Un piacevole ripiego
di
mimma_goose
genere
incesti
— Vaffanculo, Enrico. Tra noi è finita! Trovatene una che sia più "malleabile" di me! Dimenticati che esisto! Dimenticati il mio numero di telefono! Dimentica tutto di me! E fa un piacere a tutti… tagliati le palle!!!!!
Ne avevo proprio abbastanza. Questa era stata proprio la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. E me ne andai sbattendo la porta di casa sua.
“Stronzo bastardo!”. Erano davvero le uniche parole che mi venivano in mente per definire quel pezzo di deficiente del mio ragazzo, ex ragazzo a questo punto. “Adesso devo essere io quella ragionevole! Solo perché qualche mese fa ha scopato con una "per caso" e adesso viene a sapere che la puttanella è incinta!”
Va bene tutto, ma questo proprio no! Ho passato sopra le dimenticanze, le volgarità, gli amici, le partite al pallone, per non parlare della sua auto, e l'essere sempre messa al secondo posto a tutto, ma questo non potevo proprio accettarlo. Lui aveva scopato con lei e adesso doveva crescere e farsi carico delle sue responsabilità.
E lui si aspettava che io, IO, fossi più malleabile. Che avrei dovuto accettare che stesse per avere un figlio da una che era davvero una puttanella. Conoscevo bene la ragazza in questione. Era una che frequentava la mia stessa scuola ai tempi delle superiori, di qualche anno più grande, e già allora aveva una certa fama.
Camminavo impettita e furente per le vie del centro, desiderando solo di arrivare in fretta alla metropolitana, per poi rinchiudermi nel mio piccolo appartamento a piangere e scrollarmi di dosso tutti gli ultimi due anni assieme a lui. Ci avrei scommesso che i passanti che mi sfilavano al fianco, vedessero del fumo nero uscire dal mio corpo arrabbiato, proprio come in una vignetta o un cartone animato.
In qualche modo riuscii a tornare a casa prima di scoppiare a piangere. Non tanto per il dolore di avere rotto con lui o l'umiliazione di aver saputo la verità, quanto piuttosto per i due anni che avevo perso dietro a lui. Dietro ad un mentecatto testa di cazzo…
Mi ripresi quasi subito perché il dolore per l'umiliazione non era poi così forte. Mi tolsi i vestiti che avevo addosso, prediligendo una canottiera lunga e degli shorts leggeri. Mi tolsi anche le mutandine ed il reggiseno. In casa non li portavo mai, se ero sola.
Ero in cucina e stavo riempiendo la ciotola di Oscar, il mio gattone nero. Sembra una pantera in miniatura.
Suonò il campanello.
“Oh… vuoi scommettere che il deficiente mi ha seguito?” pensai, con una grande voglia di ignorare quel suono molesto. Ma se avessi lasciato perdere i vicini si sarebbero infuriati con me.
Andai alla porta.
— Se pensi che, con l'avermi seguita, ti perdoni sei proprio fuori di testa! — iniziai ad urlare ancora prima di aprire la porta.
L'aprii e… mi ritrovai mio padre davanti con una mano alzata pronto a bussare anziché attaccarsi al campanello.
— Ah, sei tu. Pensavo fossi Enrico. Ciao, papà, entra.
— Perché? che ha fatto stavolta? — chiese papà, che era al corrente di tutta la mia vita, sentimentale e non.
— Dai, vieni dentro. Non voglio sbandierare tutto sul pianerottolo — dissi facendomi da parte per farlo passare.
E così gli raccontai tutto.
— Non so che dirti, Anna, se non che è meglio che ti sia liberata di lui adesso, prima che tu avessi fatto un altro tipo di passo, magari averlo sposato.
Sposato!? Sì, ci avevo fatto qualche pensierino, ma diciamocela tutta… lo sentivo a pelle che Enrico non era proprio il tipo da sposare. Infatti non vivevamo neanche insieme. Ci vedevamo due o tre volte la settimana, ma niente di più. E anche il sesso ultimamente non era nemmeno un granché.
— Figurati… proprio lui… — gli risposi. — Comunque, perché sei qui?
— Perché? Non posso venire a trovare la mia figlia preferita?
— Papà… — risposi in tono esasperato, — sono la tua unica figlia.
— Che tu sappia… — mi disse facendo l'occhiolino.
— Non ti ci mettere anche tu! Siete tutti uguali voi uomini! Scopare a destra e a manca senza preoccuparsi delle conseguenze!
— Ehi, tesoro, stavo scherzando!
— Scherzi del cazzo! — risposi indignata. — E poi sei davvero, davvero, così sicuro che tu non abbia avuto figli di cui non sei a conoscenza?
— Se la metti su questo punto, ti posso garantire al 100% che sono sempre stato responsabile. Sono sempre stato molto attento da questo punto di vista. Ho sempre usato i preservativi con tutte le ragazze che ho avuto, anche se non erano tante. Con tua madre, poi, non ce n'è mai stato bisogno… eravamo sposati, dopotutto. E infatti sei nata poco dopo. E adesso… si può dire che sono casto come una monaca, anche se il paragone fa schifo.
Già, non vi ho raccontato niente della mia famiglia. I miei si sono sposati giovanissimi, lui 22 e lei 20, ed io sono arrivata quasi subito, prima ancora che fosse passato il primo anniversario. Dieci anni dopo le cose iniziarono ad andare male. Mia madre si era invaghita di un tizio e se n'era andata di casa all'incirca per sei mesi. Poi era tornata, ma a quel punto mio padre non ne ha più voluto sapere di lei. Si sono separati e poi è arrivato il divorzio. Io sono sempre rimasta con papà. Ora mio padre ha 45 anni.
— Oh… ma che bravo ragazzo… — risposi sarcastica. — Comunque… lasciando da parte la mia situazione, perché sono davvero inviperita con quel pezzo di deficiente, perché sei qui?
— Niente di che, tesoro. Passavo da queste parti e volevo vederti. Sono giorni che non ti vedo né ti sento. Era strano e volevo sapere come stavi. Tutto qua.
— Sto bene, papà. È solo che ho avuto un po' da fare al lavoro. Con la fiera la prossima settimana, il direttore voleva concludere alcune pratiche prima della sua partenza.
— E non vai con lui?
— No, quest'anno porta una mia collega fortunatamente. Sai è l'ultima arrivata, carina, spigliata… proprio il suo tipo, tanto per stare in argomento di uomini poco responsabili. Sarà molto indaffarato a gestire la fiera e lei — risposi io. Ero proprio felice che di essermi tolta dai piedi quell'uomo. — Così potrò godermi anche io un po' di pace.
