La lezione del Dr.Scholl's
di
Exculiano Magenta
genere
feticismo
Il lungomare brulica di persone nel pomeriggio afoso di Luglio. A sinistra la spiaggia gremita e bollente, a destra le case, di nuovo vive dopo un lungo abbandono invernale.
Un passo lento dopo l’altro, rinfrescato, di tanto in tanto, da un tiepido refolo di vento.
Il sole brucia la pelle e bagna la maglietta. Sono le due del pomeriggio.
Zia Rita mi tiene per mano. I suoi passi lunghi e lenti scanditi dal legno duro degli zoccoli che porta ai piedi. Trascina pesantemente il tallone sul suolo, annunciando rumorosamente la sua venuta. Il frastuono riecheggia nelle vicinanze. Non notarla è impossibile.
Di tanto in tanto abbassa lo sguardo su di me, il sorriso stampato sul volto lucido e scuro. I denti luminosi. I lunghi capelli agitati. Rispondo a quello sguardo con l’amore negli occhi.
- Hai caldo, maialino? – mi domanda.
- Sì zia.
- Vedo. Sei tutto sudato.
- Eh sì. Fa caldissimo.
- Lo so. Non è splendido?
- Sì zia.
- Camminare farà bene, vedrai.
Attirato dal rumore dei suoi zoccoli, dal loro lento incedere, non posso far a meno di fissarli. Ad ogni passo il piede si alza, scoprendo parte della pianta arancione. Il tallone è giallognolo e duro, scalfito ai lati. Le dita splendide, lo smalto rosso sulle lunghe unghie, si alzano appena a loro volta, schiacciandosi bene sul legno subito dopo.
Credevo che senza calze non ne sarei stato così attirato.
Invece non riesco a guardare altrove.
Un’ora prima, a pranzo…
È all’arrivo del secondo che sento il rumore del legno sul pavimento.
Un secondo vuoto. Poi lo sento risalire la mia gamba. Arriva al ginocchio velocemente.
Di fronte a me, i suoi occhi mi fissano. Abbasso gli occhi sul cibo, vinto.
Un gesto rapido e sicuro mi fa allargare le gambe, agevolandone il passaggio.
Guardo in basso. La tovaglia si rigonfia, fino a quando non lo scopre.
Il piede di zia Rita si accomoda fra le mie gambe.
- Ecco la carne! – ride zio Quintano, servendo i commensali.
- Buon appetito! – la risposta risuona da ogni angolo della tavola.
Non rispondo. Non riesco a fare nient’altro.
- Non mangi tu? – mi dice mia madre, distante appena due posti da me.
- Eh? sì, sì. Mangio subito – mi affretto a rispondere, cercando invano di nascondere l’imbarazzo terribile.
- Mangia subito, che si raffredda – consiglia zia Rita di fronte a me. Il suo piede incastrato fra le mie gambe.
Cerco di mangiare normalmente, ma appena infilzo il cibo con la forchetta, zia Rita agita con lentezza le dita del piede sul mio cazzo. Con l’alluce solletica la cappella, per poi tornare con tutte e cinque le dita a sfiorare il cazzo. Lo muove a destra e sinistra, accarezzandolo con ogni dito, arriva al mignolo, poi torna indietro.
Il costume è gonfio della mia erezione. Non posso fare altro che sudare.
- Certo che fa proprio caldo – esordisce mio cugino.
- Puoi dirlo forte. Guarda lui come suda! – dice mia madre, indicandomi.
Tutti scoppiano in una gran risata guardando le gocce calde che mi solcano il volto.
Zia Rita sorride appena. Finisce il pranzo con il piede sul mio cazzo, alla soglia dell’eiaculazione.
Giunti ad una panchina, zia Rita interrompe la passeggiata. Mi fa cenno di sedermi.
Sediamo uno accanto all’altro. Zia Rita chiude gli occhi ed inclina la testa, lasciandosi inondare dal sole.
- Che bel pranzetto, eh? – mi dice.
- Sì.
