I metodi di scelta della prof C.
di
Cavernoso
genere
dominazione
Aspettavo da ormai mezz'ora seduto su quella sedia scomoda, davanti alla porta chiusa. Avevo chiesto un appuntamento alla professoressa C. per essere accettato come tesista ma mi aveva lasciato ad attendere senza dare notizie. Quando sentii i tacchi nel corridoio fu una liberazione.
"Finalmente...", pensai.
Era bellissima nei suoi cinquanta anni. Quella mattina indossava una gonna di pelle nera lunga fino al ginocchio e un maglione verde stretto al punto giusto. Era sicura di sé, con uno sguardo magnetico, racchiuso dai lunghi capelli neri e ricci.
"Lei deve essere Francesco V."
"Sì, professoressa, sono qui perché..."
"Sì, sì. Parliamo dentro. Devo capire se sia valido", tagliò corto subito e mi guardò per bene. Lì mi tornarono in mente le parole di Stefano, un collega che mi aveva avvertito dei metodi di scelta della professoressa C., tutt'altro che ortodossi.
Entrammo nella stanza illuminata dal sole del mattino e la C. chiuse la porta dietro di sé. A chiave.
"Insomma V., lei mi ha scritto per avere la tesi. Perché non si siede e mi racconta qualcosa dei suoi studi"
Mi sedetti su una delle due sedie di legno e dopo aver aspettato qualche secondo, iniziai a parlare. La C. non si sedette di fronte a me, anzi rimase in piedi a camminare per la stanza, senza togliermi gli occhi di dosso. Io continuai a raccontare degli esami, degli interessi, del perché avessi scelto lei. A quel punto si sedette alla scrivania e mi fece segno di stare in silenzio. Non sapevo cosa pensare. Si mise comoda sulla sedia di pelle, tirò fuori un pacchetto di sigarette e un accendino. Solo dopo essersi accesa la sigaretta mi guardò di nuovo e parlò.
"V., sia onesto. Lo so perché mi ha scelto. A lei non interessa il mio corso". Ancora quello sguardo magnetico. Rimasi in silenzio a guardare le labbra rosse aspirare avidamente dalla sigaretta. Avevano una bella forma e il rossetto le esaltava.
"V., la smetta di guardarmi le labbra. Sembra un maniaco"
Diventai rosso, viola, fucsia dall'imbarazzo. Farfugliai qualcosa, forse una scusa.
"Cosa si dice di me in aula, V.? Me lo dica. C'è una storiella sulla selezione dei tesisti?"
"Professoressa, non so... nel senso, sì... ci sono... io non credo alle dicerie... è che...", sembravo un completo stupido. La professoressa si alzò e fece il giro della scrivania. Si avvicinò a me e le guardai il profilo dei fianchi. La gonna era a vita alta e il maglione era infilato dentro, quindi tutte le sue forme erano esaltate.
"V., ti piacciono i miei fianchi?", non aspettò neanche la mia risposta e si sedette sulle mie gambe. I nostri visi erano a pochi centimetri di distanza. Aspirò e mi buttò il fumo addosso. Odiavo quell'odore ma sentivo l'eccitazione salire. Erano proprio quelle le storie che raccontavano. Misi una mano sul ginocchio scoperto e cercai lentamente di risalire. La professoressa rispose con un sonoro schiaffo.
"V., forse non hai capito bene". Aspirò ancora e mi riempì nuovamente il viso di fumo. La mia mano sinistra però era rimasta sul suo ginocchio.
"Sai V., io i tesisti li scelgo molto bene. Tu non mi sembri così sveglio". Istintivamente portai la mano destra sulla sua schiena e poi a cingerle un fianco, portandola verso di me. Mi arrivò un secondo schiaffo. Le mie mani però rimasero di nuovo al loro posto. La professoressa poggiò la cicca nel posacenere, poi avvicinò il naso al mio collo, annusandolo.
"Hai un buon profumo, ottimo inizio." disse prima di alzarsi e mettersi di fronte a me. La sua bella figura si stagliava nella luce della stanza. Portai le mani ai fianchi e provai di nuovo a tirarla verso di me. Il terzo schiaffo, molto duro, mi colpì in pieno.
"Inginocchiati"
"Come ha detto, prof?"
