Opera in tre atti
di
Exculiano Magenta
genere
feticismo
PROLOGO
La sala ricevimenti dell’Hotel Savoy è gremita di persone.
Ho fatto del tutto per ignorarla, sia nella chiesa che qui. È il nostro accordo. Nient’altro che l’ennesimo giochetto. Suo marito, il vestito maculato di grosse pozze di sudore, i capelli fradici attaccati alla fronte, accanto a lei, suo malgrado.
La cerimonia è durata troppo, come sempre, e l’insofferenza ha riempito ogni minuto del terribile rituale: ventagli agitati nell’aria bollente, volantini delle preghiere mulinanti davanti a fronti lucide e sotto ascelle fradice. La chiesa come un vasto bagno turco.
Ogni invitato disposto a questa atroce sofferenza pur di ottenere il premio successivo. La frescura. Il lauto banchetto.
È il diciassette di Luglio.
Il matrimonio di mia cugina Lorena.
ATTO PRIMO
La disposizione dei tavoli studiata con meticolosità, in modo che ogni invitato sia a proprio agio con i compagni assegnati dagli sposi.
Lorena e il marito girano tra gli invitati, fanno gli onori di casa, prendono falsi complimenti ed auguri, alla ricerca disperata di un po’ d’attenzione e di importanza. Passati gli sposi, gli uomini slacciano cravatte, sfilano giacche, riempiono bicchieri e ridono veramente per la prima volta.
- Lorena, auguri, davvero – le ho detto.
- Grazie. Grazie mille. Ti sei divertito?
- Oh sì, moltissimo. Anzi, grazie a te.
- Goditi il pranzo.
- Certo, grazie. E ancora complimenti.
Ho lavato la coscienza. Grazie, cugina Lorena. Ora vaffanculo però, lasciami ingozzare.
Fumi, profumi e colori, intanto, riempiono velocemente la sala. Arrivano i camerieri, le vere persone importanti della giornata. Il vino, il cibo.
Mi guardo intorno. Osservo gli invitati, le invitate, soprattutto. La maggior parte delle quali perfette sconosciute. Rilevo i parenti, cugini, zii e nonni. Saluto. Brindo. Sbircio sotto le tovaglie, in cerca di cose interessanti.
Una volta finiti i due primi, le persone si disperdono, alcuni vanno fuori a fumare, altri al bagno, donne si muovono in gruppo, cariche di pettegolezzi da cerimonia.
Da lontano, con la coda dell’occhio, la guardo alzarsi dal suo posto, donare uno sguardo di disprezzo al marito, prendere la borsetta dorata ed uscire dal tavolo.
La tovaglia bianca che prima la copriva, ora la svela in tutto il suo splendore, abbacinando ed attraendo tutti gli occhi maschili.
Parte con il suo incedere inconfondibile, un tacco nero e argento dopo l’altro, caviglie puntute che tendono calze color carne, le uniche che si vedono in questa folla di inutili vermi.
Il vestito rosso la strizza, facendole esplodere le forme magnifiche. Il trucco pesante e volgare, le vene delle mani bianche in risalto, artigli di fuoco e nervi.
Giunge al centro della sala, ed è in quel momento che non resisto.
Devo guardarla negli occhi di ghiaccio, già fissi nei miei, quando mi passa accanto.
Il volto serio ed austero. Determinato e pericoloso.
Il profumo mi fa già tremare le palle.
Passa oltre, diretta verso il bagno, un demone femminile dalla folta criniera rossa.
Zia Rita.
ATTO SECONDO
È alla comparsa dei secondi piatti che mi accorgo che c’è qualcosa che non va. Zia Rita è andata al bagno così tante volte che ho perso il conto. Si respira agitazione, in sala.
Osservo le facce perplesse e curiose agli altri tavoli. Tolgo il piede dalle palle di un vecchio amico di Lorena conosciuto oggi, seduto di fronte a me, e faccio più attenzione.
Effettivamente molti uomini si sono alternati al tavolo di zia Rita, sedendosi con lei e facendo conversazione tra una portata e l’altro, ma ho pensato che fosse il solito gruppo di ubriaconi arrapati in vena di scherzi, nient’altro. Forse mi sbaglio.
Mi alzo dal tavolo e mi dirigo anch’io verso di lei.
