Un été a Venise

di
genere
saffico

E’ un sabato mattina caldo e afoso nella mia città natale, Venezia. Grazie al cielo vivo in un antico palazzo nobiliare, le cui pietre conservano una bella frescura in modo naturale anche d’estate. Mi sono concessa di alzarmi tardi questo sabato mattina, dopo aver fatto le ore piccole a casa di amici ieri sera. Mia madre mi incrocia in sala da pranzo, pronta per andare a lezione di yoga.
-Oggi a pranzo vengono gli Howard- mi informa.
Il nome non mi suona nuovo, ma lì per lì non riesco a collegare il nome a un volto. Siamo una famiglia molto conosciuta e che conosce letteralmente centinaia di persone.
-Ma sì che ti ricordi- prosegue lei -I palazzinari inglesi con cui tuo padre ha fatto quelle operazioni immobiliari a Dubai. Quando eri piccola li trovavamo sempre a Saint Tropez. Le gemelle hanno la tua età, rosse con le lentiggini. Paffutelle- mi ricorda lei.
Finalmente mi ricordo. Flash di tuffi in mare dalla barca, nascondino e giochi in scatola nella cornice magica della Costa Azzurra riaffiorano alla mente.
-Ora mi ricordo!- rispondo
-In realtà ci sono solo Alison, la madre, e Victoria, la figlia che studia all’istituto Marangoni di Milano. Ho già detto a Giuliana cosa preparare a pranzo-
Giuliana è la nostra colf. Non vive con noi, ma è parte della famiglia. Mi ha insegnato i trucchi del mestiere della cucina veneziana. Divoro il caffelatte e la brioche che mi ha preparato, e poi vado a mettermi in ordine. Opto per un vestito di lino blu, che risalta i miei occhi azzurri. Raccolgo i miei capelli lisci color ebano in una coda di cavallo. L’aria è veramente pesante oggi, di sicuro arriverà un temporale prima di sera.
Quando si avvicina l’ora di pranzo, e un profumino irresistibile inizia ad arrivare dalla cucina, raggiungo Giuliana e le chiedo cosa sta preparando. Insalata di pesce tiepida e moscardini al sugo con bruschette. Prendo nota mentalmente e vado nella stanza che mio padre ha trasformato in una cantina a temperatura controllata, lui che i vini li colleziona anche senza berli. Opto per dei bianchi friulani, visto che gli inglesi conoscono fin troppo bene i vini francesi.
Sento mia madre rientrare. Sparisce per una doccia e ritorna in salotto vestita un caffettano di seta e gioielli tribali africani. Quando suona il campanello, si precipita ad aprire. Ci affacciamo alla porta che conduce alla scala di marmo nell’androne. Alison è un cigno elegante di mezza età molto stiloso, indossa una tuta jumpsuit blu notte, che risalta il suo caschetto argento; stringe in mano un bel mazzo di fiori. Gli inglesi non arrivano mai a un’occasione a mani vuote. Ma i miei occhi ricadono immediatamente su Victoria: la chioma rossa è raccolta in uno chignon sulla nuca, che spunta da un panama bianco come il suo vestito di lino; la pelle, che d’inverno dev’essere d’avorio, era già abbronzata e costellata di efelidi. Incrocio i suoi occhi verde-grigio. Mi sorride con una solarità insolita per un’ inglese. Sono piacevolmente colpita. Ricambio il sorriso e la saluto con un cenno del capo.
-Da quanto tempo!- esordisce Alison porgendo i fiori a mia madre.
-Una vita! L’ultima volta che ci siamo viste era quattro anni fa in Turchia, ma le ragazze non c’erano-
-Sì, stavano facendo i bagagli per l’università-
-Accomodatevi-
Le due madri si accomodano in salotto, ma non prima di aver chiesto un gin tonic a Giuliana. Non so perché, ma sento che voglio fare colpo sulla mia affascinante ospite.
-Ti va di vedere il palazzo?- le domando.
-Ma certo!- mi risponde entusiasta.