— Sono contento — disse papà. — Senti, perché non usciamo noi due insieme? Andiamo a vederci un film… una pizza…
— Non so, papà… non è che abbia molta voglia di uscire.
— E dai…! È passato un sacco di tempo da che abbiamo passato una serata insieme! Fallo per me… — mi chiese implorando.
— Va bene. Vado a farmi una doccia e a vestirmi. Tu intanto guarda che film ci sono. E niente film horror! Li detesto.
— Come vuoi, tesoro.
Lasciai mio padre in cucina e andai a fare quello che dovevo.
Ero ancora in bagno, con l'asciugamano avvolto attorno al mio corpo, quando papà si affacciò alla porta del bagno.
— Tesoro… — iniziò a dire, mi girai verso di lui e, manco a dirlo, proprio in quel momento il telo mi scivolò via dal corpo.
Rimanemmo a fissarci a lungo. Io lo guardavo in viso, con le guance bollenti, e lui mi guardava il corpo. Il suo sguardo venne catturato dai miei seni e dai miei fianchi nudi. Vedevo il suo pomo salire e scendere rapidamente, segno della tensione che lo aveva colto. La mano, che prima era sulla maniglia della porta, scivolò lentamente sul suo fianco. Tremava leggermente.
— Wow, tesoro… sei bellissima… — con gli occhi che passavano in rassegna il mio corpo.
Non avevo il coraggio di muovermi, nemmeno di raccogliere l'asciugamani per coprirmi.
Poi si ricompose, guardandomi in volto.
— C'è un solo film decente. Quello dei Pirati dei Caraibi, ti va bene?
— Uff… se non c'è di meglio, ok. A quale cinema lo danno?
— Il multisala qua vicino. Possiamo andare alla proiezione che inizia alle 19 e poi ci possiamo fermare al ristorante che c'è nel piazzale. Quello che fanno la carne alla brace.
— D'accordo. Però sarà meglio prenotare entrambi, non trovi?
— Ottima idea.
E si allontanò, lasciandomi completamente esterrefatta ed ancora completamente nuda, con la porta socchiusa.
Raccolsi l'asciugamani da terra, ma non mi coprii. Che senso aveva, ora che mi aveva vista nuda? Ha pure detto che sono bellissima.
Mi sentii finalmente apprezzata da qualcuno. Il mio "ex" ragazzo vedeva una fica con le gambe, il mio direttore vedeva una bambola da usare come e quando voleva (anche se io non avevo mai ceduto alle sue lusinghe), i miei colleghi era meglio lasciarli perdere perché o erano sposati o erano sciupa femmine incalliti e dalla pessima reputazione.
Mi asciugai i capelli, stirandoli con cura, e passai in camera per vestirmi. Non osai guardare in cucina, ma essendo solo un bilocale mio padre doveva per forza vedermi passare. Attraversai di corsa quel metro che separava il bagno dalla camera.
Decisi di vestirmi al meglio. Sì, un bel push-up (che avrebbe evidenziato la mia terza), mutandine di pizzo, una bella mini (quadrettata bianca e nera, tutta pieghe) ed una camicia di raso bianca che avevo da parte già da un po' di mesi. Senza calze, perché le serate erano già piuttosto calde.
Dalla porta aperta entrò con passo felpato Oscar, che si sdraiò sul mio letto. Rimase ad osservami mentre mi vestivo, mentre le sue rumorose fusa mi rilassavano piacevolmente. Rientrai in bagno per un rapido trucco e… ero pronta.
Tornai in soggiorno. Papà si era messo comodo sul divano e stava leggendo una pagina a caso del libro appoggiato sul tavolino accanto.
— Da quando ti piace questa roba? È patetico…
Era un romanzetto rosa, che era allegato ad una rivista che compravo ogni mese.
— Era in omaggio col giornale che compro di solito. Poi lo butto. Io sono pronta, possiamo andare.
Sollevò gli occhi su di me, dopo aver rimesso il libretto dove lo aveva trovato. E ancora il suo sguardo passò in rassegna il mio corpo.
— Oh, tesoro… così mi fai sfigurare… Anzi no, saranno tutti invidiosi…
Si alzò, mi si avvicinò, e mi diede un bacio. Un bacio leggero, sull'angolo della bocca.
— Sei bellissima, Anna. Andiamo…
Si avvicinò all'attaccapanni dell'ingresso, prese il mio trench, mi aiutò ad indossarlo e poi mi diede il braccio. Come fossimo stati nell'Ottocento.
— La prego signorina… Mi permetta di accompagnarla…
Lo guardai sorridendo. — Ma certamente… mio caro signor conte… Sarà un piacere stare in sua compagnia…
Era una battuta del libro che mi ricordavo perfettamente.
Spense le luci, chiusi a chiave la porta, ed uscimmo insieme.
Fu una piacevole serata. Il film, tutto sommato non era male.
Ogni tanto papà mi prendeva la mano e me la accarezzava dolcemente, mi sorrideva e si allungava per darmi un tenero bacio sulla guancia.
Lo lasciavo fare: ci sono sempre stati questi momenti di tenerezza tra noi.
Quando il film terminò, ci fermammo al ristorante. Non avevano accettato la prenotazione, e fortunatamente non c'era tanta gente. Ci diedero un tavolo in un angolo appartato e ordinammo delle costolette alla griglia e patatine, e poi una volta finito, visto che non era tardi, andammo a fare una passeggiata nella zona dei navigli. Ci prendemmo un gelato, che mangiammo camminando fianco a fianco e guardando le vetrine. Davanti ad un negozio di abbigliamento, notai uno splendido abito. Rimasi a guardarlo a lungo, tanto che mio padre dovette tornare indietro per vedere cosa mi avesse trattenuto.
Era un abito piuttosto corto, di pizzo blu scuro.
— Ti piace così tanto, tesoro?
— È bellissimo, papà. Credi che su di me starebbe bene?
Papà guardò per bene l'abito e poi guardò me.
— Direi proprio di sì, tesoro. Slancerebbe la tua figura sottile meravigliosamente… e poi quel vedo e non vedo del pizzo… Sì… ti starebbe alla grande…
Mi prese ancora sottobraccio e ci incamminammo verso l'auto parcheggiata e poi tornammo a casa.