Faccio finta di guardare fuori la finestra, ed osservo meglio. Lei se ne accorge, e scosta la tovaglia. È come immaginavo.
Di fronte a lei, zio Gustavo, un anziano parente venuto da lontano, stringe le labbra per non sbavarsi addosso. Guardo il piede di zia Rita incastrato tra le sue gambe, mentre gli fa ballonzolare il cazzo da una parte all’altra.
Zio Gustavo si asciuga la fronte, poi riprende a chiacchierare. Si rivolge a zio Quintano.
- Eh…in…insomma, caro Quintano…co…come va il lavoro?
- Uh, bene. Benone, signor Gustavo. A gonfie vele. Purtroppo occupa molto tempo, quindi, capisce…sono fuori casa per molte ore…
- Purtroppo? – interviene zia Rita, - a me non sembra una cosa così brutta, non le sembra, Gustavino?
A questa battuta vedo il piede di zia Rita puntellarsi letteralmente sul cazzo di zio Gustavo, dando dei colpi ripetuti, come se schiacciasse un acceleratore.
- Non è vero? - insiste zia Rita.
- Rita, dai, lascia stare, ti prego – ci prova zio Quintano.
- Quintanino caro, zio Gustavo è un po’ anziano, ma ancora vigoroso! Al contrario di te, a quanto pare, che non hai nemmeno il senso dell’umorismo…
- Rita…
- Sta buono, dai, che zio Gustavo è d’accordo con me…
Il vecchio è paralizzato, a bocca aperta, con il piede di zia Rita che accelera fra le sue gambe.
- S…sì, signora Rita… dice con fatica.
Zia Rita capisce che è abbastanza, toglie il piede e lascia che zio Gustavo riprenda la strada per il suo tavolo, le mani davanti al pube a coprire l’erezione.
Guardo zia Rita sorridendo, zio Quintano che si asciuga il sudore.
Torno al mio tavolo ed osservo zia Rita che, avendo capito che non voglio perdermi lo spettacolo, lascia la tovaglia scostata.
Poco dopo vedo arrivare i fratelli Galambri, due giovani promesse del nuoto, cugini alla lontana della sposa. Si seggo entrambi di fronte a zia Rita.
- e voi chi siete? – chiede zio Quintano.
- Scusate la sua maleducazione ragazzi, non sa mai niente di niente, fate finta che non ci sia – interviene subito lei. – Giuliano ed Enrico Galambri, i famosi nuotatori.
- Beh, famosi…- dice subito Giuliano, il più grande, ma si zittisce subito. La scarpa di zia Rita fa capolino dalla sua parte del tavolo. Si adagia subito fra le sue gambe. La osservo ondeggiare lentamente, mentre parla.
- Caro Giuliano…non essere modesto, su…su…su.
Zia Rita, ogni volta che pronuncia “su”, schiaccia il pisello di Giuliano con il piede. Guardo il ragazzone arrossire ed ammutolire.
- e tu sei il piccolo Enrico.
- Sì. Beh sì, sono, diciamo, il piccolo.
- “Diciamo il piccolo”? che vuol dire?
- Eh…beh, diciamo che sono il piccolo, sì.
- Eh eh…tutti uguali, voi atleti, belli e bravissimi nel vostro campo, ma non sapete esprimervi in modo corretto. Vero?
- Beh…
- “Beh, beh”, sei una pecorella?
Zia Rita riesce sempre ad intimidire ed imbarazzare chiunque, con qualsiasi mezzo. Individua il punto debole, e colpisce senza pietà.
- Oddio…più che pecorella…un montone, direi…altro che piccolo…- dice Rita, fingendo stupore.
Ha tolto l’altra scarpa e insinuato il piede tra le gambe di Enrico, individuando subito la cappella e grattandola con l’alluce. Enrico, immobilizzato anche lui, guarda il fratello, e balbetta qualcosa.
- P…pi…piacere di co…conoscerla…
- Il piacere è mio, fratellini. Tutto mio.
Giuliano è incastrato dalla scarpa di zia Rita, Enrico dal suo piede. Entrambi a sua disposizione. Rita chiarisce così le posizioni, poi toglie i piedi dai loro cazzi, e li congeda.
- Con voi ci vediamo dopo – dice loro. E lascia che si alzino. I due cazzi ritti attirano l’attenzione di alcuni parenti, che commentano contrariati. Rita se ne accorge, e stira un sorriso. Poi si alza di nuovo, diretta ancora in bagno.