"Ho detto che devi inginocchiarti e togliermi le mani di dosso". Ero scosso dal terzo colpo ma senza aggiungere nulla ubbidii. Sembrava ancora più imponente, minacciosa ed eccitante da lì sotto. Si poggiò al bordo della scrivania e sorrise. Alzando la gonna mostrò due gambe toniche e slanciate, si sfilò l'intimo nero, continuò ad alzare fino a mostrare una fica non più giovane ma ancora bella e senza alcun pelo.
"Ora sai cosa fare o sei un povero verginello?", disse tirandomi per un orecchio e portandomi all'altezza della sua fica. Tirai fuori la lingua e leccai fra le grandi labbra, incredibilmente calde e accoglienti. Lavoravo piano, in un misto di eccitazione e disagio. Non ci volle molto a farla bagnare e il sapore acidulo e particolare degli umori non mi sorprese. La mia lingua esplorava le labbra e cercava il clitoride. La professoressa C. probabilmente non voleva dare soddisfazioni, ma quando leccai il clito emise un piccolo gemito. Adesso la quantità di umori aumentava e la mia lingua era sempre meno timida nell'esplorare le sue profondità. Ecco che entravo per bene, raccogliendo liquido e facendola sospirare forte. Senza pensarci la toccai con un dito ma per tutta risposta mi tirò per i capelli, allontanandomi.
"Non mi pare di averti detto di usare le mani", aveva gli occhi semichiusi dal piacere ma sapeva essere convincente. Lasciò liberi i capelli e ripresi a lavorare con la lingua, stavolta senza più mezze misure. Andavo con forza e colpivo il clitoride velocemente, mentre la mia bocca si riempiva di saliva e umori. La C. ormai non si limitava e ansimava e gridava a suo piacimento. Dimenticai di essere in un’università pubblica, con stanze e aule allo stesso piano. All'improvviso mi spinse e via e per la sorpresa caddi con la schiena a terra, sbattendo le spalle e la testa.
"Oh no, spero non ti sia fatto male, piccolo V."
La C. portò la mano sul clitoride, stimolandolo.
"Ora ti seghi, ok?" Non feci domande, avevo sentito bene. Senza alzarmi da terra, mi sbottonai il pantalone e tirai fuori il pene. Era duro ma potevo fare di meglio. Iniziai a segarmi, l'eccitazione era sempre meno mista a disagio. La C. si fece avanti, sempre masturbandosi, e si mise a gambe larghe sopra di me.
"Non ti devi fermare, continua".
Nonostante tutto, il pene si fece duro e godevo di quella vista. La C. aveva mani esperte, si toccava i punti giusti e piegava le gambe dal piacere. Non mi toglieva mai gli occhi di dosso, tranne quando li chiudeva e si mordeva le labbra. Al culmine del godimento s’inginocchiò sul mio viso, soffocandomi con la sua figa. Non dovette ordinare, leccai con gusto facendola godere. Riuscii a vedere che si toccava il clitoride. Buttò i ricci neri dietro le spalle. Respirava forte a bocca aperta. Dopo poco si accasciò completamente sul pavimento, in preda al piacere più forte. Passò un tempo indefinito prima che si alzasse. Dall'alto vide sicuramente un ragazzo eccitato e imbambolato, con un'erezione e una mano che continuava ad andare. La C. sorrise soddisfatta, abbassandosi la gonna.
"Alzati e vai via". Ero confuso. Mi alzai e mi avvicinai a lei, senza rimettere il pene nelle mutande. Arrivò così il quarto schiaffo.
"Brutto maniaco, rimettilo a posto ed vai fuori!". Non capivo, ma a fatica cercavo di rivestirmi.
"Sono... un suo... tesista ora?", balbettai con la guancia in fiamme. La C. si era accesa una sigaretta e mi guardava sempre soddisfatta.
"Il primo colloquio è andato bene, sì. Ora dobbiamo decidere l'argomento, non le pare, V.?". Mi afferrò per un braccio e mi avvicinò alla porta.
"La aspetto giorno 5 per discutere del titolo, va bene?"
"Ma prof, ho esame quel giorno"
"In che sede?"
"Quella di Via T.P."
