Sottomesso alla mia capo 4: il primo risveglio nella villa
di
None
genere
dominazione
Trascorsi la notte nella mia stanzetta nel seminterrato, nel letto a una piazza che mi era stato assegnato; completamente nudo, come mi era stato ordinato, con un lenzuolo a separarmi dal materasso e una coperta leggera, ma senza lenzuolo, a proteggermi dal fresco della notte estiva.
La mattina fui svegliato dalla luce che filtrava dalla finestra posta al culmine del mio tugurio, che non era dotata né di tende né di imposte. Andai nel bagno là accanto per le mie esigenze e poi mi distesi nuovamente, cercando di dimenticare dove fossi. Ma non durò molto. Infatti dopo un po’ entrò nella stanza la mia padrona, spalancando la porta senza bussare. Indossava una camicia da notte leggera, semitrasparente, e sotto di essa solo le mutandine. La sua splendida quinta naturale, libera da impacci, tendeva la camicia, che, nel punto giusto, assumeva la forma dei suoi grandi capezzoli.
Non mi rivolse neanche il minimo accenno di saluto, solo mi ordinò di alzarmi e seguirla. Lo feci, nudo come un verme, considerato che non mi era stato detto di vestirmi. Percorremmo la scala interna che dal seminterrato portava al piano principale. Da lì andammo nel bagno ‘rosa’ che già conoscevo dal giorno prima. Ma la padrona non si sedette sul water, come aveva fatto il giorno precedente. Al contrario, rimase in piedi. Mi ordinò di entrare nella grande vasca a idromassaggio, che era completamente vuota, e di sdraiarmi sul fondo. Eseguii, senza avere la più pallida idea di cosa avesse in mente. Poi Barbara si sfilò con noncuranza la camicia da notte e le mutandine. Lentamente, con indolenza, come se non la stesse guardando nessuno. Il suo corpo era proporzionato ed eccitante, con le tette grandissime e sode, i fianchi larghi, l’abbronzatura dorata e non eccessiva; inoltre aveva un’autorevolezza e un carisma che non avevo mai trovato in nessuna delle mie coetanee.
Iniziai immediatamente a eccitarmi, ma lei non diede segno di interessarsi alla cosa. Piuttosto entrò nella vasca, in piedi sopra di me sdraiato, e con tono sicuro, mi disse: «Mi sono appena alzata, e per venire a chiamare te, schiavo, non sono neppure passata dal bagno. Così ora ho un gran bisogno di pisciare e ho deciso che, visto che hai l’onore di vivere in casa mia, sarà la tua bocca a farmi da toilette. Ora mi accovaccerò su di te, tu aprirai la bocca e inizierai a bere tutto quello che uscirà dalle mie labbra…Ma fai attenzione: si tratta di nettare prezioso, quindi non dovrai farne cadere neppure una goccia! Sono stata chiara?». Dentro di me ero sconvolto: già il giorno prima il solo leccare qualche goccia di urina rimasta incastrata tra i peli della sua fica era stata una dura prova per me. E ora? Come avrei fatto a soddisfare una pretesa così estrema e a ingoiare tutto senza fiatare?
In ogni caso, le dissi subito di sì, per evitare guai peggiori. Allora lei si accovacciò, con la fica sulla mia bocca, fissandomi con un sottile sguardo canzonatorio, godendo quasi fisicamente della mia imminente umiliazione. Quindi, mentre con la mano destra mi teneva ferma la testa, con l’indice e il medio della mano sinistra si aprì le piccole labbra e si scoprì l’orifizio uretrale, da cui cominciò a sgorgare un fiotto sottile. Cominciai a bere e ingoiare, con l’odore di piscio che mi riempiva le narici. Ma era solo l’inizio, infatti la padrona, da vera stronza qual era, all’improvviso e senza dire nulla, cambiò l’intensità del getto mettendosi a pisciare a pieno cannaggio. Io, che già mi stavo impegnando per fare tutto ‘per bene’, come mi era stato richiesto, rimasi spiazzato, e l’urina mi colò ovunque, sulla faccia e sul mento, poiché mi era impossibile berla tutta in così poco tempo. Il tutto durò pochi secondi. Poi il getto si assottigliò e, infine, si spense. Credevo di aver fatto il mio dovere e che lei ne fosse soddisfatta. Invece appena ebbe finito mi disse, gelida: «Che cazzo hai fatto, imbecille?», e mi mollò un pesante schiaffo, poi soggiunse: «Sei cretino o incapace? Non ti avevo detto di berla tutta?! Ora vedrai che bella punizione ti sei meritato…Intanto asciugati la faccia e fammi il bidet con la lingua, ché odio rimanere sporca!».
