Vicino Perverso - 3 pt

di
genere
dominazione

Giunti a questo punto della storia, è importante introdurre i nomi di due personaggi che avrebbero, ben presto, assunto un ruolo sempre più decisivo. Sto parlando di Lorenzo e Fabio, i miei due splendidi figli.
Lorenzo e Fabio sono sempre stati come il diavolo e l’acqua santa. Lorenzo, il maggiore, sempre serio, taciturno e riflessivo, mentre Fabio, il minore, chiacchierone e sempre con l’aria di chi è perso tra le nuvole. Sicuramente, dei due, Lorenzo era il più in gamba ed è proprio lui che giocherà un ruolo chiave nella mia triste vicenda, ma prima che ciò avvenga ne sarebbe dovuta passare di acqua sotto i ponti.
Come dicevo nel precedente racconto, l’influenza di Federico era sempre più incisiva nella crescita e nello sviluppo dei miei due ragazzi. Ogni giorno che passavano con “Papà Federico”, faceva cambiare qualcosa nel loro carattere, ma io non potevo accorgermene presa com’ero da tutto ciò che stava accadendo nella mia vita.
Federico, ovvero il dirimpettaio che ora si faceva chiamare Papà dai miei figli, occupava uno spazio incalcolabile nella mia vita. Capii che aveva un modo tutto suo, strano e perverso di vivere la sessualità. Dico questo perché in un anno di frequentazione avevamo avuto solo due rapporti intimi, quelli, appunto, che vi ho già raccontato. La spiegazione che mi diedi fu che Federico fosse una sorta di accumulatore. Era come se reprimesse i suoi impulsi sessuali, cosa che poi lo portava a sfogarli in quei modi così malsani. Come, ad esempio, umiliarmi in chiesa e in giro per la città per poi incolparmi e punirmi una volta tornati a casa.
Davvero non immaginavo che quei raptus sporadici si sarebbero trasformati in una routine quotidiana, ma lo intuii quando Federico mi annunciò che si sarebbe trasferito a casa nostra.

I miei figli avevano da poco iniziato a frequentare le scuole medie quando una mattina, mentre loro erano a scuola, Federico mi mandò un messaggio dicendomi di andare immediatamente a casa sua.
Uscii di corsa, dato che lui odiava aspettare, e attraversato il pianerottolo entrai in casa sua trovando la porta già spalancata.
Federico mi corse incontro nel salotto dove, qua e la, erano sparsi scatoloni e paccottiglie. “Amore ho una notizia stupenda da darti! Ho deciso! Da domani mi trasferisco da voi…!” esclamò mentre mi teneva avvinghiata per i gomiti, fissandomi con quel sorriso diabolico. “Saremo finalmente una famiglia!” aggiunse baciandomi. “Ho già preparato tutto… da voi non ci starà tutta la mia roba, per questo ho deciso di tenere solo l’essenziale” disse prendendomi la mano e portandomi verso un angolo della stanza “Per esempio questo è ingombrante lo so… ma non posso certo privarmene” aveva il tono di chi sa di avere perfettamente ragione. “Questo andrà in camera di Fabio… ho già preso le misure… ci starà benissimo!” la sua voce era eccitata, febbricitante. Al contrario, io ero paralizzata dal ribrezzo. L’oggetto di cui stava parlando Federico era la cosa che più di importante aveva al mondo e che trattava al pari di una reliquia. La reliquia, che sarebbe finita in camera di mio figlio, era una teca in vetro al cui interno Federico aveva catalogato ed etichettato, con tanto di nome della rispettiva proprietaria, tutte le mutandine che aveva collezionato nel corso degli anni. In mezzo a tutte quelle mutandine, una posizione privilegiata era stata concessa alle mie sotto le quali svettava la scritta “Manuela”.
La decisione fu presa e la teca venne spostata.
Io non ebbi nessuna voce in capitolo.