"Bene, faremo lì il nostro incontro"
Mi spinse fuori con una pacca sul sedere e si chiuse la porta alle spalle.
Il corridoio era deserto e silenzioso.
Io ero confuso, felice, eccitato e già in attesa di giorno 5.
"Finalmente...", pensai.
Era bellissima nei suoi cinquanta anni. Quella mattina indossava una gonna di pelle nera lunga fino al ginocchio e un maglione verde stretto al punto giusto. Era sicura di sé, con uno sguardo magnetico, racchiuso dai lunghi capelli neri e ricci.
"Lei deve essere Francesco V."
"Sì, professoressa, sono qui perché..."
"Sì, sì. Parliamo dentro. Devo capire se sia valido", tagliò corto subito e mi guardò per bene. Lì mi tornarono in mente le parole di Stefano, un collega che mi aveva avvertito dei metodi di scelta della professoressa C., tutt'altro che ortodossi.
Entrammo nella stanza illuminata dal sole del mattino e la C. chiuse la porta dietro di sé. A chiave.
"Insomma V., lei mi ha scritto per avere la tesi. Perché non si siede e mi racconta qualcosa dei suoi studi"
Mi sedetti su una delle due sedie di legno e dopo aver aspettato qualche secondo, iniziai a parlare. La C. non si sedette di fronte a me, anzi rimase in piedi a camminare per la stanza, senza togliermi gli occhi di dosso. Io continuai a raccontare degli esami, degli interessi, del perché avessi scelto lei. A quel punto si sedette alla scrivania e mi fece segno di stare in silenzio. Non sapevo cosa pensare. Si mise comoda sulla sedia di pelle, tirò fuori un pacchetto di sigarette e un accendino. Solo dopo essersi accesa la sigaretta mi guardò di nuovo e parlò.
"V., sia onesto. Lo so perché mi ha scelto. A lei non interessa il mio corso". Ancora quello sguardo magnetico. Rimasi in silenzio a guardare le labbra rosse aspirare avidamente dalla sigaretta. Avevano una bella forma e il rossetto le esaltava.
"V., la smetta di guardarmi le labbra. Sembra un maniaco"
Diventai rosso, viola, fucsia dall'imbarazzo. Farfugliai qualcosa, forse una scusa.
"Cosa si dice di me in aula, V.? Me lo dica. C'è una storiella sulla selezione dei tesisti?"
"Professoressa, non so... nel senso, sì... ci sono... io non credo alle dicerie... è che...", sembravo un completo stupido. La professoressa si alzò e fece il giro della scrivania. Si avvicinò a me e le guardai il profilo dei fianchi. La gonna era a vita alta e il maglione era infilato dentro, quindi tutte le sue forme erano esaltate.
"V., ti piacciono i miei fianchi?", non aspettò neanche la mia risposta e si sedette sulle mie gambe. I nostri visi erano a pochi centimetri di distanza. Aspirò e mi buttò il fumo addosso. Odiavo quell'odore ma sentivo l'eccitazione salire. Erano proprio quelle le storie che raccontavano. Misi una mano sul ginocchio scoperto e cercai lentamente di risalire. La professoressa rispose con un sonoro schiaffo.
"V., forse non hai capito bene". Aspirò ancora e mi riempì nuovamente il viso di fumo. La mia mano sinistra però era rimasta sul suo ginocchio.
"Sai V., io i tesisti li scelgo molto bene. Tu non mi sembri così sveglio". Istintivamente portai la mano destra sulla sua schiena e poi a cingerle un fianco, portandola verso di me. Mi arrivò un secondo schiaffo. Le mie mani però rimasero di nuovo al loro posto. La professoressa poggiò la cicca nel posacenere, poi avvicinò il naso al mio collo, annusandolo.
"Hai un buon profumo, ottimo inizio." disse prima di alzarsi e mettersi di fronte a me. La sua bella figura si stagliava nella luce della stanza. Portai le mani ai fianchi e provai di nuovo a tirarla verso di me. Il terzo schiaffo, molto duro, mi colpì in pieno.
"Inginocchiati"
"Come ha detto, prof?"
