Genesi di un capolavoro
di
Exculiano Magenta
genere
feticismo
Carnevale.
La festicciola è stata data a casa mia. Parenti sv0gliati hanno accompagnato i propri figli entusiasti vestiti di mille colori. Ci sono coriandoli ovunque, cibarie invitanti e musica.
Qualche adulto ha osato un po’ più degli altri, presentandosi con qualche capo tipico. Bombette di plastica in testa, cappellini appuntiti di carta, nasi e baffi finti.
Nell’angolo più lontano, accanto alla finestra, zio Quintano e zia Rita si guardano intorno, non una parola fra di loro, qualche sorriso falso, un bicchiere dopo l’altro di spumante.
Zia Rita è venuta vestita da infermiera. Zio Quintano da pirata.
Appena un paio di mesi sono passati dall’ultimo nostro incontro. Ricordo con estrema nitidezza Gioia dietro l’obiettivo. I parenti stipati in posa vicino al divano buono. Il piede che zia Rita poco prima mi aveva fatto annusare che struscia sulla mia gamba. Il lavoretto che mi ha fatto dai pantaloni.
Non è passata notte in cui non ci ho ripensato, intimidito da lei come mai e allo stesso tempo impaziente di incontrarla di nuovo, fremente dal desiderio.
Nel frattempo è sparita. Non una telefonata, non una visita. Mi sono convinto che zio Quintano avesse scoperto tutto e avesse interrotto i rapporti con la mia famiglia, facendomela perdere per sempre.
Invece, inaspettatamente, dopo due silenziosi mesi di sofferenti domande, è tornata. Di nuovo davanti a me. Più bella di come la ricordavo.
L’infermiera dei miei sogni.
Da quando è entrata in casa, nonostante mi abbia guardato subito, non mi ha rivolto parola né attenzioni. Si è isolata da tutto e da tutti, in un angolo con il marito.
Da lontano osservo i suoi movimenti. Fluenti capelli rossi. Smalto alle unghie. Ogni tanto sfrega le dita per togliere le briciole delle patatine. Le gambe accavallate sotto il vestitino bianco, troppo corto, dondolano in continuazione, facendo ondeggiare la scarpa rossa brillante con il tacco acuminato. Le calze color carne ben tese sui piedi a coronare la scena meravigliosa.
Sono ipnotizzato da quel dondolio. Non esiste più nessuno. Niente festa, niente amici.
Improvvisamente, dopo aver perlustrato con lo sguardo tutta la stanza, mostra che mi ha notato. Mi ghiaccia con i suoi occhi terribili. Sento subito caldo. Con la mano mi fa segno di andare da lei senza parlare.
Non rispondo e non mi muovo, paralizzato dal terrore.
- Ehi tu! – mi chiama con un sorriso. – Ehi, dico a te, Zorro. Vieni qui.
- I…io? – rispondo attonito.
- Sei l’unico Zorro nella stanza! Dai, vieni a salutare la zia.
Mi incammino, trascinando i piedi e a testa bassa, terrorizzato e sudaticcio.
Giunto di fronte a lei, resto immobile, in attesa di istruzioni.
- Dammi un bacio, su – mi dice lei in tono parentale.
Si abbassa e si fa baciare sulla guancia. Il profumo del trucco mi agita ancora di più.
- MMmm…come sei sudato…eppure ti ho visto fermo laggiù da un po’ di tempo. Hai caldo?
- S…sì.
- Andiamo fuori allora, dai, accompagna la zia a fumare una sigaretta in balcone. Quintano, vado fuori con questo gentil cavaliere.
- Ma certo, andate pure – risponde lo zio.
Mi prende per mano, attraversiamo la stanza insieme. Occhi curiosi guardano la strana coppia. Il piccolo Zorro e la grande infermiera.
Zia Rita troneggia dall’alto dei suoi tacchi. Cammina scandendo bene i passi fino al balcone. Usciamo fuori.
- OOhhh, finalmente. Un po’ d’aria fresca, eh?
- Sì – dico timidamente, gli occhi sempre a terra.
- Ehi, ma che ti prende? Perché non alzi quella testolina?