- È piaciuto anche a te…? – domanda sorridendo.
- Da morire.
- Me ne sono accorta…
Con un gesto rapido Zia Rita sfila gli zoccoli e ripiega le gambe sulla panchina, esponendo la pianta calda e dura dei piedi alla mia vista affamata. Tiene gli occhi chiusi, ma sa che sto guardando.
- Hai visto che bella pianta i piedi della zia, sì?
- Bellissima.
- Hai visto che bel colore?
- Arancione.
- Arancione la pianta, giallo il tallone, proprio come dovrebbe essere. Ti piace?
- Sì, molto.
- Lo so. Il piedino non mente mai…
- È…è vero – rispondo disorientato, guardando con timore il lungomare affollato.
Occhi indiscreti di ogni età guardano la zia, esposta sulla panchina, poco vestita e con i piedi splendidi in bella vista.
- E’ merito degli zoccoli – riprende.
- Come?
- Gli zoccoli rappresentano il migliore degli allenamenti. Non c’è niente che indurisce la pianta del piede come il legno degli zoccoli.
- Ah.
- A casa, presto lo verificherai di persona, ne ho diverse paia. Questi sono quelli che preferisco. I classici. Niente fa indurire i piedi come questi. Ma sono calzature prevalentemente estive. Quando fa freddo prediligo le scarpe dalla suola dura, il tacco alto da portare sempre, e in casa ho diverse ciabatte. Sughero, legno, cuoio, tutti materiali molto duri. I risultati si vedono e…si sentono…
Zia Rita, terminando la frase, distende le gambe e poggia i piedi sul mio grembo. Agita velocemente le dita, poi tende i piedi come una ballerina. Me ne fa osservare bene il profilo perfetto, il tallone piatto, la pianta con poche pieghe dure, le unghie puntute e infiammate.
La folla che ci passa davanti ci guarda. Zia Rita se ne frega, io, con i suoi piedi ad un centimetro dal cazzo, cerco di guardare altrove, ma vengo investito da un mare di occhi curiosi.
Il caldo è insopportabile.
- Sai perché ti ho fatto fare questa passeggiata, nipotino?
- Perché, zia?
- Perché è proprio con questo caldo che i piedi assumono il sapore migliore.
- Cioè?
- Il sapore di sudore essiccato dei piedi a contatto prolungato con il legno.
- Che sapore è?
- È quello che voglio farti scoprire fra poco, nipotino. Andiamo?
Zia Rita infila di nuovo i piedi negli zoccoli, si alza in piedi e mi tende la mano. Indica in mezzo alle mie gambe e sorride.
Un’umida macchia estesa sul mio costume.
Riprendiamo la passeggiata verso casa.
Il soggiorno è immerso nel silenzio. Non un rumore, a parte un lontano russare sommesso. La famiglia smaltisce nelle proprie camere assonnate il lauto pranzo consumato.
Zia Rita sfila gli zoccoli, mi fa cenno di seguirla e di tacere.
Il ripostiglio è l’unico ambiente disabitato.
Le mura sono ingombre di scaffali, appesantite dalle scorte di cibo.
Zia Rita prende uno sgabello e ci si siede sopra. Mi fa segno di inginocchiarmi.
La faccia all’altezza delle sue ginocchia. Allunga una mano sotto il mio mento e con l’indice mi alza la testa, costringendomi a guardarla. Non dice niente.
Restiamo così per qualche secondo, poi lei accavalla le gambe e alza un piede, incastrando il mio naso tra alluce ed indice. Sto al gioco, non dico niente.
La puzza mi investe come un’onda, mi fa chiudere gli occhi.
Zia Rita mi fa annusare un altro po’, poi mi libera il naso e staglia la pianta del suo piede davanti ai miei occhi. Ho il cazzo di nuovo duro.
- Adesso, nipotino, lecca bene.
Non me lo faccio ripetere, lecco timidamente quella pianta, sentendo con la lingua la resistenza della pelle tosta, indurita dal tempo, dall’incuria e dal legno degli zoccoli.
