Alberto cap.: III Il Rito

di
genere
gay

Il rito

Il rapporto con Alessandro diveniva sempre più difficile, ma non aveva alternative, non aveva casa e il lavoro non gli permetteva di avere un alloggio solo per sé, per cui soggiaceva alle sue esigenze aggressive, brutali, sfrenate, animalesche e spesso non aveva la minima eiaculazione, anzi neanche versamenti. Il suo datore di lavoro si rassicurava di preservarlo invitando tutti gli iscritti a presenziare alla cerimonia del ringraziamento.
Ansia, attesa, pruriti, preoccupazioni, preghiere, canti, lacrime erano le compagnie delle sue ore. I sogni lo prendevano e lo conducevano lontano, modellando il suo essere come il vento cambia la forma di una nuvola. Si svegliava bagnato ed inzuppate erano le lenzuola; per cui Alessandro, scoprendolo, lo rimproverava di non darsi a lui e questo era motivo di umiliazioni e di violenze fisiche. Stava diventando il suo water e il cuscino su cui scaricava la sua forza. Dove lavorava sapevano a cosa soggiacesse, ma nessuno si offerse di dargli ospitalità. Rientrava dal lavoro il più tardi possibile e fuggiva da quell’alloggio appena si svegliava, spesso senza farsi la doccia. Ancora assonnato andava vicino alla chiesa, da cui sperava di sentire melodie, che prendendolo, lo avrebbero portato verso sogni luminosi e pieni di pace. Desiderava, bramava, cercava di incontrare il musicista; colui che, tramite la sua corte, la sua passione, la sua preghiera che scriveva sulla tastiera, dava sollievo alla sua solitudine, … alle sue angosce, trasmettendogli rilassamento e pace. Quelle note portate dal vento cullavano, rasserenavano, baciavano, accarezzavano le sue membra e se a quelle melodie si fosse aggiunto altro, facilmente, si sarebbe concesso senza difficoltà; … sarebbe stato preso e posseduto anche nell’anima. I sogni sulle panchine del parco avevano il volto di Stefano, l’organista. Invano schiudeva le labbra per avere la sua lingua, per bere la sua vita: erano sogni. Sudava, desiderava, bramava e grazie a quei sogni sopportava Alessandro e le sue angherie, le mani che lo battevano e picchiavano impietose sulle natiche o sul volto o che gli strappavano gli indumenti per rovesciargli le sue esalazioni, … i suoi rifiuti organici.
La prova sarebbe stata la sua liberazione, per cui si stava preparando e le visioni lo stavano aiutando suggerendogli di seguire le sue intuizioni, … il suo animo; di non lasciarsi intimorire da ciò che avrebbe incontrato, di resistere a tutte le tentazioni, di lasciarsi guidare dalla sua sete di incontrare colui che il libro del Desiderio gli aveva destinato come suo compagno di viaggio nella processione della vita.
La terra, in quell’autunno, voleva la sua vittima. Dopo le gioie e le glorie della primavera e dell’estate essa voleva prendere nel suo utero, ventre, il ringraziamento a lei destinato: un giovinetto, ancora implume da custodire e destinare alla copula con e per i suoi fuchi. Un percorso magico, stregato, religioso era la via che il piccolo doveva percorrere senza inciampare, … senza cadere o morire.
Nel crepuscolo della sera, inosservato sotto le chiome ancora verdi degli aceri, sfiorato dalle auto in corsa, con il cuore che batteva più del solito andava incontro al proibito, al bello, all’eccitante, a quella esperienza di iniziazione che gli avrebbe aperto le porte del Desiderio, tramite tenebrosi, misteriosi riti.
Nel buio inquieto e solenne della notte correva senza inciampare, senza fermarsi, senza indugiare. Guardò l’acqua che scorreva tacita, i bianchi cigni che si lasciavano cullare, le nere mura riflesse. Un brusio notturno lo accolse accompagnandolo alla tetra, possente porta tra ali bisbiglianti. L’aria si faceva fresca. La luna saliva.
Tutti lo osservavano avidi e vogliosi, scortandolo con gli sguardi; … e lui sapeva, ma avanzava tranquillo tra quel pubblico che lo avrebbe voluto possedere. Spinto dall’ardore dell’anima, dal desiderio di conoscere, vedere, toccare, provare il Desiderio, osservava il cupo buco della porta … e … cedette tutto quello che aveva. Quelli, che gli avevano fatto ala, videro una figura nuda, implume, appena illuminata, di spalle che passava il buio dell’ignoto, dove loro non potevano inoltrarsi.
Uno scroscio caldo lo bagnò … e continuava per colare e fluire sul suo fisico. Piacevole, eccitante, stimolante, afrodisiaco. Le sue natiche si stringevano per non acconsentire a quel liquido di bagnare il suo roseo forellino. Quei l fluidi provocavano contrazioni, sussulti, vibrazioni. Odorante di pipì, provava languori e inquietudini.
