Il viaggio di Cecilia 7
di
beatrice
genere
sentimentali
a grande richiesta
pubblico il proseguo scritto da mia mamma per il libro che non verrà mai completato. In verità non ero convinta, però, passato un anno e dietro l'insistenza di molti lettori, mi sono decisa. Alla fine questo posto è stato una specie di diario per lei e, forse, vorrebbe così. Ma non ci saranno altri capitoli, non sono brava a scrivere.
grazie
radicofani, 1630
La permanenza al borgo durò qualche giorno.
Per Mario fu una gioia perché poté dare libero sfogo alla sua passione per la caccia in quella foresta pullulante di selvaggina.
Io mi limitai ad imparare alcuni segreti della chirurgia dal mio nuovo amico Giacomo.
Da lui appresi i concetti recenti della legatura dei vasi sanguigni nelle amputazioni in luogo del caustico olio, a suo dire usato solo da barbieri selvaggi, imparai i rudimenti per la preparazione di alcuni medicamenti, l'importanza della bollitura per gli strumenti e della pulizia in generale. Cosa, quest'ultima, che già sapevo; lo diceva sempre la mia Perla che a star puliti nel pulito si vive meglio e più a lungo.
Insieme scrivemmo anche una lettera al granduca affinché inviasse un nuovo chirurgo, dato che lui, Giacomo, si accingeva ad un viaggio in Spagna ed un periodo per sé lungo almeno un anno. La risposta non so se arrivò, so solo che mi capitò di ripassare dall'osteria grossa quattro mesi più tardi e di quel compagno di pochi giorni non trovai traccia.
Mi aiutò anche a scrivere un biglietto per il mio storico amico Pierozzo, come m'ero ripromessa di fare:
Radicofani, a.d. 1630 15 luglio
onorato amico Piero,
in quel di Bracciano mi sovvenne, un decaio di giorni passati, notizia di un tuo interessamento, a mezzo dama Simeone credo, di un poderino in riva di lago, non modesto ma non certo adatto al valore del tuo casato.
Ben sai, paterno amico, che su quelle acque possiede dimora lo comune nostro amico l'Orbetto.
Il dubbio che rode lo pensier mio, ma certa del tuo buon cuore, è se quel possesso sia a poscia la domanda d'investimento da me fattati e possa essere onorato dalla mia umile rendita.
Sarò a Firenze con i tempi necessari per il viaggio, leggerò la tua risposta al palazzo che vide l'infanzia di entrambi.
tua devota, Chiara
consegnata la missiva ad un postale per Roma, andai poi a portare conforto a Marco alla scuderia della fortezza, dove aveva trovato un vecchio compagno d'armi.
Fuori dal portale li udii chiacchierare in modo scurrile, mi affacciai e mi videro, lui trasalì comico, colpevole ed impaurito, come se avesse visto uno spettro.
