Mammadi periferia - quarto episodio
di
giorgina
genere
incesti
Dopo gli avvenimenti di questi ultimi giorni apparentemente tutto è come prima, mio figlio si rivolge a me nello stesso modo, si comporta egualmente, e pare che con quel biglietto senta di aver risolto ogni cosa. Ma io credo, al di là delle apparenze, che i rapporti tra noi due siano molto cambiati. Nel senso che tra noi è scesa una cortina di imbarazzo, anche se invisibile, visto che entrambi non possiamo ignorare ciò che è accaduto l'altra mattina. In fondo conviene anche a me far finta di nulla, con la speranza che il tempo riaggiusti le cose anche nelle nostre interiorità. Così l'altro giorno mentre stavo rincasando, erano circa le sette di sera, in fondo al piazzale che attraverso per arrivare al nostro palazzo, vedo un gruppetto di ragazzi. Stavano semi-nascosti da un muricciolo e a mano a mano che avanzavo mi apparivano sempre più visibili. In mezzo al gruppo scorgo anche mio figlio. Stavano passandosi uno spinello. L'ho capito dai gesti, dal loro fare circospetto; erano così assorti nel loro rituale che non mi hanno notata.
Raggiunto l'appartamento, ho sentito la disperazione invadermi. Temevo per mio figlio, per la strada che capivo stava imboccando. Intanto ho iniziato a cucinare, e mio figlio è rincasato salutandomi come sempre, poi è andato in camera sua. Lì l'ho raggiunto, perché volevo assolutamente affrontare l'argomento. Così gli ho detto che l'avevo visto mentre stava con quei ragazzi. Lui ha negato. Io mi sono arrabbiata, gli ho detto che con quelle stupidaggini non si va da nessuna parte.
“ E dove vuoi che vada?” mi ha risposto, con un misto di sfida ma anche di rassegnazione.
Purtroppo non posso fare a meno di capirlo, e con la morte nel cuore sono tornata in cucina.
Lui mi ha raggiunto. Passandomi accanto notai che aveva un sopracciglio lievemente gonfio.
“Che cosa hai fatto lì?” gli ho chiesto sfiorandogli l'enfiatura con un dito. Mi ha risposto che era successo in palestra durante l'allenamento pugilistico. Allora l'ho preso per un braccio e gliel'ho stretto. “Non pensi che ci possa essere qualcosa di meglio nella vita che prendere pugni e farsi del male?” Non mi ha risposto. Gentilmente si è divincolato il braccio e si è seduto a tavola. Abbiamo mangiato in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri.
Dopo cena mio figlio si alza dicendo che sarebbe uscito.
“Non andare” gli dico perentoria.
“Dai mamma falla finita”, mi dice lui un poco spazientito.
“No, se devi andare in un sottoscala a fumare o a bere è meglio che resti in casa.”
Allora fa un gesto seccato e va in camera sua per prendere il giubbotto. Lo raggiungo nella stanza e gli metto le mani addosso, lo strattono.
“Non voglio, non voglio!” insisto disperata.
“Mamma lasciami andare” ha protestato lui ed esasperato mi ha spinto indietro facendomi cadere sul letto.
Se non ché io mi sono aggrappata a lui facendogli perdere l'equilibrio. E' caduto sopra di me con la testa sopra la mia spalla. Allora gli ho allacciato le braccia attorno al collo e gli ho ripetuto piano, vicino all'orecchio:
“Non ti lascio andare.” Lui è rimasto inerte, senza reagire. Siamo rimasti così, immobili per qualche lungo attimo. Quando l’ho lasciato mi sono accorta che piangeva. Invece che rialzarsi, si gira da una parte sdraiandosi sulla schiena, gli occhi chiusi, il viso pallido. Sopraffatta da una inesprimibile dolcezza gli ho dato un bacio sulla guancia, mi sono stretta a lui. Lui continuava a tenere gli occhi chiusi. Temevo che gli avrebbe infine riaperti e poi, di scatto, si sarebbe rialzato per uscire. Non avrei avuto molte possibilità di trattenerlo. Invece si è limitato a rimanere lì sdraiato sul letto accanto a me. Io gli avevo appoggiato la testa sulla spalla mi accorsi che la patta dei pantaloni era notevolmente in rilievo.
Stavolta non ci fu bisogno di una muta richiesta da parte sua. Scesi con la mano su quel rigonfiamento. Mentre passavo la mano sulla tela ruvida e rigonfia lo baciai ancora sul viso. Lui non si mosse, come l'altra volta ristava immobile, come in ascolto.