Parcheggiò sulla strada semideserta, proprio di fronte all'ingresso del palazzo. Da bravo cavaliere mi aprì lo sportello e mi aiutò a scendere. Poi mi prese per mano, intrecciando le dita con le mie. Il mio cuore sussultò e partì a razzo in una grande corsa. Recuperai a fatica le chiavi dalla borsa, perché papà non voleva lasciare la mia mano. Quando poi riuscii a tirarle fuori, papà me le prese di mano ed aprì lui. Quando ci fermammo davanti all'ascensore, in attesa che scendesse al piano, papà mi scostò i capelli dal viso e mi accarezzò la guancia.
— Stasera sei davvero magnifica, tesoro… Mi hai fatto fare una splendida figura, con te al mio fianco. Ho visto diversi uomini e moltissimi giovani guardarti con desiderio, e ad ognuno di loro avrei voluto dare un pugno in faccia per il solo fatto che ti stavano guardando…
— Papà… — ma lui mi zittì subito, mettendomi un dito sulle labbra.
— No, tesoro, non dire niente. È la pura e semplice verità.
Poi mi accarezzò le labbra con il dito. Fortunatamente l'ascensore arrivò prima che potesse succedere dell'altro.
Quando fummo davanti alla porta del mio appartamento, papà mi diede le chiavi e fece per andarsene. Ma io lo afferrai per un braccio prima che potesse fare anche solo un passo.
— No… resta… resta con me…
Papà annuì ed io aprii la porta. Entrammo silenziosamente, senza nemmeno accendere le luci. Nell'ingresso papà mi tolse il trench e appese la sua giacca. Ci togliemmo anche le scarpe.
Attraversammo il soggiorno a piedi nudi, tenendoci per mano, lui mezzo passo dietro di me.
Ci fermammo davanti al divano. Ormai era chiaro anche a me che papà mi desiderava, ed anche lui non mi era indifferente.
Mi girai verso di lui, allungando la mano libera sul suo torace, accarezzandolo.
Sotto le mie dita sentivo la morbida stoffa della camicia e, più sotto i suoi muscoli sodi. Si era sempre tenuto in forma. Mi allungai verso il suo viso e gli diedi un rapido bacio sulle labbra. Poi iniziai a sbottonargli la camicia. A quel punto lui mi lasciò la mano libera di muoversi e ciò mi rese più facile fare quello che stavo facendo.
Anche le sue mani andarono in esplorazione, toccandomi i fianchi, per poi salire verso l'alto.
Continuavamo a guardarci negli occhi, mentre le nostre mani agivano. I nostri respiri accelerarono per l'emozione. Le sue mani raggiunsero la fila di bottoncini della mia camicetta e lentamente li fece passare nelle asole. Quando la mia camicia fu completamente aperta me la sfilò dalle spalle, lasciandola cadere a terra. Poi fu la volta della gonna, che raggiunse la camicia.
Papà contemplò di nuovo il mio corpo.
— Wow… tesoro… sei meravigliosa… È da quanto ti ho vista nuda, questa sera, che ti desidero… che desidero farlo… ma tu… tu sei mia figlia… e non dovrei proprio pensare a queste cose…
Questa volta toccò a me zittirlo. Ma non lo feci con un dito. Poggiai direttamente le mie labbra socchiuse sulle sue. Quando sentì la mia lingua, papà aprì le sue labbra e finalmente le nostre lingue iniziarono la loro danza.
Papà mi strinse a sé. Le mie mani si avventuravano sulla sua schiena, dopo avergli tolto la camicia, accarezzandolo su e giù. Papà mi strinse più forte ed io avvertii la sua erezione contro il mio corpo.
Riuscii ad infilare le mani tra i nostri corpi stretti e a slacciargli i pantaloni. Sentivo il suo pene, rigido e lungo, spingere per uscire dagli slip. In qualche modo riuscii ad abbassarglieli, senza muoverci dalle nostre posizioni.
Sempre baciandoci, papà si sedette sul divano, tirandomi su di sé. Mi sedetti sulle sue gambe, con il suo pene tra di noi, che mi stuzzicava attraverso i miei slip, ancora al loro posto.
Le mani di papà mi accarezzavano ovunque. Quando raggiunsero il reggiseno fece scattare i gancetti e me lo tolse. Era uno di quelli senza spalline. Con il seno ormai libero, le sue mani presero ad accarezzarlo dolcemente, avvertendo i miei capezzoli turgidi contro il palmo delle sue mani. Ci baciavamo intensamente, con i nostri corpi che reagivano alla situazione.
Avvertivo ritmiche contrazioni nell'addome, segno che la situazione stava evolvendo precipitosamente.
Poi le mani di papà scesero sui miei fianchi, e capii che desiderava di più.
Mi staccai mal volentieri da lui e mi misi in piedi, in modo che potesse sfilarmi le mutandine. Impossibilitata a muovermi, papà avvicinò il suo viso al mio addome. Fece scorrere le labbra fino a raggiungere la parte più sensibile del mio corpo. Fece un respiro profondo, ci posò sopra un bacio e poi mi tirò nuovamente a sé.
Mi sentivo smisuratamente umida là sotto, tanto che temevo di fare una brutta figura.
Ma, a quanto pareva, a papà non interessava. Mi baciava intensamente e con determinazione, con le mani che si avventuravano dappertutto. Quando raggiungevano i miei fianchi, mi tirava forte contro di sé.
Io, invece, sentivo soltanto il suo pene che si schiacciava contro il mio clitoride, aumentando il mio desiderio di lui.
Poi d'improvviso, mi sollevò il sedere ed avvertii il glande appoggiarsi sulla mia fessura. Con un rapido movimento, poi, papà mi spinse giù, riuscendo ad infilare il suo grandioso pene dentro di me.
— Ah… — dissi con un sospiro, contro le sue labbra. — Sì… papà… sì…
Papà non si muoveva, ma sentivo ugualmente il suo pene muoversi dentro di me.
D'improvviso papà si alzò dal divano e, tenendomi in braccio, andammo in camera. Sempre restando dentro di me, ci sdraiammo sul letto. E finalmente prese a muoversi dentro di me. Ci sapeva proprio fare papà. Subito un orgasmo mi raggiunse, stringendo ripetutamente il suo pene nel mio corpo, senza che lui smettesse un attimo di muoversi.
Con un ritmo serrato faceva dentro e fuori dalla mia vagina, regalandomi intense emozioni.
