Sogno di una notte di mezza estate II - Maggio
di
Giulia LiberaMente
genere
esibizionismo
Il fiore rosa sopra di me mi guardava e io, di rimando, guardavo lui.
Chissà cosa si prova ad essere un fiore di pesco come quello, mi domando. Ma, forse, io sono un fiore. Certo è che nel mio corpo un fiore c'è, una rosa umida e calda accarezzata dall'aria tiepida di quel pomeriggio di primavera.
Un fiore nudo sull'erba, libero come ogni fiore dovrebbe sempre essere.
Nella mia mente riappare quel momento, quello specifico istante in cui la catena di eventi della giornata ha preso inizio, quasi per caso, con la naturalezza e la follia di un gesto banale.
Riappare il paio di jeans semistrappati che stavo provando, riappare il camerino bianco del negozietto, riappare quella sua porta sgangherata e, soprattutto, lo spiraglio che inevitabilmente lasciava scoperto, quello scorcio invadente e curioso che violava la sacralità dello spazio intimo di quelle quattro pareti di compensato.
Invadente e curioso come lo sguardo dell'uomo che lo aveva penetrato con i suoi occhi golosi, attenti al mio corpo seminudo.
Li per lì devo essermi scostata e nascosta, perché non ho notato il passo successivo, quello con cui il misterioso avventore si era avvicinato.
"Ciao"
Una voce bassa, profonda, da cinquantenne. Da fumatore, forse.
"Ciao"
Più timida la mia, da giovane donna sorpresa in un momento di silenziosa solitudine.
"Scusa, sai, però sei tanto bella."
Veramente si stava complimentando? Veramente poteva essere solo quella la sua giustificazione.
"Grazie"
Ho risposto. Ancora una volta il mio istinto agiva prima della ragione. Grazie? Vattene, dovevo dire.
"Ora me ne vado, solo..."
"Cosa?"
"Posso domandarti una foto? Senza viso, s'intende."
Era serio? Sì, pareva di sì.
"Certo."
Certo cosa?! Ero impazzita forse?
No. Io ero quella, in fondo. Non ero forse la volontaria migliore del centro? Perché non essere anche la cliente migliore del negozio?
Mi passa il telefono, il seduttore voyeur.
Mi fotografo slip e cosce, io, inesperta esibizionista.
"Bella scelta, quei jeans. Gradirei regalarteli io."
"Non serve, grazie"
"Insisto."
"Ok"
Socchiudo la porta appena un poco di più e lui infila nella fessura una mano, con cinquanta euro tra le dita.
Senza riflettere mi accosto a quella mano che invade il mio spazio di silenziosa solitidine; gli ho offerto, forse non troppo inconsapevolmente i miei glutei, che finisce per sfiorare.
Arrossisce.
Certo non posso sapere se è vero, ma mi piace pensare che sia andata così.
"Aspetta qui, ok?"
"Certo"
Mi infilo i soldi nell'elastico delle mutandine, poi scatto un'altra foto col telefono che mi ha lasciato. Sembro una stripper.
Mi viene da ridere.
Vibrazione.
'Ciao ragazza dei jeans, ti...'
La notifica parlava di me. Qualcuno aveva scritto al telefono dell'uomo, ma rivolgendosi a me.
Nessuna password, quindi ho potuto leggere, avida di curiosità.
'Ciao ragazza dei jeans, ti andrebbe un pomeriggio interessante? Il mio amico dice che sai stare al gioco. Non rispondere, se ci stai lascia sulla sedia il tuo intimo e il tuo numero di telefono.'
Tutto lì.
Mi viene da ridere.
Che situazione assurda. Però... io ho sempre amato le situazioni assurde.
Perciò, contrariamente a ogni forma di prudenza e di logica, sono stata al gioco.
Riappare nella mia mente il momento in cui mi spoglio come richiesto e scrivo il mio numero in piccolo, sull'etichetta.
Solo chi sa dove cercare potrebbe trovarlo.
Sono eccitata, lo ricordo bene.
È da pazzi, ma sono eccitata.
Mi scatto altre foto, più intime questa volta; faccio anche un breve video nel quale mi stuzzico il clitoride, un video in cui sussurro "non vediamo l'ora di conoscere il giochino" un video in cui, in chiusura, mostro il mio viso mentre mi mordicchio il labbro.
Prima che io possa riflettere e fare marcia indietro nascondo il cellulare sotto i miei slip di cotone bianchi, rimetto i pantaloni, esco e vado a pagare.
