Mia madre e il vicino - Mickey 3pt. Epilogo
di
Isaia
genere
pulp
Devo ammettere che, nei giorni successivi all’incontro con Mickey al motel abbandonato, qualcosa era cambiato in mia madre. Quell’evento l’aveva resa più felice, spensierata, solare. Tanto che mio padre stesso notò il cambiamento in lei complimentandosi e, più di una volta, chiedendo cosa fosse successo di tanto bello. Mia madre rispondeva sempre facendo spallucce con quel suo sorriso furbo stampato sul volto.
In quei giorni di tregua riuscimmo anche a visionare insieme il filmino amatoriale che avevamo girato.
Nel rivedersi allo schermo della tv in salotto, mia madre riuscì a rendersi conto di come e in che modo, quello che per lei era uno sconosciuto, l’aveva posseduta.
“Oddio… guarda qui” diceva a bocca aperta mentre si osservava. Non riusciva a distogliere gli occhi dallo schermo e, nonostante cercasse di controllarsi, più di una volta la mano scese tra le gambe nel tentativo di dare sollievo all’estrema eccitazione che il video le provocava.
La cosa più interessante, e di cui fui più stupito, fu il ritrovarmi a parlare con lei delle varie posizioni, delle inquadrature e di tutte le altre cose che avremmo potuto fare. Capii che ormai si era totalmente calata nella parte. Mia madre si sentiva una vera pornoattrice e le sue richieste facevano sentire me un vero regista.
“Ah… non vedo l’ora…” disse lasciandosi sprofondare tra i cuscini del divano, alludendo al giorno in cui avrebbe finalmente esaudito il suo più grande desiderio.
“Mickey te lo ha promesso! E sicuramente le sei piaciuta molto… vedrai che ci richiamerà a breve!” dissi per poi aggiungere frettolosamente “Nel frattempo dovresti mantenerti allenata!”.
Lei non capì immediatamente, ma poi rise quando le spiegai che, se avesse dovuto affrontare più uomini, il suo corpo sarebbe dovuto essere pronto ad accoglierli e quindi i giochini che le avevo regalato le sarebbero potuti essere d’aiuto.
Seguirono giorni intensi e fitti di riprese.
Ripresi mia madre mentre si masturbava con il vibratore e i plug che le avevo regalato. Girammo un video in salotto, uno nella sua camera, ma il migliore fu sicuramente quello nella doccia dove si esibì al massimo della sua perversione.
Il plug divenne in poco tempo il suo miglior amico.
Tornata a casa da lavoro, la prima cosa che faceva era proprio quello di inserire l’oggetto in silicone su per il fondoschiena e lo teneva lì, al sicuro, per tutto il pomeriggio. All’insaputa di mio padre ovviamente.
“Maledetto! Ah ma vedrai se non ti prendono…” sbraitò mio padre sbattendo un pugno sul tavolo mentre commentava il servizio che stava andando in onda al telegiornale.
Se mio padre si fosse girato a guardarci avrebbe capito immediatamente che ci doveva essere qualcosa di strano nell’aria.
Io e mia madre, difatti, eravamo impietriti. Fissavamo la tv in silenzio mentre la giornalista proseguiva nel suo monologo.
Non ce lo eravamo immaginato, anche se avremmo voluto. La giornalista, parlando di un criminale noto alle forze dell’ordine per i suoi spietati crimini sessuali, aveva esplicitamente detto un nome e quel nome era proprio Mickey.
La giornalista, nel tentativo di tranquillizzare gli allarmati ascoltatori, aveva poi annunciato che le forze di polizia erano ormai sulle sue tracce e che stavano seguendo una nuova pista che portava fuori città.
Io tirai un sospiro di sollievo, lo stesso fece mia madre.
In quel momento di tensione suonò il campanello, ero talmente assorto nei miei pensieri che me ne accorsi solo quando mio padre, ancora maledicendo quel manigoldo, si alzò diretto alla porta.
Approfittando di quel momento di solitudine mi girai verso mia madre “lo prenderanno!” le sussurrai sfiorandole il braccio con dolcezza.
“Non abbiamo nulla da temere” la rassicurai.
Qualche minuto dopo, mio padre fu di ritorno assieme a due uomini.
Non me ne intendevo molto ma, le divise che avevano indosso, davano loro l’aspetto di due idraulici o elettricisti, o qualcosa del genere.
