Happy Days
di
Scribacchina_per_caso
genere
etero
Ciao cari amici di Er., mi spiace dovervi dire che non potrò rispondere ai vostri commenti sotto il racconto. Il sito mi spamma ogni commento in modo totalizzante e senza pietà alcuna. Lascio a tutti voi un cuore simbolico ❤️ in risposta a chi commenterà. Spero di riuscire presto a lasciare di nuovo le mie risposte. Vi abbraccio @scribacchina_per_caso.
Come ogni mattina mentre sono intenta a lucidare la mia targhetta nuova di zecca, mi crogiolo a osservare quel palazzo in costruzione fuori dalla finestra del mio ufficio.
I rumori dei trapani e di altri attrezzi infernali stanno rischiando di farmi uscire di testa. Le mie ripetute emicranie, che non mi danno tregua da giorni ne sono la prova. Ammetto però che osservare quei ragazzoni muscolosi e sudati, con i bicipiti più grandi della mie cosce, che spesso lavorano a petto nudo con la pelle che per l’esposizione al sole ha preso il caratteristico colore dello zucchero di canna, mi ha intrattenuto per ben più di un pomeriggio di noioso lavoro e anche qualche notte nel mio freddo letto.
Persa nei miei pensieri e fissa sui loro glutei sodi focalizzo, ormai troppo tardi, uno di loro intento a mandarmi bacini. E lo fa con passione, appoggiando le labbra carnose e scure al palmo della mano e poi soffiando su di esso nella mia direzione. Mi sento avvampare, sono stata colta in fallo, nel pieno delle mie fantasie lussuriose.
“Che figura!” penso girando repentinamente la testa davanti a me così veloce che quasi non rischio il colpo di frusta. Meglio concentrarsi di nuovo su quello che stavo facendo. Si, ma che stavo facendo? Ah, sì. La targhetta, ricomincio così con la mia pulizia maniacale, che adempio almeno cinque volte al giorno. Ho lavorato tanto per meritarmela. Selvaggia Masticoppi, capo esecutivo generale della Xonalin, una delle aziende più importanti nel campo farmaceutico. La quale è appena stata pizzicata mentre faceva la guardona a dei muratori che stavano svolgendo il loro lavoro, quasi nudi.
Nel pieno delle mio monologo interiore sento un leggero bussare alla porta.
« Avanti» dico sistemandomi sulla sedia e cercando di tirare fuori tutta la professionalità che mi riesce, sono già chi è, ma tenerlo sulle spine mi lascia sempre un sapore dolcissimo lungo il palato.
Dalla porta scorgo i miei occhialetti preferiti indossati dalla persona che più adoro al mondo.
« Buongiorno capo!» dice tutto allegro e ai lati della bocca compaiono le sue caratteristiche rughette d’espressione. Come tutte le mattine ha in mano un bicchiere con del cappuccino fumante e un cornetto alla crema, che mi porge con un sorriso.
« Ho sistemato tutte quelle pratiche sui brevetti, che ieri sera hai lasciato alla rinfusa sulla mia scrivania» e butta giù un sorso del suo latte macchiato come se avesse appena detto di aver avviato la macchina per venire a lavoro.
« Scusami tanto Corrado» dico mortificata, non è un segreto in ufficio che io sia una gran disordinata. Il mio segretario fa un lavoro egregio, non troverei mai nessun documento se lui non si occupasse di sistemare e archiviare i vari fogli che lascio in giro.
Alzo lo sguardo e trovo i suoi occhi color nocciola che mi fissano e il suo sorrisetto maligno che increspa le labbra.
« Conosco un modo molto divertente con cui potresti farti perdonare…» ridacchia leggermente.
« Abbassa la voce!» lo imploro, non voglio che i nostri colleghi sappiano che tra me e lui ci siano ben altro tipo di riunioni, che si concludono spesso nella mia camera da letto.
« Senti…» fa lui accogliendo la mia supplica « Dopo pranzo avrei bisogno di uscire un po’ prima, devo andare dal parrucchiere» dice facendo una pila con alcuni fogli messi alla rinfusa sulla mia scrivania.
« Quelli sono da catalogare e archiviare».
« Selv…» dice « Sta sera mi vedo con una, devo farmi bello capisci?»
« Che donna fortunata!» alludo sbattendo le mie folte ciglia come farebbe un colibrì con le sue ali.