Alzo la testa con fatica, guardandola finalmente in faccia. Il trucco pesante, il rossetto rosso e il contorno degli occhi marcato la fanno sembrare autoritaria e irraggiungibile.
Mi sorride. Mostra i denti bianchi, splendenti.
- Ma che bei baffi, che hai – dice.
- Eh?
- Che bei baffetti, dico. Sembri proprio un ometto.
- Grazie.
- Ma ti comporti da ragazzino.
- Ma…
Si siede su una sedia in balcone e si accende una sigaretta. Mi sbuffa il fumo in faccia. Tossisco. Lei sorride e continua a fissarmi.
- Hai visto che belle scarpe che porta la zia?
Oddio.
- S…sì…
- Oh, lo so bene, che le hai viste. Non hai guardato altro da quando sono arrivata. Ti piacciono, eh? – mi chiede, sfregando su e giù il piede sul mio polpaccio. Sono immobilizzato e incredulo. Fa fresco qui fuori, eppure sudo. Lei continua a sorridere.
- Sono…sono belle, sì…- dico con fatica, prendendo coraggio.
- Ma che ci farai alle donne, tu…- mi dice, mentre sposta il piede dal polpaccio al mio interno coscia, risalendo fino al cazzo. Ne identifica la cappella ed inizia a titillarla velocemente con la punta della scarpa. Continua a fumare beatamente mentre osserva le mie reazioni.
Mi sento svenire. Tremo dalla paura di essere scoperto e dall’eccitazione incontenibile. Sento il cazzo inturgidirsi velocemente sotto le sollecitazioni della scarpa di zia Rita. Stringo i pugni. Non mi muovo e non dico niente.
Zia Rita in poco tempo ha fatto diventare il cazzo il più duro possibile. Se ne scorge chiaramente la sagoma dai pantaloni.
- Uh-uuhhh…che gringo! – dice lei divertita.
- C…che?
- Zorro era spagnolo, lo sapevi?
- No.
- Te gusta? – giocherella piano con la punta della scarpa su una palla, accentuando l’erezione.
- S…sì…
- Bene. Però c’è una cosa che non mi convince.
- Che?
- Il vero Zorro possedeva un cavallo. Dov’è il tuo?
- Ca…cavallo?
- Beh sì. Devi assolutamente avere un cavallo. Nel tuo caso però, dato che non è possibile, vorrà dire che sarà un cavalluccio.
La guardo senza capire dove vuole arrivare.
- Lo vuoi il cavalluccio?
- N…non so…
Zia Rita finisce la sigaretta, la spegne e la getta dal balcone. Toglie il piede dal mio cazzo, accavalla la gamba destra e sfila una scarpa. Guarda la mia bocca spalancata e ride. Mi da il tempo di rendermi conto della bellezza di quel piede.
Comincia a muovere le dita lentamente nella punta rinforzata della calza. Ogni unghia smaltata perfettamente di rosso brillante.
- Hai visto che bei piedi, la zia?
- Sì.
- Li ho curati per te. E’ tanto che non li odori, però. Sai che non me li odora nessuno se non lo fai tu? – dice con un tono infantile. – dimmi se ti piace ancora la puzza dei piedi di zia, dai – mi dice, alzando il piede e mostrandomi la bella pianta.
Attirato come una calamita, rispondo al richiamo irresistibile. Afferro il piede per il tallone ed infilo il naso tra alluce ed indice, ispirando la puzza che tanto ho bramato negli ultimi due mesi.
È sempre la stessa. Più pungente e più intensa.
- Uh! La zia non cambia le calzette da molti giorni…si sente?
- MMmffffgg – mugugno tra le dita calde del suo piede. Quella notizia mi inumidisce ancora di più il cazzo nelle mutande. Sono fradicio.
La zia mi sfrega forte le dita del piede sul naso per impuzzolentirlo a dovere. Poi lo toglie, facendomi rifiatare.
- Che foga! – riconosce.
- Grazie zia – rispondo.
- Ora facciamo cavalluccio.
- Come?
La zia mi indica il piede sospeso che ho appena annusato.