I due estranei si presentarono come due tecnici di una nota azienda della città a cui era stato affidato il compito, da parte del comune, di effettuare un controllo sulle caldaie e la relativa impiantistica di alcune case del quartiere.
I due fecero vedere tutta una serie di moduli e scartoffie a mio padre che, annuendo, firmò.
“I miei colleghi stanno finendo di scaricare il furgone… ah eccoli” disse l’uomo lanciando un’occhiata verso l’ingresso da cui fecero capolino altre tre figure.
I tre uomini indossavano la stessa divisa e portavano tutti delle valigette da lavoro.
Io, soffermai lo sguardo su uno di loro in particolare.
Mia madre fece lo stesso.
Mickey, con indosso la tuta aziendale e passo baldanzoso, si faceva incontro a mio padre con tanto di mano tesa e sorriso.
Non avevo la più pallida idea di come avesse fatto a scoprire dove abitassimo.
Fatto sta che lui era lì.
Era lì e ci fissava con quel suo sguardo viscido.
“Signore se per lei va bene noi iniziamo il controllo” fu Mickey a parlare stavolta.
Mio padre fece presente che di lì a poco sarebbe dovuto tornare di corsa a lavoro ma Mickey, con la sua innata abilità nell’intortare le persone, lo convinse ad andare. “La sua presenza non è necessaria, è solo un controllo di routine… una sciocchezza” lo tranquillizzò.
In quel frangente mi guardò sorridendomi, poi aggiunse “Intanto, la signora può accompagnare i miei colleghi per il sopralluogo”.
Mickey stava ancora intrattenendo mio padre.
Due dei “tecnici” stavano smanettando in cucina sotto il lavello e gli altri due (i più giovani del gruppo), accompagnati da mia madre, si stavano recando sul retro della casa.
In tutto ciò io sudavo freddo.
Non sapevo cosa fare.
Dopo circa una decina di minuti decisi che dovevo darmi una svegliata, dovevo andare a controllare, così sgattaiolai sul retro con il cuore che mi batteva forte nel petto.
Ciò che vidi, una volta giunto lì, confermò i miei timori.
Uno dei due tecnici, quello con i capelli rossicci, teneva mia madre in ginocchio. La manteneva per le braccia e contemporaneamente le teneva un piede piazzato al centro della schiena.
Il suo compare, quello moro, si era sfilato il cazzo dalla tuta da lavoro e, senza pudore, lo stava ficcando in gola a mia madre strappandole un succoso pompino.
Tutto questo accadeva mentre mio padre era ancora in casa.
Non riuscì nemmeno a formulare un pensiero che sentì la sua voce, credo ci stesse salutando.
Sentì la porta di casa sbattere.
In quel preciso istante, il rosso prese mia madre per i capelli, la strattonò per farla rimettere in piedi e, sempre tirandola con la chioma stretta in pugno, la trascinò in casa.
Con la forza.
Il terzetto mi passò davanti come se non fossi presente.
Avevo diverse opzioni davanti a me.
Dovevo far qualcosa. Dovevo chiamare la polizia e porre fine a quel delirio. Ma non lo feci.
Feci l’unica cosa che non dovevo fare.
La cosa più sbagliata.
Corsi in camera mia e presi la telecamera.
Tornato di sotto vidi che i finti tecnici avevano aperto le loro valigette e si erano messi all’opera.
In salotto avevano steso e fissato su divano e pavimento una sorta di telo impermeabile, a giudicare dal materiale, probabilmente per non sporcare.
I 5 uomini erano in piedi, posizionati a semicerchio. Tutti con indosso le tute ma con la patta aperta e la nerchia di fuori.
Mia madre, ovviamente, era fatta accomodare, in ginocchio, tra loro.
Bocca spalancata e lingua di fuori, cercava di affrontare i cazzi duri e venosi che la circondavano.
Gli uomini la colpivano sulla fronte, sugli occhi e sulle guance, con i loro membri gonfi e scappellati.
Mi accorsi che la maglietta le era stata strappata di dosso e che le braccia le erano state immobilizzate dietro la schiena da un paio di manette.
Al collo aveva un collare ma in compenso aveva ancora indosso i leggings, quei leggings sportivi e così aderenti che, di certo, avrebbero fatto una brutta fine.
Il gruppetto era costituito da 5 personaggi di cui, oltre a Mickey (che dava gli ordini e diceva agli altri come comportarsi), c’erano i due ragazzi giovani (il pel di carota e il ragazzo moro), completavano il team un tizio muscoloso e uno tutto tatuato.