« Stavo pensando… di fare un ciuffo davanti alla Fonzie!» e mima la pettinatura con le mani « Che ne pensi?»
« Posso essere la tua Joanie?» Ridacchio come un’adolescente, ormai il cervello non ragiona più, ha lasciato il posto al comandante in seconda, la mia vagina, che mi fa parlare a sproposito solo perché vuole saziare l’appetito che il mio bel quattrocchi le sta facendo venire.
« Non mi risulta che loro siano mai stati insieme» fa grattandosi leggermente il mento con la destra, quanto mi eccita quando fa il puntiglioso.
« Si, ma almeno posso farti gli occhi dolci» e senza smettere di battere i miei occhioni, accavallo le mie lunghe gambe nude fasciate da una gonna color cachi. Sento quasi il suo cuore che inizia ad accelerare, e il rumore della patta che si gonfia mentre osserva rapito tutto il movimento.
“Chissà se sapesse che sotto non indosso le mutandine”
« Va bene signor Gazza» accordo girando repentina la sedia verso lo schermo, non degnandolo più di uno sguardo «Ha il mio permesso di uscire prima da lavoro» meglio lo congeda prima che la stanza diventi rovente. Ho già detto che adoro tenerlo sulle spine?
Senza che arrivi una risposta, la porta si chiude in un click e rimango di nuovo sola, con il rumore del cantiere fuori dalla finestra.
La giornata prosegue abbastanza veloce, mi barcameno tra rapporti di analisi dei rischi e definizioni degli obiettivi di performance, sollazzandomi di tanto in tanto, tra il ricordo degli addominali scolpiti del mio Corrado, e la vista dei dorsali nudi dei muratori.
Quando finalmente la stanca lancetta dell’orologio raggiunge il puntino delle sei, afferro il giubbotto e filo via silenziosa, nel corridoio deserto. Cammino quasi in punta di piedi, non vorrei che i miei tacchi facciano rumore e che i guai sentendo i miei passi, decidano di raggiungermi proprio mentre sto per andarmene a casa. Di colpo mi ritrovo a pensare che Corrado mi aveva detto che sarebbe uscito con una ragazza stasera, un moto di gelosia prende a morsi il mio stomaco. Ho deciso io che questa relazione doveva rimanere clandestina e che tra noi non ci sarebbe stato altro che del focoso e appagante sesso. Ma sbattermi la cosa in faccia così… “ Che stronzo!” E sbuffo. Sono arrabbiata come un nuora, quando la suocera mette mano al cassetto delle sue mutandine.
Scendo con prudenza le scalinate esterne del palazzo, non vorrei cadere proprio qui davanti tutti quei i muratori che continuano a lavorare imperterriti anche se il sole sta iniziando a calare.
« Joanie…» sento una voce conosciuta chiamare ad alta voce.
Alzo lo sguardo e rimango a bocca aperta. È Corrado, vestito col il tipico abbigliamento anni ’80 degno del famoso attore. Canotta bianca, giacca di pelle nera con sotto dei blu Jeans svasati e stivaletti di finta pelle, neri anch’essi, con la punta storta. È pure pettinato allo stesso modo.
In sella a una Harley Davidson nera fiammante che romba ruggente e sputacchia fumo denso dalla marmitta arrugginita, è proprio un gran figo.
« Tu sei pazzo!» esclamo sconvolta, ma non riesco a fare a meno di trattenere un sincero sorriso. Nell’esplodere della mia felicità un ricciolo mi cade davanti gli occhi e prontamente viene rimesso al suo posto. Allora quella fantomatica ragazza altri non è, se non io! Mio bel Corrado! Sospiro sognante.
« Le vie del Fonzie sono infinite!» esclama tirando leggermente la leva dell’acceleratore facendo gracchiare il motore della moto « Dai Sali!» e con la testa accenna al posto vuoto dietro di lui.
Sto quasi per salire, ma tentenno. È una pazzia. La gonna è troppo corta per salire in moto come un centauro, sono senza le mutandine che insieme ai tacchi vertiginosi, formano il perfetto outfit da battona d’alto borgo. Se ci vedesse qualcuno? Se ci vedessero i nostri colleghi? Mi prenderebbero ancora sul serio?
Sto già pensando di rinunciare e accampare una scusa per scaricarlo. Tornerò a casa, da sola, guarderò qualche programma trash mangiando un toast sul divano e bevendo coca-cola direttamente dalla bottiglia.