Il nostro palazzo è il nostro orgoglio. Passato di mano da generazione in generazione da quando Venezia era ancora uno stato a sé, è la dimora che più di tutte sentiamo come casa. Una casa ricchissima di bellezza e di storia, che Victoria mostra di apprezzare davvero e non per buona educazione. La conduco nella sala da ballo, le mostro le camere degli ospiti, la biblioteca immensa e il terrazzo sul Canal Grande. Racconto le storie che si celano dietro vasi di porcellana, quadri, statue, e Victoria non si perde una sillaba, come ipnotizzata. La sottile complicità di chi ama le stesse cose si è instaurata tra noi. Ci fermiamo di fronte a un ritratto di una nobildonna inglese che le assomiglia, e glielo faccio notare.
-Questa è Lady Margaret Hamilton. E’ stata ospitata dai miei avi durante il Grand Tour in Italia- dico orgogliosa.
-Ma è incredibile-
-Sì. Abbiamo sempre avuto un legame speciale con l’Inghilterra -
I nostri sguardi restano incollati per un attimo in più, in cui faccio caso al profumo di rosa che la avvolge, che però non nasconde l’odore della sua pelle. Un messaggio silenzioso passa tra i nostri corpi, prima di essere interrotto dalla voce di mia madre che ci richiama a tavola.
Mentre Giuliana ci serve i suoi deliziosi manicaretti, chiacchieriamo di quello che avevamo fatto negli anni in cui ci eravamo perse di vista.
-Perché non uscite in barca?- propone mia madre quando arriviamo alla macedonia –Io ed Alison oggi pomeriggio abbiamo appuntamento nell’atelier di una stilista, e poi andremo a fare aperitivo all’Harry’s bar con la contessa Barbaro. Ma voi siete libere di andare dove volete-
Mi volto verso Victoria, raggiante:
-Ti piacerebbe? Giuro che so guidare una barca, non coleremo a picco!- scherzo.
-E’ un’idea fantastica! E non ho dubbi che sia una navigatrice esperta. Ma non ho un costume da bagno- mi risponde rammaricata.
-Non preoccuparti. Ho dei costumi da bagno nuovi che non ho ancora indossato. Abbiamo più o meno la stessa taglia- si offre mia madre.
-Perfetto!- esclamiamo io e Victoria in coro, prima di scoppiare a ridere.
Poco dopo le quattro io e Victoria ci ritroviamo di fronte al portone di casa per la nostra gita in barca. E’ eccitata come una bambina.
-E’ la prima volta che faccio il bagno dove lo fanno i veneziani- mi confessa.
Usciamo dal palazzo e ci incamminiamo lungo la fondamenta, fino ad arrivare al nostro piccolo motoscafo; ci si può stare comodamente in quattro. Salgo a bordo, e mi volto verso la mia ospite inglese per aiutarla a salire a sua volta. Quando le nostre dita si sfiorano, avverto quell’inconfondibile sensazione che mi dice che la desidero. Desidero quella inglese burrosa e sofisticata. Vorrei affondare il volto tra i suoi seni abbondanti, baciarle il ventre morbido fino a raggiungere il boschetto rossiccio e … Victoria accenna un sorriso malizioso, una frazione di centimetro agli angoli delle labbra. Che mi abbia letto nel pensiero?
Sciolgo il nodo che trattiene la barca alla briccola, mi posiziono al volante e accendo il motore, mentre la rossa si posiziona sui sedili di pelle bianca piegando le gambe di lato come una sirena. Quando usciamo da Venezia mi rendo conto della perturbazione che si sta avvicinando dalla montagna. Non abbiamo molto tempo. Sta arrivando il classico temporale estivo, penso, così accelero. La barca fende le onde del mare ancora calmo, gli spruzzi arrivano fino a noi, strappandoci dei gridolini.
Arrivo alle bocche di porto, calo l’ancora e spengo il motore. C’è qualche altra barca, ma nulla se paragonato con il week end. Ci spogliamo restando in costume. Saliamo a prua e ci tuffiamo, incuranti di bagnarci i capelli.