Poi rallentò e tornammo a baciarci. Di nuovo le sue mani percorsero il mio corpo, mentre si muoveva dolcemente dentro di me.
Inaspettatamente si sfilò e mugolai per il dispiacere. Ma durò poco. Papà si spostò lentamente verso il basso, lasciando che una scia di baci percorresse il mio corpo. Si soffermò sul mio seno, leccando e mordicchiando i capezzoli. Inarcai la schiena per il piacere che mi procurava. Poi riprese la scia di baci, passando al centro del petto, proprio sopra il mio cuore che batteva ad un ritmo pazzesco. I baci si spostavano sempre più giù, mi baciò l'ombelico, il basso ventre, dove poco prima scorreva il suo pene.
Finalmente trovò l'oggetto del suo desiderio. Spalancai le gambe per agevolargli il compito. Le sue labbra trovarono il mio clitoride. Leccò e succhiò avidamente quel mio piccolo organo, donandomi un piacere pazzesco. Per la tensione stringevo il copriletto tra le mani, ancorandomi a questo mondo. Con gli occhi chiusi, la mia testa leggera viaggiava tra mondi mai visti prima, il mio respiro era quasi un rantolo, tra i suoni che emettevo. Papà dovette tenermi ferma, ma non smetteva un momento di leccarmi e succhiarmi. La sua bocca si spostò un poco più giù, dissetandosi con i miei umori. La sua lingua ritornò rapidamente sul clitoride. Ed io urlai… davvero urlai per l'intenso orgasmo. Mi leccò ancora per pochi secondi e poi rapidamente avvertii di nuovo il suo pene dentro di me che si muoveva mentre l'orgasmo non accennava a passare.
Si muoveva svelto, dentro e fuori, stimolandomi sempre di più. L'orgasmo cresceva ancora di intensità, con contrazioni sempre più forti e sempre più ravvicinate.
A malapena sentii mio padre parlare.
— Anna, sto per venire…
— Dentro, papà, vienimi pure dentro quanto vuoi — riuscii dire a stento.
Non prendevo la pillola, ma non avrei mai voluto diversamente. Amavo mio padre e desideravo solo sentirlo godere dentro di me.
Papà aumentò il ritmo ancora per un poco, e poi si bloccò dentro di me in profondità.
Non so dire quanto sperma mi abbia inondato, ma papà rimase a lungo dentro di me.
Era steso sopra di me, con la fronte appoggiata alla mia. Anche quando finalmente i nostri respiri rallentarono, rimase dentro di me.
Non c'era niente da dire… non esistevano parole per spiegare quanto era appena successo. L'intensità raggiunta era così alta, così elevata, che nessuno sarebbe stato in grado di spiegare una cosa del genere.
Eravamo esausti entrambi, ma papà non mosse un muscolo. Il suo respiro rallentò, ma riprese a muoversi dentro di me.
E tutto ricominciò.
Papà versò il suo seme dentro di me per tutta la notte, venendo copiosamente.
Papà restò a casa mia e vivevamo praticamente come una coppia. Facevamo l'amore come e quando volevamo. Godevamo ampiamente dei nostri corpi, delle nostre sensazioni, dei nostri momenti di tenerezza, godendo entrambi del suo membro dentro di me.
Dopo una settimana, una sera mi disse che doveva partire per un viaggio di lavoro. Sarebbe stato via per quasi due mesi, perché doveva supervisionare la costruzione di un importante apparato necessario per la ditta per cui lavorava.
Mi sentii morire dentro, all'idea di restare sola per tutto quel periodo. Due mesi erano un sacco di tempo, quando ormai mi ero abituata a vivere con lui, ad addormentarmi tra le sue braccia dopo che lui aveva goduto dentro di me, e a risvegliarmi al tocco delle sue labbra sopra le mie, e anche in altre parti del mio corpo.
Misi il broncio.
— Tesoro mio… Amore mio… anche io non vorrei proprio lasciarti, ma devo assolutamente andare. Potremo comunque sentirci tutte le sere via Skype. E comunque partirò solo tra dieci giorni.
E così fu. Dieci giorni dopo accompagnai papà all'aeroporto e ci salutammo dopo un lunghissimo abbraccio ed un altrettanto lungo bacio.
La sera prima l'avevamo passata interamente a letto, così come tutte le altre sere precedenti. Papà voleva che ricordassi il più a lungo possibile come fosse averlo dentro di me, cosicché quando ci saremmo sentiti, avrei potuto immaginarmi che lui fosse ancora al mio fianco, che lui fosse ancora dentro di me.
Ritornai a casa in lacrime. Sapeva che sarei stata in quelle condizioni e aveva voluto che prendessimo un taxi.
Nonostante tutto il tempo volò e papà ritornò dal suo viaggio di lavoro.
Suonò il campanello e accorsi raggiante ad aprirgli la porta. Mi aveva telefonato poco prima per dirmi che stava arrivando. Tra le mani aveva una scatola grande all'incirca una quarantina di centimetri. Mi spostai per farlo passare.
— Papà… — gli dissi con un sospiro. — È per me? Non dovevi…
— Ma volevo, tesoro.
La aprii con delicatezza e rimasi senza parole alla vista del suo contenuto. Era lo splendido abito di pizzo blu che avevamo visto tempo addietro, la sera della nostra prima volta.
— È un abito bellissimo, e ti sono grata per avermelo regalato. Ma per un po' di mesi non potrò metterlo. Vedi, papà… sto aspettando tuo figlio.
Papà mi sorrise raggiante e mi baciò.
— Grazie, amore mio… È una splendida notizia… Avremo un figlio… un figlio dalla donna che amo più di ogni altra cosa… a parte forse nostro figlio…
La relazione con mio padre andava di bene in meglio. Quando seppe che ero incinta, volle assolutamente che mi trasferissi a casa sua. Era più grande e poi volle pure che smettessi di lavorare. Avrebbe pensato lui a mantenerci, disse. Infatti con il lavoro che faceva, guadagnava molto.
Da allora vivo come una gran signora, occupandomi solo di nostra figlia.
Tra pochi giorni avrebbe compiuto due anni e già stavo pensando che era tempo di un secondo figlio…
Tempo dopo rividi Enrico, il mio ex. Ero al centro commerciale e stavo spingendo il passeggino con mia figlia dentro. Io ero diretta in un negozio per acquistare dei vestitini per la bambina e lui era in fila alle casse. Con lui c'erano una donna, un bambino di circa tre anni ed uno piccolissimo. La donna stava discutendo con Enrico, e lui stava lì a subire, zitto zitto. Era diventato praticamente il suo zerbino… Tirai dritto, senza lasciar intendere che lo avevo riconosciuto.
