La signora S
di
Scribacchina_per_caso
genere
saffico
Ero lì impacciata nel lindo bagno del bar a guardar la mia immagine riflessa. I miei occhi verdi, contornati solo da una linea sottile di matita e una pennellata di mascara gridavano “ fallo” alla me riflessa, ma le mani non volevano saperne di muoversi. Intanto la Signora S. era di là bella comoda, appollaiata sul divanetto del nostro tavolo a godersi la musica.
“ oh andiamo puoi farcela” così slacciai il bottone dei jeans e li tirai giù fino alle caviglie. Cercando di tenermi in equilibrio su una gamba sola, liberai l’altra dal tessuto. Abbassai le mutandine, sentivo le guance andare a fuoco per quello che di lì a poco avrei fatto. Rinfilai la gamba nuda nella scarpa per evitare di appoggiare il piede a terra e sfilai gli slip direttamente dalla gamba ancora vestita. Lo feci nello stesso modo in cui mia nonna mi cambiava da piccola quando mi facevo la pipì addosso e cercava di spogliarmi il meno possibile per non farmi prender freddo.
Rinfilai i pantaloni con non poca difficoltà, evitando sempre di appoggiare a terra e allacciai il bottone. Il tessuto sulle natiche nude era ruvido, ma mi restituiva una sensazione di libertà, mi faceva sentire una spudorata.
Strinsi le mutandine nel palmo della mano e mi avviai verso l’uscita quatta come una ladra, speravo di non scontrarmi con qualcuno che mi beccasse con le mutandine in mano.
Spalancai la porta che dava sulla sala e raggiunsi con lo sguardo il nostro tavolo. Lei era lì con i capelli dello stesso colore del cocktail al mandarino che sorseggiava, anche se di spalle conoscevo a memoria ogni sua curva, avevo personalmente baciato e leccato ogni centimetro del suo corpo, davvero troppe volte, avrei potuto tranquillamente indicare il posto preciso di ogni neo sulla sua pelle candida. L’attrazione che provavo per lei e la voglia di toccarla scatenarono la passione e la voglia di averla nel perimetro delle mie braccia il più presto possibile. La lussuria fu la spinta finale che mi portò verso l’intrapendenza. A passo deciso attraversai la sala diretta a quel divanetto e con le braccia le cinsi le spalle da dietro. Lei sobbalzò.
« Non muoverti» le intimai « fai come se non niente fosse». Si rilassò all’istante.
Feci scorrere il naso sul suo collo.
« Hai un così buon profumo» le sussurrai all’orecchio piano mentre con la mano ricolma del mio tesoro raggiungevo la sua scollatura. La signora S ignara del mio intento cominciò ad ansimare languida, cominciai ad aver paura che attirasse l’attenzione dei presenti su di noi.
« Smettila, fai l’indifferente!».
E infilai le mie mutandine giù nell’incavo dei seni ben nascoste da occhi indiscreti. Continuavo a lasciarle piccoli baci sul suo collo, la giugulare pulsava placida, e io desiderai sempre più di poter diventare un vampiro per penetrare le sue carni e assaggiare il suo sapore. D’improvviso si alzò di scatto e prese la sua giacca appoggiata allo schienale della sedia.
« Andiamo» mi fece cenno con la mano, passai attorno al divanetto e la raggiunsi quasi indecisa. Lei mi cinse le spalle e ci avviammo entrambe verso l’uscita. Lei con le mie mutandine nel reggiseno, e io con la consapevolezza di quello che sarebbe accaduto di li a poco nella nostra camera d’albergo.
“ oh andiamo puoi farcela” così slacciai il bottone dei jeans e li tirai giù fino alle caviglie. Cercando di tenermi in equilibrio su una gamba sola, liberai l’altra dal tessuto. Abbassai le mutandine, sentivo le guance andare a fuoco per quello che di lì a poco avrei fatto. Rinfilai la gamba nuda nella scarpa per evitare di appoggiare il piede a terra e sfilai gli slip direttamente dalla gamba ancora vestita. Lo feci nello stesso modo in cui mia nonna mi cambiava da piccola quando mi facevo la pipì addosso e cercava di spogliarmi il meno possibile per non farmi prender freddo.
Rinfilai i pantaloni con non poca difficoltà, evitando sempre di appoggiare a terra e allacciai il bottone. Il tessuto sulle natiche nude era ruvido, ma mi restituiva una sensazione di libertà, mi faceva sentire una spudorata.
Strinsi le mutandine nel palmo della mano e mi avviai verso l’uscita quatta come una ladra, speravo di non scontrarmi con qualcuno che mi beccasse con le mutandine in mano.
Spalancai la porta che dava sulla sala e raggiunsi con lo sguardo il nostro tavolo. Lei era lì con i capelli dello stesso colore del cocktail al mandarino che sorseggiava, anche se di spalle conoscevo a memoria ogni sua curva, avevo personalmente baciato e leccato ogni centimetro del suo corpo, davvero troppe volte, avrei potuto tranquillamente indicare il posto preciso di ogni neo sulla sua pelle candida. L’attrazione che provavo per lei e la voglia di toccarla scatenarono la passione e la voglia di averla nel perimetro delle mie braccia il più presto possibile. La lussuria fu la spinta finale che mi portò verso l’intrapendenza. A passo deciso attraversai la sala diretta a quel divanetto e con le braccia le cinsi le spalle da dietro. Lei sobbalzò.
« Non muoverti» le intimai « fai come se non niente fosse». Si rilassò all’istante.
Feci scorrere il naso sul suo collo.
« Hai un così buon profumo» le sussurrai all’orecchio piano mentre con la mano ricolma del mio tesoro raggiungevo la sua scollatura. La signora S ignara del mio intento cominciò ad ansimare languida, cominciai ad aver paura che attirasse l’attenzione dei presenti su di noi.
« Smettila, fai l’indifferente!».
E infilai le mie mutandine giù nell’incavo dei seni ben nascoste da occhi indiscreti. Continuavo a lasciarle piccoli baci sul suo collo, la giugulare pulsava placida, e io desiderai sempre più di poter diventare un vampiro per penetrare le sue carni e assaggiare il suo sapore. D’improvviso si alzò di scatto e prese la sua giacca appoggiata allo schienale della sedia.
« Andiamo» mi fece cenno con la mano, passai attorno al divanetto e la raggiunsi quasi indecisa. Lei mi cinse le spalle e ci avviammo entrambe verso l’uscita. Lei con le mie mutandine nel reggiseno, e io con la consapevolezza di quello che sarebbe accaduto di li a poco nella nostra camera d’albergo.
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