“Niente fica ragazzi… solo culo!” si raccomandò Mickey tra le proteste dei suoi sottoposti.
“Cazzo Mike! Ma siamo in cinque!” si lamentò il tatuato.
“Ho detto solo culo!” latrò Mickey e il suo tono mi fece gelare il sangue nelle vene.
A quel punto il tizio muscoloso sollevò mia madre di peso e la fece poggiare sullo schienale del divano in modo da avere il culo in bella vista. Afferrò il tessuto del leggings proprio all’altezza della spaccatura delle chiappe e “craaaack” con un singolo strattone, il tessuto cedette squarciandosi.
Ci fu una risata generale a cui seguì una pioggia di umilianti insulti, indirizzati a mia madre e al suo culo nudo.
La causa scatenante di quegli insulti fu, non tanto il fatto che mia madre non portasse mutandine, ma che dal suo buco del culo emergeva qualcosa.
Già.
Mia madre era a chiappe all’aria, anzi a chiappe aperte di fronte a 5 uomini che volevano scoparle il buco del culo e, per giunta, con indosso il plug-in che le avevo regalato.
È impossibile descrivere i volti di quegli uomini di fronte a un culo come quello di mia madre, tra l’altro un culo già spaccato dal plug-in silicone.
Ci fu un momento di religioso silenzio quando il tizio muscoloso estrasse il giocattolo dallo sfintere.
Tutti, nessuno escluso, osservavano menandosi l’uccello mentre il sex toys usciva lentamente dall’ano. Le pareti carnose del culo si dilatarono per poi richiudersi quando il plug fu completamente estratto.
Solo una volta che fu estratto del tutto, i presenti poterono rendersi conto di quanto effettivamente fosse grosso quel sex toys.
Con il corpo del reato ancora fumante degli odori di mia madre, i manigoldi si scambiarono delle occhiate spaesate. Sapevano che avrebbero avuto a che fare con una troia ma non fino a questo punto.
Da quel momento in poi, per mia madre, scoppiò l’inferno.
Un inferno fatto di sesso, umiliazioni, sputi, schiaffi e insulti di qualunque tipo.
Un inferno in cui sguazzava e si trovava perfettamente a suo agio.
Un inferno in cui godeva senza limiti.
Se all’apparenza in quell’amplesso animalesco, gli uomini sembravano possedere mia madre in maniera egoistica, scambiandosela ripetutamente, capì ben presto che in realtà erano tutti concentrati sugli orgasmi di lei.
Ogni volta che si davano il cambio e un cazzo fresco si faceva strada lungo lo sfintere, la fica di mia madre, commossa dal godimento, iniziava a sbrodolarsi.
“Guarda in camera e di quanto ti piace il cazzo!” le urlava Mickey indicando l’obiettivo della videocamera che stringevo in mano, mentre la pompava a pecorina.
Mia madre eseguì, con ubbidienza.
Le fecero urlare di essere una troia, le fecero chiedere di farsi rompere il culo, ma soprattutto “di che lo fai per tuo marito! Forza troia!” le ordinarono.
“Portiamola di sopra! In camera sua, scopiamola nel letto del marito!” sbraitò Mickey.
Immaginate la scena di mia madre che, con ancora le braccia immobilizzate dietro la schiena, fu costretta a salire un paio di scale gattonando mentre un uomo la trascinava tirandola per i capelli e altri 4 la riempivano di pacche sulle chiappe carnose che emergevano dal leggings squarciato.
Arrivati in camera, Mickey si sdraiò al centro del lettone.
Mia madre, con le chiappe rosse fumanti, venne fatta accomodare su di lui che la impalò all’istante.
Gli altri partecipanti, a turno, fecero il loro ingresso dentro di lei.
In altre parole, ripresi il “team di lavoro” esibirsi in una doppia penetrazione anale.
L’umiliazione di essere presa sul letto che aveva condiviso da sempre con suo marito, la sensazione di sentire due uomini farsi largo dentro di lei contemporaneamente, avere il proprio figlio che immortalava tutto, sentire i cazzi degli uomini, quelli non impegnati dentro di lei, prendersela con le altre parti del suo corpo (in particolare i due più giovani, intenti a procurarsi godimento con i piedi di mia madre). Tutto questo la indusse ad un orgasmo estatico. Il suo corpo vibrò, seguirono spasmi, convulsioni e la sua fica pianse inondando di umori Mickey posizionato tra di lei.
