Sogno di una notte di mezza estate I - Gennaio
di
Giulia LiberaMente
genere
masturbazione
La stagione delle pesche è l’estate.
Eppure, stasera, io sono pesca.
Seta, velluto, raso, ecco cos’è la mia pelle stasera.
C’è la nebbia, fuori.
Il cielo grigio e ovattato, fuori, sembra promettere una neve che, alla fine, non cadrà.
Probabilmente fa freddo, fuori.
Ma qui, dentro, dentro questo letto, dentro questo bozzolo di coperte che mi avvolgono, il freddo non arriva.
Questo minuscolo caldo soffice frammento di universo atemporale è il mio solo mondo, ora, una minuscola calda soffice allegoria di un’estate così lontana eppure ora così vicina.
Il mio corpo, nudo, è accarezzato dalla stoffa o, forse, è lui ad accarezzare lei.
Certo è, comunque, che le mie dita, lente, accarezzano entrambe.
Pesca e seta. Ecco cosa sono in questo momento, ecco cosa si dischiude sotto i miei polpastrelli che scorrono, curiosi, quasi timorosi, lungo il mio collo, lungo il mio petto, lungo il mio seno.
E lì, due obelischi di morbida carne, due turgidi simulacri di piacere ancora nascosto, soffuso, crescente.
Ci giocano, le mie dita, paiono venerarli quasi. Li stuzzicano, li provocano. Loro, di rimando, crescono sotto i miei tocchi delicati ma attenti; sì, attenti alle loro tempistiche e alla loro reazione che, in fondo, sono le mie.
Li sfioro, piccoli capezzoli scuri circondati da areole più tenui. Li afferro, bramosi di un tocco più deciso.
Ma, all'improvviso, ciò che fino ad un istante prima era tanto piacevole ora non mi basta più.
Scendono, le mie mani.
Ora aleggiano sul ventre nudo, nudo come il resto del mio corpo.
E finalmente, la trovano.
Pareva impossibile resistere oltre ma, proprio quando la mia pelle inizia scuotersi, ribellarsi, impaziente di bruciante desiderio, ecco che la fonte ultima del piacere più intenso, più intimo.
Sì, intimo. Mio, solo mio, tra me e me.
No.
Migliaia, milioni, chissà quante altre donne ora, in questo preciso istante stavano facendo il mio stesso gioco.
Io ero una di loro.
Una delle tante onde dello stesso tsunami.
Le mie, di onde, si irradiavano dal clitoride che stuzzivo, massaggiavo, stimolavo.
Poi, in modo assolutamente naturale, il passo successivo è stato inevitabile.
Due dita, due dita scavano nel mio corpo, nutrendosi del mio stesso miele.
Ha un ottimo sapore quel miele, lo so perché me lo porto alla bocca, lo assaggio, lo gusto.
Ma non resisto, torno dentro di me. Ancora, ancora e ancora.
Tocchi lenti prima, più rapidi, frenetici dopo.
Il respiro rallenta, per qualche attimo, poi si spezza intervallato da mugolii irregolari e acuti.
Gocce minuscole, di sudore, sulla fronte, come una pesca appena lavata.
Ho gli occhi chiusi, lo so perché vedo distintamente il corpo contorcersi, rannicchiarsi e distendersi convulsamente.
Il mio? No.
È un altro corpo, uno delle tante migliaia.
È bellissimo, con la sua pelle diafana che contrasta così perfettamente con i suoi capelli neri.
Mi somiglia questa donna, il cui nome è Giulia, come il mio.
"Rallenta" le sussurro "veniamo insieme".
Annuisce, forse. O sta solo fremendo, forse.
Anche io fremo, d'altro canto.
Bocca aperta, labbra umide, gambe divaricate.
L'orgasmo divampa, incontenibile, cercato e trovato da dita sempre più avide, sempre più audaci. Nessuna delle due è riuscita davvero a rallentare, troppo presa da sensazioni tanto intense che rimandare era impossibile.
I nostri corpi, armonici, tremano, si scuotono, sussultano, si abbandonano.
Respiri rotti, gemiti acuti.
Poi nulla, il mio sapore sulle dita e sulla lingua, altrettanto umida, altrettanto calda.
Quello è l'ultimo ricordo, confuso e intenso come un sogno di mezza estate.
Poi, dopo di lui, il sonno.