- Monta a cavallo, Zorro! - mi dice con un sorriso.
Le mani sullo stinco di Zia Rita, mi metto a cavallo, adagiando le palle proprio sul collo del suo piede. Sento le dita muoversi, solleticandomi il buco del culo.
- Ti piace il solletichino? – mi chiede.
- Uh! – scatto dal piacere improvviso – sì, zia.
- Bene! A cavalluccio, allora!
Zia Rita fa ondeggiare la gamba su e giù, facendomi cavalcare il suo bel piede, mentre imita il rumore degli zoccoli del cavallo. Mentre esegue il movimento, con le dita continua a solleticarmi il culo, facendomi sbavare dal piacere. Resto con le dita aggrappate a quello stinco coperto di nylon, liscio e suadente. Ogni tanto guardo la zia, che mi sorride, mentre il mio cazzo duro sobbalza sul suo piede.
- Rita, dove siete? – il richiamo di mia madre da dentro la cucina. Smonto subito da cavallo con un balzo tornando in piedi, scostandomi da lei.
Lei rimette in fretta la scarpa, si alza in piedi e poggia le mani sulla ringhiera.
Mia madre compare subito dopo.
- Ehi, ma che fate qui fuori?
- Oh niente, prendiamo solo un po’ d’aria.
- Dai, tornate dentro, iniziano i giochi.
- Va bene. Andiamo, Zorro – mi dice zia, prendendomi per mano.
Si svolgono i giochi nella totale indifferenza di zia Rita, che sorride forzatamente dal suo posto accanto a zio Quintano. Ogni tanto, quando incrocio il suo sguardo, la vedo passarsi la lingua sulle labbra. Ripenso al cavalluccio di poco prima, e mi comporto come fossi ubriaco, non capendo più niente. La testa che viaggia altrove. Zio Quintano, accanto a lei, non accorgendosi di niente, sorride guardando i giochi.
Zia Rita dopo un po’, battendo le lunghe unghie rosse sulla tavola, comincia a dondolare una scarpa sotto al tavolo, attirando immediatamente la mia attenzione. Mi rifugio nel mio angolo, osservando lo spettacolo sublime.
I tacchi vanno su e giù, scoprono il bel tallone piatto e lo nascondono subito dopo. Il dondolio costante mi ipnotizza. Zia Rita mi guarda senza espressione negli occhi, mentre dondola la scarpa. Poggia una mano sul mento. Mordicchia l’unghia del mignolo. Ha qualcosa in mente.
Improvvisamente toglie entrambe le scarpe, guardando il marito.
- Che mal di piedi – sento che gli dice.
- Resta senza scarpe – le suggerisce lui.
Zia Rita al tavolo resta senza scarpe. Una gamba accavallata mette alla mercè il bel piede. stira le dita smaltate, perfette, le accartoccia e le distende. Mi guarda.
- Zorro, vieni qui, ti devo dire una cosa – mi dice dal suo posto.
- Cammino fin davanti a lei, il piede dondolante all’altezza del mio bacino.
- Me lo faresti un favore?
- Che cosa?
- Lo farebbe un massaggino ai piedi della zia il mio nipotino preferito?
- Gh…co…come?
- Andiamo lì sul divano, ti faccio vedere.
Zia Rita si alza in piedi, stupenda, e mi prende per mano. Ci dirigiamo verso il divano.
C’è meno gente qui. Qualcuno guarda la tv, altri chiacchierano in piedi. Zia Rita si siede, finge stanchezza. Con la mano mi fa cenno di sedersi accanto a lei. Mi seggo.
Prima una gamba, poi l’altra, poggia entrambi i bei grossi piedi sul mio grembo, accavallandoli.
- Allora, arriva ‘sto massaggio? – mi chiede, alzando un piede e solleticandomi il naso con l’alluce.
I presenti assistono alla scena e ridacchiano.
- Rita, hai trovato un massaggiatore privato? – dice Renata.
- Eh sì, un po’ piccolino, ma promette bene. Non è vero? – mi chiede di nuovo, facendo ancora ondeggiare il mio naso a destra e a sinistra con l’alluce.