Come tutti i precedenti, anche quel lungo e godurioso orgasmo fu accolto dagli insulti e le risate dei presenti.
Come se non fosse già abbastanza, decisero di rendere il gran finale, ovvero il momento in cui avrebbero scaricato su mia madre tutto il loro amore, ancor più memorabile.
La fecero posizionare sul pavimento e, liberatela dalle manette, le affidarono una fotografia presa dal comodino. Le ordinarono di tenere la foto, che ritraeva i miei nel giorno delle nozze, sotto il volto, all’altezza del mento, a mo’ di ciotola.
Poi, a turno, i cinque manigoldi eiacularono. Mirarono tutti alla fotografia, ma a causa dell’esplosività di quelle sborrate, buona parte del liquido fu versato anche sul suo volto stanco.
Quando furono certi che mia madre avesse ingurgitato anche l’ultima goccia di sperma, Mickey mi venne vicino “Ottimo lavoro!” mi disse dandomi una pacca sulla spalla.
Non risposi.
“Ora è il nostro turno di pulire, forza! Diamoci una mossa!” esclamò.
Li sentii uscire dalla stanza.
Mia madre, ubriaca di sesso, guardava ancora nell’obiettivo salutando e mandando baci.
Quella notte non riuscii a dormire.
Verso le tre del mattino mi alzai e scesi in cucina, forse un sorso di acqua ghiacciata mi avrebbe aiutato.
Sentii un rumore di passi.
Mi voltai.
Ferma sugli ultimi scalini c’era mia madre.
Indosso aveva la vestaglia del pigiama.
La guardai.
Vidi nei suoi occhi l’espressione di una donna che aveva superato il limite e che non aveva alcuna intenzione di fermarsi, voleva andare oltre.
Mi sorrise, poi sciolse la vestaglia facendola scivolare ai suoi piedi, rivelando il suo corpo nudo.
Mi voleva.
Ero il prossimo della lista.
Corsi verso di lei.
Meno di una settimana dopo annunciarono l’arresto di Mickey e della sua banda.
Una telefonata anonima aveva segnalato agli inquirenti l’esistenza di un vecchio motel abbandonato dove il manigoldo venne effettivamente arrestato.
Mickey non mi serviva più.
Mia madre era mia ormai.
Mia e di nessun altro.
isaia.racconti@gmail.com
In quei giorni di tregua riuscimmo anche a visionare insieme il filmino amatoriale che avevamo girato.
Nel rivedersi allo schermo della tv in salotto, mia madre riuscì a rendersi conto di come e in che modo, quello che per lei era uno sconosciuto, l’aveva posseduta.
“Oddio… guarda qui” diceva a bocca aperta mentre si osservava. Non riusciva a distogliere gli occhi dallo schermo e, nonostante cercasse di controllarsi, più di una volta la mano scese tra le gambe nel tentativo di dare sollievo all’estrema eccitazione che il video le provocava.
La cosa più interessante, e di cui fui più stupito, fu il ritrovarmi a parlare con lei delle varie posizioni, delle inquadrature e di tutte le altre cose che avremmo potuto fare. Capii che ormai si era totalmente calata nella parte. Mia madre si sentiva una vera pornoattrice e le sue richieste facevano sentire me un vero regista.
“Ah… non vedo l’ora…” disse lasciandosi sprofondare tra i cuscini del divano, alludendo al giorno in cui avrebbe finalmente esaudito il suo più grande desiderio.
“Mickey te lo ha promesso! E sicuramente le sei piaciuta molto… vedrai che ci richiamerà a breve!” dissi per poi aggiungere frettolosamente “Nel frattempo dovresti mantenerti allenata!”.
Lei non capì immediatamente, ma poi rise quando le spiegai che, se avesse dovuto affrontare più uomini, il suo corpo sarebbe dovuto essere pronto ad accoglierli e quindi i giochini che le avevo regalato le sarebbero potuti essere d’aiuto.
Seguirono giorni intensi e fitti di riprese.
Ripresi mia madre mentre si masturbava con il vibratore e i plug che le avevo regalato. Girammo un video in salotto, uno nella sua camera, ma il migliore fu sicuramente quello nella doccia dove si esibì al massimo della sua perversione.
