Luci
di
carognetta
genere
sentimentali
Le tende di lino, leggere, bianche, coprono appena i vetri delle finestre che si affacciano sul mare. Le scosto appena, per poter ammirare la distesa d’acqua che nella sera che scende scompare progressivamente, nero in movimento nel nero statico dell’aria. Lontano, appena percepibili, luci di varia grandezza, di varia intensità: non le riconosco, non ancora, ma so che appartengono ad imbarcazioni differenti. Sono ipnotiche, così lontane, così evanescenti, tremolanti, tra strie di nuvole più o meno dense. Sembrano finestre di case con serrande abbassate, ma non fissamente, tanto da lasciare trasparire il chiarore. Le mie labbra si aprono da sole sussurrando “ti ricordi?” mi rivolgo a te, che non ci sei, ma stai per tornare. Un tempo abitavamo altrove, in un appartamento tra altri, tutti vicini, tanto vicini che si vedeva la stanza di fronte. E noi, che amiamo fare l’amore guardandoci in ogni istante, che farlo al buio ci sembra di perdere troppo, abbassavamo le tapparelle, nella stanza illuminata dalle lampadine e dalla nostra pelle, incandescente, mai paga di carezze. Ora non ha importanza: nessuno può vederci: solo le navi lontane che forse sorridono a me quanto io sorrido loro.
Non ti ho sentito entrare, persa nei miei pensieri, persa nel mio desiderio per te: poggi la mano sulla schiena, lasciandola scivolare dalla nuca lungo la colonna, mentre mi baci sul collo. Cerco le tue labbra, la tua lingua. Poi scendo, apro i pantaloni e libero il tuo sesso per portarlo alla mia bocca: io sono tornata, ora ti perdi tu.
Non ti ho sentito entrare, persa nei miei pensieri, persa nel mio desiderio per te: poggi la mano sulla schiena, lasciandola scivolare dalla nuca lungo la colonna, mentre mi baci sul collo. Cerco le tue labbra, la tua lingua. Poi scendo, apro i pantaloni e libero il tuo sesso per portarlo alla mia bocca: io sono tornata, ora ti perdi tu.
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