ATTO TERZO
Il tavolo degli sposi è in fondo alla sala. Quasi al termine del gran pranzo, dopo aver fatto piedino alla maggior parte degli uomini presenti in sala ed essere poi andata in bagno innumerevoli volte, Quintano impotente, sudato e balbettante al suo fianco, l’instancabile zia Rita tacchetta fino lì. Si siede di fronte allo sposo. Non riesco a crederci.
- Tanti, tanti sinceri auguri, ragazzi – dice loro con un gran sorriso.
- Grazie, Rita, davvero. Sono contenta che sia qui. E Quintano? Si sta divertendo? – dice Lorena.
- Moltissimo. Forse io più di lui... ma sai, lui è fatto così.
- Che brav’uomo.
- Hai ragione. Sono fortunata. Ma anche tu, adesso!
- Sì. Rodolfo è un uomo splendido.
- Non ne ho dubbi – dice Rita guardando Rodolfo di sottecchi.
La faccia dello sposo è di marmo. Seria, impassibile. Guardo subito sotto al tavolo. Non credo ai miei occhi. Rita ha tolto una scarpa e gli sta solleticando un polpaccio.
- Vi auguro tanta felicità – dice Rita, rivolgendosi a Lorena.
- Grazie, Rita, sei un tesoro. Certo, all’inizio sarà anche un po’ dura, immagino.
- Dura? Hai accanto un uomo d’oro, quanto potrà essere dura?
Guardo il piede di Rita risalire velocemente al centro delle gambe dello sposo, piazzandosi tra le sue palle. Rodolfo fa un balzo sulla sedia, guardando la moglie con occhi spalancati.
- che c’è, amore? Tutto bene? – dice lei.
- Eh? S…ssssì, amore, certo.
- Che ti prende?
- Niente, niente. Un crampo – si scusa lui.
Rita, il cazzo dello sposo sotto il piede, continua a parlare con la sposa di mielose insulsaggini, mentre percorre il tronco dalle palle alla punta con estrema precisione ed esatta frequenza. Su e giù, in continuazione, senza fermarsi un attimo. Anch’io ho subito questo tipo di piedino, so che è quasi impossibile resistere.
Il piedino di Rita, intostato per bene il cazzo, aumenta la frequenza dello sfregamento.
Lo sposo sta sudando, incapace di reagire, terrorizzato dalla vicinanza di sua moglie. Il cazzo già in preda alle prime pulsazioni.
- …comunque non preoccupatevi, andate dritti dritti per la vostra strada! – dice zia Rita a Lorena.
- Certo. grazie del consiglio.
- Di niente, cara. Sai che ti voglio bene.
Si riesce a vedere la punta rinforzata della calza di zia Rita bagnarsi, le lunghe unghie rosse delle dita brillanti, tanta è l’eccitazione di Rodolfo che, rosso e sudato, non riesce più a muoversi, condannato ad arrivare fino in fondo.
Zia Rita aumenta ancora la frequenza del piedino, la forma del cazzo fradicio ben distinguibile dai pantaloni dello sposo, completamente assoggettato a quel lavoretto di fino. Ecco. Zia Rita insiste sulla cappella, segno che siamo oramai vicinissimi al termine. Ride di cuore ad una stupidaggine di Lorena, quando, improvvisamente, schiaccia forte la cappella dello sposo con le dita, facendogli esplodere le palle nelle braghe. Lo sposo fa un lungo sospiro, fingendo un attacco di calore.
Scambia qualche veloce battuta di commiato, dopodichè si alza e torna al suo posto.
Giunta al centro della sala incita il pubblico:
- Ba-cio, ba-cio- bac-cio!
Il pubblico la segue, intonando il coro e scandendolo con sonori battiti di mani.
Lorena costringe suo marito ad alzarsi in piedi per baciarla. Rodolfo esibisce un’enorme macchia appiccicosa e biancastra in mezzo alle gambe.
Il pubblico si ferma. Tutto ammutolisce. Lorena cerca lo sguardo di zia Rita.
Lei sorride e si volta, diretta verso l’uscita. Quando passa davanti a me tira fuori dalla borsetta un barattolo pieno di sperma e lo poggia sul tavolo.
- Felicitazioni! – mi dice. E se ne va.