Il trasferimento di Federico fu festeggiato da una solenne cena, che lui pretese in suo onore, e che segnò anche l’ultimo momento di normalità che avrei vissuto in quella che avevo sempre considerato come casa mia e che sarebbe presto diventata la mia prigione.
“Ragazzi adesso voi sparecchiate da bravi mentre Papà Federico va a mangiare il dolce” esclamò a cena terminata cingendomi la vita e dandomi una sonora pacca sul sedere.
“Papà Federico non è giusto! Anche io voglio il dolce!” piagnucolò Fabio guardandomi e iniziando a fare i capricci come un bambino.
“Hai sentito amore? Fabio vuole il dolce…” rise sardonico Federico guardandomi con occhi carici di malizia. “Vediamo che dice la mamma…” alluse lasciandomi l’onere di gestire i capricci di mio figlio che, sapevo benissimo anche se non volevo crederci, aveva perfettamente capito che il “dolce” ero io.
“M-ma Fabio… q-q-quando s-sarai più g-grande… d’accordo?” balbettai io in risposta.
L’amplesso che seguì con Federico fu uno dei più devastanti mai avuti. Prima di iniziare mi sussurrò amorevolmente “Stavolta voglio che sentano… quindi guai a te se provi a trattenerti”. Pur volendo non ci sarei potuta riuscire. Venni ripetutamente mugulando mentre lui mi prendeva alla pecorina, schiacciandomi la testa sul materasso e urlandomi “Glielo hai promesso! Glielo hai promesso!” ad ogni colpo di bacino.

La mattina seguente mi svegliai e la scena che mi si parò davanti era questa: Federico, aiutato dai miei due figli, che instaurava la sua dittatura.
“Questo non ti servirà più” mi disse con tono affettuoso mentre scaraventava il mio smartphone a terra e lo calpestava fino a renderlo una poltiglia. Stessa fine lo fece il telefono fisso. A tutti i dispositivi elettronici presenti in casa, come pc e tablet, venne inserita una password che non fu condivisa con me. Mi vennero tolte le chiavi di casa così come i documenti che furono sequestrati da Federico, ad eccezione della patente che invece fu fatta a pezzi proprio sotto i miei occhi.
I miei figli si divertivano un mondo prendendo questo sequestro di persona come se fosse un gioco. Entrarono in azione quando guidati da “Papà Federico” si diressero in camera mia e iniziarono a prendersela con i miei vestiti riducendo tutto a brandelli.
Quando ebbero finito, Federico uscì dalla stanza con Fabio, lasciandomi sola con Lorenzo.
Lorenzo, forse per il fatto che era il figlio maggiore, aveva assunto un atteggiamento duro, quasi fossimo nell’esercito e lui un caporale. “Manuela d’ora in poi questi saranno i tuoi vestiti” mi disse senza un briciolo di affetto nella voce mentre apriva un’anta dell’armadio. Sconvolta com’ero mi resi conto solo dopo che aveva smesso di chiamarmi mamma. A quel punto, Lorenzo iniziò a spiegarmi come mi sarei dovuta vestire d’ora in avanti.
La faccio breve a disposizione avevo minigonne, calze a rete, autoreggenti, push up, mutandine di pizzo, tanga, top, t-shirt con scollature vergognose, completini da infermiera, coniglietta o cameriera sexy e chi più ne ha più ne metta, oltre una serie di scarpe con tacchi a spillo. Mi disse che potevo scegliere ciò che volevo tra quello che avevo disponibile in termini di abbinamento “Tranne la domenica. La domenica è santa e non puoi indossare vestiti” lo disse come se quelli che mi aveva mostrato potessero essere definiti come vestiti “dovrai indossare questo… e basta” concluse seccamente porgendomi uno slip nero che sembrava fatto di filo interdentale e due affarini che avrei dovuto sistemare sui seni in modo da coprire i capezzoli.
Ogni domenica, per il resto della mia vita, mi sarei dovuta vestire in quel modo ignobile.
“E adesso muoviti a cambiarti… perché stai già infrangendo il regolamento!” mi urlò carico di disprezzo.
Dissi addio al pigiama e, riluttante, iniziai a cambiarmi.

Così inizio la mia nuova vita.
Una vita fatta di soprusi e umiliazioni.
Ero considerata ormai una schiava dai miei figli. Fabio, il minore, era diventato un feticista a tutti gli effetti. Non riuscendo a trattenere la sua foga mi stava sempre tra i piedi. Rubandomi scarpe o l’intimo. Arrivando anche a cercare di sfilarmelo mentre ce lo avevo indosso per poi chiudersi in camera per ore.
Lorenzo, al contrario, assumeva un atteggiamento sempre più austero nei miei confronti. Non mi rivolgeva più la parola se non per darmi qualche sporadico ordine o per insultarmi. Ma nel suo atteggiamento notai una punta di gelosia e capii che stava architettando qualcosa. Ma per averne la conferma dovetti aspettare 5 anni, ovvero il giorno in cui Lorenzo compì 18 anni ed ebbe il coraggio di ribellarsi.
Ma questo ve lo racconterò un’altra volta.
Alla prossima.
di
scritto il
2022-04-11
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