Provvidi a farle il ‘bidet’, come richiesto, il che mi procurò una grossa erezione; poi lei mi ordinò di alzarmi, si rimise la camicia da notte (ma non le mutandine) e mi riportò nel seminterrato. Lì, accanto alla porta della mia stanzetta e a quella del piccolo bagno, c’era una terza porta chiusa a chiave. La aprì e mi diede accesso a una stanza grande, che come le altre del seminterrato prendeva luce solo dall’alto e che conteneva un’intera collezione di arnesi e accessori sadomaso. Fruste di ogni tipo, manette e strumenti che, in gran parte, mi erano ignoti. Mi portò dentro e mi fece sdraiare a novanta gradi su una cavallina di quelle per la ginnastica, con il culo all’aria e le braccia assicurate alle gambe dell’attrezzo ginnico tramite delle manette. Quindi prese in mano qualcosa che assomigliava a una racchetta da ping pong, ma molto più grande, e mi disse: «Ora avrai la tua punizione per aver sprecato il mio nettare sublime. Ti è consentito gemere un po’, ma non gridare, e dovrai contare ad alta voce i colpi che riceverai. Sono stata chiara?». E io, terrorizzato: «Certo, padrona!». Quindi arrivarono i primi colpi. Erano colpi forti, decisi, che mi cadevano dritti sul culo senza pietà e che ero costretto a contare uno per uno, anziché gridare e implorarla di smettere come avrei voluto. Uno…due…tre…quattro…intanto il mio cazzo, sempre duro, era premuto tra il mio corpo e la cavallina, e mi sarei accontentato di fottermi quell’arnese senz’anima da quanto l’uccello mi tirava, se non avessi temuto una nuova punizione.
Alla fine, dopo quindici colpi, Barbara smise di infierire e mi slegò. Ma il peggio doveva ancora venire. Mi fece sdraiare su un lettino di contenzione, con le braccia e le gambe bloccate da cinture; le braccia lungo il corpo e le gambe aperte. Quella posizione mi costringeva a poggiare buona parte del peso del mio corpo sul culo, enfatizzando il dolore per la punizione appena subìta. Inoltre, sdraiato e legato com’ero, la mia erezione era fin troppo evidente! Mi fece anche indossare una ball-gag, affinché non potessi articolar parola né gridare liberamente. Poi si avvicinò con la mano al mio membro, e lo scappellò con attenzione. Una parte di me, certamente la più ingenua, sperava che Barbara stesse per iniziare a darmi piacere, ma non fu così.
Prese un frustino corto e molto sottile. Poi con un gesto da autentica sadica, mi fermò il cazzo scappellato con la mano sinistra e con la destra iniziò a frustare la mia cappella scoperta. Il primo colpo mi causò un dolore indescrivibile, come una scossa elettrica che arriva dritta al cervello. Ma non fu l’ultimo. La tortura continuò, un colpo dopo l’altro, conducendomi in luoghi, o meglio in stati mentali, che è impossibile descrivere. Persi subito il conto dei colpi che mi inferse, ma furono almeno dieci, e forse anche di più. Di certo, quando smise, la mia cappella era solcata da striature rosso scuro.
Poi posò il frustino, tolse di nuovo la camicia da notte e montò su di me, ancora legato al lettino e imbavagliato dalla ball-gag. Posizionò il mio cazzo proprio sotto di sé e si mise a montarmi a smorza-candela, prima cautamente, poi con passione quasi violenta. Avrei dovuto essere al settimo cielo. Finalmente il mio cazzo era nella sua fica e, in più, le sue tettone mi ballavano davanti. Ma la situazione non era così semplice. I lati del mio cazzo, a contatto con le pareti vaginali di lei, mi trasmettevano piacere, e il mio cervello era a mille per quello che stava accadendo, però per la mia cappella duramente tormentata ogni contatto era un incubo! E così, ogni volta che aumentava il piacere, s’intensificava anche il dolore. Un dolore insopportabile. Quella tortura durò a lungo, finché la mia padrona non venne urlando di un piacere venato d’intenso sadismo.
Io, invece, a causa del dolore, non ero riuscito a venire, e il mio cazzo continuava a rimanere fermo, teso e dolorante. Lei smontò da me e mi disse sorridendo: «Che c’è? Con tutto il desiderio che hai addosso, ora si scopre che sei anche impotente? Allora ho fatto bene a trattarti da schiavo fin dall’inizio. Tanto oltre il servire e l’obbedire non puoi proprio andare, e anche su quello sei tutt’altro che impeccabile…Comunque, impotente e inutile come sei, per oggi hai perso la tua occasione di venire. Ora ti slego, ti fai una doccia e mi fai le pulizie di casa. Tanto oggi è sabato e non dobbiamo andare in ufficio. Poi, più tardi, io uscirò con le amiche e tu te ne andrai buono buono nella tua stanzetta, sempre disponibile per le mie richieste, se ce ne saranno.». (continua)
AVVERTENZA: Ogni riferimento a cose, persone o fatti realmente accaduti è puramente casuale. Ci scusiamo, in ogni caso, con gli interessati per eventuali, seppur casuali, somiglianze e omonimie.