La sala ricevimenti dell’Hotel Savoy è gremita di persone.
Ho fatto del tutto per ignorarla, sia nella chiesa che qui. È il nostro accordo. Nient’altro che l’ennesimo giochetto. Suo marito, il vestito maculato di grosse pozze di sudore, i capelli fradici attaccati alla fronte, accanto a lei, suo malgrado.
La cerimonia è durata troppo, come sempre, e l’insofferenza ha riempito ogni minuto del terribile rituale: ventagli agitati nell’aria bollente, volantini delle preghiere mulinanti davanti a fronti lucide e sotto ascelle fradice. La chiesa come un vasto bagno turco.
Ogni invitato disposto a questa atroce sofferenza pur di ottenere il premio successivo. La frescura. Il lauto banchetto.
È il diciassette di Luglio.
Il matrimonio di mia cugina Lorena.
ATTO PRIMO
La disposizione dei tavoli studiata con meticolosità, in modo che ogni invitato sia a proprio agio con i compagni assegnati dagli sposi.
Lorena e il marito girano tra gli invitati, fanno gli onori di casa, prendono falsi complimenti ed auguri, alla ricerca disperata di un po’ d’attenzione e di importanza. Passati gli sposi, gli uomini slacciano cravatte, sfilano giacche, riempiono bicchieri e ridono veramente per la prima volta.
- Lorena, auguri, davvero – le ho detto.
- Grazie. Grazie mille. Ti sei divertito?
- Oh sì, moltissimo. Anzi, grazie a te.
- Goditi il pranzo.
- Certo, grazie. E ancora complimenti.
Ho lavato la coscienza. Grazie, cugina Lorena. Ora vaffanculo però, lasciami ingozzare.
Fumi, profumi e colori, intanto, riempiono velocemente la sala. Arrivano i camerieri, le vere persone importanti della giornata. Il vino, il cibo.
Mi guardo intorno. Osservo gli invitati, le invitate, soprattutto. La maggior parte delle quali perfette sconosciute. Rilevo i parenti, cugini, zii e nonni. Saluto. Brindo. Sbircio sotto le tovaglie, in cerca di cose interessanti.
Una volta finiti i due primi, le persone si disperdono, alcuni vanno fuori a fumare, altri al bagno, donne si muovono in gruppo, cariche di pettegolezzi da cerimonia.
Da lontano, con la coda dell’occhio, la guardo alzarsi dal suo posto, donare uno sguardo di disprezzo al marito, prendere la borsetta dorata ed uscire dal tavolo.
La tovaglia bianca che prima la copriva, ora la svela in tutto il suo splendore, abbacinando ed attraendo tutti gli occhi maschili.
Parte con il suo incedere inconfondibile, un tacco nero e argento dopo l’altro, caviglie puntute che tendono calze color carne, le uniche che si vedono in questa folla di inutili vermi.
Il vestito rosso la strizza, facendole esplodere le forme magnifiche. Il trucco pesante e volgare, le vene delle mani bianche in risalto, artigli di fuoco e nervi.
Giunge al centro della sala, ed è in quel momento che non resisto.
Devo guardarla negli occhi di ghiaccio, già fissi nei miei, quando mi passa accanto.
Il volto serio ed austero. Determinato e pericoloso.
Il profumo mi fa già tremare le palle.
Passa oltre, diretta verso il bagno, un demone femminile dalla folta criniera rossa.
Zia Rita.
ATTO SECONDO
È alla comparsa dei secondi piatti che mi accorgo che c’è qualcosa che non va. Zia Rita è andata al bagno così tante volte che ho perso il conto. Si respira agitazione, in sala.
Osservo le facce perplesse e curiose agli altri tavoli. Tolgo il piede dalle palle di un vecchio amico di Lorena conosciuto oggi, seduto di fronte a me, e faccio più attenzione.
Effettivamente molti uomini si sono alternati al tavolo di zia Rita, sedendosi con lei e facendo conversazione tra una portata e l’altro, ma ho pensato che fosse il solito gruppo di ubriaconi arrapati in vena di scherzi, nient’altro. Forse mi sbaglio.
Mi alzo dal tavolo e mi dirigo anch’io verso di lei.
Faccio finta di guardare fuori la finestra, ed osservo meglio. Lei se ne accorge, e scosta la tovaglia. È come immaginavo.