- Bravo. Ora risali dal tallone fino alle dita.
Faccio come dice. Parto dal basso, dal tallone legnoso, passo per il centro della pianta ed arrivo infine alle belle dita.
- Che sapore hanno i piedi della zia? – mi chiede.
- Uh! Legno salato. Formaggio.
- Ti piace?
- Sono buonissimi.
- Bravo. Senti che buono l’alluce.
Zia Rita tende il piede e mette in risalto il grosso alluce, che faccio sparire nella bocca. Il grande dito me la riempie.
- Succhia, succhia – mi dice lei.
Comincio a succhiare come una liquirizia pregiata, schioccando dei grossi baci umidi.
Zia Rita ride e gode del servizio.
- E’ buono l’alluce? Pregiato?
- Buonissimo zia, grazie – cerco di dire con la bocca piena.
- Di niente, nipotino. Dovevi farlo. Ero sicura che ti sarebbe piaciuto.
Zia Rita continua a giocare con l’alluce nella mia bocca. Muove il piede gonfiandomi la bocca, poi lo tira fuori di nuovo, poi ancora dentro. Me lo lascia assaporare sapientemente e con calma.
Con l’altro piede, intanto, schiaccia il grosso pisello per terra. Imprigionata la cappella con le dita, le muove avanti e indietro, facendomi sudare dal piacere.
Di tanto in tanto la guardo. Lei ride, compiacendosi.
È dopo cinque minuti che, lucidato e leccato ogni centimetro del suo piede stupendo, sento le palle esplodere senza preavviso nel costume. Zia Rita se ne accorge, lascia uscire la sborra sotto le sue dita, per poi schiacciare la cappella e liberarla subito dopo.
Estrae il piede dalla mia bocca con uno schiocco sonoro. Sorride ancora.
Sono sfinito, inginocchiato davanti a lei, zuppo di sudore e di sborra.
Zia Rita si alza in piedi, costringendomi a guardarla negli occhi.
Mi posa la mano sulla testa come fosse un battesimo.
- Questo è solo l’inizio, nipotino mio. Ci vediamo presto – annuncia. E se ne va.
Un passo lento dopo l’altro, rinfrescato, di tanto in tanto, da un tiepido refolo di vento.
Il sole brucia la pelle e bagna la maglietta. Sono le due del pomeriggio.
Zia Rita mi tiene per mano. I suoi passi lunghi e lenti scanditi dal legno duro degli zoccoli che porta ai piedi. Trascina pesantemente il tallone sul suolo, annunciando rumorosamente la sua venuta. Il frastuono riecheggia nelle vicinanze. Non notarla è impossibile.
Di tanto in tanto abbassa lo sguardo su di me, il sorriso stampato sul volto lucido e scuro. I denti luminosi. I lunghi capelli agitati. Rispondo a quello sguardo con l’amore negli occhi.
- Hai caldo, maialino? – mi domanda.
- Sì zia.
- Vedo. Sei tutto sudato.
- Eh sì. Fa caldissimo.
- Lo so. Non è splendido?
- Sì zia.
- Camminare farà bene, vedrai.
Attirato dal rumore dei suoi zoccoli, dal loro lento incedere, non posso far a meno di fissarli. Ad ogni passo il piede si alza, scoprendo parte della pianta arancione. Il tallone è giallognolo e duro, scalfito ai lati. Le dita splendide, lo smalto rosso sulle lunghe unghie, si alzano appena a loro volta, schiacciandosi bene sul legno subito dopo.
Credevo che senza calze non ne sarei stato così attirato.
Invece non riesco a guardare altrove.
Un’ora prima, a pranzo…
È all’arrivo del secondo che sento il rumore del legno sul pavimento.
Un secondo vuoto. Poi lo sento risalire la mia gamba. Arriva al ginocchio velocemente.
Di fronte a me, i suoi occhi mi fissano. Abbasso gli occhi sul cibo, vinto.
Un gesto rapido e sicuro mi fa allargare le gambe, agevolandone il passaggio.
