Carmen, mi fuego - Prima parte

di
genere
saffico

-Quando è iniziata la sua liberazione sessuale, così centrale nei suoi libri?- mi chiede la giovane giornalista in questo tranquillo caffè nel quartiere medievale di Barcellona, poco lontano da casa.
-C’è una data precisa- rispondo, mentre i miei occhi azzurri si fissano su un punto imprecisato oltre la finestra -L’estate del 1978. Quando ho iniziato a lavorare alla mia tesi di laurea in letteratura spagnola-
-Può scendere nel dettaglio?- mi sprona la cronista.
-Preferirei di no. Basti sapere che è stato un incontro molto speciale. Che riecheggia soprattutto nei miei primi libri- rispondo cortese ma ferma.
-Va bene. Chiudiamo qui. Grazie mille per oggi. L’intervista uscirà domenica prossima- conclude. La giornalista raccoglie il registratore e gli appunti dal tavolino, si alza e se ne va.
Finisco la tisana ormai fredda, quindi esco anch’io dal bar. Torno nel mio appartamento, e mi abbandono sul grande divano moderno di pelle rossa. Mi accendo la sigaretta elettronica al mango e inizio a fumare, mentre la mente ritorna inevitabilmente a quel maggio di quarant’anni fa.
Ero all’ultimo anno della facoltà di lingue a Padova. La città era preda dell’atmosfera cupa degli Anni di Piombo. Non passava settimana che non ci fossero manifestazioni, scioperi, cariche della polizia, arresti, omicidi. Anni di intensa passione politica, angoscia e utopie. Ma io ero nella mia bolla, focalizzata sullo studio di inglese, tedesco e spagnolo. Non vedevo l’ora di andarmene dalla provincia e di girare il mondo, magari insegnando italiano.
Avevo finalmente iniziato a lavorare alla tesi. Infatti, ero stata accettata come tesista dalla professoressa Carmen Admudel Fernandez, la famigerata titolare di letteratura spagnola. Veniva decantata per la sua bellezza, assolutamente non convenzionale. Era alta quasi un metro e ottanta, e aveva un corpo slanciato ed elegante, con i seni a coppa di champagne. Dicevano che quel corpo le avesse fruttato una carriera di modella quando ancora viveva in Spagna. I capelli, neri e dritti come spaghi, le arrivavano sotto le scapole, anche se spesso portava lo chignon dietro la nuca. Sottolineava i tratti del volto forti e alteri con kajal nero e rossetto rosso pompeiano. Con gli occhi neri come la pece ti guardava come se volesse scrutarti dentro.
Per questi suoi tratti c’era chi pensava fosse una strega. Anche perché giravano strane voci su lei. Dicevano che avesse molti amanti, anche molto giovani; e che il marito Carlo, professore di diritto internazionale nello stesso ateneo, sapesse tutto e lasciasse correre. Pettegolezzi ovviamente. Io la trovavo magnifica, così lontana dagli stereotipi italiani. Libera, colta e indipendente. Quello che volevo diventare.
Per questo quando aveva accettato di seguirmi, fui al settimo cielo. A ogni nostro incontro, pendevo dalle sue labbra per ogni minimo commento positivo. Anche perché di certo non regalava voti. Era democratica, ti dava del tu, però era severa. Ma il bello dei nostri rendez-vous era che, una volta finito con la tesi, ci perdevamo in chiacchiere di letteratura e politica spagnola.
Era un pomeriggio di giugno quando, alla fine di una delle nostre sessioni nel suo ufficio, mi disse qualcosa che non avrei sperato.
-Perché non vieni a casa mia? Ho dei libri per te- buttò lì con nonchalance, mentre si accendeva una sigaretta. Si lasciò andare contro la poltrona di pelle e mi guardò negli occhi, abbozzando un sorriso. Il mio cuore cominciò a battere forte. Ero emozionata, e piena d’orgoglio. Avevo la sensazione di essere stata eletta a un circolo speciale e ristrettissimo.
-Volentieri! Accipicchia, se me l’avesse detto prima le avrei portato una bottiglia di vino per ringraziarla- risposi torcendomi le dita per l’imbarazzo.
-Non preoccuparti. Il vino non manca mai in casa mia. Mio marito è un grande appassionato. Sei qui in bici?-
-Sì certo, come sempre- risposi.