Alzo lo sguardo e mi fa di nuovo quel sorrisetto malizioso che nel nostro linguaggio segreto vuol dire molte cose, prima delle quali, che desidera tanto che io salga su quella fottuta moto.
“ Al diavolo!” salgo in sella senza pensarci un momento di più, la pelle fredda entra in contatto con la mia che al contrario brucia. Un brivido di freddo percorre la mia schiena, afferro con non-chalance il casco che il mio centauro mi sta porgendo e lo infilo con calma facendo attenzione a non schiacciare troppo la mia chioma.
Fonzie accelera lasciandomi appena il tempo per aggrapparmi stretta al suo ventre. Voliamo sulla statale con l’aria fresca che s’insinua nel mio casco, e che mi fa bruciare gli occhi, tanto da costringermi a socchiuderli per cercare di avere un po’ di sollievo al fastidio. Per mia fortuna Corrado procede piuttosto adagio, così da permettermi di tenerli aperti quel poco che basta per godermi il panorama. La strada è delimitata a desta e sinistra da piante colorate dalle più belle sfumature della palette dei verdi e dei marroni. Il cielo sopra di noi è azzurrissimo con poche nuvole che sembrano leggeri batuffoli di cotone. Il sole risplende felice in cielo, quasi sorridente. Riflette a pieno il mio attuale umore, sono appena tornata bambina mentre abbracciata a mio padre facevamo quelle gite fuori porta la domenica mattina.
Proseguiamo lungo la strada su una ripida salita che porta su un’altura. Una volta arrivati in cima scopro un’immensa terrazza panoramica, dove non sono mai stata. Da qui si vede tutta la mia amata città, anche se mio malgrado, i suoi rumori molesti si percepiscono fin quassù. Corrado si ferma proprio davanti alla balconata, spegne il motore girando delicato la chiave e con uno scatto della punta dello stivaletto abbassa il cavalletto. Scendo dalla moto e mi perdo per alcuni minuti a contemplare il panorama. È pazzesco come io possa avvertire in lontananza clacson degli automobilisti maleducati e contemporaneamente il canto degli uccellini che nidificano sulle piante.
Ancora persa a contemplare lo splendore di questo posto, sento un leggero bussare alla mia spalla. Mi giro nel pieno del mio paradisiaco stato d’animo e incontro lo sguardo del mio segretario preferito, che mi porge un flûte, ricolmo di bollicine liquide.
«Dove lo tenevi?»
«Sulle donne qualcuno ne sa più di Fonzie?» dice strizzando l’occhietto impertinente e porgendomi il suo.
I bicchieri cozzano tra loro con un tintinnio chiaro che risuona su tutta la vallata quasi come il battito del mio cuore. Beviamo pigramente appoggiati alla moto. Sembriamo una coppia di adolescenti che s’imboscano nei parchetti per a farsi le coccole.
«Ti vedo stanca…» fa dopo un bel sorso.
«Sì, perché qui…» e ammicco verso di lui «Mentre io lavoro, qualcuno se ne va con una scusa e sparisce per tutto il pomeriggio». Bevo a mia volta, forse un po’ troppo veloce perché una goccia scivola giù lungo le mie labbra. Mi aspettavo ribattesse alla provocazione con una battutina tagliente, invece tiene lo sguardo fisso su quella goccia. Alza un braccio e col pollice la tira via. Porta il dito alle sue labbra sottili e lo succhia guardandomi con quello sguardo intenso color nocciola che quasi mi fa svenire. Non ce la faccio più, e in un moto di follia lo afferro per il bavero della canottiera e lo tiro a me per baciarlo. Le nostre labbra si toccano di schianto, governate solo dalla fame e dalla voglia di saziarci uno dell’altra. Le lingue s’incrociano in una danza goduriosa, uno stupendo passo a due che m’infiamma fin dentro le viscere. Quasi non mi accorgo, che nell’irruenza del mio gesto, il colletto della canottiera si è leggermente lacerato.
«Come sei irruenta» mi sbeffeggia cingendomi per i fianchi. Senza proferire parola, in un sol gesto sfilo via in modo poco gentile il giubbetto che viene lanciato qualche metro più là e afferro i lembi rotti della canotta. In un solo, repentino strattone, strappo tutto, aprendo uno squarcio che lascia libero il suo ventre piatto e l’elastico scuro dei suoi slip.