"madonna, umilmente imploro il vostro perdono per il mio ardire, non intendevo recare offesa, solo sollazzare l'animo con questo vecchio amico su qualche aneddoto"
si giustificò stropicciandosi le mani,
"cos'è questa forma! non vi preoccupate per me, buon Marco, vivo al porto e dai barcaroli ho sentito ben di peggio, e sul mio conto!! presentatemi, piuttosto, l'amico vostro"
dissi, ma Marco non fece a tempo,
"capitano Federico di Capoliveri, dall'isola d'Elba per servirvi, avremmo voluto figurare meglio, ma ormai…"
si presentò lui con un'elegante inchino,
"suvvia Federico, sono plebea non certo d'alto lignaggio; Chiara il mio nome, il vostro m'è dolcemente caro",
"non sarò indiscreto su ciò, ma qual regalo della sorte, se posso, conduce la vostra bellezza su questo monte?",
"un viaggio, capitano, son partita da Roma giorni fa e voglio raggiungere Padova ed un'anima dolce che lì dimora",
"Chiara, purpurea rosa, allora ringrazio iddio che abbiate scelto la strada più lunga!",
"non v'illudete sono di origine fiorentina mio bell'elbano, un incontro in città mi attende ed è per esso che scelsi questa via; ma, ditemi, voi qui, invece?",
"di stanza, a comando della guarnigione e della dogana. Ahimé non di passo e quivi resterò, ma adesso in attesa che ritransitiate",
"siete galante. Su quest'altura deve mancarvi molto l'onda del mare, solo una volta sono stata ai lidi di Ostia e quel suono me lo porto sempre dentro: chiudo gli occhi e lo sento infrangersi. Pensate che spesso mi culla il sonno il ricordo di quel ritorno fra sabbia e ciottoli dell'acqua..." sospirai sognante,
"ah, la risacca! voi, così, dipingete la spiaggia di casa mia: volete veder forse lacrimare un debole milite?",
"lacrima è segno di sentimento, non di debolezza mio capitano. Il mare lo portate dentro, esso s'affaccia dai vostri occhi" ancora adesso non so perché gli abbia sfiorato il volto proprio nell'istante di una sua stilla salata che assaporai,
"madonna voi mi adulate e, così facendo, infondete in me vane speranze, uomo fortunato chi riuscirà a raggiungere il vostro cuore",
"eeh! se non stai attento Federì fai la fine di tutti noi: pronti a farsi infilzare per lei! ...e la mia spalla ne fa testimonio!" s'intrufolò Marco riportando al presente quell'accenno di corte,
"mio caro Marco, che sciocca che sono, vedo che state però molto meglio, ne sono felice. V'ero venuta a cercare anche per portarvi parola del nostro Mario che vorrebbe ripartire domani mattina: pensate di riuscire a tenere un cavallo?",
"credo di sì, a menar di spada no, ma per le briglie sarò buono" rispose mimando una forza che allora non aveva, che in verità anche adesso scarseggia,
"vostra grazia mi permetterà di scortarvi personalmente, con un mio manipolo, fino ai bagni di San Filippo?" si insinuò il capitano lanciandomi uno sguardo così profondo da sentirne il tocco fin dentro le vene,
"ho ottimi e valenti compagni di viaggio, mio caro, vi ringrazio, anche a nome di Mario Chigi"
tentai, invano, di resistere e, forse, un po' troppo vezzosa,
"insisto",
"e sia, domani mattina capitano, presto entro la prima ora. A cena ci onorerete della vostra presenza?",
"con grande piacere. Vi chiedo, sublime Chiara, il permesso di congedarmi: la mia presenza è richiesta al comando",
"certamente, ma dopo vi voglio meno formale: non ci sono abituata ...e preparatevi una novella, a me piacciono molto"
Via l'amico, con Marco prendemmo due cavalli e ci inoltrammo nel bosco, che comincia a breve distanza verso scirocco dalla fortezza, ma senza allontanarci troppo. Ci ritrovammo presto in una radura, lontani da curiosi indiscreti. Marco voltò il suo baio fianco al mio, quasi a sbarrarmi la strada, sfilò le redini dalle mie mani e si protese verso di me, fui sorpresa quando le sue dita intrecciarono le mie sull'arcione della sella.
Nessuna parola fra noi per un tempo dilatato ed irreale, ma vedevo le sue labbra virare al rosso, come irrorate da un battito incontrollabile, ed i suoi occhi cercare, avidi, i miei.