-Bene. Anch’io. Andiamo-
La professoressa chiuse a chiave lo studio, e mi accompagnò fuori dall’ateneo. Il sole del tardo pomeriggio ci accolse con il suo caldo abbraccio. Sciogliemmo il catenaccio delle biciclette e ci mettemmo in marcia, con lei in testa. La direzione era quella di Prato della Valle. Ad ogni bar con le sedie fuori, non potevo fare a meno di notare gli sguardi eloquenti che gli uomini lanciavano a Carmen. Periodicamente partiva un fischio di apprezzamento. La sua bellezza andalusa, il portamento fiero con i capelli corvini al vento e la pelle già abbronzata dopo poche ore di bicicletta, la rendeva un oggetto del desiderio esotico da quelle parti.
Poco prima di arrivare nella famosa piazza svoltammo in una viuzza secondaria, e ci arrestammo di fronte a un palazzo color ocra. Carmen scese dalla bici e aprì il pesante portone di legno verniciato di verde, ed entrammo nella corte interna. Appoggiammo le bici alla parete. Oltre al canto degli uccelli, si poteva udire qualcuno esercitarsi al pianoforte da una delle finestre aperte sul giardino comune.
-Complimenti. E’ un gran bel posto- dissi.
-Sì. Siamo fortunati- mi sorrise Carmen –Vieni-
Salimmo le scale che portavano direttamente alla porta dell’appartamento.
Quando la seguii all’interno, mi ritrovai in un mondo in penombra. A mano a mano che Carmen andava a riaprire i balconi, i dettagli della casa emergevano. I libri erano ovunque. Non ero sorpresa, essendo la casa di due accademici. E poi tante stampe e quadri, oltre alle fotografie in bianco e nero sulla console in entrata.
-Vai pure in salotto. Preparo qualcosa per rinfrescarci- gridò la professoressa dalla cucina, facendo seguire un forte pop del tappo di una bottiglia di spumante.
Il salotto era piuttosto grande, e anch’esso tappezzato di libri su due lati. Erano in varie lingue, e riguardavano i rispettivi campi di ricerca di Carmen e Carlo. Mi accomodai sul divano di pelle vissuta color tabacco.
La mia ospite comparve con due flute di champagne. Brindammo e ci dissetammo. Fui sorpresa dalla velocità con cui lei terminò il vino. Ero a stomaco vuoto, e sapevo che quel bicchiere avrebbe potuto rendermi allegra nel giro di poco. Ma non me ne curai.
-Lo champagne non manca mai in questa casa. Ora veniamo a te. Pensavo che potresti integrare questi saggi nella tesi- disse, mentre tirava fuori tre volumi spagnoli e li metteva sul tavolino di fronte al divano.
-Grazie mille! Li restituirò quanto prima- risposi con gratitudine.
-Prenditi tutto il tempo che ti serve. A proposito, stai già pensando al dopo?- mi chiese sedendosi accanto a me.
-Sì. Vorrei entrare in uno degli istituti di cultura. La Spagna sarebbe il mio sogno- confessai.
-Mi pare un’idea eccellente. Sei una ragazza molto in gamba. Ho dei contatti che ti torneranno utili, ma ne parleremo a tempo debito-
Ci fu una pausa. Il mio sguardo andò a posarsi su uno dei disegni appesi sopra al divano, che ritraeva un nudo di Carmen su un letto sfatto in una posa audace, con le gambe aperte a formare un rombo e il sesso bene in vista.
-Quello l’ha fatto un mio amico pittore di Madrid. Avevo vent’anni- disse, intuendo la mia curiosità.
-E’ bellissimo. Se fossi io al suo posto, la gente riderebbe- sospirai con la sincerità dell’alcol. La bellezza della donna grissino iniziava a imperversare anche in Italia, e io non mi sentivo completamente a mio agio con io mio corpo un po’ sovrappeso. Con un gesto improvviso Carmen mi afferrò bruscamente il polso e mi guardò negli occhi.
-Non dire sciocchezze. Devi amare il tuo corpo, sempre! Ora ti proverò che hai un corpo degno del migliore degli artisti-
Senza mollare il polso mi costrinse ad alzarmi e mi condusse nella camera da letto. Mi spinse di fronte al grande specchio nell’angolo, e si posizionò dietro di me. Il vetro restituiva l’immagine contrastante di una ragazza minuta e un po’ tonda, con la treccia color miele scompigliata, le guance rese bianche e rosse dal vino, accompagnata dalla bellezza ispanica conturbante e sensuale. Mi sentivo scoppiare dal caldo, ma anche dall’eccitazione. Il mio cuore si poteva quasi sentire nel silenzio della stanza.