«Ora sono irruenta» e lancio a sua volta la canotta nella stessa direzione del giubbetto. Ormai potrebbe essere usata solo per spolverare i mobili. Continuo a guardargli le labbra senza distogliere lo sguardo. Lo bramo, lo desidero, lo voglio; ora e subito.
Lecco con la punta della lingua il suo labbro inferiore appoggiando leggermente le mani sui suoi fianchi per tirarlo più vicino a me. Lui aderisce di colpo senza chiedere il permesso con una repentinità feroce. Quando sento il suo turgore attraverso i jeans che mi sfiora la coscia non posso fare a meno di sciogliermi di piacere liquido. Un singulto soffocato dal morso dei suoi denti fuoriesce senza ostacoli.
Mi solleva delicato fin sopra la sella stringendo i miei glutei con mani salde mentre s’incastra nel triangolo delle mie gambe in modo perfetto come se stesse componendo un puzzle. La gonna inevitabilmente si alza fin sopra la linea del mio inguine lasciando scoperta la sottile strisciolina del mio cespuglio ben curato. Corrado, che è troppo preso dai nostri baci appassionati se ne accorge solo quando allunga molesto una mano, scopre così l’assenza del mio intimo. Geme senza ritegno quasi ulula e con frenesia slaccia la patta e scivola in me in un colpo, come se fosse stato avvelenato e il suo antidoto fosse immerso nella mia intimità e dovesse raggiungerlo il più in fretta possibile. Friziona senza pudore, le sue dimensioni generose mi riempiono in un modo che potrebbero far impazzire di piacere chiunque, muove il bacino andando avanti e indietro a velocità folle. Mi sento pervadere da un calore sanguigno che parte dal mio intimo fino a raggiungere il mio cervello come se ci fosse una presa diretta tra le due parti del mio corpo, una sorta di autostrada del piacere. Mi sento vivere e morire allo stesso tempo.
«Sei un animale» urlo tra una spinta e l’altra.
«Il tuo animale» puntualizza sigillando quanto detto con un bacio dolce, lento.
Raggiungiamo l’apice del piacere insieme, io aggrappata ai suoi capelli e lui ansimante col viso poggiato sul mio seno, su quell’altura con i rumori della città alle nostre spalle, donandoci baci intensi.
Baci che sanno d’amore. Baci che sanno di casa. La mia casa.
Come ogni mattina mentre sono intenta a lucidare la mia targhetta nuova di zecca, mi crogiolo a osservare quel palazzo in costruzione fuori dalla finestra del mio ufficio.
I rumori dei trapani e di altri attrezzi infernali stanno rischiando di farmi uscire di testa. Le mie ripetute emicranie, che non mi danno tregua da giorni ne sono la prova. Ammetto però che osservare quei ragazzoni muscolosi e sudati, con i bicipiti più grandi della mie cosce, che spesso lavorano a petto nudo con la pelle che per l’esposizione al sole ha preso il caratteristico colore dello zucchero di canna, mi ha intrattenuto per ben più di un pomeriggio di noioso lavoro e anche qualche notte nel mio freddo letto.
Persa nei miei pensieri e fissa sui loro glutei sodi focalizzo, ormai troppo tardi, uno di loro intento a mandarmi bacini. E lo fa con passione, appoggiando le labbra carnose e scure al palmo della mano e poi soffiando su di esso nella mia direzione. Mi sento avvampare, sono stata colta in fallo, nel pieno delle mie fantasie lussuriose.
“Che figura!” penso girando repentinamente la testa davanti a me così veloce che quasi non rischio il colpo di frusta. Meglio concentrarsi di nuovo su quello che stavo facendo. Si, ma che stavo facendo? Ah, sì. La targhetta, ricomincio così con la mia pulizia maniacale, che adempio almeno cinque volte al giorno. Ho lavorato tanto per meritarmela. Selvaggia Masticoppi, capo esecutivo generale della Xonalin, una delle aziende più importanti nel campo farmaceutico. La quale è appena stata pizzicata mentre faceva la guardona a dei muratori che stavano svolgendo il loro lavoro, quasi nudi.
Nel pieno delle mio monologo interiore sento un leggero bussare alla porta.