Mi attende un'ora di attesa, lunga e terribile, trascorsa prima in auto per tornare a casa, poi sul mio divano, distesa con gli occhi al soffitto e le orecchie attente a qualsiasi squillo di telefono.
"Ragazza dei jeans?"
È una voce diversa da quella del mio generoso ammiratore del negozio.
"Sì, Giulia."
"Ciao Giulia."
Il resto della telefonata, una lunga telefonata di una mezz'ora è servito a spiegarmi la proposta di quello che si è rivelato essere Riccardo, un uomo sposato di 48 anni, e del suo amico Salvo, quello che mi ha regalato i jeans. Entrambi, ammette il mio interlocutore, hanno gradito molto la sorpresa che ho fatto loro restituendo il cellulare.
Un invito a casa di Riccardo per quel pomeriggio, per un aperitivo molto particolare a cui oltre a me avrebbero partecipato lui e la moglie, Salvo, naturalmente, e due giovani amici loro con le loro compagne.
Otto invitati ad una festa nella quale io sarei stata l'attrazione principale.
Senza mezzi termini mi ha fatto sapere che avrebbero gradito vedermi spogliare e masturbarmi mentre loro facevano altrettanto. Si sarebbero avvicinati a me e avrebbero scattato foto solo col mio consenso.
"Sì. Dove?"
Cretina. Dovevo essere del tutto cretina. Potevano farmi qualsiasi cosa, quelle persone, poteva persino essere tutta un'invenzione.
Mi sono messa a ridere, da sola, nell'abitacolo della mia auto mentre guardavo la villetta perfettamente qualsiasi, nel vicolo perfettamente qualsiasi, in cui viveva quella coppia che - se davvero esisteva - di banale non aveva proprio nulla.
"La mia vita è una corsa sulla lama di un coltello. Se mi fermo, cado giù. Non voglio uscire dalla tana del bianconiglio."
Nessuno sente le mia parole, solo io. E io, in quel momento, sono tutti. Tutte le me del passato, da quella ingenua della sua prima volta, alla Giulia che ha incontrato Fabio, a quella che iniziata da lui ha scoperto se stessa. A questa. A quella che sarò domani.
Sfioro la leva del cambio, la pelle è morbida e rilassante. Sì, ho bisogno di rilassarmi.
Ecco, se c'è un particolare che proprio non ricordo è il tragitto verso la porta di casa.
Ciò che riappare, invece, è il sorriso di una donna con qualche anno in più di me.
Lucia, si chiama, ed è molto cordiale.
Non la smetteva più di ringraziarmi, di offrirmi da bere, di mettermi a mio agio.
Ricordo bene la sua vestaglia, una di seta, di un rosso intenso e scuro come il suo rossetto marcato.
Ho declinato, tutto, se non l'invito ad accomodarmi in giardino che gli invitati sarebbero arrivati di lì a poco.
Sorrisi, risatine, battute leggere.
Gente normale ad una festa normale.
Niente di perverso, niente di oscuro, niente di osceno.
Mi sono rilassata, ho iniziato a sorridere anch'io, a bere qualcosa, a parlare con gli altri.
Solo che, mentre lo facevo, senza che nessuno mi avesse detto nulla, ho iniziato a spogliarmi.
Chissà perché, nel fluire pacato e tiepido di quel pomeriggio di maggio, improvvisamente i miei abiti mi sono sembrati un impiccio inutile, la costrizione forzosa di una società bigotta e oscurantista.
Un'esagerazione? Chissà, mi chiedo ora, ma in quel momento non lo era affatto.
Dapprima le scarpe, perché la sensazione del manto verde sotto ai miei piedi era magnifica; poi la t-shirt e il reggiseno, perché la sensazione della brezza primaverile sulla pelle era magia; infine... no, non ho tolto subito i jeans.
"Salvo"
Ho chiamato lui, l'uomo che aveva dato inizio a tutto e gli ho sussurrato all'orecchio.
"Sfilameli tu"
È stato delicato e attento, lento nelle sue mosse. Si stava godendo quei gesti che, l'ho notato subito, hanno catalizzato l'attenzione di tutti i presenti.
Ad uno ad uno si sono fermati e spogliati a loro volta.
Sei uomini e donne nudi attorno a noi, attorno alle sue dita curiose e al mio bacino scoperto ai loro occhi.
Gli ho preso la mano, l'ho accarezzata, l'ho baciata sul palmo, poi me la sono portata al seno.
Gli ho sorriso.