Poi, d'un tratto, "vi amo Chiara", flebile, timoroso, di chi già sa d'essere respinto,
"mi imbarazzate così, dolce Marco, voi ben conoscete la mia storia",
"conosco la vostra forza, la vostra volontà, conosco tutto il valore che la vostra bellezza riveste",
"voi m'adulate, se Mario sapesse non credo sareste più suo amico e nemmeno sua scolta" sfilai la mano dalle sue e tentai di riprendermi le redini,
"lasciate stare il Chigi, so che adesso vi farà male, lo stesso dolore che recate a me scartandomi come un due a briscola, ma voglio che sappiate quale arpia sia la Berenice sua moglie, colei che non vi darà tregua finché non vi avrà annichilita",
"Mario non lo permetterà, non con me, me lo ha promesso" ribattei illusa e candida,
"Lo conosco da molti anni più di voi. sì, ve lo concedo, non l'avevo ancora visto così felice come con voi, ma il casato ha degli obblighi e si stancherà di lottare",
"voi invece… vorreste dire...",
"io no, io non mi stancherò mai, ve lo voglio giurare di fronte alla croce, non sarò mai sazio di voi. Concedetemi una possibilità",
"mio buon Marco, mi lasciate afona di parole, ve ne prego sarò vostra amica finché lo vorrete, ma non mi chiedete oltre",
"ho sbagliato, non avrei dovuto, me lo aveva detto anche Michele; mi sento così vuoto e stolto",
spense l'ardore in una lacrima, mi avvicinai e lo accolsi fra le mie braccia, stringendo le sue guance rigate di rassegnazione al mio seno; cedette, fragile, all'emozione cingendomi i fianchi con le sue mani; s'asciugò gli occhi sull'azzurro della mia stoffa, poi, ancor gonfi, li stampò nel nero delle mie pupille, le vertigini mi presero alla vista dei suoi pozzi luccicanti di cielo; il battito cresceva violento sotto la camicia, lui un fremito lo smosse, un sussulto di coraggio l'assalì e mi tirò a sé abbracciandomi con forza; il ruvido, sentii, del suo palmo sulla pelle delicata, bianca, del mio collo, con le sue dita perse in dolci carezze alle mie ciocche rosse; un attimo ancora, poi gli sguardi scivolarono sulle labbra, bramanti un sogno d'amore; lieve esitazione, timore e desiderio…
le bocche si sfiorarono appena, per assaggiarsi poi e liberarsi in un bacio intimo caldo, avvolgente come la nebbia che offusca la vista, ed il vuoto riempì l'aria intorno a noi.
Per la prima volta mi sentii adultera. Follia, io, amante di un uomo sposato.
Appena varcammo il portone dell'osteria vidi Mario, fermo in piedi vicino al tavolo, con indosso uno sguardo strano che sudava gelosia; non mosse un passo verso di me. Mi avvicinai io, lo abbracciai e mi schioccò un bacio sulle labbra davanti a tutti, tanto per ribadire i ruoli.
Mantenne la sua solita allegria, ma, nonostante per tutta la cena fosse amorevole e premuroso, non lesinò stoccate taglienti. Il mio senso di colpa graffiava l'anima mia.
Seduto affianco a me, complice il vino che l'oste portava a caraffe di coccio generosamente colme, sfidava lo scandalo
scoprendomi le cosce sotto le assi del tavolo per toccarmi fin nell'intimo.
Non so bene che espressione si componesse sul mio volto, forse arrosato ed accaldato, ma so benissimo che mi piaceva e spingevo quelle dita un poco più al sicuro in me, serrando le ginocchia con la sua mano in ostaggio.
Michele seduto dall'altro fianco riusciva a far finta di niente, ma qualche stilla dalla sua fronte segnata scendeva lo stesso.
Anche il capitano, seduto davanti a me, dissimulava il suo cercami i piedi e risalirmi delicato dalle caviglie chiacchierando e raccontando le sue avventure, con il mio non marito divertito ed interessato. Poi decise di fissarmi negli occhi e, diretto, mi disse che nel pomeriggio gli era venuto in mente un racconto giusto per esaudire la mia voglia di storie, i commensali si chetarono appena cominciò.
questa è una storia di appena un secolo fa, la mia isola era preda facile dei pirati saraceni, al grido del Barbarossa, che razziavano e saccheggiavano le coste.