Gli passai la mano sotto il maglione ad accarezzare la pelle nuda. Contemporaneamente volli baciargli il sopracciglio gonfio e nel farlo mi portai un poco sopra di lui. Lui stampò la faccia sul mio seno. Sentire il suo respiro passare attraverso la stoffa fu un'emozione che si propagò a tutto il mio corpo. Lo strinsi a me baciandolo tra i capelli, mentre continuavo
a carezzarlo sulla prominenza dei pantaloni che diventava sempre più dura.
Fine quarto episodio
Raggiunto l'appartamento, ho sentito la disperazione invadermi. Temevo per mio figlio, per la strada che capivo stava imboccando. Intanto ho iniziato a cucinare, e mio figlio è rincasato salutandomi come sempre, poi è andato in camera sua. Lì l'ho raggiunto, perché volevo assolutamente affrontare l'argomento. Così gli ho detto che l'avevo visto mentre stava con quei ragazzi. Lui ha negato. Io mi sono arrabbiata, gli ho detto che con quelle stupidaggini non si va da nessuna parte.
“ E dove vuoi che vada?” mi ha risposto, con un misto di sfida ma anche di rassegnazione.
Purtroppo non posso fare a meno di capirlo, e con la morte nel cuore sono tornata in cucina.
Lui mi ha raggiunto. Passandomi accanto notai che aveva un sopracciglio lievemente gonfio.
“Che cosa hai fatto lì?” gli ho chiesto sfiorandogli l'enfiatura con un dito. Mi ha risposto che era successo in palestra durante l'allenamento pugilistico. Allora l'ho preso per un braccio e gliel'ho stretto. “Non pensi che ci possa essere qualcosa di meglio nella vita che prendere pugni e farsi del male?” Non mi ha risposto. Gentilmente si è divincolato il braccio e si è seduto a tavola. Abbiamo mangiato in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri.
Dopo cena mio figlio si alza dicendo che sarebbe uscito.
“Non andare” gli dico perentoria.
“Dai mamma falla finita”, mi dice lui un poco spazientito.
“No, se devi andare in un sottoscala a fumare o a bere è meglio che resti in casa.”
Allora fa un gesto seccato e va in camera sua per prendere il giubbotto. Lo raggiungo nella stanza e gli metto le mani addosso, lo strattono.
“Non voglio, non voglio!” insisto disperata.
“Mamma lasciami andare” ha protestato lui ed esasperato mi ha spinto indietro facendomi cadere sul letto.
Se non ché io mi sono aggrappata a lui facendogli perdere l'equilibrio. E' caduto sopra di me con la testa sopra la mia spalla. Allora gli ho allacciato le braccia attorno al collo e gli ho ripetuto piano, vicino all'orecchio:
“Non ti lascio andare.” Lui è rimasto inerte, senza reagire. Siamo rimasti così, immobili per qualche lungo attimo. Quando l’ho lasciato mi sono accorta che piangeva. Invece che rialzarsi, si gira da una parte sdraiandosi sulla schiena, gli occhi chiusi, il viso pallido. Sopraffatta da una inesprimibile dolcezza gli ho dato un bacio sulla guancia, mi sono stretta a lui. Lui continuava a tenere gli occhi chiusi. Temevo che gli avrebbe infine riaperti e poi, di scatto, si sarebbe rialzato per uscire. Non avrei avuto molte possibilità di trattenerlo. Invece si è limitato a rimanere lì sdraiato sul letto accanto a me. Io gli avevo appoggiato la testa sulla spalla mi accorsi che la patta dei pantaloni era notevolmente in rilievo.
Stavolta non ci fu bisogno di una muta richiesta da parte sua. Scesi con la mano su quel rigonfiamento. Mentre passavo la mano sulla tela ruvida e rigonfia lo baciai ancora sul viso. Lui non si mosse, come l'altra volta ristava immobile, come in ascolto.
Gli passai la mano sotto il maglione ad accarezzare la pelle nuda. Contemporaneamente volli baciargli il sopracciglio gonfio e nel farlo mi portai un poco sopra di lui. Lui stampò la faccia sul mio seno. Sentire il suo respiro passare attraverso la stoffa fu un'emozione che si propagò a tutto il mio corpo. Lo strinsi a me baciandolo tra i capelli, mentre continuavo
a carezzarlo sulla prominenza dei pantaloni che diventava sempre più dura.
Fine quarto episodio
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