Renata ride di gusto, guardandomi muto e con il volto in fiamme. Poi torna a parlare.
Poggio le mani sui piedi di zia Rita, cominciando a manipolarli a caso.
Il nylon caldo e appiccicoso tra le dita e la pianta dura mi fanno subito rizzare il pisello nelle mutande. Osservo lo smalto sulle dita, le apro una ad una con le mani, osservandone gli spazi.
Zia Rita mi lascia fare, sorride e fa finta di godersi il massaggio. Senza farsi notare da nessuno, con il tallone comincia a sfregarmi il pisello, mentre mi osserva perlustrarle le dita.
Mi soffermo sull’alluce. L’unghia lunga tende la calza come fanno le altre. Giocherello con quella grande unghia provocandole dei piccoli brividi di piacere.
- Mi piace quando giochi con i miei piedi.
- Anche a me
- Sei un maialino.
- Sì zia
- Nipotino maialino!
- Sì.
- Io e te, caro nipotino, faremo grandi cose. Fidati della zia tua.
- Va bene.
Una voce dall’altra stanza rovina tutto.
- Rita, dai, vieni, c’è la torta!
- Arrivo…- risponde lei infastidita.
Toglie i piedi dal mio grembo e si alza dal divano. Mi guarda e mi sorride. Poi, abbassandosi versi di me, mi agguanta la punta del pisello duro tra anulare e medio della mano. E fa alzare anche me. Sbigottito, guardo il mio cazzo tra le sue dita, poi la guardo in faccia.
Lei restituisce lo sguardo glaciale e mi avverte.
- La prossima volta assaggi i piedi della zia e mi dici che sapore hanno. Hai capito? – chiede, strattonandomi il pisello da una parte all’altra.
- Sì zia, sì! – rispondo con voce strozzata. La zia mi libera il pisello.
- Bravo. E adesso torniamo di la, Zorro. In mezzo agli inferiori.
Zia Rita mi riporta per mano in mezzo alla festa. Le guardo i piedi favolosi che calpestano il suolo senza emettere alcun rumore. Le dita sono tanti occhietti rossi e vispi.
Ne voglio ancora.
La festicciola è stata data a casa mia. Parenti sv0gliati hanno accompagnato i propri figli entusiasti vestiti di mille colori. Ci sono coriandoli ovunque, cibarie invitanti e musica.
Qualche adulto ha osato un po’ più degli altri, presentandosi con qualche capo tipico. Bombette di plastica in testa, cappellini appuntiti di carta, nasi e baffi finti.
Nell’angolo più lontano, accanto alla finestra, zio Quintano e zia Rita si guardano intorno, non una parola fra di loro, qualche sorriso falso, un bicchiere dopo l’altro di spumante.
Zia Rita è venuta vestita da infermiera. Zio Quintano da pirata.
Appena un paio di mesi sono passati dall’ultimo nostro incontro. Ricordo con estrema nitidezza Gioia dietro l’obiettivo. I parenti stipati in posa vicino al divano buono. Il piede che zia Rita poco prima mi aveva fatto annusare che struscia sulla mia gamba. Il lavoretto che mi ha fatto dai pantaloni.
Non è passata notte in cui non ci ho ripensato, intimidito da lei come mai e allo stesso tempo impaziente di incontrarla di nuovo, fremente dal desiderio.
Nel frattempo è sparita. Non una telefonata, non una visita. Mi sono convinto che zio Quintano avesse scoperto tutto e avesse interrotto i rapporti con la mia famiglia, facendomela perdere per sempre.
Invece, inaspettatamente, dopo due silenziosi mesi di sofferenti domande, è tornata. Di nuovo davanti a me. Più bella di come la ricordavo.
L’infermiera dei miei sogni.
Da quando è entrata in casa, nonostante mi abbia guardato subito, non mi ha rivolto parola né attenzioni. Si è isolata da tutto e da tutti, in un angolo con il marito.
Da lontano osservo i suoi movimenti. Fluenti capelli rossi. Smalto alle unghie. Ogni tanto sfrega le dita per togliere le briciole delle patatine. Le gambe accavallate sotto il vestitino bianco, troppo corto, dondolano in continuazione, facendo ondeggiare la scarpa rossa brillante con il tacco acuminato. Le calze color carne ben tese sui piedi a coronare la scena meravigliosa.