In quell'estate del 1534 due giovani innamorati si affacciavano ai piaceri della vita: Maria, bella da far perdere il sonno, gentile ed elegante, proprio come voi, e lui, Lorenzo, forte e coraggioso, figlio di una ricca famiglia d'armatori del mio borgo, Capoliveri.
I loro sguardi si erano incrociati per la prima volta sulla spiaggia, mentre Lorenzo aiutava i pescatori a mettere al riparo le barche di proprietà di famiglia. Da allora quella lingua di sabbia e ghiaia fra l'acqua e le rocce del monte Calamita divenne il loro rifugio segreto, la culla e l'alcova della loro storia d’amore dove scambiarsi tenerezze e promesse.
Ma lei, la dolce Maria, era di umili origini ed aveva ben poco da offrire se non se stessa. La famiglia di lui, saputo il tutto, ostacolò i due con ogni mezzo.
ma l'amore era troppo grande e profondo.
Il pomeriggio di giusto ieri, di quell'anno, Lorenzo giunse presto, prima di lei, alla spiaggia. Maria, dall’alto del sentiero, vagò con lo sguardo alla ricerca dell’amato, ma vide solo un veliero sinistro alla fonda poco al largo ed una ciurmaglia di uomini, sbarcati da una scialuppa, che accerchiavano ed aggredivano un giovane, lui si difese, ma riuscirono a farlo prigioniero.
Il sole illuminò il di lui volto e Maria lo riconobbe, lei si scapicollò correndo lungo il sentiero sconnesso verso la cala, scansò pruni e mirti, ma, giunta sulla spiaggia, vide solo la scialuppa allontanarsi e da essa venir gettato a mare un corpo agonizzante, che riconobbe essere Lorenzo.
Dilaniata dal dolore, la giovane innamorata, si gettò fra i flutti, in un ultimo disperato, vano, tentativo di raggiungere e salvare l'amato.
Di lei fu ritrovato soltanto lo scialle impigliato ad uno scoglio che, da allora, è chiamato Scoglio della Ciarpa.
Dicono che, qualche anno fa, un nobile spagnolo don Domingo Cardenas, diseredato dal padre ed esiliato, si fosse stabilito proprio a Cala de lo Ferro.
Una sera di luglio, all’uomo apparse l’ombra di una giovane fanciulla, il cui profilo, leggiadro e soave, si stagliava contro l’immensità dell’orizzonte, rischiarato da una miriade di bagliori luminosi. Suggestionato dalla storia, forse sentita in osteria, si spaventò cacciando un grido sì forte da essere sentito, nonostante il fragore delle onde, fin su in paese.
Da quel giorno, però, egli volle che ogni anno si ricordasse la giovane Maria e la si aiutasse a ritrovare il suo amor perduto accendendo mille torce sulla spiaggia, che fu ribattezzata spiaggia dell’Innamorata.
"che storia struggente, capitano, povera infelice così derubata dell'amore e della vita, mi emoziona nella sua tristezza" dicemmo quasi assieme Mario ed io,
"volevo raccontare qualcosa di allegro, poi, però, viviamo proprio quei giorni…"
"onori l'anniversario da lontano, Federì" cercò di alleggerire Marco,
"già, direi un brindisi all'amore!" disse Michele alzando il bicchiere di terracotta smaltata,
"e che Dio li abbia in gloria!!" aggiunse Mario,
l'urto fra i bicchieri di Federico e Mario fu troppo forte ed un'annaffiata di rosso mi inzuppò faccia ed abito, Michele si scansò appena in tempo
"dico sempre che il vino non è cosa…" scherzò Said afferrando uno straccio da dietro le spalle dell'oste e gettandomelo,
"Said! così mi privi di un'occasione, quando mi ricapita un mulsum così!" protestò divertito Mario raccogliendo una goccia di vino dalla mia guancia e gustandosela,
"mulso cosa?! aaah!! in camera vostra, dopo Mario, voi due. Chiara, asciugatevi",
"grazie Said, di cinque il più cavaliere!",
"ah! ma adesso chi racconta? Marco, tu ne sapevi una carina…" così Federico spronò l'antico amico.