La mattina fui svegliato dalla luce che filtrava dalla finestra posta al culmine del mio tugurio, che non era dotata né di tende né di imposte. Andai nel bagno là accanto per le mie esigenze e poi mi distesi nuovamente, cercando di dimenticare dove fossi. Ma non durò molto. Infatti dopo un po’ entrò nella stanza la mia padrona, spalancando la porta senza bussare. Indossava una camicia da notte leggera, semitrasparente, e sotto di essa solo le mutandine. La sua splendida quinta naturale, libera da impacci, tendeva la camicia, che, nel punto giusto, assumeva la forma dei suoi grandi capezzoli.
Non mi rivolse neanche il minimo accenno di saluto, solo mi ordinò di alzarmi e seguirla. Lo feci, nudo come un verme, considerato che non mi era stato detto di vestirmi. Percorremmo la scala interna che dal seminterrato portava al piano principale. Da lì andammo nel bagno ‘rosa’ che già conoscevo dal giorno prima. Ma la padrona non si sedette sul water, come aveva fatto il giorno precedente. Al contrario, rimase in piedi. Mi ordinò di entrare nella grande vasca a idromassaggio, che era completamente vuota, e di sdraiarmi sul fondo. Eseguii, senza avere la più pallida idea di cosa avesse in mente. Poi Barbara si sfilò con noncuranza la camicia da notte e le mutandine. Lentamente, con indolenza, come se non la stesse guardando nessuno. Il suo corpo era proporzionato ed eccitante, con le tette grandissime e sode, i fianchi larghi, l’abbronzatura dorata e non eccessiva; inoltre aveva un’autorevolezza e un carisma che non avevo mai trovato in nessuna delle mie coetanee.
Iniziai immediatamente a eccitarmi, ma lei non diede segno di interessarsi alla cosa. Piuttosto entrò nella vasca, in piedi sopra di me sdraiato, e con tono sicuro, mi disse: «Mi sono appena alzata, e per venire a chiamare te, schiavo, non sono neppure passata dal bagno. Così ora ho un gran bisogno di pisciare e ho deciso che, visto che hai l’onore di vivere in casa mia, sarà la tua bocca a farmi da toilette. Ora mi accovaccerò su di te, tu aprirai la bocca e inizierai a bere tutto quello che uscirà dalle mie labbra…Ma fai attenzione: si tratta di nettare prezioso, quindi non dovrai farne cadere neppure una goccia! Sono stata chiara?». Dentro di me ero sconvolto: già il giorno prima il solo leccare qualche goccia di urina rimasta incastrata tra i peli della sua fica era stata una dura prova per me. E ora? Come avrei fatto a soddisfare una pretesa così estrema e a ingoiare tutto senza fiatare?
In ogni caso, le dissi subito di sì, per evitare guai peggiori. Allora lei si accovacciò, con la fica sulla mia bocca, fissandomi con un sottile sguardo canzonatorio, godendo quasi fisicamente della mia imminente umiliazione. Quindi, mentre con la mano destra mi teneva ferma la testa, con l’indice e il medio della mano sinistra si aprì le piccole labbra e si scoprì l’orifizio uretrale, da cui cominciò a sgorgare un fiotto sottile. Cominciai a bere e ingoiare, con l’odore di piscio che mi riempiva le narici. Ma era solo l’inizio, infatti la padrona, da vera stronza qual era, all’improvviso e senza dire nulla, cambiò l’intensità del getto mettendosi a pisciare a pieno cannaggio. Io, che già mi stavo impegnando per fare tutto ‘per bene’, come mi era stato richiesto, rimasi spiazzato, e l’urina mi colò ovunque, sulla faccia e sul mento, poiché mi era impossibile berla tutta in così poco tempo. Il tutto durò pochi secondi. Poi il getto si assottigliò e, infine, si spense. Credevo di aver fatto il mio dovere e che lei ne fosse soddisfatta. Invece appena ebbe finito mi disse, gelida: «Che cazzo hai fatto, imbecille?», e mi mollò un pesante schiaffo, poi soggiunse: «Sei cretino o incapace? Non ti avevo detto di berla tutta?! Ora vedrai che bella punizione ti sei meritato…Intanto asciugati la faccia e fammi il bidet con la lingua, ché odio rimanere sporca!».
