Vicino Perverso
di
Isaia
genere
dominazione
Mi chiamo Manuela, per le amiche Manu.
Sono mamma di due splendidi ometti che, ai tempi in cui si svolgono i fatti che mi accingo a raccontare, erano ancora troppo piccoli per capire il mondo degli adulti.
A quei tempi ero sposata con Luca, parlo al passato perché da lì ad un anno ci separammo ufficialmente. Ad ogni modo, vivevo con Luca e la mia famiglia, in periferia, in un palazzotto bruttino e antico. Non era il massimo come abitazione per una famiglia così numerosa e, anche se ci saremmo potuti permettere di meglio, a noi quel trilocale andava benissimo così com’era, strettino ma ospitale.
Luca insegnava matematica in un liceo dall’altro lato della città, io invece fui costretta a lasciare il lavoro per badare alla famiglia.
Non navigavamo nell’oro ma non potevamo neanche lamentarci.
Molto diversa era la nostra situazione sentimentale. Dopo la nascita del primo figlio la nostra attività sessuale aveva subito un brusco rallentamento che si trasformò in un vero e proprio stop con la nascita del secondo. A me fare l’amore con mio marito mancava da morire, ma lui… sembrava quasi aver perso interesse nei miei confronti. Non sarò una fotomodella, ma il mio corpo aveva ancora molto da offrire. Alta poco meno di un metro e settanta centimetri, un fisico snello nonostante la doppia gravidanza e… d’accordo devo ammetterlo, anche un filo di cellulite sul fondoschiena ma è il minimo per una donna che sta raggiungendo la soglia dei cinquanta. Fatto sta che mi sentivo ancora gli occhi addosso da parte di molti uomini quando uscivo di casa per le mie commissioni.
Di molti uomini, ma non di mio marito.
Lui non so come facesse a resistere, ma sembrava aver eliminato la parola “sesso” non solo dal suo vocabolario, ma anche dalla propria mente. L’argomento non usciva mai, nemmeno per sbaglio. E, quando ero io a fare la prima mossa, lui sviava cambiando discorso o sbadigliando, finendo con l’ammazzare qualsiasi voglia si fosse accesa dentro di me.
L’astinenza sessuale e lo stress frutto del badare alla casa e alla famiglia contribuirono ad allontanarci, rendendoci come due estranei sotto lo stesso tetto.
Iniziai a sospettare di lui, doveva avere un’amante. Non scoprii mai la verità, ma i miei dubbi si consolidarono quando lui iniziò a rincasare sempre più tardi accampando scuse sempre diverse. Una volta il consiglio di classe si era protratto eccessivamente, un’altra aveva perso l’ultimo autobus e aveva dovuto farsi il tragitto a piedi e, ad ogni nuova scusa, la mia pazienza raggiungeva inesorabilmente il limite.
Limite che fu oltrepassato la sera in cui, tornato dopo l’ora di cena per l’ennesima volta, se ne uscì dicendo che sarebbe dovuto partire per un corso di formazione al quale assolutamente non poteva rinunciare.
Esplosi nella più classiche delle sceneggiate.
“Ma si! Vai pure in villeggiatura con la tua amante!” gli urlai mentre scaraventavo i suoi panni all’interno del primo borsone che mi capitò tra le mani. “Vai! Vai dove ti pare!” urlavo indemoniata.
Ripensandoci a mente lucida, la cosa che più mi fa rabbrividire è che lui non tentò nemmeno di giustificarsi, tutt’altro. Prese il borsone e se ne andò.
La mattina seguente stavo rincasando dopo aver accompagnato i miei figli a scuola ed essermi fermata al supermercato. A giudicare dal peso delle borse, avevo decisamente acquistato troppi prodotti. Entrai nel portone del condominio sbuffando pregustandomi i due piani di scale che avrei dovuto fare con le buste della spesa. Mentre mi accingevo a salire, sentii un rumore di passi e poco dopo fece la comparsa il mio dirimpettaio che, al contrario, stava scendendo. Il mio vicino di casa era uno splendido ragazzo. Alto, robusto, con capelli corvini e un grosso paio di occhiali con montatura nera e spessa che gli davano un aspetto nerd. Poteva avere tra i 20 e i 25 anni e si era trasferito da meno di un anno sostituendo i precedenti inquilini.
