La paura dell'armadio 1

di
genere
pulp

LA PAURA DELL’ARMADIO

I- Introducing Kelly

“Non saprei dove iniziare, dottore” Kelly sdraiata sul lettino dello psicologo, un po’ intimorita, con lo sguardo che continua a muoversi nella stanza, come in cerca di qualcosa.
“Si comincia sempre dall’inizio” il dottore congiunge le mani e osserva Kelly. Con quell’aspetto segaligno, il corpo ossuto e un po’ magro, il volto di un settantenne con la faccia rugosa simile a quella di un vecchio ceppo e una massa disordinata di capelli bianchi incollati al cranio, non dava l’impressione di essere un benevolo luminare della psicologia. A Kelly dava più l’impressione di una mantide religiosa, pronta a mangiarsela senza problemi “Mi dica”
“Penserà che sono pazza”
“Perché è venuta da me, signorina Preston?”
Kelly sospira, non risponde subito “Ci sono armadi qui dentro?”
Lui sorride benevolo “Non sono un amante degli armadi. Lei sì?”
“No, io… Sono parte del mio problema”
“Traumi infantili,quindi. Me ne vuole parlare?”
“E’ cominciato tutto quando ero poco più di una bambina. Avevo solo dodici anni. Ci eravamo trasferiti da poco in una vecchia casa di campagna. Mio padre era un veterinario, mia madre faceva l’infermiera. Sono figlia unica. Ero una bambina molto amata. La casa era più un casolare. Mio padre l’acquistò con l’intento di creare una clinica per animali, lontano dai rumori della città.
Passammo un anno senza che non accadesse nulla di particolare. Andavo a scuola più che volentieri, avevo molti amici, avevo buoni voti.
Tutto andò per il meglio fino a che, una notte, non sentii che qualcuno, o qualcosa, stava raschiando l’armadio”
“Un topo? Un gatto?”
“L’uomo d’Ombra” mormora Kelly
“Chi?”
“Una leggenda, una favola per spaventare i bambini che non andavano a dormire presto..”
“Il babau?” ridacchia il dottore. Ecco, ora sa che sono pazza, pensa Kelly
“Lo dicevo che penserà che sono pazza”
“Non giudico, per ora. Prego, vada avanti nel racconto”
“L’uomo d’ombra, o Uomo Nero, o Babau: lo chiami come vuole. Fatto sta che, ebbi modo a conoscere che lui non era una leggenda, ma qualcosa di consistente”

II-Il racconto dell’armadio

Accadde una notte in cui non riuscivo a chiudere gli occhi. Stavo lì a fissare il soffitto quando lo sentii. Stava raschiando contro l’anta dell’armadio. Mi rizzai seduta sul letto e chiesi “Chi c’è?”
Ma non rispose nessuno e io rimasi lì a fissare l’armadio come in attesa di qualcosa. Dopo alcuni minuti mi persuasi di avere sognato e tornati a sdraiarmi, riprendendo poco a poco il sonno. La sera dopo, l’esperienza si ripresentò. Ma, questa volta, l’anta dell’armadio si aprì, rivelando una massa scura, senza forma, che fluttuò nel buio verso di me. Gridai spaventata. Arrivarono mia madre e mio padre che mi abbracciarono e cercarono di calmarmi. Mi convinsero di aver fatto un brutto sogno, che era tutto nella mia testa. Ma, quella notte, dormii con loro nel lettone e tutto finì lì.
O, almeno, credetti che tutto finì lì. Perché, due giorni dopo, l’uomo nero tornò a turbare i miei sogni.
Gridai naturalmente. I miei genitori accorsero da me, cercarono di calmarmi ma nulla. Consultarono uno specialista, mi fecero analizzare, scavare nella mente. Naturalmente nessuno ci credette. La mia paura per l’uomo nero non passava. Passavano diversi mesi ma la mia paura non cessava. Fu a mio padre che venne l’idea di spostare il mio armadio da un’altra parte della casa. Fece montare delle grucce e dei ripieni su cui posi i miei abiti. La paura rimase ma, l’uomo nero non apparve più. Chiesi a mio padre cosa ne fu dell’armadio e lui disse che lo aveva messo in cantina. “Non lo hai distrutto” avevo cominciato a tremare “Devi distruggerlo, o lui tornerà”
“Non devi preoccuparti bambina. Nessuno ti farà del male”
Ma, a sapere della presenza di quell’armadio ancora in casa nostra, non mi faceva stare tranquilla. Allora, mio padre, chiamò un rigattiere e fece portare via l’armadio. Non lo rividi mai più. Una settimana dopo seppi dell’incendio al negozio del rigattiere. L’unica cosa che non andò in fumo fu quel dannato armadio.
Ci trasferimmo il mese successivo. Papà si ammalò, mia madre aveva ottenuto un lavoro più remunerativo in città. Ci trasferimmo in un appartamento in centro, al decimo piano di una palazzina che dava su un parco. C’erano armadi ma, mio padre mi rassicurò che, nella mia camera, non ce n’erano.
Purtroppo, papà morì l’anno dopo e io rimasi sola con mamma. Lo spettro di quella paura oscura sembrava una lontana illusione di una bambina spaventata.
Ma mi sbagliavo. Eccome se mi sbagliavo.