"È magnifico. Non mi è mai successo di... essere guardata così, di essere così... ammirata."
Ha iniziato a palparmi delicatamente.
"Mi piace questa sensazione."
Ho sorriso a tutti.
"Mettetevi comodi."
Anche Salvo era nudo, come gli altri.
Ho ripensato ad altri momenti, quel pomeriggio, ad altri giochi simili a quello, eppure tanto diversi.
Ero già stata... al centro dell'attenzione, eppure mai, mai nella mia vita avevo provato ciò che stavo provado sfiorando con l'indice il membro ancora morbido dell'uomo di fronte a me, mentre altri occhi mi contemplavano.
Mi adoravano.
Sì, per un pomeriggio sono stata una dea greca e il mio cuore non lo dimenticherà mai.
Ciò che è accaduto dopo è stato come un sogno di mezza estate, un'esperienza onirica e irreale; è stato l'inizio di qualcosa di nuovo, l'apparizione di una nuova sfaccettatura per una Giulia già complessa e multiforme.
Il cazzo cresce sotto le mie dita.
La lingua ruota nella mia bocca.
Le dita massaggiano il mio seno.
I corpi si stendo sull'erba.
Le mani, molte mani, masturbano sessualità esposte senza pudore.
Le voci si alzano di volume, abbassandosi però di tono; voci basse e gorgoglianti di piacere.
Il piacere cresce, in ciascuno di noi, in chi guarda e in chi partecipa.
Gli orgasmi si susseguono, manifestandosi in schizzi caldi e bianchi o in goccioline esplosive e irregolari.
Donne e uomini godomo insieme, armonizzando i propri gemiti in un'unica sinfonia.
Poi noi.
Noi due, due sconosciuti, uniti da qualcosa di più rispetto ad un appendice carnosa che ci stava congiungendo.
Uniti dal gusto impagabile di essere guardati, ammirati, venerati.
No.
No, è me che veneravano.
Me, la dea di quel piccolo popolo di schiavi arrapati.
È venuto prima lui, offrendomi in tributo il suo seme sulla lingua.
Poi io, a cosce larghe, con le mie stesse dita sopra un clitoride in fiamme, un petalo di carne, un petalo umido e caldo sopra il mio corpo.
Corpo che è un fiore nudo sull'erba, libero come ogni fiore dovrebbe sempre essere.
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Se desiderate contattarmi la mia mail è:
liberiracconti@hotmail.com
Chissà cosa si prova ad essere un fiore di pesco come quello, mi domando. Ma, forse, io sono un fiore. Certo è che nel mio corpo un fiore c'è, una rosa umida e calda accarezzata dall'aria tiepida di quel pomeriggio di primavera.
Un fiore nudo sull'erba, libero come ogni fiore dovrebbe sempre essere.
Nella mia mente riappare quel momento, quello specifico istante in cui la catena di eventi della giornata ha preso inizio, quasi per caso, con la naturalezza e la follia di un gesto banale.
Riappare il paio di jeans semistrappati che stavo provando, riappare il camerino bianco del negozietto, riappare quella sua porta sgangherata e, soprattutto, lo spiraglio che inevitabilmente lasciava scoperto, quello scorcio invadente e curioso che violava la sacralità dello spazio intimo di quelle quattro pareti di compensato.
Invadente e curioso come lo sguardo dell'uomo che lo aveva penetrato con i suoi occhi golosi, attenti al mio corpo seminudo.
Li per lì devo essermi scostata e nascosta, perché non ho notato il passo successivo, quello con cui il misterioso avventore si era avvicinato.
"Ciao"
Una voce bassa, profonda, da cinquantenne. Da fumatore, forse.
"Ciao"
Più timida la mia, da giovane donna sorpresa in un momento di silenziosa solitudine.
"Scusa, sai, però sei tanto bella."
Veramente si stava complimentando? Veramente poteva essere solo quella la sua giustificazione.
"Grazie"
Ho risposto. Ancora una volta il mio istinto agiva prima della ragione. Grazie? Vattene, dovevo dire.
"Ora me ne vado, solo..."
"Cosa?"
"Posso domandarti una foto? Senza viso, s'intende."
Era serio? Sì, pareva di sì.
"Certo."
Certo cosa?! Ero impazzita forse?
No. Io ero quella, in fondo. Non ero forse la volontaria migliore del centro? Perché non essere anche la cliente migliore del negozio?
Mi passa il telefono, il seduttore voyeur.
Mi fotografo slip e cosce, io, inesperta esibizionista.