Sono ipnotizzato da quel dondolio. Non esiste più nessuno. Niente festa, niente amici.
Improvvisamente, dopo aver perlustrato con lo sguardo tutta la stanza, mostra che mi ha notato. Mi ghiaccia con i suoi occhi terribili. Sento subito caldo. Con la mano mi fa segno di andare da lei senza parlare.
Non rispondo e non mi muovo, paralizzato dal terrore.
- Ehi tu! – mi chiama con un sorriso. – Ehi, dico a te, Zorro. Vieni qui.
- I…io? – rispondo attonito.
- Sei l’unico Zorro nella stanza! Dai, vieni a salutare la zia.
Mi incammino, trascinando i piedi e a testa bassa, terrorizzato e sudaticcio.
Giunto di fronte a lei, resto immobile, in attesa di istruzioni.
- Dammi un bacio, su – mi dice lei in tono parentale.
Si abbassa e si fa baciare sulla guancia. Il profumo del trucco mi agita ancora di più.
- MMmm…come sei sudato…eppure ti ho visto fermo laggiù da un po’ di tempo. Hai caldo?
- S…sì.
- Andiamo fuori allora, dai, accompagna la zia a fumare una sigaretta in balcone. Quintano, vado fuori con questo gentil cavaliere.
- Ma certo, andate pure – risponde lo zio.
Mi prende per mano, attraversiamo la stanza insieme. Occhi curiosi guardano la strana coppia. Il piccolo Zorro e la grande infermiera.
Zia Rita troneggia dall’alto dei suoi tacchi. Cammina scandendo bene i passi fino al balcone. Usciamo fuori.
- OOhhh, finalmente. Un po’ d’aria fresca, eh?
- Sì – dico timidamente, gli occhi sempre a terra.
- Ehi, ma che ti prende? Perché non alzi quella testolina?
Alzo la testa con fatica, guardandola finalmente in faccia. Il trucco pesante, il rossetto rosso e il contorno degli occhi marcato la fanno sembrare autoritaria e irraggiungibile.
Mi sorride. Mostra i denti bianchi, splendenti.
- Ma che bei baffi, che hai – dice.
- Eh?
- Che bei baffetti, dico. Sembri proprio un ometto.
- Grazie.
- Ma ti comporti da ragazzino.
- Ma…
Si siede su una sedia in balcone e si accende una sigaretta. Mi sbuffa il fumo in faccia. Tossisco. Lei sorride e continua a fissarmi.
- Hai visto che belle scarpe che porta la zia?
Oddio.
- S…sì…
- Oh, lo so bene, che le hai viste. Non hai guardato altro da quando sono arrivata. Ti piacciono, eh? – mi chiede, sfregando su e giù il piede sul mio polpaccio. Sono immobilizzato e incredulo. Fa fresco qui fuori, eppure sudo. Lei continua a sorridere.
- Sono…sono belle, sì…- dico con fatica, prendendo coraggio.
- Ma che ci farai alle donne, tu…- mi dice, mentre sposta il piede dal polpaccio al mio interno coscia, risalendo fino al cazzo. Ne identifica la cappella ed inizia a titillarla velocemente con la punta della scarpa. Continua a fumare beatamente mentre osserva le mie reazioni.
Mi sento svenire. Tremo dalla paura di essere scoperto e dall’eccitazione incontenibile. Sento il cazzo inturgidirsi velocemente sotto le sollecitazioni della scarpa di zia Rita. Stringo i pugni. Non mi muovo e non dico niente.
Zia Rita in poco tempo ha fatto diventare il cazzo il più duro possibile. Se ne scorge chiaramente la sagoma dai pantaloni.
- Uh-uuhhh…che gringo! – dice lei divertita.
- C…che?
- Zorro era spagnolo, lo sapevi?
- No.
- Te gusta? – giocherella piano con la punta della scarpa su una palla, accentuando l’erezione.
