Sangue

di
genere
pulp

Le temperature sono precipitate: dopo un avvio di primavera, le neve si è fatta rivedere a basse quote. Nulla di nuovo: succede da alcuni anni. Il freddo che sento non è fuori di me, però. Lo sento nascere dal basso ventre e diffondersi silenzioso, inconsiderato fino a quando non è troppo tardi. Prende i muscoli, le viscere, le ossa e poi ogni fibra, ogni cellula; si impossessa del mio corpo per arrivare alla mente, vuole farmi cadere in quel buio assoluto dove non esiste più alcun desiderio, nessuno stimolo. Vuole farmi credere che sia questa la vita: una sequenza ininterrotta di doveri e di ruoli a cui sottomettersi. Vuole farmi credere che non esisto al di fuori di essi, anzi che non ho “diritto” di esistere. Che alzare la testa e vedere fuori al di là del buio è “male”.
Sono all’ultimo stadio: a breve il gelo bloccherà i miei pensieri vitali. Resisto, so che è profondamente sbagliato tutto questo. Io che amo la vita degli altri, che amo la libertà degli altri, so che devo imparare ad amare la mia. Una fiammella, meno, una brace sotto cumuli di cenere che vogliono soffocarla. Una fatica immane a tenerla accesa.
Poi tu, i tuoi occhi. Cosa vedono? Chi vedono? Mi vedono e non giudicano, non affossano, anzi mi amano. Amano me, come i miei amano te. Ci vediamo interamente, vediamo le nostre debolezze e forze reciproche. Nessuna sopravalutazione, nessun piedistallo. Accoglienza. Delle nostre paure, delle nostra miserie, delle nostre grandezze. E’ per questo che facciamo l’amore “sempre”, è per questo che qualsiasi cosa facciamo nel letto, per quanto strana, estrema, diversa, dura, è dolcezza quella che ci pervade.
Non penso minimamente a tutto questo, mentre tu mi prendi con forza, sopra di me, mi allarghi le gambe e affondi in me, come una lama nel burro morbido. Mi sorprendo sempre di quanto i miei umori siano abbondanti, di come mi apra per accoglierti. Il nostro guardarci, sempre più profondo, parallelamente agli affondi. Sembriamo alla ricerca continua, estenuante e mai sazia di un altro aspetto dell’altro che ce lo riveli ancora e ancora. E la nostra quotidianità banale per chi la dà per scontata, ma non per noi. Noi non diamo scontato nulla da anni. Per noi è sempre straordinaria e genere meraviglia.
Mi leghi, le braccia più in basso del corpo, le caviglie al letto. Mi fai impazzire con la tua lingua, a lungo. Quando torni su per baciarci hai una lama in mano. Nessuna parola, solo un mio abbassare le palpebre. Mi dai il tuo sesso in bocca e scivolo nel sonno.
Mi trovano il giorno dopo, nella vasca da bagno. L’acqua ormai fredda, rossa del mio sangue.
Guardo le persone affaccendarsi, cercano lettere inesistenti. Mi chiedo come facciano a non trovare le tue tracce: nulla sul computer, sul telefono.
Eppure so che esisti.
O no?
scritto il
2019-04-07
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