"Bella scelta, quei jeans. Gradirei regalarteli io."
"Non serve, grazie"
"Insisto."
"Ok"
Socchiudo la porta appena un poco di più e lui infila nella fessura una mano, con cinquanta euro tra le dita.
Senza riflettere mi accosto a quella mano che invade il mio spazio di silenziosa solitidine; gli ho offerto, forse non troppo inconsapevolmente i miei glutei, che finisce per sfiorare.
Arrossisce.
Certo non posso sapere se è vero, ma mi piace pensare che sia andata così.
"Aspetta qui, ok?"
"Certo"
Mi infilo i soldi nell'elastico delle mutandine, poi scatto un'altra foto col telefono che mi ha lasciato. Sembro una stripper.
Mi viene da ridere.
Vibrazione.
'Ciao ragazza dei jeans, ti...'
La notifica parlava di me. Qualcuno aveva scritto al telefono dell'uomo, ma rivolgendosi a me.
Nessuna password, quindi ho potuto leggere, avida di curiosità.
'Ciao ragazza dei jeans, ti andrebbe un pomeriggio interessante? Il mio amico dice che sai stare al gioco. Non rispondere, se ci stai lascia sulla sedia il tuo intimo e il tuo numero di telefono.'
Tutto lì.
Mi viene da ridere.
Che situazione assurda. Però... io ho sempre amato le situazioni assurde.
Perciò, contrariamente a ogni forma di prudenza e di logica, sono stata al gioco.
Riappare nella mia mente il momento in cui mi spoglio come richiesto e scrivo il mio numero in piccolo, sull'etichetta.
Solo chi sa dove cercare potrebbe trovarlo.
Sono eccitata, lo ricordo bene.
È da pazzi, ma sono eccitata.
Mi scatto altre foto, più intime questa volta; faccio anche un breve video nel quale mi stuzzico il clitoride, un video in cui sussurro "non vediamo l'ora di conoscere il giochino" un video in cui, in chiusura, mostro il mio viso mentre mi mordicchio il labbro.
Prima che io possa riflettere e fare marcia indietro nascondo il cellulare sotto i miei slip di cotone bianchi, rimetto i pantaloni, esco e vado a pagare.
Mi attende un'ora di attesa, lunga e terribile, trascorsa prima in auto per tornare a casa, poi sul mio divano, distesa con gli occhi al soffitto e le orecchie attente a qualsiasi squillo di telefono.
"Ragazza dei jeans?"
È una voce diversa da quella del mio generoso ammiratore del negozio.
"Sì, Giulia."
"Ciao Giulia."
Il resto della telefonata, una lunga telefonata di una mezz'ora è servito a spiegarmi la proposta di quello che si è rivelato essere Riccardo, un uomo sposato di 48 anni, e del suo amico Salvo, quello che mi ha regalato i jeans. Entrambi, ammette il mio interlocutore, hanno gradito molto la sorpresa che ho fatto loro restituendo il cellulare.
Un invito a casa di Riccardo per quel pomeriggio, per un aperitivo molto particolare a cui oltre a me avrebbero partecipato lui e la moglie, Salvo, naturalmente, e due giovani amici loro con le loro compagne.
Otto invitati ad una festa nella quale io sarei stata l'attrazione principale.
Senza mezzi termini mi ha fatto sapere che avrebbero gradito vedermi spogliare e masturbarmi mentre loro facevano altrettanto. Si sarebbero avvicinati a me e avrebbero scattato foto solo col mio consenso.
"Sì. Dove?"
Cretina. Dovevo essere del tutto cretina. Potevano farmi qualsiasi cosa, quelle persone, poteva persino essere tutta un'invenzione.
Mi sono messa a ridere, da sola, nell'abitacolo della mia auto mentre guardavo la villetta perfettamente qualsiasi, nel vicolo perfettamente qualsiasi, in cui viveva quella coppia che - se davvero esisteva - di banale non aveva proprio nulla.
"La mia vita è una corsa sulla lama di un coltello. Se mi fermo, cado giù. Non voglio uscire dalla tana del bianconiglio."
Nessuno sente le mia parole, solo io. E io, in quel momento, sono tutti. Tutte le me del passato, da quella ingenua della sua prima volta, alla Giulia che ha incontrato Fabio, a quella che iniziata da lui ha scoperto se stessa. A questa. A quella che sarò domani.
Sfioro la leva del cambio, la pelle è morbida e rilassante. Sì, ho bisogno di rilassarmi.