Ne avevo proprio abbastanza. Questa era stata proprio la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. E me ne andai sbattendo la porta di casa sua.
“Stronzo bastardo!”. Erano davvero le uniche parole che mi venivano in mente per definire quel pezzo di deficiente del mio ragazzo, ex ragazzo a questo punto. “Adesso devo essere io quella ragionevole! Solo perché qualche mese fa ha scopato con una "per caso" e adesso viene a sapere che la puttanella è incinta!”
Va bene tutto, ma questo proprio no! Ho passato sopra le dimenticanze, le volgarità, gli amici, le partite al pallone, per non parlare della sua auto, e l'essere sempre messa al secondo posto a tutto, ma questo non potevo proprio accettarlo. Lui aveva scopato con lei e adesso doveva crescere e farsi carico delle sue responsabilità.
E lui si aspettava che io, IO, fossi più malleabile. Che avrei dovuto accettare che stesse per avere un figlio da una che era davvero una puttanella. Conoscevo bene la ragazza in questione. Era una che frequentava la mia stessa scuola ai tempi delle superiori, di qualche anno più grande, e già allora aveva una certa fama.
Camminavo impettita e furente per le vie del centro, desiderando solo di arrivare in fretta alla metropolitana, per poi rinchiudermi nel mio piccolo appartamento a piangere e scrollarmi di dosso tutti gli ultimi due anni assieme a lui. Ci avrei scommesso che i passanti che mi sfilavano al fianco, vedessero del fumo nero uscire dal mio corpo arrabbiato, proprio come in una vignetta o un cartone animato.
In qualche modo riuscii a tornare a casa prima di scoppiare a piangere. Non tanto per il dolore di avere rotto con lui o l'umiliazione di aver saputo la verità, quanto piuttosto per i due anni che avevo perso dietro a lui. Dietro ad un mentecatto testa di cazzo…
Mi ripresi quasi subito perché il dolore per l'umiliazione non era poi così forte. Mi tolsi i vestiti che avevo addosso, prediligendo una canottiera lunga e degli shorts leggeri. Mi tolsi anche le mutandine ed il reggiseno. In casa non li portavo mai, se ero sola.
Ero in cucina e stavo riempiendo la ciotola di Oscar, il mio gattone nero. Sembra una pantera in miniatura.
Suonò il campanello.
“Oh… vuoi scommettere che il deficiente mi ha seguito?” pensai, con una grande voglia di ignorare quel suono molesto. Ma se avessi lasciato perdere i vicini si sarebbero infuriati con me.
Andai alla porta.
— Se pensi che, con l'avermi seguita, ti perdoni sei proprio fuori di testa! — iniziai ad urlare ancora prima di aprire la porta.
L'aprii e… mi ritrovai mio padre davanti con una mano alzata pronto a bussare anziché attaccarsi al campanello.
— Ah, sei tu. Pensavo fossi Enrico. Ciao, papà, entra.
— Perché? che ha fatto stavolta? — chiese papà, che era al corrente di tutta la mia vita, sentimentale e non.
— Dai, vieni dentro. Non voglio sbandierare tutto sul pianerottolo — dissi facendomi da parte per farlo passare.
E così gli raccontai tutto.
— Non so che dirti, Anna, se non che è meglio che ti sia liberata di lui adesso, prima che tu avessi fatto un altro tipo di passo, magari averlo sposato.
Sposato!? Sì, ci avevo fatto qualche pensierino, ma diciamocela tutta… lo sentivo a pelle che Enrico non era proprio il tipo da sposare. Infatti non vivevamo neanche insieme. Ci vedevamo due o tre volte la settimana, ma niente di più. E anche il sesso ultimamente non era nemmeno un granché.
— Figurati… proprio lui… — gli risposi. — Comunque, perché sei qui?
— Perché? Non posso venire a trovare la mia figlia preferita?
— Papà… — risposi in tono esasperato, — sono la tua unica figlia.
— Che tu sappia… — mi disse facendo l'occhiolino.
— Non ti ci mettere anche tu! Siete tutti uguali voi uomini! Scopare a destra e a manca senza preoccuparsi delle conseguenze!
— Ehi, tesoro, stavo scherzando!
— Scherzi del cazzo! — risposi indignata. — E poi sei davvero, davvero, così sicuro che tu non abbia avuto figli di cui non sei a conoscenza?
— Se la metti su questo punto, ti posso garantire al 100% che sono sempre stato responsabile. Sono sempre stato molto attento da questo punto di vista. Ho sempre usato i preservativi con tutte le ragazze che ho avuto, anche se non erano tante. Con tua madre, poi, non ce n'è mai stato bisogno… eravamo sposati, dopotutto. E infatti sei nata poco dopo. E adesso… si può dire che sono casto come una monaca, anche se il paragone fa schifo.
Già, non vi ho raccontato niente della mia famiglia. I miei si sono sposati giovanissimi, lui 22 e lei 20, ed io sono arrivata quasi subito, prima ancora che fosse passato il primo anniversario. Dieci anni dopo le cose iniziarono ad andare male. Mia madre si era invaghita di un tizio e se n'era andata di casa all'incirca per sei mesi. Poi era tornata, ma a quel punto mio padre non ne ha più voluto sapere di lei. Si sono separati e poi è arrivato il divorzio. Io sono sempre rimasta con papà. Ora mio padre ha 45 anni.
— Oh… ma che bravo ragazzo… — risposi sarcastica. — Comunque… lasciando da parte la mia situazione, perché sono davvero inviperita con quel pezzo di deficiente, perché sei qui?
— Niente di che, tesoro. Passavo da queste parti e volevo vederti. Sono giorni che non ti vedo né ti sento. Era strano e volevo sapere come stavi. Tutto qua.
— Sto bene, papà. È solo che ho avuto un po' da fare al lavoro. Con la fiera la prossima settimana, il direttore voleva concludere alcune pratiche prima della sua partenza.
— E non vai con lui?
— No, quest'anno porta una mia collega fortunatamente. Sai è l'ultima arrivata, carina, spigliata… proprio il suo tipo, tanto per stare in argomento di uomini poco responsabili. Sarà molto indaffarato a gestire la fiera e lei — risposi io. Ero proprio felice che di essermi tolta dai piedi quell'uomo. — Così potrò godermi anche io un po' di pace.