Provvidi a farle il ‘bidet’, come richiesto, il che mi procurò una grossa erezione; poi lei mi ordinò di alzarmi, si rimise la camicia da notte (ma non le mutandine) e mi riportò nel seminterrato. Lì, accanto alla porta della mia stanzetta e a quella del piccolo bagno, c’era una terza porta chiusa a chiave. La aprì e mi diede accesso a una stanza grande, che come le altre del seminterrato prendeva luce solo dall’alto e che conteneva un’intera collezione di arnesi e accessori sadomaso. Fruste di ogni tipo, manette e strumenti che, in gran parte, mi erano ignoti. Mi portò dentro e mi fece sdraiare a novanta gradi su una cavallina di quelle per la ginnastica, con il culo all’aria e le braccia assicurate alle gambe dell’attrezzo ginnico tramite delle manette. Quindi prese in mano qualcosa che assomigliava a una racchetta da ping pong, ma molto più grande, e mi disse: «Ora avrai la tua punizione per aver sprecato il mio nettare sublime. Ti è consentito gemere un po’, ma non gridare, e dovrai contare ad alta voce i colpi che riceverai. Sono stata chiara?». E io, terrorizzato: «Certo, padrona!». Quindi arrivarono i primi colpi. Erano colpi forti, decisi, che mi cadevano dritti sul culo senza pietà e che ero costretto a contare uno per uno, anziché gridare e implorarla di smettere come avrei voluto. Uno…due…tre…quattro…intanto il mio cazzo, sempre duro, era premuto tra il mio corpo e la cavallina, e mi sarei accontentato di fottermi quell’arnese senz’anima da quanto l’uccello mi tirava, se non avessi temuto una nuova punizione.
Alla fine, dopo quindici colpi, Barbara smise di infierire e mi slegò. Ma il peggio doveva ancora venire. Mi fece sdraiare su un lettino di contenzione, con le braccia e le gambe bloccate da cinture; le braccia lungo il corpo e le gambe aperte. Quella posizione mi costringeva a poggiare buona parte del peso del mio corpo sul culo, enfatizzando il dolore per la punizione appena subìta. Inoltre, sdraiato e legato com’ero, la mia erezione era fin troppo evidente! Mi fece anche indossare una ball-gag, affinché non potessi articolar parola né gridare liberamente. Poi si avvicinò con la mano al mio membro, e lo scappellò con attenzione. Una parte di me, certamente la più ingenua, sperava che Barbara stesse per iniziare a darmi piacere, ma non fu così.
Prese un frustino corto e molto sottile. Poi con un gesto da autentica sadica, mi fermò il cazzo scappellato con la mano sinistra e con la destra iniziò a frustare la mia cappella scoperta. Il primo colpo mi causò un dolore indescrivibile, come una scossa elettrica che arriva dritta al cervello. Ma non fu l’ultimo. La tortura continuò, un colpo dopo l’altro, conducendomi in luoghi, o meglio in stati mentali, che è impossibile descrivere. Persi subito il conto dei colpi che mi inferse, ma furono almeno dieci, e forse anche di più. Di certo, quando smise, la mia cappella era solcata da striature rosso scuro.
Poi posò il frustino, tolse di nuovo la camicia da notte e montò su di me, ancora legato al lettino e imbavagliato dalla ball-gag. Posizionò il mio cazzo proprio sotto di sé e si mise a montarmi a smorza-candela, prima cautamente, poi con passione quasi violenta. Avrei dovuto essere al settimo cielo. Finalmente il mio cazzo era nella sua fica e, in più, le sue tettone mi ballavano davanti. Ma la situazione non era così semplice. I lati del mio cazzo, a contatto con le pareti vaginali di lei, mi trasmettevano piacere, e il mio cervello era a mille per quello che stava accadendo, però per la mia cappella duramente tormentata ogni contatto era un incubo! E così, ogni volta che aumentava il piacere, s’intensificava anche il dolore. Un dolore insopportabile. Quella tortura durò a lungo, finché la mia padrona non venne urlando di un piacere venato d’intenso sadismo.
Io, invece, a causa del dolore, non ero riuscito a venire, e il mio cazzo continuava a rimanere fermo, teso e dolorante. Lei smontò da me e mi disse sorridendo: «Che c’è? Con tutto il desiderio che hai addosso, ora si scopre che sei anche impotente? Allora ho fatto bene a trattarti da schiavo fin dall’inizio. Tanto oltre il servire e l’obbedire non puoi proprio andare, e anche su quello sei tutt’altro che impeccabile…Comunque, impotente e inutile come sei, per oggi hai perso la tua occasione di venire. Ora ti slego, ti fai una doccia e mi fai le pulizie di casa. Tanto oggi è sabato e non dobbiamo andare in ufficio. Poi, più tardi, io uscirò con le amiche e tu te ne andrai buono buono nella tua stanzetta, sempre disponibile per le mie richieste, se ce ne saranno.». (continua)
AVVERTENZA: Ogni riferimento a cose, persone o fatti realmente accaduti è puramente casuale. Ci scusiamo, in ogni caso, con gli interessati per eventuali, seppur casuali, somiglianze e omonimie.
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