Guardo in basso. La tovaglia si rigonfia, fino a quando non lo scopre.
Il piede di zia Rita si accomoda fra le mie gambe.
- Ecco la carne! – ride zio Quintano, servendo i commensali.
- Buon appetito! – la risposta risuona da ogni angolo della tavola.
Non rispondo. Non riesco a fare nient’altro.
- Non mangi tu? – mi dice mia madre, distante appena due posti da me.
- Eh? sì, sì. Mangio subito – mi affretto a rispondere, cercando invano di nascondere l’imbarazzo terribile.
- Mangia subito, che si raffredda – consiglia zia Rita di fronte a me. Il suo piede incastrato fra le mie gambe.
Cerco di mangiare normalmente, ma appena infilzo il cibo con la forchetta, zia Rita agita con lentezza le dita del piede sul mio cazzo. Con l’alluce solletica la cappella, per poi tornare con tutte e cinque le dita a sfiorare il cazzo. Lo muove a destra e sinistra, accarezzandolo con ogni dito, arriva al mignolo, poi torna indietro.
Il costume è gonfio della mia erezione. Non posso fare altro che sudare.
- Certo che fa proprio caldo – esordisce mio cugino.
- Puoi dirlo forte. Guarda lui come suda! – dice mia madre, indicandomi.
Tutti scoppiano in una gran risata guardando le gocce calde che mi solcano il volto.
Zia Rita sorride appena. Finisce il pranzo con il piede sul mio cazzo, alla soglia dell’eiaculazione.
Giunti ad una panchina, zia Rita interrompe la passeggiata. Mi fa cenno di sedermi.
Sediamo uno accanto all’altro. Zia Rita chiude gli occhi ed inclina la testa, lasciandosi inondare dal sole.
- Che bel pranzetto, eh? – mi dice.
- Sì.
- È piaciuto anche a te…? – domanda sorridendo.
- Da morire.
- Me ne sono accorta…
Con un gesto rapido Zia Rita sfila gli zoccoli e ripiega le gambe sulla panchina, esponendo la pianta calda e dura dei piedi alla mia vista affamata. Tiene gli occhi chiusi, ma sa che sto guardando.
- Hai visto che bella pianta i piedi della zia, sì?
- Bellissima.
- Hai visto che bel colore?
- Arancione.
- Arancione la pianta, giallo il tallone, proprio come dovrebbe essere. Ti piace?
- Sì, molto.
- Lo so. Il piedino non mente mai…
- È…è vero – rispondo disorientato, guardando con timore il lungomare affollato.
Occhi indiscreti di ogni età guardano la zia, esposta sulla panchina, poco vestita e con i piedi splendidi in bella vista.
- E’ merito degli zoccoli – riprende.
- Come?
- Gli zoccoli rappresentano il migliore degli allenamenti. Non c’è niente che indurisce la pianta del piede come il legno degli zoccoli.
- Ah.
- A casa, presto lo verificherai di persona, ne ho diverse paia. Questi sono quelli che preferisco. I classici. Niente fa indurire i piedi come questi. Ma sono calzature prevalentemente estive. Quando fa freddo prediligo le scarpe dalla suola dura, il tacco alto da portare sempre, e in casa ho diverse ciabatte. Sughero, legno, cuoio, tutti materiali molto duri. I risultati si vedono e…si sentono…
Zia Rita, terminando la frase, distende le gambe e poggia i piedi sul mio grembo. Agita velocemente le dita, poi tende i piedi come una ballerina. Me ne fa osservare bene il profilo perfetto, il tallone piatto, la pianta con poche pieghe dure, le unghie puntute e infiammate.
La folla che ci passa davanti ci guarda. Zia Rita se ne frega, io, con i suoi piedi ad un centimetro dal cazzo, cerco di guardare altrove, ma vengo investito da un mare di occhi curiosi.
Il caldo è insopportabile.
- Sai perché ti ho fatto fare questa passeggiata, nipotino?
- Perché, zia?