Altre storie seguirono quella sera, allegre o paurose, brevi o più lunghe, fino a tardi. Fummo gli ultimi a lasciare le panche, con l'oste, ormai rassegnato, mezzo prostrato e mezzo addormentato su di un tavolo.
...
pubblico il proseguo scritto da mia mamma per il libro che non verrà mai completato. In verità non ero convinta, però, passato un anno e dietro l'insistenza di molti lettori, mi sono decisa. Alla fine questo posto è stato una specie di diario per lei e, forse, vorrebbe così. Ma non ci saranno altri capitoli, non sono brava a scrivere.
grazie
radicofani, 1630
La permanenza al borgo durò qualche giorno.
Per Mario fu una gioia perché poté dare libero sfogo alla sua passione per la caccia in quella foresta pullulante di selvaggina.
Io mi limitai ad imparare alcuni segreti della chirurgia dal mio nuovo amico Giacomo.
Da lui appresi i concetti recenti della legatura dei vasi sanguigni nelle amputazioni in luogo del caustico olio, a suo dire usato solo da barbieri selvaggi, imparai i rudimenti per la preparazione di alcuni medicamenti, l'importanza della bollitura per gli strumenti e della pulizia in generale. Cosa, quest'ultima, che già sapevo; lo diceva sempre la mia Perla che a star puliti nel pulito si vive meglio e più a lungo.
Insieme scrivemmo anche una lettera al granduca affinché inviasse un nuovo chirurgo, dato che lui, Giacomo, si accingeva ad un viaggio in Spagna ed un periodo per sé lungo almeno un anno. La risposta non so se arrivò, so solo che mi capitò di ripassare dall'osteria grossa quattro mesi più tardi e di quel compagno di pochi giorni non trovai traccia.
Mi aiutò anche a scrivere un biglietto per il mio storico amico Pierozzo, come m'ero ripromessa di fare:
Radicofani, a.d. 1630 15 luglio
onorato amico Piero,
in quel di Bracciano mi sovvenne, un decaio di giorni passati, notizia di un tuo interessamento, a mezzo dama Simeone credo, di un poderino in riva di lago, non modesto ma non certo adatto al valore del tuo casato.
Ben sai, paterno amico, che su quelle acque possiede dimora lo comune nostro amico l'Orbetto.
Il dubbio che rode lo pensier mio, ma certa del tuo buon cuore, è se quel possesso sia a poscia la domanda d'investimento da me fattati e possa essere onorato dalla mia umile rendita.
Sarò a Firenze con i tempi necessari per il viaggio, leggerò la tua risposta al palazzo che vide l'infanzia di entrambi.
tua devota, Chiara
consegnata la missiva ad un postale per Roma, andai poi a portare conforto a Marco alla scuderia della fortezza, dove aveva trovato un vecchio compagno d'armi.
Fuori dal portale li udii chiacchierare in modo scurrile, mi affacciai e mi videro, lui trasalì comico, colpevole ed impaurito, come se avesse visto uno spettro.