Lui subito si accorse della mia difficoltà e, gentilmente, si propose di darmi una mano che io, ovviamente, non rifiutai. Lo ringraziai per tutto il percorso, invitandolo ad entrare per bere qualcosa.
Lui rifiutò dicendo che lo aspettavano a lavoro, prima di andare, però, indugiò un momento sull’uscio guardandomi per poi aggiungere: “Signora… senta… è sicura che sia tutto ok? Ieri sera non ho potuto fare a meno di sentire…”.
Sorpresa dalla sua gentilezza mi ritrovai a tranquillizzarlo dicendogli che quelle erano cose che potevano succedere in un matrimonio, al che lui mi spiazzò nuovamente “Beh, mi perdoni per quello che sto per dire ma… suo marito deve essere proprio un coglione per tradire una donna così” e nel dire questo mi guardò dalla testa ai piedi con un’espressione a dir poco bramosa. Non feci in tempo nemmeno ad imbarazzarmi che lui era già filato via. Posso solo dire che, durante la giornata, mi sorpresi più volte ad attorcigliarmi i capelli con sorriso sognante ripensando all’incontro casuale con il dirimpettaio.
Probabilmente mi ero presa una bella cotta, anche se non pensavo fosse possibile alla mia età.
Anche se non volevo ammetterlo, inconsciamente sapevo di essermi infatuata di Federico, il mio vicino di casa, e tutti i miei approcci che seguirono quel fatidico incontro ne erano la testimonianza. Di tanto in tanto preparavo una crostata e gliela portavo o lo invitavo a prendere il caffè ma, nonostante col passare dei giorni prendessimo sempre più confidenza, e con mia grande delusione, da parte sua non ci fu più alcuna allusione spinta nei miei riguardi.
Dato che i miei figli lo adoravano, mi ritrovai, un fine settimana, a cedere alle loro insistenze e invitai Federico a cena che, per non deluderli, accettò.
Lui passò tutto il pomeriggio a giocare con i miei ragazzi ai videogiochi mentre io, in cucina, mi destreggiavo ai fornelli.
La cena fu un successo e, subito dopo, ci sistemammo in salotto a vedere un film. I miei ragazzi si stesero sul tappeto, mentre io e Federico ci accomodammo sul divano. Più di una volta durante la serata lo avevo colto a guardarmi il sedere e, devo ammettere, che la cosa non mi dispiacque affatto. Confesso che, in quel momento, speravo con ardore che lui facesse una mossa di qualsiasi tipo. Ma ciò non avvenne.
L’unica cosa che fece fu alzarsi per andare in bagno.
Rimasta sola sul divano, pensai e mi promisi che avrei potuto provare a fare io la prima mossa… giusto per sondare il terreno, inoltre i miei due ragazzi, stanchi com’erano, ronfavano già alla grande.
Passò una cosa come un quarto d’ora, forse più, e Federico non si decideva a tornare dal bagno. Che si fosse sentito male?
Leggermente preoccupata mi alzai per andare a controllare.
Arrivata in corridoio, vidi che la porta del bagno era socchiusa quindi decisi di bussare “Federico… tutto bene?” chiesi.
“Ah… Sì, Manuela… vieni… entra pure… ci sono quasi…” la sua risposta mi arrivò come un rantolio sommesso.
“Se vuoi ho delle compresse per il mal di stomaco, sono qui nel…” dissi entrando ma rimasi bloccata nel vedere l’immagine che mi si palesò davanti.
Federico, seduto sul water braghe alle caviglie, con un imponente erezione intento a masturbarsi con irruenza. Il tutto era reso ancor più surreale dal fatto che, dopo aver rovistato nei panni sporchi, Federico aveva preso della mia biancheria sporca e la stava utilizzando per procurarsi piacere.