— Sono contento — disse papà. — Senti, perché non usciamo noi due insieme? Andiamo a vederci un film… una pizza…
— Non so, papà… non è che abbia molta voglia di uscire.
— E dai…! È passato un sacco di tempo da che abbiamo passato una serata insieme! Fallo per me… — mi chiese implorando.
— Va bene. Vado a farmi una doccia e a vestirmi. Tu intanto guarda che film ci sono. E niente film horror! Li detesto.
— Come vuoi, tesoro.
Lasciai mio padre in cucina e andai a fare quello che dovevo.
Ero ancora in bagno, con l'asciugamano avvolto attorno al mio corpo, quando papà si affacciò alla porta del bagno.
— Tesoro… — iniziò a dire, mi girai verso di lui e, manco a dirlo, proprio in quel momento il telo mi scivolò via dal corpo.
Rimanemmo a fissarci a lungo. Io lo guardavo in viso, con le guance bollenti, e lui mi guardava il corpo. Il suo sguardo venne catturato dai miei seni e dai miei fianchi nudi. Vedevo il suo pomo salire e scendere rapidamente, segno della tensione che lo aveva colto. La mano, che prima era sulla maniglia della porta, scivolò lentamente sul suo fianco. Tremava leggermente.
— Wow, tesoro… sei bellissima… — con gli occhi che passavano in rassegna il mio corpo.
Non avevo il coraggio di muovermi, nemmeno di raccogliere l'asciugamani per coprirmi.
Poi si ricompose, guardandomi in volto.
— C'è un solo film decente. Quello dei Pirati dei Caraibi, ti va bene?
— Uff… se non c'è di meglio, ok. A quale cinema lo danno?
— Il multisala qua vicino. Possiamo andare alla proiezione che inizia alle 19 e poi ci possiamo fermare al ristorante che c'è nel piazzale. Quello che fanno la carne alla brace.
— D'accordo. Però sarà meglio prenotare entrambi, non trovi?
— Ottima idea.
E si allontanò, lasciandomi completamente esterrefatta ed ancora completamente nuda, con la porta socchiusa.
Raccolsi l'asciugamani da terra, ma non mi coprii. Che senso aveva, ora che mi aveva vista nuda? Ha pure detto che sono bellissima.
Mi sentii finalmente apprezzata da qualcuno. Il mio "ex" ragazzo vedeva una fica con le gambe, il mio direttore vedeva una bambola da usare come e quando voleva (anche se io non avevo mai ceduto alle sue lusinghe), i miei colleghi era meglio lasciarli perdere perché o erano sposati o erano sciupa femmine incalliti e dalla pessima reputazione.
Mi asciugai i capelli, stirandoli con cura, e passai in camera per vestirmi. Non osai guardare in cucina, ma essendo solo un bilocale mio padre doveva per forza vedermi passare. Attraversai di corsa quel metro che separava il bagno dalla camera.
Decisi di vestirmi al meglio. Sì, un bel push-up (che avrebbe evidenziato la mia terza), mutandine di pizzo, una bella mini (quadrettata bianca e nera, tutta pieghe) ed una camicia di raso bianca che avevo da parte già da un po' di mesi. Senza calze, perché le serate erano già piuttosto calde.
Dalla porta aperta entrò con passo felpato Oscar, che si sdraiò sul mio letto. Rimase ad osservami mentre mi vestivo, mentre le sue rumorose fusa mi rilassavano piacevolmente. Rientrai in bagno per un rapido trucco e… ero pronta.
Tornai in soggiorno. Papà si era messo comodo sul divano e stava leggendo una pagina a caso del libro appoggiato sul tavolino accanto.
— Da quando ti piace questa roba? È patetico…
Era un romanzetto rosa, che era allegato ad una rivista che compravo ogni mese.
— Era in omaggio col giornale che compro di solito. Poi lo butto. Io sono pronta, possiamo andare.
Sollevò gli occhi su di me, dopo aver rimesso il libretto dove lo aveva trovato. E ancora il suo sguardo passò in rassegna il mio corpo.
— Oh, tesoro… così mi fai sfigurare… Anzi no, saranno tutti invidiosi…
Si alzò, mi si avvicinò, e mi diede un bacio. Un bacio leggero, sull'angolo della bocca.
— Sei bellissima, Anna. Andiamo…
Si avvicinò all'attaccapanni dell'ingresso, prese il mio trench, mi aiutò ad indossarlo e poi mi diede il braccio. Come fossimo stati nell'Ottocento.
— La prego signorina… Mi permetta di accompagnarla…
Lo guardai sorridendo. — Ma certamente… mio caro signor conte… Sarà un piacere stare in sua compagnia…
Era una battuta del libro che mi ricordavo perfettamente.
Spense le luci, chiusi a chiave la porta, ed uscimmo insieme.
Fu una piacevole serata. Il film, tutto sommato non era male.
Ogni tanto papà mi prendeva la mano e me la accarezzava dolcemente, mi sorrideva e si allungava per darmi un tenero bacio sulla guancia.
Lo lasciavo fare: ci sono sempre stati questi momenti di tenerezza tra noi.
Quando il film terminò, ci fermammo al ristorante. Non avevano accettato la prenotazione, e fortunatamente non c'era tanta gente. Ci diedero un tavolo in un angolo appartato e ordinammo delle costolette alla griglia e patatine, e poi una volta finito, visto che non era tardi, andammo a fare una passeggiata nella zona dei navigli. Ci prendemmo un gelato, che mangiammo camminando fianco a fianco e guardando le vetrine. Davanti ad un negozio di abbigliamento, notai uno splendido abito. Rimasi a guardarlo a lungo, tanto che mio padre dovette tornare indietro per vedere cosa mi avesse trattenuto.
Era un abito piuttosto corto, di pizzo blu scuro.
— Ti piace così tanto, tesoro?
— È bellissimo, papà. Credi che su di me starebbe bene?
Papà guardò per bene l'abito e poi guardò me.
— Direi proprio di sì, tesoro. Slancerebbe la tua figura sottile meravigliosamente… e poi quel vedo e non vedo del pizzo… Sì… ti starebbe alla grande…
Mi prese ancora sottobraccio e ci incamminammo verso l'auto parcheggiata e poi tornammo a casa.