"madonna, umilmente imploro il vostro perdono per il mio ardire, non intendevo recare offesa, solo sollazzare l'animo con questo vecchio amico su qualche aneddoto"
si giustificò stropicciandosi le mani,
"cos'è questa forma! non vi preoccupate per me, buon Marco, vivo al porto e dai barcaroli ho sentito ben di peggio, e sul mio conto!! presentatemi, piuttosto, l'amico vostro"
dissi, ma Marco non fece a tempo,
"capitano Federico di Capoliveri, dall'isola d'Elba per servirvi, avremmo voluto figurare meglio, ma ormai…"
si presentò lui con un'elegante inchino,
"suvvia Federico, sono plebea non certo d'alto lignaggio; Chiara il mio nome, il vostro m'è dolcemente caro",
"non sarò indiscreto su ciò, ma qual regalo della sorte, se posso, conduce la vostra bellezza su questo monte?",
"un viaggio, capitano, son partita da Roma giorni fa e voglio raggiungere Padova ed un'anima dolce che lì dimora",
"Chiara, purpurea rosa, allora ringrazio iddio che abbiate scelto la strada più lunga!",
"non v'illudete sono di origine fiorentina mio bell'elbano, un incontro in città mi attende ed è per esso che scelsi questa via; ma, ditemi, voi qui, invece?",
"di stanza, a comando della guarnigione e della dogana. Ahimé non di passo e quivi resterò, ma adesso in attesa che ritransitiate",
"siete galante. Su quest'altura deve mancarvi molto l'onda del mare, solo una volta sono stata ai lidi di Ostia e quel suono me lo porto sempre dentro: chiudo gli occhi e lo sento infrangersi. Pensate che spesso mi culla il sonno il ricordo di quel ritorno fra sabbia e ciottoli dell'acqua..." sospirai sognante,
"ah, la risacca! voi, così, dipingete la spiaggia di casa mia: volete veder forse lacrimare un debole milite?",
"lacrima è segno di sentimento, non di debolezza mio capitano. Il mare lo portate dentro, esso s'affaccia dai vostri occhi" ancora adesso non so perché gli abbia sfiorato il volto proprio nell'istante di una sua stilla salata che assaporai,
"madonna voi mi adulate e, così facendo, infondete in me vane speranze, uomo fortunato chi riuscirà a raggiungere il vostro cuore",
"eeh! se non stai attento Federì fai la fine di tutti noi: pronti a farsi infilzare per lei! ...e la mia spalla ne fa testimonio!" s'intrufolò Marco riportando al presente quell'accenno di corte,
"mio caro Marco, che sciocca che sono, vedo che state però molto meglio, ne sono felice. V'ero venuta a cercare anche per portarvi parola del nostro Mario che vorrebbe ripartire domani mattina: pensate di riuscire a tenere un cavallo?",
"credo di sì, a menar di spada no, ma per le briglie sarò buono" rispose mimando una forza che allora non aveva, che in verità anche adesso scarseggia,
"vostra grazia mi permetterà di scortarvi personalmente, con un mio manipolo, fino ai bagni di San Filippo?" si insinuò il capitano lanciandomi uno sguardo così profondo da sentirne il tocco fin dentro le vene,
"ho ottimi e valenti compagni di viaggio, mio caro, vi ringrazio, anche a nome di Mario Chigi"
tentai, invano, di resistere e, forse, un po' troppo vezzosa,
"insisto",
"e sia, domani mattina capitano, presto entro la prima ora. A cena ci onorerete della vostra presenza?",
"con grande piacere. Vi chiedo, sublime Chiara, il permesso di congedarmi: la mia presenza è richiesta al comando",
"certamente, ma dopo vi voglio meno formale: non ci sono abituata ...e preparatevi una novella, a me piacciono molto"
Via l'amico, con Marco prendemmo due cavalli e ci inoltrammo nel bosco, che comincia a breve distanza verso scirocco dalla fortezza, ma senza allontanarci troppo. Ci ritrovammo presto in una radura, lontani da curiosi indiscreti. Marco voltò il suo baio fianco al mio, quasi a sbarrarmi la strada, sfilò le redini dalle mie mani e si protese verso di me, fui sorpresa quando le sue dita intrecciarono le mie sull'arcione della sella.
Nessuna parola fra noi per un tempo dilatato ed irreale, ma vedevo le sue labbra virare al rosso, come irrorate da un battito incontrollabile, ed i suoi occhi cercare, avidi, i miei.