Di fronte a lei, zio Gustavo, un anziano parente venuto da lontano, stringe le labbra per non sbavarsi addosso. Guardo il piede di zia Rita incastrato tra le sue gambe, mentre gli fa ballonzolare il cazzo da una parte all’altra.
Zio Gustavo si asciuga la fronte, poi riprende a chiacchierare. Si rivolge a zio Quintano.
- Eh…in…insomma, caro Quintano…co…come va il lavoro?
- Uh, bene. Benone, signor Gustavo. A gonfie vele. Purtroppo occupa molto tempo, quindi, capisce…sono fuori casa per molte ore…
- Purtroppo? – interviene zia Rita, - a me non sembra una cosa così brutta, non le sembra, Gustavino?
A questa battuta vedo il piede di zia Rita puntellarsi letteralmente sul cazzo di zio Gustavo, dando dei colpi ripetuti, come se schiacciasse un acceleratore.
- Non è vero? - insiste zia Rita.
- Rita, dai, lascia stare, ti prego – ci prova zio Quintano.
- Quintanino caro, zio Gustavo è un po’ anziano, ma ancora vigoroso! Al contrario di te, a quanto pare, che non hai nemmeno il senso dell’umorismo…
- Rita…
- Sta buono, dai, che zio Gustavo è d’accordo con me…
Il vecchio è paralizzato, a bocca aperta, con il piede di zia Rita che accelera fra le sue gambe.
- S…sì, signora Rita… dice con fatica.
Zia Rita capisce che è abbastanza, toglie il piede e lascia che zio Gustavo riprenda la strada per il suo tavolo, le mani davanti al pube a coprire l’erezione.
Guardo zia Rita sorridendo, zio Quintano che si asciuga il sudore.
Torno al mio tavolo ed osservo zia Rita che, avendo capito che non voglio perdermi lo spettacolo, lascia la tovaglia scostata.
Poco dopo vedo arrivare i fratelli Galambri, due giovani promesse del nuoto, cugini alla lontana della sposa. Si seggo entrambi di fronte a zia Rita.
- e voi chi siete? – chiede zio Quintano.
- Scusate la sua maleducazione ragazzi, non sa mai niente di niente, fate finta che non ci sia – interviene subito lei. – Giuliano ed Enrico Galambri, i famosi nuotatori.
- Beh, famosi…- dice subito Giuliano, il più grande, ma si zittisce subito. La scarpa di zia Rita fa capolino dalla sua parte del tavolo. Si adagia subito fra le sue gambe. La osservo ondeggiare lentamente, mentre parla.
- Caro Giuliano…non essere modesto, su…su…su.
Zia Rita, ogni volta che pronuncia “su”, schiaccia il pisello di Giuliano con il piede. Guardo il ragazzone arrossire ed ammutolire.
- e tu sei il piccolo Enrico.
- Sì. Beh sì, sono, diciamo, il piccolo.
- “Diciamo il piccolo”? che vuol dire?
- Eh…beh, diciamo che sono il piccolo, sì.
- Eh eh…tutti uguali, voi atleti, belli e bravissimi nel vostro campo, ma non sapete esprimervi in modo corretto. Vero?
- Beh…
- “Beh, beh”, sei una pecorella?
Zia Rita riesce sempre ad intimidire ed imbarazzare chiunque, con qualsiasi mezzo. Individua il punto debole, e colpisce senza pietà.
- Oddio…più che pecorella…un montone, direi…altro che piccolo…- dice Rita, fingendo stupore.
Ha tolto l’altra scarpa e insinuato il piede tra le gambe di Enrico, individuando subito la cappella e grattandola con l’alluce. Enrico, immobilizzato anche lui, guarda il fratello, e balbetta qualcosa.
- P…pi…piacere di co…conoscerla…
- Il piacere è mio, fratellini. Tutto mio.
Giuliano è incastrato dalla scarpa di zia Rita, Enrico dal suo piede. Entrambi a sua disposizione. Rita chiarisce così le posizioni, poi toglie i piedi dai loro cazzi, e li congeda.
- Con voi ci vediamo dopo – dice loro. E lascia che si alzino. I due cazzi ritti attirano l’attenzione di alcuni parenti, che commentano contrariati. Rita se ne accorge, e stira un sorriso. Poi si alza di nuovo, diretta ancora in bagno.