Parcheggiò sulla strada semideserta, proprio di fronte all'ingresso del palazzo. Da bravo cavaliere mi aprì lo sportello e mi aiutò a scendere. Poi mi prese per mano, intrecciando le dita con le mie. Il mio cuore sussultò e partì a razzo in una grande corsa. Recuperai a fatica le chiavi dalla borsa, perché papà non voleva lasciare la mia mano. Quando poi riuscii a tirarle fuori, papà me le prese di mano ed aprì lui. Quando ci fermammo davanti all'ascensore, in attesa che scendesse al piano, papà mi scostò i capelli dal viso e mi accarezzò la guancia.
— Stasera sei davvero magnifica, tesoro… Mi hai fatto fare una splendida figura, con te al mio fianco. Ho visto diversi uomini e moltissimi giovani guardarti con desiderio, e ad ognuno di loro avrei voluto dare un pugno in faccia per il solo fatto che ti stavano guardando…
— Papà… — ma lui mi zittì subito, mettendomi un dito sulle labbra.
— No, tesoro, non dire niente. È la pura e semplice verità.
Poi mi accarezzò le labbra con il dito. Fortunatamente l'ascensore arrivò prima che potesse succedere dell'altro.
Quando fummo davanti alla porta del mio appartamento, papà mi diede le chiavi e fece per andarsene. Ma io lo afferrai per un braccio prima che potesse fare anche solo un passo.
— No… resta… resta con me…
Papà annuì ed io aprii la porta. Entrammo silenziosamente, senza nemmeno accendere le luci. Nell'ingresso papà mi tolse il trench e appese la sua giacca. Ci togliemmo anche le scarpe.
Attraversammo il soggiorno a piedi nudi, tenendoci per mano, lui mezzo passo dietro di me.
Ci fermammo davanti al divano. Ormai era chiaro anche a me che papà mi desiderava, ed anche lui non mi era indifferente.
Mi girai verso di lui, allungando la mano libera sul suo torace, accarezzandolo.
Sotto le mie dita sentivo la morbida stoffa della camicia e, più sotto i suoi muscoli sodi. Si era sempre tenuto in forma. Mi allungai verso il suo viso e gli diedi un rapido bacio sulle labbra. Poi iniziai a sbottonargli la camicia. A quel punto lui mi lasciò la mano libera di muoversi e ciò mi rese più facile fare quello che stavo facendo.
Anche le sue mani andarono in esplorazione, toccandomi i fianchi, per poi salire verso l'alto.
Continuavamo a guardarci negli occhi, mentre le nostre mani agivano. I nostri respiri accelerarono per l'emozione. Le sue mani raggiunsero la fila di bottoncini della mia camicetta e lentamente li fece passare nelle asole. Quando la mia camicia fu completamente aperta me la sfilò dalle spalle, lasciandola cadere a terra. Poi fu la volta della gonna, che raggiunse la camicia.
Papà contemplò di nuovo il mio corpo.
— Wow… tesoro… sei meravigliosa… È da quanto ti ho vista nuda, questa sera, che ti desidero… che desidero farlo… ma tu… tu sei mia figlia… e non dovrei proprio pensare a queste cose…
Questa volta toccò a me zittirlo. Ma non lo feci con un dito. Poggiai direttamente le mie labbra socchiuse sulle sue. Quando sentì la mia lingua, papà aprì le sue labbra e finalmente le nostre lingue iniziarono la loro danza.
Papà mi strinse a sé. Le mie mani si avventuravano sulla sua schiena, dopo avergli tolto la camicia, accarezzandolo su e giù. Papà mi strinse più forte ed io avvertii la sua erezione contro il mio corpo.
Riuscii ad infilare le mani tra i nostri corpi stretti e a slacciargli i pantaloni. Sentivo il suo pene, rigido e lungo, spingere per uscire dagli slip. In qualche modo riuscii ad abbassarglieli, senza muoverci dalle nostre posizioni.
Sempre baciandoci, papà si sedette sul divano, tirandomi su di sé. Mi sedetti sulle sue gambe, con il suo pene tra di noi, che mi stuzzicava attraverso i miei slip, ancora al loro posto.
Le mani di papà mi accarezzavano ovunque. Quando raggiunsero il reggiseno fece scattare i gancetti e me lo tolse. Era uno di quelli senza spalline. Con il seno ormai libero, le sue mani presero ad accarezzarlo dolcemente, avvertendo i miei capezzoli turgidi contro il palmo delle sue mani. Ci baciavamo intensamente, con i nostri corpi che reagivano alla situazione.
Avvertivo ritmiche contrazioni nell'addome, segno che la situazione stava evolvendo precipitosamente.
Poi le mani di papà scesero sui miei fianchi, e capii che desiderava di più.
Mi staccai mal volentieri da lui e mi misi in piedi, in modo che potesse sfilarmi le mutandine. Impossibilitata a muovermi, papà avvicinò il suo viso al mio addome. Fece scorrere le labbra fino a raggiungere la parte più sensibile del mio corpo. Fece un respiro profondo, ci posò sopra un bacio e poi mi tirò nuovamente a sé.
Mi sentivo smisuratamente umida là sotto, tanto che temevo di fare una brutta figura.
Ma, a quanto pareva, a papà non interessava. Mi baciava intensamente e con determinazione, con le mani che si avventuravano dappertutto. Quando raggiungevano i miei fianchi, mi tirava forte contro di sé.
Io, invece, sentivo soltanto il suo pene che si schiacciava contro il mio clitoride, aumentando il mio desiderio di lui.
Poi d'improvviso, mi sollevò il sedere ed avvertii il glande appoggiarsi sulla mia fessura. Con un rapido movimento, poi, papà mi spinse giù, riuscendo ad infilare il suo grandioso pene dentro di me.
— Ah… — dissi con un sospiro, contro le sue labbra. — Sì… papà… sì…
Papà non si muoveva, ma sentivo ugualmente il suo pene muoversi dentro di me.
D'improvviso papà si alzò dal divano e, tenendomi in braccio, andammo in camera. Sempre restando dentro di me, ci sdraiammo sul letto. E finalmente prese a muoversi dentro di me. Ci sapeva proprio fare papà. Subito un orgasmo mi raggiunse, stringendo ripetutamente il suo pene nel mio corpo, senza che lui smettesse un attimo di muoversi.
Con un ritmo serrato faceva dentro e fuori dalla mia vagina, regalandomi intense emozioni.
Poi rallentò e tornammo a baciarci. Di nuovo le sue mani percorsero il mio corpo, mentre si muoveva dolcemente dentro di me.