Il plug divenne in poco tempo il suo miglior amico.
Tornata a casa da lavoro, la prima cosa che faceva era proprio quello di inserire l’oggetto in silicone su per il fondoschiena e lo teneva lì, al sicuro, per tutto il pomeriggio. All’insaputa di mio padre ovviamente.
“Maledetto! Ah ma vedrai se non ti prendono…” sbraitò mio padre sbattendo un pugno sul tavolo mentre commentava il servizio che stava andando in onda al telegiornale.
Se mio padre si fosse girato a guardarci avrebbe capito immediatamente che ci doveva essere qualcosa di strano nell’aria.
Io e mia madre, difatti, eravamo impietriti. Fissavamo la tv in silenzio mentre la giornalista proseguiva nel suo monologo.
Non ce lo eravamo immaginato, anche se avremmo voluto. La giornalista, parlando di un criminale noto alle forze dell’ordine per i suoi spietati crimini sessuali, aveva esplicitamente detto un nome e quel nome era proprio Mickey.
La giornalista, nel tentativo di tranquillizzare gli allarmati ascoltatori, aveva poi annunciato che le forze di polizia erano ormai sulle sue tracce e che stavano seguendo una nuova pista che portava fuori città.
Io tirai un sospiro di sollievo, lo stesso fece mia madre.
In quel momento di tensione suonò il campanello, ero talmente assorto nei miei pensieri che me ne accorsi solo quando mio padre, ancora maledicendo quel manigoldo, si alzò diretto alla porta.
Approfittando di quel momento di solitudine mi girai verso mia madre “lo prenderanno!” le sussurrai sfiorandole il braccio con dolcezza.
“Non abbiamo nulla da temere” la rassicurai.
Qualche minuto dopo, mio padre fu di ritorno assieme a due uomini.
Non me ne intendevo molto ma, le divise che avevano indosso, davano loro l’aspetto di due idraulici o elettricisti, o qualcosa del genere.
I due estranei si presentarono come due tecnici di una nota azienda della città a cui era stato affidato il compito, da parte del comune, di effettuare un controllo sulle caldaie e la relativa impiantistica di alcune case del quartiere.
I due fecero vedere tutta una serie di moduli e scartoffie a mio padre che, annuendo, firmò.
“I miei colleghi stanno finendo di scaricare il furgone… ah eccoli” disse l’uomo lanciando un’occhiata verso l’ingresso da cui fecero capolino altre tre figure.
I tre uomini indossavano la stessa divisa e portavano tutti delle valigette da lavoro.
Io, soffermai lo sguardo su uno di loro in particolare.
Mia madre fece lo stesso.
Mickey, con indosso la tuta aziendale e passo baldanzoso, si faceva incontro a mio padre con tanto di mano tesa e sorriso.
Non avevo la più pallida idea di come avesse fatto a scoprire dove abitassimo.
Fatto sta che lui era lì.
Era lì e ci fissava con quel suo sguardo viscido.
“Signore se per lei va bene noi iniziamo il controllo” fu Mickey a parlare stavolta.
Mio padre fece presente che di lì a poco sarebbe dovuto tornare di corsa a lavoro ma Mickey, con la sua innata abilità nell’intortare le persone, lo convinse ad andare. “La sua presenza non è necessaria, è solo un controllo di routine… una sciocchezza” lo tranquillizzò.
In quel frangente mi guardò sorridendomi, poi aggiunse “Intanto, la signora può accompagnare i miei colleghi per il sopralluogo”.
Mickey stava ancora intrattenendo mio padre.
Due dei “tecnici” stavano smanettando in cucina sotto il lavello e gli altri due (i più giovani del gruppo), accompagnati da mia madre, si stavano recando sul retro della casa.
In tutto ciò io sudavo freddo.
Non sapevo cosa fare.
Dopo circa una decina di minuti decisi che dovevo darmi una svegliata, dovevo andare a controllare, così sgattaiolai sul retro con il cuore che mi batteva forte nel petto.
Ciò che vidi, una volta giunto lì, confermò i miei timori.
Uno dei due tecnici, quello con i capelli rossicci, teneva mia madre in ginocchio. La manteneva per le braccia e contemporaneamente le teneva un piede piazzato al centro della schiena.
Il suo compare, quello moro, si era sfilato il cazzo dalla tuta da lavoro e, senza pudore, lo stava ficcando in gola a mia madre strappandole un succoso pompino.