« Avanti» dico sistemandomi sulla sedia e cercando di tirare fuori tutta la professionalità che mi riesce, sono già chi è, ma tenerlo sulle spine mi lascia sempre un sapore dolcissimo lungo il palato.
Dalla porta scorgo i miei occhialetti preferiti indossati dalla persona che più adoro al mondo.
« Buongiorno capo!» dice tutto allegro e ai lati della bocca compaiono le sue caratteristiche rughette d’espressione. Come tutte le mattine ha in mano un bicchiere con del cappuccino fumante e un cornetto alla crema, che mi porge con un sorriso.
« Ho sistemato tutte quelle pratiche sui brevetti, che ieri sera hai lasciato alla rinfusa sulla mia scrivania» e butta giù un sorso del suo latte macchiato come se avesse appena detto di aver avviato la macchina per venire a lavoro.
« Scusami tanto Corrado» dico mortificata, non è un segreto in ufficio che io sia una gran disordinata. Il mio segretario fa un lavoro egregio, non troverei mai nessun documento se lui non si occupasse di sistemare e archiviare i vari fogli che lascio in giro.
Alzo lo sguardo e trovo i suoi occhi color nocciola che mi fissano e il suo sorrisetto maligno che increspa le labbra.
« Conosco un modo molto divertente con cui potresti farti perdonare…» ridacchia leggermente.
« Abbassa la voce!» lo imploro, non voglio che i nostri colleghi sappiano che tra me e lui ci siano ben altro tipo di riunioni, che si concludono spesso nella mia camera da letto.
« Senti…» fa lui accogliendo la mia supplica « Dopo pranzo avrei bisogno di uscire un po’ prima, devo andare dal parrucchiere» dice facendo una pila con alcuni fogli messi alla rinfusa sulla mia scrivania.
« Quelli sono da catalogare e archiviare».
« Selv…» dice « Sta sera mi vedo con una, devo farmi bello capisci?»
« Che donna fortunata!» alludo sbattendo le mie folte ciglia come farebbe un colibrì con le sue ali.
« Stavo pensando… di fare un ciuffo davanti alla Fonzie!» e mima la pettinatura con le mani « Che ne pensi?»
« Posso essere la tua Joanie?» Ridacchio come un’adolescente, ormai il cervello non ragiona più, ha lasciato il posto al comandante in seconda, la mia vagina, che mi fa parlare a sproposito solo perché vuole saziare l’appetito che il mio bel quattrocchi le sta facendo venire.
« Non mi risulta che loro siano mai stati insieme» fa grattandosi leggermente il mento con la destra, quanto mi eccita quando fa il puntiglioso.
« Si, ma almeno posso farti gli occhi dolci» e senza smettere di battere i miei occhioni, accavallo le mie lunghe gambe nude fasciate da una gonna color cachi. Sento quasi il suo cuore che inizia ad accelerare, e il rumore della patta che si gonfia mentre osserva rapito tutto il movimento.
“Chissà se sapesse che sotto non indosso le mutandine”
« Va bene signor Gazza» accordo girando repentina la sedia verso lo schermo, non degnandolo più di uno sguardo «Ha il mio permesso di uscire prima da lavoro» meglio lo congeda prima che la stanza diventi rovente. Ho già detto che adoro tenerlo sulle spine?
Senza che arrivi una risposta, la porta si chiude in un click e rimango di nuovo sola, con il rumore del cantiere fuori dalla finestra.
La giornata prosegue abbastanza veloce, mi barcameno tra rapporti di analisi dei rischi e definizioni degli obiettivi di performance, sollazzandomi di tanto in tanto, tra il ricordo degli addominali scolpiti del mio Corrado, e la vista dei dorsali nudi dei muratori.
Quando finalmente la stanca lancetta dell’orologio raggiunge il puntino delle sei, afferro il giubbotto e filo via silenziosa, nel corridoio deserto. Cammino quasi in punta di piedi, non vorrei che i miei tacchi facciano rumore e che i guai sentendo i miei passi, decidano di raggiungermi proprio mentre sto per andarmene a casa. Di colpo mi ritrovo a pensare che Corrado mi aveva detto che sarebbe uscito con una ragazza stasera, un moto di gelosia prende a morsi il mio stomaco. Ho deciso io che questa relazione doveva rimanere clandestina e che tra noi non ci sarebbe stato altro che del focoso e appagante sesso. Ma sbattermi la cosa in faccia così… “ Che stronzo!” E sbuffo. Sono arrabbiata come un nuora, quando la suocera mette mano al cassetto delle sue mutandine.