Ecco, se c'è un particolare che proprio non ricordo è il tragitto verso la porta di casa.
Ciò che riappare, invece, è il sorriso di una donna con qualche anno in più di me.
Lucia, si chiama, ed è molto cordiale.
Non la smetteva più di ringraziarmi, di offrirmi da bere, di mettermi a mio agio.
Ricordo bene la sua vestaglia, una di seta, di un rosso intenso e scuro come il suo rossetto marcato.
Ho declinato, tutto, se non l'invito ad accomodarmi in giardino che gli invitati sarebbero arrivati di lì a poco.
Sorrisi, risatine, battute leggere.
Gente normale ad una festa normale.
Niente di perverso, niente di oscuro, niente di osceno.
Mi sono rilassata, ho iniziato a sorridere anch'io, a bere qualcosa, a parlare con gli altri.
Solo che, mentre lo facevo, senza che nessuno mi avesse detto nulla, ho iniziato a spogliarmi.
Chissà perché, nel fluire pacato e tiepido di quel pomeriggio di maggio, improvvisamente i miei abiti mi sono sembrati un impiccio inutile, la costrizione forzosa di una società bigotta e oscurantista.
Un'esagerazione? Chissà, mi chiedo ora, ma in quel momento non lo era affatto.
Dapprima le scarpe, perché la sensazione del manto verde sotto ai miei piedi era magnifica; poi la t-shirt e il reggiseno, perché la sensazione della brezza primaverile sulla pelle era magia; infine... no, non ho tolto subito i jeans.
"Salvo"
Ho chiamato lui, l'uomo che aveva dato inizio a tutto e gli ho sussurrato all'orecchio.
"Sfilameli tu"
È stato delicato e attento, lento nelle sue mosse. Si stava godendo quei gesti che, l'ho notato subito, hanno catalizzato l'attenzione di tutti i presenti.
Ad uno ad uno si sono fermati e spogliati a loro volta.
Sei uomini e donne nudi attorno a noi, attorno alle sue dita curiose e al mio bacino scoperto ai loro occhi.
Gli ho preso la mano, l'ho accarezzata, l'ho baciata sul palmo, poi me la sono portata al seno.
Gli ho sorriso.
"È magnifico. Non mi è mai successo di... essere guardata così, di essere così... ammirata."
Ha iniziato a palparmi delicatamente.
"Mi piace questa sensazione."
Ho sorriso a tutti.
"Mettetevi comodi."
Anche Salvo era nudo, come gli altri.
Ho ripensato ad altri momenti, quel pomeriggio, ad altri giochi simili a quello, eppure tanto diversi.
Ero già stata... al centro dell'attenzione, eppure mai, mai nella mia vita avevo provato ciò che stavo provado sfiorando con l'indice il membro ancora morbido dell'uomo di fronte a me, mentre altri occhi mi contemplavano.
Mi adoravano.
Sì, per un pomeriggio sono stata una dea greca e il mio cuore non lo dimenticherà mai.
Ciò che è accaduto dopo è stato come un sogno di mezza estate, un'esperienza onirica e irreale; è stato l'inizio di qualcosa di nuovo, l'apparizione di una nuova sfaccettatura per una Giulia già complessa e multiforme.
Il cazzo cresce sotto le mie dita.
La lingua ruota nella mia bocca.
Le dita massaggiano il mio seno.
I corpi si stendo sull'erba.
Le mani, molte mani, masturbano sessualità esposte senza pudore.
Le voci si alzano di volume, abbassandosi però di tono; voci basse e gorgoglianti di piacere.
Il piacere cresce, in ciascuno di noi, in chi guarda e in chi partecipa.
Gli orgasmi si susseguono, manifestandosi in schizzi caldi e bianchi o in goccioline esplosive e irregolari.
Donne e uomini godomo insieme, armonizzando i propri gemiti in un'unica sinfonia.
Poi noi.
Noi due, due sconosciuti, uniti da qualcosa di più rispetto ad un appendice carnosa che ci stava congiungendo.
Uniti dal gusto impagabile di essere guardati, ammirati, venerati.
No.
No, è me che veneravano.
Me, la dea di quel piccolo popolo di schiavi arrapati.
È venuto prima lui, offrendomi in tributo il suo seme sulla lingua.
Poi io, a cosce larghe, con le mie stesse dita sopra un clitoride in fiamme, un petalo di carne, un petalo umido e caldo sopra il mio corpo.
Corpo che è un fiore nudo sull'erba, libero come ogni fiore dovrebbe sempre essere.
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