- S…sì…
- Bene. Però c’è una cosa che non mi convince.
- Che?
- Il vero Zorro possedeva un cavallo. Dov’è il tuo?
- Ca…cavallo?
- Beh sì. Devi assolutamente avere un cavallo. Nel tuo caso però, dato che non è possibile, vorrà dire che sarà un cavalluccio.
La guardo senza capire dove vuole arrivare.
- Lo vuoi il cavalluccio?
- N…non so…
Zia Rita finisce la sigaretta, la spegne e la getta dal balcone. Toglie il piede dal mio cazzo, accavalla la gamba destra e sfila una scarpa. Guarda la mia bocca spalancata e ride. Mi da il tempo di rendermi conto della bellezza di quel piede.
Comincia a muovere le dita lentamente nella punta rinforzata della calza. Ogni unghia smaltata perfettamente di rosso brillante.
- Hai visto che bei piedi, la zia?
- Sì.
- Li ho curati per te. E’ tanto che non li odori, però. Sai che non me li odora nessuno se non lo fai tu? – dice con un tono infantile. – dimmi se ti piace ancora la puzza dei piedi di zia, dai – mi dice, alzando il piede e mostrandomi la bella pianta.
Attirato come una calamita, rispondo al richiamo irresistibile. Afferro il piede per il tallone ed infilo il naso tra alluce ed indice, ispirando la puzza che tanto ho bramato negli ultimi due mesi.
È sempre la stessa. Più pungente e più intensa.
- Uh! La zia non cambia le calzette da molti giorni…si sente?
- MMmffffgg – mugugno tra le dita calde del suo piede. Quella notizia mi inumidisce ancora di più il cazzo nelle mutande. Sono fradicio.
La zia mi sfrega forte le dita del piede sul naso per impuzzolentirlo a dovere. Poi lo toglie, facendomi rifiatare.
- Che foga! – riconosce.
- Grazie zia – rispondo.
- Ora facciamo cavalluccio.
- Come?
La zia mi indica il piede sospeso che ho appena annusato.
- Monta a cavallo, Zorro! - mi dice con un sorriso.
Le mani sullo stinco di Zia Rita, mi metto a cavallo, adagiando le palle proprio sul collo del suo piede. Sento le dita muoversi, solleticandomi il buco del culo.
- Ti piace il solletichino? – mi chiede.
- Uh! – scatto dal piacere improvviso – sì, zia.
- Bene! A cavalluccio, allora!
Zia Rita fa ondeggiare la gamba su e giù, facendomi cavalcare il suo bel piede, mentre imita il rumore degli zoccoli del cavallo. Mentre esegue il movimento, con le dita continua a solleticarmi il culo, facendomi sbavare dal piacere. Resto con le dita aggrappate a quello stinco coperto di nylon, liscio e suadente. Ogni tanto guardo la zia, che mi sorride, mentre il mio cazzo duro sobbalza sul suo piede.
- Rita, dove siete? – il richiamo di mia madre da dentro la cucina. Smonto subito da cavallo con un balzo tornando in piedi, scostandomi da lei.
Lei rimette in fretta la scarpa, si alza in piedi e poggia le mani sulla ringhiera.
Mia madre compare subito dopo.
- Ehi, ma che fate qui fuori?
- Oh niente, prendiamo solo un po’ d’aria.
- Dai, tornate dentro, iniziano i giochi.
- Va bene. Andiamo, Zorro – mi dice zia, prendendomi per mano.
Si svolgono i giochi nella totale indifferenza di zia Rita, che sorride forzatamente dal suo posto accanto a zio Quintano. Ogni tanto, quando incrocio il suo sguardo, la vedo passarsi la lingua sulle labbra. Ripenso al cavalluccio di poco prima, e mi comporto come fossi ubriaco, non capendo più niente. La testa che viaggia altrove. Zio Quintano, accanto a lei, non accorgendosi di niente, sorride guardando i giochi.
Zia Rita dopo un po’, battendo le lunghe unghie rosse sulla tavola, comincia a dondolare una scarpa sotto al tavolo, attirando immediatamente la mia attenzione. Mi rifugio nel mio angolo, osservando lo spettacolo sublime.