Inaspettatamente si sfilò e mugolai per il dispiacere. Ma durò poco. Papà si spostò lentamente verso il basso, lasciando che una scia di baci percorresse il mio corpo. Si soffermò sul mio seno, leccando e mordicchiando i capezzoli. Inarcai la schiena per il piacere che mi procurava. Poi riprese la scia di baci, passando al centro del petto, proprio sopra il mio cuore che batteva ad un ritmo pazzesco. I baci si spostavano sempre più giù, mi baciò l'ombelico, il basso ventre, dove poco prima scorreva il suo pene.
Finalmente trovò l'oggetto del suo desiderio. Spalancai le gambe per agevolargli il compito. Le sue labbra trovarono il mio clitoride. Leccò e succhiò avidamente quel mio piccolo organo, donandomi un piacere pazzesco. Per la tensione stringevo il copriletto tra le mani, ancorandomi a questo mondo. Con gli occhi chiusi, la mia testa leggera viaggiava tra mondi mai visti prima, il mio respiro era quasi un rantolo, tra i suoni che emettevo. Papà dovette tenermi ferma, ma non smetteva un momento di leccarmi e succhiarmi. La sua bocca si spostò un poco più giù, dissetandosi con i miei umori. La sua lingua ritornò rapidamente sul clitoride. Ed io urlai… davvero urlai per l'intenso orgasmo. Mi leccò ancora per pochi secondi e poi rapidamente avvertii di nuovo il suo pene dentro di me che si muoveva mentre l'orgasmo non accennava a passare.
Si muoveva svelto, dentro e fuori, stimolandomi sempre di più. L'orgasmo cresceva ancora di intensità, con contrazioni sempre più forti e sempre più ravvicinate.
A malapena sentii mio padre parlare.
— Anna, sto per venire…
— Dentro, papà, vienimi pure dentro quanto vuoi — riuscii dire a stento.
Non prendevo la pillola, ma non avrei mai voluto diversamente. Amavo mio padre e desideravo solo sentirlo godere dentro di me.
Papà aumentò il ritmo ancora per un poco, e poi si bloccò dentro di me in profondità.
Non so dire quanto sperma mi abbia inondato, ma papà rimase a lungo dentro di me.
Era steso sopra di me, con la fronte appoggiata alla mia. Anche quando finalmente i nostri respiri rallentarono, rimase dentro di me.
Non c'era niente da dire… non esistevano parole per spiegare quanto era appena successo. L'intensità raggiunta era così alta, così elevata, che nessuno sarebbe stato in grado di spiegare una cosa del genere.
Eravamo esausti entrambi, ma papà non mosse un muscolo. Il suo respiro rallentò, ma riprese a muoversi dentro di me.
E tutto ricominciò.
Papà versò il suo seme dentro di me per tutta la notte, venendo copiosamente.
Papà restò a casa mia e vivevamo praticamente come una coppia. Facevamo l'amore come e quando volevamo. Godevamo ampiamente dei nostri corpi, delle nostre sensazioni, dei nostri momenti di tenerezza, godendo entrambi del suo membro dentro di me.
Dopo una settimana, una sera mi disse che doveva partire per un viaggio di lavoro. Sarebbe stato via per quasi due mesi, perché doveva supervisionare la costruzione di un importante apparato necessario per la ditta per cui lavorava.
Mi sentii morire dentro, all'idea di restare sola per tutto quel periodo. Due mesi erano un sacco di tempo, quando ormai mi ero abituata a vivere con lui, ad addormentarmi tra le sue braccia dopo che lui aveva goduto dentro di me, e a risvegliarmi al tocco delle sue labbra sopra le mie, e anche in altre parti del mio corpo.
Misi il broncio.
— Tesoro mio… Amore mio… anche io non vorrei proprio lasciarti, ma devo assolutamente andare. Potremo comunque sentirci tutte le sere via Skype. E comunque partirò solo tra dieci giorni.
E così fu. Dieci giorni dopo accompagnai papà all'aeroporto e ci salutammo dopo un lunghissimo abbraccio ed un altrettanto lungo bacio.
La sera prima l'avevamo passata interamente a letto, così come tutte le altre sere precedenti. Papà voleva che ricordassi il più a lungo possibile come fosse averlo dentro di me, cosicché quando ci saremmo sentiti, avrei potuto immaginarmi che lui fosse ancora al mio fianco, che lui fosse ancora dentro di me.
Ritornai a casa in lacrime. Sapeva che sarei stata in quelle condizioni e aveva voluto che prendessimo un taxi.
Nonostante tutto il tempo volò e papà ritornò dal suo viaggio di lavoro.
Suonò il campanello e accorsi raggiante ad aprirgli la porta. Mi aveva telefonato poco prima per dirmi che stava arrivando. Tra le mani aveva una scatola grande all'incirca una quarantina di centimetri. Mi spostai per farlo passare.
— Papà… — gli dissi con un sospiro. — È per me? Non dovevi…
— Ma volevo, tesoro.
La aprii con delicatezza e rimasi senza parole alla vista del suo contenuto. Era lo splendido abito di pizzo blu che avevamo visto tempo addietro, la sera della nostra prima volta.
— È un abito bellissimo, e ti sono grata per avermelo regalato. Ma per un po' di mesi non potrò metterlo. Vedi, papà… sto aspettando tuo figlio.
Papà mi sorrise raggiante e mi baciò.
— Grazie, amore mio… È una splendida notizia… Avremo un figlio… un figlio dalla donna che amo più di ogni altra cosa… a parte forse nostro figlio…
La relazione con mio padre andava di bene in meglio. Quando seppe che ero incinta, volle assolutamente che mi trasferissi a casa sua. Era più grande e poi volle pure che smettessi di lavorare. Avrebbe pensato lui a mantenerci, disse. Infatti con il lavoro che faceva, guadagnava molto.
Da allora vivo come una gran signora, occupandomi solo di nostra figlia.
Tra pochi giorni avrebbe compiuto due anni e già stavo pensando che era tempo di un secondo figlio…
Tempo dopo rividi Enrico, il mio ex. Ero al centro commerciale e stavo spingendo il passeggino con mia figlia dentro. Io ero diretta in un negozio per acquistare dei vestitini per la bambina e lui era in fila alle casse. Con lui c'erano una donna, un bambino di circa tre anni ed uno piccolissimo. La donna stava discutendo con Enrico, e lui stava lì a subire, zitto zitto. Era diventato praticamente il suo zerbino… Tirai dritto, senza lasciar intendere che lo avevo riconosciuto.
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