II-Il racconto di una notte d’amore

Il mio diciottesimo compleanno. Il mio primo ragazzo. Josh. Carino, ambito, di buona famiglia. Ci siamo baciati la prima volta sotto gli spalti della palestra. Un bacio saffico, per nulla invadente, le mani appoggiate sui miei fianchi. Mi sentivo al settimo cielo: un ragazzo come lui, interessato a me. “Domani compirò diciotto anni” gli dissi “E vorrei solo un regalo da te”
“Dimmi e cercherò di accontenti” aveva detto lui mettendosi in ginocchio
“Voglio perdere la mia verginità” dissi in un fiato
Lui, per poco, non cadde da quella richiesta “Oh, wow! Diretta”
“Ma, se non ti senti pronto…”
“No, no.. Certo che sì.. Io, avevo paura a chiedertelo.. Sai, io sono maggiorenne e tu no.. Insomma, con questa storia degli abusi..”
“Per questo ti ho chiesto di farlo per il mio compleanno. Sarò maggiorenne e non ci saranno complicazioni”
“Ok, casa mia o casa tua?”
“Casa mia. Mia madre ha dei turni in ospedale. Abbiamo la casa solo per noi”
“Allora, che festeggiamento sia” aveva riso afferrandomi per i fianchi e facendomi volteggiare