I tacchi vanno su e giù, scoprono il bel tallone piatto e lo nascondono subito dopo. Il dondolio costante mi ipnotizza. Zia Rita mi guarda senza espressione negli occhi, mentre dondola la scarpa. Poggia una mano sul mento. Mordicchia l’unghia del mignolo. Ha qualcosa in mente.
Improvvisamente toglie entrambe le scarpe, guardando il marito.
- Che mal di piedi – sento che gli dice.
- Resta senza scarpe – le suggerisce lui.
Zia Rita al tavolo resta senza scarpe. Una gamba accavallata mette alla mercè il bel piede. stira le dita smaltate, perfette, le accartoccia e le distende. Mi guarda.
- Zorro, vieni qui, ti devo dire una cosa – mi dice dal suo posto.
- Cammino fin davanti a lei, il piede dondolante all’altezza del mio bacino.
- Me lo faresti un favore?
- Che cosa?
- Lo farebbe un massaggino ai piedi della zia il mio nipotino preferito?
- Gh…co…come?
- Andiamo lì sul divano, ti faccio vedere.
Zia Rita si alza in piedi, stupenda, e mi prende per mano. Ci dirigiamo verso il divano.
C’è meno gente qui. Qualcuno guarda la tv, altri chiacchierano in piedi. Zia Rita si siede, finge stanchezza. Con la mano mi fa cenno di sedersi accanto a lei. Mi seggo.
Prima una gamba, poi l’altra, poggia entrambi i bei grossi piedi sul mio grembo, accavallandoli.
- Allora, arriva ‘sto massaggio? – mi chiede, alzando un piede e solleticandomi il naso con l’alluce.
I presenti assistono alla scena e ridacchiano.
- Rita, hai trovato un massaggiatore privato? – dice Renata.
- Eh sì, un po’ piccolino, ma promette bene. Non è vero? – mi chiede di nuovo, facendo ancora ondeggiare il mio naso a destra e a sinistra con l’alluce.
Renata ride di gusto, guardandomi muto e con il volto in fiamme. Poi torna a parlare.
Poggio le mani sui piedi di zia Rita, cominciando a manipolarli a caso.
Il nylon caldo e appiccicoso tra le dita e la pianta dura mi fanno subito rizzare il pisello nelle mutande. Osservo lo smalto sulle dita, le apro una ad una con le mani, osservandone gli spazi.
Zia Rita mi lascia fare, sorride e fa finta di godersi il massaggio. Senza farsi notare da nessuno, con il tallone comincia a sfregarmi il pisello, mentre mi osserva perlustrarle le dita.
Mi soffermo sull’alluce. L’unghia lunga tende la calza come fanno le altre. Giocherello con quella grande unghia provocandole dei piccoli brividi di piacere.
- Mi piace quando giochi con i miei piedi.
- Anche a me
- Sei un maialino.
- Sì zia
- Nipotino maialino!
- Sì.
- Io e te, caro nipotino, faremo grandi cose. Fidati della zia tua.
- Va bene.
Una voce dall’altra stanza rovina tutto.
- Rita, dai, vieni, c’è la torta!
- Arrivo…- risponde lei infastidita.
Toglie i piedi dal mio grembo e si alza dal divano. Mi guarda e mi sorride. Poi, abbassandosi versi di me, mi agguanta la punta del pisello duro tra anulare e medio della mano. E fa alzare anche me. Sbigottito, guardo il mio cazzo tra le sue dita, poi la guardo in faccia.
Lei restituisce lo sguardo glaciale e mi avverte.
- La prossima volta assaggi i piedi della zia e mi dici che sapore hanno. Hai capito? – chiede, strattonandomi il pisello da una parte all’altra.
- Sì zia, sì! – rispondo con voce strozzata. La zia mi libera il pisello.
- Bravo. E adesso torniamo di la, Zorro. In mezzo agli inferiori.
Zia Rita mi riporta per mano in mezzo alla festa. Le guardo i piedi favolosi che calpestano il suolo senza emettere alcun rumore. Le dita sono tanti occhietti rossi e vispi.
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