Scendo con prudenza le scalinate esterne del palazzo, non vorrei cadere proprio qui davanti tutti quei i muratori che continuano a lavorare imperterriti anche se il sole sta iniziando a calare.
« Joanie…» sento una voce conosciuta chiamare ad alta voce.
Alzo lo sguardo e rimango a bocca aperta. È Corrado, vestito col il tipico abbigliamento anni ’80 degno del famoso attore. Canotta bianca, giacca di pelle nera con sotto dei blu Jeans svasati e stivaletti di finta pelle, neri anch’essi, con la punta storta. È pure pettinato allo stesso modo.
In sella a una Harley Davidson nera fiammante che romba ruggente e sputacchia fumo denso dalla marmitta arrugginita, è proprio un gran figo.
« Tu sei pazzo!» esclamo sconvolta, ma non riesco a fare a meno di trattenere un sincero sorriso. Nell’esplodere della mia felicità un ricciolo mi cade davanti gli occhi e prontamente viene rimesso al suo posto. Allora quella fantomatica ragazza altri non è, se non io! Mio bel Corrado! Sospiro sognante.
« Le vie del Fonzie sono infinite!» esclama tirando leggermente la leva dell’acceleratore facendo gracchiare il motore della moto « Dai Sali!» e con la testa accenna al posto vuoto dietro di lui.
Sto quasi per salire, ma tentenno. È una pazzia. La gonna è troppo corta per salire in moto come un centauro, sono senza le mutandine che insieme ai tacchi vertiginosi, formano il perfetto outfit da battona d’alto borgo. Se ci vedesse qualcuno? Se ci vedessero i nostri colleghi? Mi prenderebbero ancora sul serio?
Sto già pensando di rinunciare e accampare una scusa per scaricarlo. Tornerò a casa, da sola, guarderò qualche programma trash mangiando un toast sul divano e bevendo coca-cola direttamente dalla bottiglia.
Alzo lo sguardo e mi fa di nuovo quel sorrisetto malizioso che nel nostro linguaggio segreto vuol dire molte cose, prima delle quali, che desidera tanto che io salga su quella fottuta moto.
“ Al diavolo!” salgo in sella senza pensarci un momento di più, la pelle fredda entra in contatto con la mia che al contrario brucia. Un brivido di freddo percorre la mia schiena, afferro con non-chalance il casco che il mio centauro mi sta porgendo e lo infilo con calma facendo attenzione a non schiacciare troppo la mia chioma.
Fonzie accelera lasciandomi appena il tempo per aggrapparmi stretta al suo ventre. Voliamo sulla statale con l’aria fresca che s’insinua nel mio casco, e che mi fa bruciare gli occhi, tanto da costringermi a socchiuderli per cercare di avere un po’ di sollievo al fastidio. Per mia fortuna Corrado procede piuttosto adagio, così da permettermi di tenerli aperti quel poco che basta per godermi il panorama. La strada è delimitata a desta e sinistra da piante colorate dalle più belle sfumature della palette dei verdi e dei marroni. Il cielo sopra di noi è azzurrissimo con poche nuvole che sembrano leggeri batuffoli di cotone. Il sole risplende felice in cielo, quasi sorridente. Riflette a pieno il mio attuale umore, sono appena tornata bambina mentre abbracciata a mio padre facevamo quelle gite fuori porta la domenica mattina.
Proseguiamo lungo la strada su una ripida salita che porta su un’altura. Una volta arrivati in cima scopro un’immensa terrazza panoramica, dove non sono mai stata. Da qui si vede tutta la mia amata città, anche se mio malgrado, i suoi rumori molesti si percepiscono fin quassù. Corrado si ferma proprio davanti alla balconata, spegne il motore girando delicato la chiave e con uno scatto della punta dello stivaletto abbassa il cavalletto. Scendo dalla moto e mi perdo per alcuni minuti a contemplare il panorama. È pazzesco come io possa avvertire in lontananza clacson degli automobilisti maleducati e contemporaneamente il canto degli uccellini che nidificano sulle piante.
Ancora persa a contemplare lo splendore di questo posto, sento un leggero bussare alla mia spalla. Mi giro nel pieno del mio paradisiaco stato d’animo e incontro lo sguardo del mio segretario preferito, che mi porge un flûte, ricolmo di bollicine liquide.