Aveva infilato il pene all’interno di un mio paio di collant e mentre si masturbava godendosi il contatto con il tessuto, si era portato un mio slip usato al volto e lo annusava con espressione beata.
“Fanno un odore pazzesco…” mi sussurrò tra una sniffata e l’altra mentre continuava a toccarsi imperterrito.
Non avevo mai visto un uomo, o meglio un ragazzo, tanto perverso così come non avevo mai visto un membro di tali dimensioni. Il primo pensiero che mi venne, guardando quel palo di carne all’interno dei miei collant, fu che volevo essere io a masturbarlo.
Ancora scioccata rimasi li a guardarlo finché lui non mi disse ansimando “Manuela, per favore, girati… fammi vedere un po’ quel culo…”.
Senza nemmeno riflettere, mi voltai in modo da esaudire il suo desiderio e, quasi contemporaneamente, lo sentii gemere di piacere.
Federico eiaculò copiosamente e lo fece all’interno dei miei collant, che, quando ebbe finito, utilizzò per pulirsi il glande da residui di quell’abbondante venuta.
Poi, come se nulla fosse, si alzò e, rivestitosi, annunciò con un sorriso “Queste me le tengo io!” riferendosi ai miei slip che finirono in una delle sue tasche.
Mi passò accanto, come se tutto quello che era appena successo fosse una cosa normale, e mi precedette dirigendosi in salotto.
Io lo seguii, avrei voluto urlargli qualcosa ma, diamine, ero troppo sconvolta per sapere cosa fare.
Arrivai in salotto e mi fermai di scatto nel vedere Federico che tornava indietro.
Nei suoi occhi brillava una strana luce, come se qualcosa di sopito si fosse risvegliato dentro di lui.
“Si sono addormentati…” disse “Vieni…” la sua mano, rapida ed esperta, mi afferrò i capelli alla base della nuca.
“Voglio vedere se riesci a prenderlo tutto… però vedi di non urlare, non mi va di essere interrotto” disse riferendosi ai miei figli che dormivano in salotto.
Poi mi trascinò via, dirigendosi in camera da letto.
Isaia.racconti@gmail.com
Sono mamma di due splendidi ometti che, ai tempi in cui si svolgono i fatti che mi accingo a raccontare, erano ancora troppo piccoli per capire il mondo degli adulti.
A quei tempi ero sposata con Luca, parlo al passato perché da lì ad un anno ci separammo ufficialmente. Ad ogni modo, vivevo con Luca e la mia famiglia, in periferia, in un palazzotto bruttino e antico. Non era il massimo come abitazione per una famiglia così numerosa e, anche se ci saremmo potuti permettere di meglio, a noi quel trilocale andava benissimo così com’era, strettino ma ospitale.
Luca insegnava matematica in un liceo dall’altro lato della città, io invece fui costretta a lasciare il lavoro per badare alla famiglia.
Non navigavamo nell’oro ma non potevamo neanche lamentarci.
Molto diversa era la nostra situazione sentimentale. Dopo la nascita del primo figlio la nostra attività sessuale aveva subito un brusco rallentamento che si trasformò in un vero e proprio stop con la nascita del secondo. A me fare l’amore con mio marito mancava da morire, ma lui… sembrava quasi aver perso interesse nei miei confronti. Non sarò una fotomodella, ma il mio corpo aveva ancora molto da offrire. Alta poco meno di un metro e settanta centimetri, un fisico snello nonostante la doppia gravidanza e… d’accordo devo ammetterlo, anche un filo di cellulite sul fondoschiena ma è il minimo per una donna che sta raggiungendo la soglia dei cinquanta. Fatto sta che mi sentivo ancora gli occhi addosso da parte di molti uomini quando uscivo di casa per le mie commissioni.
Di molti uomini, ma non di mio marito.
Lui non so come facesse a resistere, ma sembrava aver eliminato la parola “sesso” non solo dal suo vocabolario, ma anche dalla propria mente. L’argomento non usciva mai, nemmeno per sbaglio. E, quando ero io a fare la prima mossa, lui sviava cambiando discorso o sbadigliando, finendo con l’ammazzare qualsiasi voglia si fosse accesa dentro di me.