"Ho detto che devi inginocchiarti e togliermi le mani di dosso". Ero scosso dal terzo colpo ma senza aggiungere nulla ubbidii. Sembrava ancora più imponente, minacciosa ed eccitante da lì sotto. Si poggiò al bordo della scrivania e sorrise. Alzando la gonna mostrò due gambe toniche e slanciate, si sfilò l'intimo nero, continuò ad alzare fino a mostrare una fica non più giovane ma ancora bella e senza alcun pelo.
"Ora sai cosa fare o sei un povero verginello?", disse tirandomi per un orecchio e portandomi all'altezza della sua fica. Tirai fuori la lingua e leccai fra le grandi labbra, incredibilmente calde e accoglienti. Lavoravo piano, in un misto di eccitazione e disagio. Non ci volle molto a farla bagnare e il sapore acidulo e particolare degli umori non mi sorprese. La mia lingua esplorava le labbra e cercava il clitoride. La professoressa C. probabilmente non voleva dare soddisfazioni, ma quando leccai il clito emise un piccolo gemito. Adesso la quantità di umori aumentava e la mia lingua era sempre meno timida nell'esplorare le sue profondità. Ecco che entravo per bene, raccogliendo liquido e facendola sospirare forte. Senza pensarci la toccai con un dito ma per tutta risposta mi tirò per i capelli, allontanandomi.
"Non mi pare di averti detto di usare le mani", aveva gli occhi semichiusi dal piacere ma sapeva essere convincente. Lasciò liberi i capelli e ripresi a lavorare con la lingua, stavolta senza più mezze misure. Andavo con forza e colpivo il clitoride velocemente, mentre la mia bocca si riempiva di saliva e umori. La C. ormai non si limitava e ansimava e gridava a suo piacimento. Dimenticai di essere in un’università pubblica, con stanze e aule allo stesso piano. All'improvviso mi spinse e via e per la sorpresa caddi con la schiena a terra, sbattendo le spalle e la testa.
"Oh no, spero non ti sia fatto male, piccolo V."
La C. portò la mano sul clitoride, stimolandolo.
"Ora ti seghi, ok?" Non feci domande, avevo sentito bene. Senza alzarmi da terra, mi sbottonai il pantalone e tirai fuori il pene. Era duro ma potevo fare di meglio. Iniziai a segarmi, l'eccitazione era sempre meno mista a disagio. La C. si fece avanti, sempre masturbandosi, e si mise a gambe larghe sopra di me.
"Non ti devi fermare, continua".
Nonostante tutto, il pene si fece duro e godevo di quella vista. La C. aveva mani esperte, si toccava i punti giusti e piegava le gambe dal piacere. Non mi toglieva mai gli occhi di dosso, tranne quando li chiudeva e si mordeva le labbra. Al culmine del godimento s’inginocchiò sul mio viso, soffocandomi con la sua figa. Non dovette ordinare, leccai con gusto facendola godere. Riuscii a vedere che si toccava il clitoride. Buttò i ricci neri dietro le spalle. Respirava forte a bocca aperta. Dopo poco si accasciò completamente sul pavimento, in preda al piacere più forte. Passò un tempo indefinito prima che si alzasse. Dall'alto vide sicuramente un ragazzo eccitato e imbambolato, con un'erezione e una mano che continuava ad andare. La C. sorrise soddisfatta, abbassandosi la gonna.
"Alzati e vai via". Ero confuso. Mi alzai e mi avvicinai a lei, senza rimettere il pene nelle mutande. Arrivò così il quarto schiaffo.
"Brutto maniaco, rimettilo a posto ed vai fuori!". Non capivo, ma a fatica cercavo di rivestirmi.
"Sono... un suo... tesista ora?", balbettai con la guancia in fiamme. La C. si era accesa una sigaretta e mi guardava sempre soddisfatta.
"Il primo colloquio è andato bene, sì. Ora dobbiamo decidere l'argomento, non le pare, V.?". Mi afferrò per un braccio e mi avvicinò alla porta.
"La aspetto giorno 5 per discutere del titolo, va bene?"
"Ma prof, ho esame quel giorno"
"In che sede?"
"Quella di Via T.P."
"Bene, faremo lì il nostro incontro"
Mi spinse fuori con una pacca sul sedere e si chiuse la porta alle spalle.
Il corridoio era deserto e silenzioso.
Io ero confuso, felice, eccitato e già in attesa di giorno 5.
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