Poi, d'un tratto, "vi amo Chiara", flebile, timoroso, di chi già sa d'essere respinto,
"mi imbarazzate così, dolce Marco, voi ben conoscete la mia storia",
"conosco la vostra forza, la vostra volontà, conosco tutto il valore che la vostra bellezza riveste",
"voi m'adulate, se Mario sapesse non credo sareste più suo amico e nemmeno sua scolta" sfilai la mano dalle sue e tentai di riprendermi le redini,
"lasciate stare il Chigi, so che adesso vi farà male, lo stesso dolore che recate a me scartandomi come un due a briscola, ma voglio che sappiate quale arpia sia la Berenice sua moglie, colei che non vi darà tregua finché non vi avrà annichilita",
"Mario non lo permetterà, non con me, me lo ha promesso" ribattei illusa e candida,
"Lo conosco da molti anni più di voi. sì, ve lo concedo, non l'avevo ancora visto così felice come con voi, ma il casato ha degli obblighi e si stancherà di lottare",
"voi invece… vorreste dire...",
"io no, io non mi stancherò mai, ve lo voglio giurare di fronte alla croce, non sarò mai sazio di voi. Concedetemi una possibilità",
"mio buon Marco, mi lasciate afona di parole, ve ne prego sarò vostra amica finché lo vorrete, ma non mi chiedete oltre",
"ho sbagliato, non avrei dovuto, me lo aveva detto anche Michele; mi sento così vuoto e stolto",
spense l'ardore in una lacrima, mi avvicinai e lo accolsi fra le mie braccia, stringendo le sue guance rigate di rassegnazione al mio seno; cedette, fragile, all'emozione cingendomi i fianchi con le sue mani; s'asciugò gli occhi sull'azzurro della mia stoffa, poi, ancor gonfi, li stampò nel nero delle mie pupille, le vertigini mi presero alla vista dei suoi pozzi luccicanti di cielo; il battito cresceva violento sotto la camicia, lui un fremito lo smosse, un sussulto di coraggio l'assalì e mi tirò a sé abbracciandomi con forza; il ruvido, sentii, del suo palmo sulla pelle delicata, bianca, del mio collo, con le sue dita perse in dolci carezze alle mie ciocche rosse; un attimo ancora, poi gli sguardi scivolarono sulle labbra, bramanti un sogno d'amore; lieve esitazione, timore e desiderio…
le bocche si sfiorarono appena, per assaggiarsi poi e liberarsi in un bacio intimo caldo, avvolgente come la nebbia che offusca la vista, ed il vuoto riempì l'aria intorno a noi.
Per la prima volta mi sentii adultera. Follia, io, amante di un uomo sposato.
Appena varcammo il portone dell'osteria vidi Mario, fermo in piedi vicino al tavolo, con indosso uno sguardo strano che sudava gelosia; non mosse un passo verso di me. Mi avvicinai io, lo abbracciai e mi schioccò un bacio sulle labbra davanti a tutti, tanto per ribadire i ruoli.
Mantenne la sua solita allegria, ma, nonostante per tutta la cena fosse amorevole e premuroso, non lesinò stoccate taglienti. Il mio senso di colpa graffiava l'anima mia.
Seduto affianco a me, complice il vino che l'oste portava a caraffe di coccio generosamente colme, sfidava lo scandalo
scoprendomi le cosce sotto le assi del tavolo per toccarmi fin nell'intimo.
Non so bene che espressione si componesse sul mio volto, forse arrosato ed accaldato, ma so benissimo che mi piaceva e spingevo quelle dita un poco più al sicuro in me, serrando le ginocchia con la sua mano in ostaggio.
Michele seduto dall'altro fianco riusciva a far finta di niente, ma qualche stilla dalla sua fronte segnata scendeva lo stesso.