- Perché è proprio con questo caldo che i piedi assumono il sapore migliore.
- Cioè?
- Il sapore di sudore essiccato dei piedi a contatto prolungato con il legno.
- Che sapore è?
- È quello che voglio farti scoprire fra poco, nipotino. Andiamo?
Zia Rita infila di nuovo i piedi negli zoccoli, si alza in piedi e mi tende la mano. Indica in mezzo alle mie gambe e sorride.
Un’umida macchia estesa sul mio costume.
Riprendiamo la passeggiata verso casa.
Il soggiorno è immerso nel silenzio. Non un rumore, a parte un lontano russare sommesso. La famiglia smaltisce nelle proprie camere assonnate il lauto pranzo consumato.
Zia Rita sfila gli zoccoli, mi fa cenno di seguirla e di tacere.
Il ripostiglio è l’unico ambiente disabitato.
Le mura sono ingombre di scaffali, appesantite dalle scorte di cibo.
Zia Rita prende uno sgabello e ci si siede sopra. Mi fa segno di inginocchiarmi.
La faccia all’altezza delle sue ginocchia. Allunga una mano sotto il mio mento e con l’indice mi alza la testa, costringendomi a guardarla. Non dice niente.
Restiamo così per qualche secondo, poi lei accavalla le gambe e alza un piede, incastrando il mio naso tra alluce ed indice. Sto al gioco, non dico niente.
La puzza mi investe come un’onda, mi fa chiudere gli occhi.
Zia Rita mi fa annusare un altro po’, poi mi libera il naso e staglia la pianta del suo piede davanti ai miei occhi. Ho il cazzo di nuovo duro.
- Adesso, nipotino, lecca bene.
Non me lo faccio ripetere, lecco timidamente quella pianta, sentendo con la lingua la resistenza della pelle tosta, indurita dal tempo, dall’incuria e dal legno degli zoccoli.
- Bravo. Ora risali dal tallone fino alle dita.
Faccio come dice. Parto dal basso, dal tallone legnoso, passo per il centro della pianta ed arrivo infine alle belle dita.
- Che sapore hanno i piedi della zia? – mi chiede.
- Uh! Legno salato. Formaggio.
- Ti piace?
- Sono buonissimi.
- Bravo. Senti che buono l’alluce.
Zia Rita tende il piede e mette in risalto il grosso alluce, che faccio sparire nella bocca. Il grande dito me la riempie.
- Succhia, succhia – mi dice lei.
Comincio a succhiare come una liquirizia pregiata, schioccando dei grossi baci umidi.
Zia Rita ride e gode del servizio.
- E’ buono l’alluce? Pregiato?
- Buonissimo zia, grazie – cerco di dire con la bocca piena.
- Di niente, nipotino. Dovevi farlo. Ero sicura che ti sarebbe piaciuto.
Zia Rita continua a giocare con l’alluce nella mia bocca. Muove il piede gonfiandomi la bocca, poi lo tira fuori di nuovo, poi ancora dentro. Me lo lascia assaporare sapientemente e con calma.
Con l’altro piede, intanto, schiaccia il grosso pisello per terra. Imprigionata la cappella con le dita, le muove avanti e indietro, facendomi sudare dal piacere.
Di tanto in tanto la guardo. Lei ride, compiacendosi.
È dopo cinque minuti che, lucidato e leccato ogni centimetro del suo piede stupendo, sento le palle esplodere senza preavviso nel costume. Zia Rita se ne accorge, lascia uscire la sborra sotto le sue dita, per poi schiacciare la cappella e liberarla subito dopo.
Estrae il piede dalla mia bocca con uno schiocco sonoro. Sorride ancora.
Sono sfinito, inginocchiato davanti a lei, zuppo di sudore e di sborra.
Zia Rita si alza in piedi, costringendomi a guardarla negli occhi.
Mi posa la mano sulla testa come fosse un battesimo.
- Questo è solo l’inizio, nipotino mio. Ci vediamo presto – annuncia. E se ne va.
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