ATTO TERZO
Il tavolo degli sposi è in fondo alla sala. Quasi al termine del gran pranzo, dopo aver fatto piedino alla maggior parte degli uomini presenti in sala ed essere poi andata in bagno innumerevoli volte, Quintano impotente, sudato e balbettante al suo fianco, l’instancabile zia Rita tacchetta fino lì. Si siede di fronte allo sposo. Non riesco a crederci.
- Tanti, tanti sinceri auguri, ragazzi – dice loro con un gran sorriso.
- Grazie, Rita, davvero. Sono contenta che sia qui. E Quintano? Si sta divertendo? – dice Lorena.
- Moltissimo. Forse io più di lui... ma sai, lui è fatto così.
- Che brav’uomo.
- Hai ragione. Sono fortunata. Ma anche tu, adesso!
- Sì. Rodolfo è un uomo splendido.
- Non ne ho dubbi – dice Rita guardando Rodolfo di sottecchi.
La faccia dello sposo è di marmo. Seria, impassibile. Guardo subito sotto al tavolo. Non credo ai miei occhi. Rita ha tolto una scarpa e gli sta solleticando un polpaccio.
- Vi auguro tanta felicità – dice Rita, rivolgendosi a Lorena.
- Grazie, Rita, sei un tesoro. Certo, all’inizio sarà anche un po’ dura, immagino.
- Dura? Hai accanto un uomo d’oro, quanto potrà essere dura?
Guardo il piede di Rita risalire velocemente al centro delle gambe dello sposo, piazzandosi tra le sue palle. Rodolfo fa un balzo sulla sedia, guardando la moglie con occhi spalancati.
- che c’è, amore? Tutto bene? – dice lei.
- Eh? S…ssssì, amore, certo.
- Che ti prende?
- Niente, niente. Un crampo – si scusa lui.
Rita, il cazzo dello sposo sotto il piede, continua a parlare con la sposa di mielose insulsaggini, mentre percorre il tronco dalle palle alla punta con estrema precisione ed esatta frequenza. Su e giù, in continuazione, senza fermarsi un attimo. Anch’io ho subito questo tipo di piedino, so che è quasi impossibile resistere.
Il piedino di Rita, intostato per bene il cazzo, aumenta la frequenza dello sfregamento.
Lo sposo sta sudando, incapace di reagire, terrorizzato dalla vicinanza di sua moglie. Il cazzo già in preda alle prime pulsazioni.
- …comunque non preoccupatevi, andate dritti dritti per la vostra strada! – dice zia Rita a Lorena.
- Certo. grazie del consiglio.
- Di niente, cara. Sai che ti voglio bene.
Si riesce a vedere la punta rinforzata della calza di zia Rita bagnarsi, le lunghe unghie rosse delle dita brillanti, tanta è l’eccitazione di Rodolfo che, rosso e sudato, non riesce più a muoversi, condannato ad arrivare fino in fondo.
Zia Rita aumenta ancora la frequenza del piedino, la forma del cazzo fradicio ben distinguibile dai pantaloni dello sposo, completamente assoggettato a quel lavoretto di fino. Ecco. Zia Rita insiste sulla cappella, segno che siamo oramai vicinissimi al termine. Ride di cuore ad una stupidaggine di Lorena, quando, improvvisamente, schiaccia forte la cappella dello sposo con le dita, facendogli esplodere le palle nelle braghe. Lo sposo fa un lungo sospiro, fingendo un attacco di calore.
Scambia qualche veloce battuta di commiato, dopodichè si alza e torna al suo posto.
Giunta al centro della sala incita il pubblico:
- Ba-cio, ba-cio- bac-cio!
Il pubblico la segue, intonando il coro e scandendolo con sonori battiti di mani.
Lorena costringe suo marito ad alzarsi in piedi per baciarla. Rodolfo esibisce un’enorme macchia appiccicosa e biancastra in mezzo alle gambe.
Il pubblico si ferma. Tutto ammutolisce. Lorena cerca lo sguardo di zia Rita.
Lei sorride e si volta, diretta verso l’uscita. Quando passa davanti a me tira fuori dalla borsetta un barattolo pieno di sperma e lo poggia sul tavolo.
- Felicitazioni! – mi dice. E se ne va.
0
voti
voti
valutazione
0
0
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
Annaracconto sucessivo
Genesi di un capolavoro
Commenti dei lettori al racconto erotico