Sì, la mia verginità. Fu meraviglioso e dolce. Sentii poco dolore. Lui fu molto soft. Aveva un movimento dolce e sinuoso come le onde del mare. Fui felice di avere perso la mia verginità con lui. Siamo rimasti nudi l’uno accanto all’altro, mano nella mano, senza dire nulla”Uh” fece lui “Fantastico”
“Era la tua prima volta?”
“Più o meno”
“Come, piu’ o meno?”
“Ho avuto delle ragazze in precedenza ma, mai come te”
“Grazie”
“Per cosa?”
“Per non aver abusato di me”
“Come avrei potuto? Fin dalla prima volta che ti ho visto.. Beh, la prima volta che ti ho visto, ho capito che tu eri speciale” allungò le mani verso di me, con l’indice prese a disegnarmi cerchi sulla pelle, attorno ai miei seni, sui capezzoli, risalendo fino al collo e al mento. Io sorrisi a quelle attenzioni “La prossima volta, a casa mia”
Esitai, trattenendo il respiro “Io, non ti offendere ma..”
“Corro troppo presto?” si puntella su un gomito, si gira su un fianco
“No” scuoto la testa “No, non fraintendere. E’, che .. non so come spiegartelo.. E’ una fobia che ho da quando sono piccola”
“Fare sesso per la seconda volta?”
“No.. è difficile da spiegare. E’ una specie di fobia che avevo da piccola. Tu hai armadi a casa?”
“Sì” si guarda un po’ in giro nella stanza “Ehi, nessun armadio”
“Fobia degli armadi chiusi”
Lui aggrottò le sopracciglia “Sei Armadiofobica?”
“Ah, sembro folle. Lascia perdere”
Lui sorrise, si piegò verso di me, mi baciò a lungo, teneramente “Gli armadi erano i miei luoghi sicuri quando ero piccolo” lui scivolò su di me, stando attendo a non fare peso. Voleva farlo ancora, sentìì la sua erezione sulla mia pelle “Ero la disperazione di mia madre. Mi chiudevo al buio dentro di esso e rimanevo lì, delle ore, senza fare nulla” Entrò in me, lo sentii che riempiva ogni mio angolo, il calore che si propagava in tutto il mio essere
“Non avevi paura dei mostri del buio?”
“Mostri del buio? Come il babau intendi?”
“era quello che mi tormentava quando ero piccola. I miei genitori credevano che fosse una specie di gioco dell’amico immaginario finito male. Mi fecero vedere da diversi specialisti ma, nessuno mi dava spiegazioni plausibili. Poi, mio padre spostò l’armadio in cantina e gli incubi cessarono anche se, la paura di vivere ancora nella stessa casa di quell’armadio, mi dava apprensione. Alla fine lo vendemmo ad un rigattiere. Poi, il negozio del rigattiere andò a fuoco. Tutto, tranne quel dannato armadio” lo attirai a me intrecciando le gambe dietro la schiena. Lasciai che lui si amalgamasse ancora con me, che diventassimo una cosa sola. Non parlammo più fino a dopo il secondo amplesso che ebbimo “Sono anni che non ho più incubi ma, come vedi, il timore è rimasto e, non ho armadi in tutta la casa”
“La cosa giusta da fare è affrontare le proprie paure” disse lui “Io avevo paura ad uscire dall’armadio. Tu avevi paura ad avercelo in camera”
“Tu perché stavi nell’armadio?”
“Anch’io avevo il mio personale uomo nero. Mio padre aveva la brutta abitudine di picchiarmi. Ogni volta che tornava a casa dal lavoro..” d’istinto gli strinse la mano “L’armadio era il mio rifugio sicuro”
“Che ne è stato di tuo padre?”
“Probabile starà marcendo all’inferno ora”
“Mi spiace”
“A me no. Non più” si rizzò a sedere sul letto “A che ora torna tua madre?”
“Dovrebbe..” guardai l’orologio e vidi che, il turno, era finito da almeno mezz’ora “Oh, cazzo”
“Via” ridemmo mentre ci rivestivamo. Lui se ne andò come un ladro nella notte, mancando mia madre di pochi minuti

Ritorno al presente

“Mi parli dell’armadio” disse il dottore congiungendo le mani. Assomigliava sempre più ad una mantide con quelle sue lunghe dita affusolate e quel viso allungato, gli occhi da insetto.. Kelly represse un brivido e cercò di concentrarsi
“Cosa vuole sapere?”
“Beh, è la fonte delle sue paure. Mi parli di quell’armadio, di come era fatto. Se era nuovo o vecchio. Se apparteneva a qualcuno”
“Beh, era un armadio un po’ vintage, in legno scuro. Sopra aveva degli ornamenti con foglie e uva.. Sì, c’era anche una faccia.. No, due facce, due maschere. Una che rideva e l’altra no. Come maschere di carnevale”
“Capisco”
“Mio padre lo acquistò in un negozio di mobili nella città dove abitavamo prima. Il proprietario disse che aveva una storia. Lo scoprii anni dopo. La famiglia cui apparteneva quell’armadio, andò contro una fine orrenda”
“Indovino? Morirono in un incendio?”
Kelly rabbrividì “I figli si ammalarono di qualcosa di sconosciuto. Non si sa di cosa. Una specie di febbre che li consumava poco a poco. Poi, una notte, tutto bruciò e tutti si consumarono in quell’incendio. Tutto, tranne l’armadio”
“Come quel negozio di rigattiere cui suo padre lo rivendette”
“Sì. Fu allora che realizzai che, quell’armadio, era maledetto”
“Certo è strano. Due incendi e lui che rimane integro”
“Lei non mi crede”
“Io sono qui per valutare, miss Kelly. Abbiamo tutto il tempo che vogliamo. Prego, prosegua nella sua storia. Mi dica, quando riapparve quell’armadio nella sua vita?”
“Fu qualche mese dopo che ci trasferimmo in città. Dopo quella famosa sera in cui persi la mia verginità”


Continua


P.s.: questa appartiene ad una storia un po' fuori dagli schemi di ER. Le scene di sesso non mancano ma... Ma giudicate voi.. Per ora, questa prima parte
di
scritto il
2021-03-05
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