Tutto questo accadeva mentre mio padre era ancora in casa.
Non riuscì nemmeno a formulare un pensiero che sentì la sua voce, credo ci stesse salutando.
Sentì la porta di casa sbattere.
In quel preciso istante, il rosso prese mia madre per i capelli, la strattonò per farla rimettere in piedi e, sempre tirandola con la chioma stretta in pugno, la trascinò in casa.
Con la forza.
Il terzetto mi passò davanti come se non fossi presente.
Avevo diverse opzioni davanti a me.
Dovevo far qualcosa. Dovevo chiamare la polizia e porre fine a quel delirio. Ma non lo feci.
Feci l’unica cosa che non dovevo fare.
La cosa più sbagliata.
Corsi in camera mia e presi la telecamera.
Tornato di sotto vidi che i finti tecnici avevano aperto le loro valigette e si erano messi all’opera.
In salotto avevano steso e fissato su divano e pavimento una sorta di telo impermeabile, a giudicare dal materiale, probabilmente per non sporcare.
I 5 uomini erano in piedi, posizionati a semicerchio. Tutti con indosso le tute ma con la patta aperta e la nerchia di fuori.
Mia madre, ovviamente, era fatta accomodare, in ginocchio, tra loro.
Bocca spalancata e lingua di fuori, cercava di affrontare i cazzi duri e venosi che la circondavano.
Gli uomini la colpivano sulla fronte, sugli occhi e sulle guance, con i loro membri gonfi e scappellati.
Mi accorsi che la maglietta le era stata strappata di dosso e che le braccia le erano state immobilizzate dietro la schiena da un paio di manette.
Al collo aveva un collare ma in compenso aveva ancora indosso i leggings, quei leggings sportivi e così aderenti che, di certo, avrebbero fatto una brutta fine.
Il gruppetto era costituito da 5 personaggi di cui, oltre a Mickey (che dava gli ordini e diceva agli altri come comportarsi), c’erano i due ragazzi giovani (il pel di carota e il ragazzo moro), completavano il team un tizio muscoloso e uno tutto tatuato.
“Niente fica ragazzi… solo culo!” si raccomandò Mickey tra le proteste dei suoi sottoposti.
“Cazzo Mike! Ma siamo in cinque!” si lamentò il tatuato.
“Ho detto solo culo!” latrò Mickey e il suo tono mi fece gelare il sangue nelle vene.
A quel punto il tizio muscoloso sollevò mia madre di peso e la fece poggiare sullo schienale del divano in modo da avere il culo in bella vista. Afferrò il tessuto del leggings proprio all’altezza della spaccatura delle chiappe e “craaaack” con un singolo strattone, il tessuto cedette squarciandosi.
Ci fu una risata generale a cui seguì una pioggia di umilianti insulti, indirizzati a mia madre e al suo culo nudo.
La causa scatenante di quegli insulti fu, non tanto il fatto che mia madre non portasse mutandine, ma che dal suo buco del culo emergeva qualcosa.
Già.
Mia madre era a chiappe all’aria, anzi a chiappe aperte di fronte a 5 uomini che volevano scoparle il buco del culo e, per giunta, con indosso il plug-in che le avevo regalato.
È impossibile descrivere i volti di quegli uomini di fronte a un culo come quello di mia madre, tra l’altro un culo già spaccato dal plug-in silicone.
Ci fu un momento di religioso silenzio quando il tizio muscoloso estrasse il giocattolo dallo sfintere.
Tutti, nessuno escluso, osservavano menandosi l’uccello mentre il sex toys usciva lentamente dall’ano. Le pareti carnose del culo si dilatarono per poi richiudersi quando il plug fu completamente estratto.
Solo una volta che fu estratto del tutto, i presenti poterono rendersi conto di quanto effettivamente fosse grosso quel sex toys.
Con il corpo del reato ancora fumante degli odori di mia madre, i manigoldi si scambiarono delle occhiate spaesate. Sapevano che avrebbero avuto a che fare con una troia ma non fino a questo punto.
Da quel momento in poi, per mia madre, scoppiò l’inferno.
Un inferno fatto di sesso, umiliazioni, sputi, schiaffi e insulti di qualunque tipo.
Un inferno in cui sguazzava e si trovava perfettamente a suo agio.
Un inferno in cui godeva senza limiti.