L’astinenza sessuale e lo stress frutto del badare alla casa e alla famiglia contribuirono ad allontanarci, rendendoci come due estranei sotto lo stesso tetto.
Iniziai a sospettare di lui, doveva avere un’amante. Non scoprii mai la verità, ma i miei dubbi si consolidarono quando lui iniziò a rincasare sempre più tardi accampando scuse sempre diverse. Una volta il consiglio di classe si era protratto eccessivamente, un’altra aveva perso l’ultimo autobus e aveva dovuto farsi il tragitto a piedi e, ad ogni nuova scusa, la mia pazienza raggiungeva inesorabilmente il limite.
Limite che fu oltrepassato la sera in cui, tornato dopo l’ora di cena per l’ennesima volta, se ne uscì dicendo che sarebbe dovuto partire per un corso di formazione al quale assolutamente non poteva rinunciare.
Esplosi nella più classiche delle sceneggiate.
“Ma si! Vai pure in villeggiatura con la tua amante!” gli urlai mentre scaraventavo i suoi panni all’interno del primo borsone che mi capitò tra le mani. “Vai! Vai dove ti pare!” urlavo indemoniata.
Ripensandoci a mente lucida, la cosa che più mi fa rabbrividire è che lui non tentò nemmeno di giustificarsi, tutt’altro. Prese il borsone e se ne andò.
La mattina seguente stavo rincasando dopo aver accompagnato i miei figli a scuola ed essermi fermata al supermercato. A giudicare dal peso delle borse, avevo decisamente acquistato troppi prodotti. Entrai nel portone del condominio sbuffando pregustandomi i due piani di scale che avrei dovuto fare con le buste della spesa. Mentre mi accingevo a salire, sentii un rumore di passi e poco dopo fece la comparsa il mio dirimpettaio che, al contrario, stava scendendo. Il mio vicino di casa era uno splendido ragazzo. Alto, robusto, con capelli corvini e un grosso paio di occhiali con montatura nera e spessa che gli davano un aspetto nerd. Poteva avere tra i 20 e i 25 anni e si era trasferito da meno di un anno sostituendo i precedenti inquilini.
Lui subito si accorse della mia difficoltà e, gentilmente, si propose di darmi una mano che io, ovviamente, non rifiutai. Lo ringraziai per tutto il percorso, invitandolo ad entrare per bere qualcosa.
Lui rifiutò dicendo che lo aspettavano a lavoro, prima di andare, però, indugiò un momento sull’uscio guardandomi per poi aggiungere: “Signora… senta… è sicura che sia tutto ok? Ieri sera non ho potuto fare a meno di sentire…”.
Sorpresa dalla sua gentilezza mi ritrovai a tranquillizzarlo dicendogli che quelle erano cose che potevano succedere in un matrimonio, al che lui mi spiazzò nuovamente “Beh, mi perdoni per quello che sto per dire ma… suo marito deve essere proprio un coglione per tradire una donna così” e nel dire questo mi guardò dalla testa ai piedi con un’espressione a dir poco bramosa. Non feci in tempo nemmeno ad imbarazzarmi che lui era già filato via. Posso solo dire che, durante la giornata, mi sorpresi più volte ad attorcigliarmi i capelli con sorriso sognante ripensando all’incontro casuale con il dirimpettaio.
Probabilmente mi ero presa una bella cotta, anche se non pensavo fosse possibile alla mia età.
Anche se non volevo ammetterlo, inconsciamente sapevo di essermi infatuata di Federico, il mio vicino di casa, e tutti i miei approcci che seguirono quel fatidico incontro ne erano la testimonianza. Di tanto in tanto preparavo una crostata e gliela portavo o lo invitavo a prendere il caffè ma, nonostante col passare dei giorni prendessimo sempre più confidenza, e con mia grande delusione, da parte sua non ci fu più alcuna allusione spinta nei miei riguardi.
