del pene oltre alla violenza carnale. Presto iniziarono a circolare delle voci. Felipe aveva raccontato della maschera. Stavano facendo le giuste considerazioni.
Inéz, lucidamente, costrinse il marito a preparare in fretta e furia i bagagli. Lasciarono il paese. Presero un vapore in partenza da Puerto Madero per Panama e da qui un passaggio per l'Europa. Si fermarono a Madeira dove le loro famiglie avevano delle proprietà.
Con loro aveva viaggiato la maschera.
Ora anche Inéz aveva preso a usarla. Sulla nave avvenne un caso strano. Scomparve un cameriere, si pensò ad una sua caduta accidentale fuori bordo. In realtà era stata vittima della diabolica coppia. Irretito da Inéz, piegato alla sua voglia, usato, spremuto dalla sua immensa libidine, seviziato da ambedue e gettato in mare.
In Madeira iniziarono le sparizioni e i delitti.
Ma qualcosa si era messa in moto, voci provenienti dal Messico sempre più dettagliate e insistenti, le macchie di sangue nella cabina della nave, le sparizioni, le uccisioni nell'isola coincidenti con il loro arrivo, tutto prendeva forma e sostanza. Presto sarebbero stati messi in condizione di non nuocere, loro ne erano ben coscienti.
Si uccisero nella notte, dopo aver fatto selvaggiamente sesso, tagliandosi le vene dei polsi e lasciandosi dissanguare lentamente.
La maschera di Diego Maria Sànchez non fu cercata e non fu trovata. Se ne perse ogni traccia. Era il 1932.
Come so tutto questo?
Tutti questi dettagli?
Ora la sua maschera l'ho io, ora io sono lui.
Io sono Diego Maria Sànchez.
Tibet.
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