Se all’apparenza in quell’amplesso animalesco, gli uomini sembravano possedere mia madre in maniera egoistica, scambiandosela ripetutamente, capì ben presto che in realtà erano tutti concentrati sugli orgasmi di lei.
Ogni volta che si davano il cambio e un cazzo fresco si faceva strada lungo lo sfintere, la fica di mia madre, commossa dal godimento, iniziava a sbrodolarsi.
“Guarda in camera e di quanto ti piace il cazzo!” le urlava Mickey indicando l’obiettivo della videocamera che stringevo in mano, mentre la pompava a pecorina.
Mia madre eseguì, con ubbidienza.
Le fecero urlare di essere una troia, le fecero chiedere di farsi rompere il culo, ma soprattutto “di che lo fai per tuo marito! Forza troia!” le ordinarono.
“Portiamola di sopra! In camera sua, scopiamola nel letto del marito!” sbraitò Mickey.
Immaginate la scena di mia madre che, con ancora le braccia immobilizzate dietro la schiena, fu costretta a salire un paio di scale gattonando mentre un uomo la trascinava tirandola per i capelli e altri 4 la riempivano di pacche sulle chiappe carnose che emergevano dal leggings squarciato.
Arrivati in camera, Mickey si sdraiò al centro del lettone.
Mia madre, con le chiappe rosse fumanti, venne fatta accomodare su di lui che la impalò all’istante.
Gli altri partecipanti, a turno, fecero il loro ingresso dentro di lei.
In altre parole, ripresi il “team di lavoro” esibirsi in una doppia penetrazione anale.
L’umiliazione di essere presa sul letto che aveva condiviso da sempre con suo marito, la sensazione di sentire due uomini farsi largo dentro di lei contemporaneamente, avere il proprio figlio che immortalava tutto, sentire i cazzi degli uomini, quelli non impegnati dentro di lei, prendersela con le altre parti del suo corpo (in particolare i due più giovani, intenti a procurarsi godimento con i piedi di mia madre). Tutto questo la indusse ad un orgasmo estatico. Il suo corpo vibrò, seguirono spasmi, convulsioni e la sua fica pianse inondando di umori Mickey posizionato tra di lei.
Come tutti i precedenti, anche quel lungo e godurioso orgasmo fu accolto dagli insulti e le risate dei presenti.
Come se non fosse già abbastanza, decisero di rendere il gran finale, ovvero il momento in cui avrebbero scaricato su mia madre tutto il loro amore, ancor più memorabile.
La fecero posizionare sul pavimento e, liberatela dalle manette, le affidarono una fotografia presa dal comodino. Le ordinarono di tenere la foto, che ritraeva i miei nel giorno delle nozze, sotto il volto, all’altezza del mento, a mo’ di ciotola.
Poi, a turno, i cinque manigoldi eiacularono. Mirarono tutti alla fotografia, ma a causa dell’esplosività di quelle sborrate, buona parte del liquido fu versato anche sul suo volto stanco.
Quando furono certi che mia madre avesse ingurgitato anche l’ultima goccia di sperma, Mickey mi venne vicino “Ottimo lavoro!” mi disse dandomi una pacca sulla spalla.
Non risposi.
“Ora è il nostro turno di pulire, forza! Diamoci una mossa!” esclamò.
Li sentii uscire dalla stanza.
Mia madre, ubriaca di sesso, guardava ancora nell’obiettivo salutando e mandando baci.
Quella notte non riuscii a dormire.
Verso le tre del mattino mi alzai e scesi in cucina, forse un sorso di acqua ghiacciata mi avrebbe aiutato.
Sentii un rumore di passi.
Mi voltai.
Ferma sugli ultimi scalini c’era mia madre.
Indosso aveva la vestaglia del pigiama.
La guardai.
Vidi nei suoi occhi l’espressione di una donna che aveva superato il limite e che non aveva alcuna intenzione di fermarsi, voleva andare oltre.
Mi sorrise, poi sciolse la vestaglia facendola scivolare ai suoi piedi, rivelando il suo corpo nudo.
Mi voleva.
Ero il prossimo della lista.
Corsi verso di lei.
Meno di una settimana dopo annunciarono l’arresto di Mickey e della sua banda.
Una telefonata anonima aveva segnalato agli inquirenti l’esistenza di un vecchio motel abbandonato dove il manigoldo venne effettivamente arrestato.
Mickey non mi serviva più.
Mia madre era mia ormai.
Mia e di nessun altro.
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