Avvertii la zip del mio vestito abbassarsi. Con un gesto imperioso la professoressa mi spogliò, per poi tornare in posizione. In quella stagione calda mi rifiutavo di portare il reggiseno. I miei seni abbondanti si riflettevano allo specchio. Carmen li prese tra le sue dita affusolate laccate di bordeaux, e prese ad accarezzarli, trasmettendomi brividi di piacere. Una scossa colpì il mio sesso, che cominciò a schiudersi lentamente e inesorabilmente.
-Per esempio- soffiò al mio orecchio con tono suadente –Questi sono degni di un Goya… quello de La Maja desnuda-
Il paragone con il nudo-capolavoro del maestro spagnolo mi lusingò. Arrossii violentemente, smaniosa di sapere cosa la mia maestra mi avrebbe fatto dopo.
Quindi Carmen mi afferrò la treccia, costringendomi a guardarla. Forzò la mia bocca e intrecciò la sua lingua con la mia, in un bacio caldo e voluttuoso. Il vino, che mi era già salito alla testa, mi aveva permesso di lasciarmi completamente andare, anche se non osavo ancora prendere una parte attiva. Mi abbandonai come se stessi fluttuando sul mare di quel piacere al femminile.
Come le spire di un serpente, sentii le dita sfiorarmi il ventre e scendere sotto le mie mutandine, andando ad accarezzare la mia peluria.
-E qui abbiamo un bel Courbet- sussurrò mentre esplorava la mia vulva, che effettivamente ricordava quella de L’origine du monde. Carmen stava ricercando la mia perla di piacere, e quando la trovò prese ad accarezzarla in cerchi ipnotici. Il mio respiro iniziò a farsi pesante, mentre ansimavo di piacere. Ero sempre stata attratta da uomini e donne in ugual misura. Ma questa era solo la seconda volta che mi concedevo a una femmina. E che femmina.
Sempre al comando del gioco, Carmen mi fece stendere sul letto e mi tolse le mutandine. Si liberò frettolosamente del proprio vestito e della lingerie nera a sua volta, e si distese sopra di me. Titillò brevemente i miei capezzoli con la punta della lingua, ma era chiaro che non era lì che voleva concentrare la sua attenzione. Infatti mi fece subito aprire le cosce per bene, e andò a sistemarsi a pancia in giù di fronte alla mia fica. Con rapide lappate dischiuse i petali già ricoperti di rugiada, e iniziò la leccarmela con veemenza, come se avesse voluto penetrarmi così, con quella sua lingua golosa ed esperta. Ero in preda a un godimento sconosciuto. Rispetto alla mia prima volta, così goffa e impacciata, questa era l’iniziazione con una dea del sesso. Ancora poche spinte, ed ebbi un orgasmo molto potente, che mi fece chiamare il nome della spagnola in modo incontrollato, come in trance. Ero incredula. Come potevo ricambiarla del piacere assoluto che mi aveva donato?
Come se mi avesse letto nella mente, Carmen si mise a sedere, e mi invitò a fare altrettanto. Mi avviluppò tra le sue lunghe gambe ambrate in un incastro che permetteva ai nostri sessi di incontrarsi. Ero emozionatissima. Non avevo mai provato la posizione della forbice. E mi sentivo privilegiata a esperirla con lei per la prima volta. La donna cominciò così a condurre quella danza ancestrale, ad occhi chiusi e con le labbra socchiuse che mi lasciavano udire i suoi gemiti sommessi, quasi avesse vergogna del piacere che le stavo facendo provare. Ero inebriata dal suo profumo di femmina, che mi assicurava che lei fosse eccitata quanto me. Sentivo il suo umore spargersi copioso su di me. Avrei voluto gustarlo leccandolo via tutto. Quando arrivò all’apice, Carmen fu scossa da un fremito, e si lasciò crollare sul letto sfatto.
Restammo distese qualche istante una accanto all’altra.
-Spero di averti fatto capire quanto desiderabile tu sia- disse la professoressa voltandosi a guardarmi.
Non avevo parole. Così le sorrisi semplicemente.
-Ci vediamo in dipartimento- disse.
Mi rivestii in fretta, andai a raccogliere i libri in salotto e uscii.
Il sole era appena tramontato su Padova, l’aria della sera mi scompigliava i capelli mentre pedalavo verso casa. Il mio corpo aveva scoperto una nuova dimensione.
di
scritto il
2020-10-22
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