E con esso, un sogno, altri sogni.
Buona notte.
Eppure, stasera, io sono pesca.
Seta, velluto, raso, ecco cos’è la mia pelle stasera.
C’è la nebbia, fuori.
Il cielo grigio e ovattato, fuori, sembra promettere una neve che, alla fine, non cadrà.
Probabilmente fa freddo, fuori.
Ma qui, dentro, dentro questo letto, dentro questo bozzolo di coperte che mi avvolgono, il freddo non arriva.
Questo minuscolo caldo soffice frammento di universo atemporale è il mio solo mondo, ora, una minuscola calda soffice allegoria di un’estate così lontana eppure ora così vicina.
Il mio corpo, nudo, è accarezzato dalla stoffa o, forse, è lui ad accarezzare lei.
Certo è, comunque, che le mie dita, lente, accarezzano entrambe.
Pesca e seta. Ecco cosa sono in questo momento, ecco cosa si dischiude sotto i miei polpastrelli che scorrono, curiosi, quasi timorosi, lungo il mio collo, lungo il mio petto, lungo il mio seno.
E lì, due obelischi di morbida carne, due turgidi simulacri di piacere ancora nascosto, soffuso, crescente.
Ci giocano, le mie dita, paiono venerarli quasi. Li stuzzicano, li provocano. Loro, di rimando, crescono sotto i miei tocchi delicati ma attenti; sì, attenti alle loro tempistiche e alla loro reazione che, in fondo, sono le mie.
Li sfioro, piccoli capezzoli scuri circondati da areole più tenui. Li afferro, bramosi di un tocco più deciso.
Ma, all'improvviso, ciò che fino ad un istante prima era tanto piacevole ora non mi basta più.
Scendono, le mie mani.
Ora aleggiano sul ventre nudo, nudo come il resto del mio corpo.
E finalmente, la trovano.
Pareva impossibile resistere oltre ma, proprio quando la mia pelle inizia scuotersi, ribellarsi, impaziente di bruciante desiderio, ecco che la fonte ultima del piacere più intenso, più intimo.
Sì, intimo. Mio, solo mio, tra me e me.
No.
Migliaia, milioni, chissà quante altre donne ora, in questo preciso istante stavano facendo il mio stesso gioco.
Io ero una di loro.
Una delle tante onde dello stesso tsunami.
Le mie, di onde, si irradiavano dal clitoride che stuzzivo, massaggiavo, stimolavo.
Poi, in modo assolutamente naturale, il passo successivo è stato inevitabile.
Due dita, due dita scavano nel mio corpo, nutrendosi del mio stesso miele.
Ha un ottimo sapore quel miele, lo so perché me lo porto alla bocca, lo assaggio, lo gusto.
Ma non resisto, torno dentro di me. Ancora, ancora e ancora.
Tocchi lenti prima, più rapidi, frenetici dopo.
Il respiro rallenta, per qualche attimo, poi si spezza intervallato da mugolii irregolari e acuti.
Gocce minuscole, di sudore, sulla fronte, come una pesca appena lavata.
Ho gli occhi chiusi, lo so perché vedo distintamente il corpo contorcersi, rannicchiarsi e distendersi convulsamente.
Il mio? No.
È un altro corpo, uno delle tante migliaia.
È bellissimo, con la sua pelle diafana che contrasta così perfettamente con i suoi capelli neri.
Mi somiglia questa donna, il cui nome è Giulia, come il mio.
"Rallenta" le sussurro "veniamo insieme".
Annuisce, forse. O sta solo fremendo, forse.
Anche io fremo, d'altro canto.
Bocca aperta, labbra umide, gambe divaricate.
L'orgasmo divampa, incontenibile, cercato e trovato da dita sempre più avide, sempre più audaci. Nessuna delle due è riuscita davvero a rallentare, troppo presa da sensazioni tanto intense che rimandare era impossibile.
I nostri corpi, armonici, tremano, si scuotono, sussultano, si abbandonano.
Respiri rotti, gemiti acuti.
Poi nulla, il mio sapore sulle dita e sulla lingua, altrettanto umida, altrettanto calda.
Quello è l'ultimo ricordo, confuso e intenso come un sogno di mezza estate.
Poi, dopo di lui, il sonno.
E con esso, un sogno, altri sogni.
Buona notte.
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