«Dove lo tenevi?»
«Sulle donne qualcuno ne sa più di Fonzie?» dice strizzando l’occhietto impertinente e porgendomi il suo.
I bicchieri cozzano tra loro con un tintinnio chiaro che risuona su tutta la vallata quasi come il battito del mio cuore. Beviamo pigramente appoggiati alla moto. Sembriamo una coppia di adolescenti che s’imboscano nei parchetti per a farsi le coccole.
«Ti vedo stanca…» fa dopo un bel sorso.
«Sì, perché qui…» e ammicco verso di lui «Mentre io lavoro, qualcuno se ne va con una scusa e sparisce per tutto il pomeriggio». Bevo a mia volta, forse un po’ troppo veloce perché una goccia scivola giù lungo le mie labbra. Mi aspettavo ribattesse alla provocazione con una battutina tagliente, invece tiene lo sguardo fisso su quella goccia. Alza un braccio e col pollice la tira via. Porta il dito alle sue labbra sottili e lo succhia guardandomi con quello sguardo intenso color nocciola che quasi mi fa svenire. Non ce la faccio più, e in un moto di follia lo afferro per il bavero della canottiera e lo tiro a me per baciarlo. Le nostre labbra si toccano di schianto, governate solo dalla fame e dalla voglia di saziarci uno dell’altra. Le lingue s’incrociano in una danza goduriosa, uno stupendo passo a due che m’infiamma fin dentro le viscere. Quasi non mi accorgo, che nell’irruenza del mio gesto, il colletto della canottiera si è leggermente lacerato.
«Come sei irruenta» mi sbeffeggia cingendomi per i fianchi. Senza proferire parola, in un sol gesto sfilo via in modo poco gentile il giubbetto che viene lanciato qualche metro più là e afferro i lembi rotti della canotta. In un solo, repentino strattone, strappo tutto, aprendo uno squarcio che lascia libero il suo ventre piatto e l’elastico scuro dei suoi slip.
«Ora sono irruenta» e lancio a sua volta la canotta nella stessa direzione del giubbetto. Ormai potrebbe essere usata solo per spolverare i mobili. Continuo a guardargli le labbra senza distogliere lo sguardo. Lo bramo, lo desidero, lo voglio; ora e subito.
Lecco con la punta della lingua il suo labbro inferiore appoggiando leggermente le mani sui suoi fianchi per tirarlo più vicino a me. Lui aderisce di colpo senza chiedere il permesso con una repentinità feroce. Quando sento il suo turgore attraverso i jeans che mi sfiora la coscia non posso fare a meno di sciogliermi di piacere liquido. Un singulto soffocato dal morso dei suoi denti fuoriesce senza ostacoli.
Mi solleva delicato fin sopra la sella stringendo i miei glutei con mani salde mentre s’incastra nel triangolo delle mie gambe in modo perfetto come se stesse componendo un puzzle. La gonna inevitabilmente si alza fin sopra la linea del mio inguine lasciando scoperta la sottile strisciolina del mio cespuglio ben curato. Corrado, che è troppo preso dai nostri baci appassionati se ne accorge solo quando allunga molesto una mano, scopre così l’assenza del mio intimo. Geme senza ritegno quasi ulula e con frenesia slaccia la patta e scivola in me in un colpo, come se fosse stato avvelenato e il suo antidoto fosse immerso nella mia intimità e dovesse raggiungerlo il più in fretta possibile. Friziona senza pudore, le sue dimensioni generose mi riempiono in un modo che potrebbero far impazzire di piacere chiunque, muove il bacino andando avanti e indietro a velocità folle. Mi sento pervadere da un calore sanguigno che parte dal mio intimo fino a raggiungere il mio cervello come se ci fosse una presa diretta tra le due parti del mio corpo, una sorta di autostrada del piacere. Mi sento vivere e morire allo stesso tempo.
«Sei un animale» urlo tra una spinta e l’altra.
«Il tuo animale» puntualizza sigillando quanto detto con un bacio dolce, lento.
Raggiungiamo l’apice del piacere insieme, io aggrappata ai suoi capelli e lui ansimante col viso poggiato sul mio seno, su quell’altura con i rumori della città alle nostre spalle, donandoci baci intensi.
Baci che sanno d’amore. Baci che sanno di casa. La mia casa.
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