“Avanza ragazzo, … avanza, … altrimenti …”
La voce, … il commando … e lui procedeva grondante urine nel buio, mentre attorno esseri, che non distingueva, cercavano e chiedevano i suoi fori. Serpi viscide, scivolose si aggrappavano, causandogli eccitazione, calore, arrendevolezza. Difendeva la sua apertura con forza. Proseguiva sopra creature che lo ghermivano; che lo prendevano per i capelli o per la gola; che volevano la sua bocca, il pube, altro. Potenze brutte, aggressive, selvagge lo battevano; gli strappavano le carni, le unghie. La sua bocca sapeva di urina, di sperma, di fogna. Nel procedere vomitava, pisciava, defecava giù per le natiche, … Coliche, … diarrea, … stanchezza.
Trattenuto e ostacolato, progrediva a stento nel percorso; strisciava e si strascinava in una melma maleodorante, nauseabonda, nera come nero era il luogo. Formicolio di esseri cercavano le sue fessure causandogli irrigidimenti, fremiti, trasalimenti, eccitazione, desiderio di aprire la gola, di abbandonarsi. Sanguinava e costoro entravano per le ferite nel suo corpo. Stringeva i glutei, … non voleva, … era assediato, attorniato e quelle larve corte, bianche, proprie di resti organici in decomposizione, si muovevano sul suo fisico, mordendolo per entrare nella sua carne o, spostandosi, tentavano di accedere in lui tramite le narici o i condotti uditivi. Le sue mani proteggevano la sua innocenza, allontanando quando poteva gli avvoltoi, quei vampiri; … strisciava nel buio in quella fogna e, … il tutto lo stava conducendo all’eiaculazione. … Non consentiva, … non voleva essere preso da quelle anguille, …da quelle larve, … da quelle serpi. Era là per il Desiderio, … per conoscerlo, … per farsi prendere da lui e non da chi lo stava scarnificando, … disossando. Dolore, … morte; … non doveva morire, … non voleva. La mente, … i muscoli lacerati, martoriati cedevano; le sue mani si abbandonavano; … le sue aperture erano pronte per essere spolpate, scrostate e divorate; … esausto, … la mente, …
“Dio aiutami, … aiutamiiiiiiiiii!”
… e subito, … all’istante, tutto sparì. Il suo splendido corpo, ora, diffondeva luce, rivelava vitalità ed energia. Era innanzi ad un monumento, alla cui sommità stava un’ara adornata di stelle e pietre preziose dai colori inimmaginabili. Un popolo in attesa, vestito di luce, lo attendeva.
Ragazzino con un viso radioso, dagli occhi azzurri e pieni di grazia, con un prezioso e leggiadro ardore, di una sensuale freschezza, delicato, bello, snello, trasmetteva fremiti d’Amore; dal profumo leggero, fine, paradisiaco sprigionava squisite, amabili emozioni.
Osservava gli astanti e, senza proferir parola, andò verso l’altare e novello Isacco diede sé stesso alla lama dell’Amore. Nudo, in attesa, coccolato da un ritmo solenne, glorioso, eroico e fermo di canti polifonici, tra profumi di primavera e verdi smeraldo, sazio e dissetato, si apriva per donare i suoi umori vitali, la sua inviolata rosea apertura al Desiderio, che tanto cercò e che, per quello, si conservò casto, puro, sacro, sensuale, incantevole nella sua innocenza.
Il suo fisico vibrava e contraeva, posseduto dall’albero della vita a lui destinato. Gocce di sudore diventavano stelle, il suo succo vitale lasciò nuovi disegni, nuove pennellate iridescenti sull’ara. Era stato preso e le sue labbra sorridenti trasmettevano ringraziamenti e gioia. Stette su quel letto ad occhi chiusi, testa abbandonata sulle spalle dell’uomo; non parlava con il membro dell’amore che riempiva la sua ampolla e lo saziava di pace, di tremori e di piacere. Spingeva il suo delicato sederino incontro alla verga che lo aveva impalato, posseduto, sodomizzato.
Profumi d’incenso, musiche nuove, colori mai visti lo salutarono e lui si svegliò tra le braccia del suo organista, sereno, sorridente, appagato, come raro fiore da coltivare amorosamente con calda, amabile passione e intelligente protezione.
Una voce dentro di lui diceva: non sei nato per procreare, ma per difendere l’evoluzione della specie. Ama il tuo compagno, … amalo. Nelle specie degli esseri viventi ci sono coloro che nascono per aiutare la specie a riprodursi, ma ci sono anche quelli che la devono difendere: sono i nostri fuchi. Ora rispetta e sii umile, non chiedere e non pretendere quello che non sei. L’umiltà è una dote che apre tutte le porte e conduce alla Carità, che è Amore e Fede. Gli omosessuali sono i fuchi della specie umana. Siine felice, lieto e compiaciuto di questa tua mansione. Il tuo fisico è fatto per amare un uomo a te destinato.




scritto il
2019-11-03
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