Io do sfoggio delle mie abilità di nuotatrice, coprendo alcune decine di metri a stile libero.
-Wow ma sei velocissima!- mi grida Victoria mentre vagola a rana lentamente.
Ritorno indietro sul dorso, e avverto l’aria fresca che preannuncia i nubifragi sfiorarmi la pelle, facendo irrigidire subito i miei capezzoli. Mi immergo di nuovo e proseguo in apnea, passando sotto all’inglese e riapparendo giusto di fronte a lei.
Restiamo a guardarci in silenzio, mentre le gambe scalciano in basso per tenerci a galla. L’attrazione tra noi resta accesa anche sott’acqua. E’ lei a sorprendermi con un bacio a fior di labbra, con tutta la naturalezza del mondo. Ci doniamo dei baci brevi, interrotti dall’urgenza di non sprofondare, e proprio per questo più sensuali, perché ci fanno desiderare ancora di più.
Risaliamo sulla barca, dove l’una di fronte all’altra ci scambiamo un bacio come si deve, profondo, curioso, affamato. Posso avvertire su di me gli sguardi degli altri naviganti che ci osservano di nascosto, morbosi. Questa spiacevole intrusione e il rombo sordo dei tuoni mi convincono a rimandare la gratificazione e prendere la strada di casa.
Afferro gli asciugamani dal baule e ne porgo uno a Victoria.
-Sta arrivando il temporale- spiego strofinandomi il panno sulla schiena –Dobbiamo andare prima che si metta a piovere-
-Il tempo cambia velocemente come a Londra- mi sorride lei di rimando.
-D’estate è proprio così!- confermo.
Riaccendo il motore e sollevo l’ancora. Faccio manovra e punto decisa verso la città, lasciandomi alle spalle il disappunto di quei diportisti guardoni, che nel frattempo iniziano a darsi alla fuga a loro volta. Sembra che il maltempo ci voglia acchiappare, l’aria è fredda e carica di ioni negativi; il sole è definitivamente sparito dietro una fitta coltre di nuvole grigie; i tuoni sono sopra di noi, incombenti. Cadono le prime gocce, punteggiando qua e là la superficie del mare dal colore livido.
Ho l’adrenalina a mille. Sento appieno la responsabilità di portare in salvo Victoria, come fossi un cavaliere con la sua principessa. Mi sento sollevata solo quando entro in città, e mi lascio scorrere accanto fondamenta, calli, palazzi e turisti alla massima velocità consentita, mentre la pioggia inizia a cadere a catinelle. Raggiungo l’ormeggio e in fretta e furia blocco la barca. Piombo sulla fondamenta e aiuto la mia ospite a scendere dalla barca.
Ci prendiamo per mano e corriamo verso casa. L’acqua piovana che scorre copiosa su di noi lava via la salsedine. Ho il cuore che mi scoppia nel petto, un po’ per la frenesia del momento, un po’ per l’attrazione che sento per questa sirena d’Albione.
Il portone si apre con uno schiocco basso, e ci precipitiamo al riparo sullo scalone coperto. Mi sento una forza della natura, una ninfa pagana in sintonia con gli elementi. Mi sento finalmente libera di baciare con foga Victoria, che risponde con altrettanta passione, appoggiandosi contro il muro di mattoni e traendomi a sè. Le nostre lingue danzano un ballo dolce e sensuale al tempo stesso, risvegliando il desiderio di un contatto più intimo.
Ci stacchiamo e riprendiamo la salita della gradinata, fino ad arrivare al portone di casa. So per certo che in casa non c’è più nessuno. Giuliana se n’è andata da ore, e mia madre e Alison sono già fuori da un pezzo. Entriamo e corriamo nella mia camera da letto.