Dato che i miei figli lo adoravano, mi ritrovai, un fine settimana, a cedere alle loro insistenze e invitai Federico a cena che, per non deluderli, accettò.
Lui passò tutto il pomeriggio a giocare con i miei ragazzi ai videogiochi mentre io, in cucina, mi destreggiavo ai fornelli.
La cena fu un successo e, subito dopo, ci sistemammo in salotto a vedere un film. I miei ragazzi si stesero sul tappeto, mentre io e Federico ci accomodammo sul divano. Più di una volta durante la serata lo avevo colto a guardarmi il sedere e, devo ammettere, che la cosa non mi dispiacque affatto. Confesso che, in quel momento, speravo con ardore che lui facesse una mossa di qualsiasi tipo. Ma ciò non avvenne.
L’unica cosa che fece fu alzarsi per andare in bagno.
Rimasta sola sul divano, pensai e mi promisi che avrei potuto provare a fare io la prima mossa… giusto per sondare il terreno, inoltre i miei due ragazzi, stanchi com’erano, ronfavano già alla grande.
Passò una cosa come un quarto d’ora, forse più, e Federico non si decideva a tornare dal bagno. Che si fosse sentito male?
Leggermente preoccupata mi alzai per andare a controllare.
Arrivata in corridoio, vidi che la porta del bagno era socchiusa quindi decisi di bussare “Federico… tutto bene?” chiesi.
“Ah… Sì, Manuela… vieni… entra pure… ci sono quasi…” la sua risposta mi arrivò come un rantolio sommesso.
“Se vuoi ho delle compresse per il mal di stomaco, sono qui nel…” dissi entrando ma rimasi bloccata nel vedere l’immagine che mi si palesò davanti.
Federico, seduto sul water braghe alle caviglie, con un imponente erezione intento a masturbarsi con irruenza. Il tutto era reso ancor più surreale dal fatto che, dopo aver rovistato nei panni sporchi, Federico aveva preso della mia biancheria sporca e la stava utilizzando per procurarsi piacere.
Aveva infilato il pene all’interno di un mio paio di collant e mentre si masturbava godendosi il contatto con il tessuto, si era portato un mio slip usato al volto e lo annusava con espressione beata.
“Fanno un odore pazzesco…” mi sussurrò tra una sniffata e l’altra mentre continuava a toccarsi imperterrito.
Non avevo mai visto un uomo, o meglio un ragazzo, tanto perverso così come non avevo mai visto un membro di tali dimensioni. Il primo pensiero che mi venne, guardando quel palo di carne all’interno dei miei collant, fu che volevo essere io a masturbarlo.
Ancora scioccata rimasi li a guardarlo finché lui non mi disse ansimando “Manuela, per favore, girati… fammi vedere un po’ quel culo…”.
Senza nemmeno riflettere, mi voltai in modo da esaudire il suo desiderio e, quasi contemporaneamente, lo sentii gemere di piacere.
Federico eiaculò copiosamente e lo fece all’interno dei miei collant, che, quando ebbe finito, utilizzò per pulirsi il glande da residui di quell’abbondante venuta.
Poi, come se nulla fosse, si alzò e, rivestitosi, annunciò con un sorriso “Queste me le tengo io!” riferendosi ai miei slip che finirono in una delle sue tasche.
Mi passò accanto, come se tutto quello che era appena successo fosse una cosa normale, e mi precedette dirigendosi in salotto.
Io lo seguii, avrei voluto urlargli qualcosa ma, diamine, ero troppo sconvolta per sapere cosa fare.
Arrivai in salotto e mi fermai di scatto nel vedere Federico che tornava indietro.
Nei suoi occhi brillava una strana luce, come se qualcosa di sopito si fosse risvegliato dentro di lui.
“Si sono addormentati…” disse “Vieni…” la sua mano, rapida ed esperta, mi afferrò i capelli alla base della nuca.
“Voglio vedere se riesci a prenderlo tutto… però vedi di non urlare, non mi va di essere interrotto” disse riferendosi ai miei figli che dormivano in salotto.
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