Mentre fuori infuria la tempesta, con il cielo semibuio e la pioggia che batte violentemente contro i vetri dei finestroni, io e Victoria ci denudiamo frettolosamente. I costumi bagnati cadono sul pavimento alla veneziana. Prendiamo d’assalto il mio grande letto con la testiera in seta e legno dorato. Chissenefrega della doccia, quello che stiamo vivendo ha un’urgenza superiore e non dev’essere interrotto per nulla al mondo. Ci stringiamo in un abbraccio frenetico e rotoliamo sulle lenzuola, inebriate da come i nostri corpi aderiscono perfettamente l’uno all’altro. L’inglese mi sovrasta, e si avventa ai miei seni, già tesi e imploranti. Disegna ampie spirali sulla mia pelle abbronzata dai week end in barca, fino a raggiungere i capezzoli bruni, titillandoli in un modo così sapiente da farmi ansimare. Il mio sesso non resta indifferente a quelle attenzioni; si schiude, stillando già la sua rugiada.
Quindi la punta della lingua comincia a scendere, errando sul mio ventre in disegni astratti; si sofferma sul mio ombelico convesso,assaporandone la salsedine; accarezza i miei fianchi stretti, sembra voler venire al dunque… e invece no, ritorna all’inguine. Trepido nell’aspettativa di ciò che verrà dopo. Finalmente sento la lingua separare le piccole labbra dalle grandi, e lambire le prime con lentezza studiata. La rossa le prende delicatamente tra i denti, le mordicchia e le succhia, provocandomi un terremoto di sensazioni. Gemo senza ritegno, prima ancora che le sue dita si facciano strada dentro di me, e la lingua si soffermi sul mio clitoride teso fino allo spasmo. I nostri sguardi si incrociano, e posso vedere quanto le piace vedermi godere. Così mi lascio andare a quella penetrazione ritmata, assecondandola con i movimenti del bacino, fino a esplodere in un grido orgasmico che si confonde tra i tuoni e i fulmini che ancora impazzano fuori.
Ora sono io che voglio far godere questa magnifica sirena. Capovolgo i ruoli, e mi posiziono tra le sue cosce. Le palpo i seni a piene mani, cercando di contenere quell’abbondanza color avorio, senza riuscirci. Adoro quel suo corpo orgogliosamente curvy; mi ricorda le pin up degli anni Cinquanta.
Mi chino a succhiarle voracemente i capezzoli, leccandoli come se fossero coperti di miele selvatico. Lei mi passa le dita tra i capelli bagnati, il respiro che si accorcia per l’eccitazione. Faccio scendere le dita tra le sue gambe, e avverto chiaramente che è già eccitata. Quella constatazione mi da un’ idea. Invito Victoria a mettersi in ginocchio a gambe divaricate. Mi distendo a pancia in su, e mi vado a posizionare con la faccia tra le sue cosce. Il suo boschetto rosso non aspetta altro che essere esplorato dalla mia lingua curiosa. Ed è così che Victoria inizia a danzare su di me, mentre gusto il suo nettare salmastro. Sono delicata ma persistente. Sfioro a più riprese le labbra, il clitoride, e poi scivolo dentro in una dolce penetrazione. Per amplificare il suo piacere, mi succhio l’indice, e vado a insinuarlo nel suo culo, dapprima entrando solamente con la punta, tracciando piccoli cerchi immaginari; poi lo lascio sprofondare. La mia amante perde gradualmente il controllo. Non riesco a vederla, ma la immagino mordersi il labbro inferiore mentre ansima, l’espressione piacevolmente turbata, le mani avvolte ai seni. La sua danza da lenta diventa frenetica, parossistica. Io la assecondo con i guizzi della mia lingua e il ritmo della penetrazione posteriore. Sento Victoria venire con dei gemiti senza freni, che risuonano alti nel silenzio della stanza. La pioggia infatti è cessata.
Entrambe finalmente appagate, ci corichiamo una alle spalle dell’altra nella posizione del cucchiaio. Timorosi raggi di sole rispuntano timidamente tra le nuvole scariche e ci accarezzano, in questo tardo pomeriggio d’estate veneziana.
di
scritto il
2020-09-04
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