Anche il capitano, seduto davanti a me, dissimulava il suo cercami i piedi e risalirmi delicato dalle caviglie chiacchierando e raccontando le sue avventure, con il mio non marito divertito ed interessato. Poi decise di fissarmi negli occhi e, diretto, mi disse che nel pomeriggio gli era venuto in mente un racconto giusto per esaudire la mia voglia di storie, i commensali si chetarono appena cominciò.
questa è una storia di appena un secolo fa, la mia isola era preda facile dei pirati saraceni, al grido del Barbarossa, che razziavano e saccheggiavano le coste.
In quell'estate del 1534 due giovani innamorati si affacciavano ai piaceri della vita: Maria, bella da far perdere il sonno, gentile ed elegante, proprio come voi, e lui, Lorenzo, forte e coraggioso, figlio di una ricca famiglia d'armatori del mio borgo, Capoliveri.
I loro sguardi si erano incrociati per la prima volta sulla spiaggia, mentre Lorenzo aiutava i pescatori a mettere al riparo le barche di proprietà di famiglia. Da allora quella lingua di sabbia e ghiaia fra l'acqua e le rocce del monte Calamita divenne il loro rifugio segreto, la culla e l'alcova della loro storia d’amore dove scambiarsi tenerezze e promesse.
Ma lei, la dolce Maria, era di umili origini ed aveva ben poco da offrire se non se stessa. La famiglia di lui, saputo il tutto, ostacolò i due con ogni mezzo.
ma l'amore era troppo grande e profondo.
Il pomeriggio di giusto ieri, di quell'anno, Lorenzo giunse presto, prima di lei, alla spiaggia. Maria, dall’alto del sentiero, vagò con lo sguardo alla ricerca dell’amato, ma vide solo un veliero sinistro alla fonda poco al largo ed una ciurmaglia di uomini, sbarcati da una scialuppa, che accerchiavano ed aggredivano un giovane, lui si difese, ma riuscirono a farlo prigioniero.
Il sole illuminò il di lui volto e Maria lo riconobbe, lei si scapicollò correndo lungo il sentiero sconnesso verso la cala, scansò pruni e mirti, ma, giunta sulla spiaggia, vide solo la scialuppa allontanarsi e da essa venir gettato a mare un corpo agonizzante, che riconobbe essere Lorenzo.
Dilaniata dal dolore, la giovane innamorata, si gettò fra i flutti, in un ultimo disperato, vano, tentativo di raggiungere e salvare l'amato.
Di lei fu ritrovato soltanto lo scialle impigliato ad uno scoglio che, da allora, è chiamato Scoglio della Ciarpa.
Dicono che, qualche anno fa, un nobile spagnolo don Domingo Cardenas, diseredato dal padre ed esiliato, si fosse stabilito proprio a Cala de lo Ferro.
Una sera di luglio, all’uomo apparse l’ombra di una giovane fanciulla, il cui profilo, leggiadro e soave, si stagliava contro l’immensità dell’orizzonte, rischiarato da una miriade di bagliori luminosi. Suggestionato dalla storia, forse sentita in osteria, si spaventò cacciando un grido sì forte da essere sentito, nonostante il fragore delle onde, fin su in paese.
Da quel giorno, però, egli volle che ogni anno si ricordasse la giovane Maria e la si aiutasse a ritrovare il suo amor perduto accendendo mille torce sulla spiaggia, che fu ribattezzata spiaggia dell’Innamorata.
"che storia struggente, capitano, povera infelice così derubata dell'amore e della vita, mi emoziona nella sua tristezza" dicemmo quasi assieme Mario ed io,
"volevo raccontare qualcosa di allegro, poi, però, viviamo proprio quei giorni…"
"onori l'anniversario da lontano, Federì" cercò di alleggerire Marco,
"già, direi un brindisi all'amore!" disse Michele alzando il bicchiere di terracotta smaltata,
"e che Dio li abbia in gloria!!" aggiunse Mario,
l'urto fra i bicchieri di Federico e Mario fu troppo forte ed un'annaffiata di rosso mi inzuppò faccia ed abito, Michele si scansò appena in tempo
"dico sempre che il vino non è cosa…" scherzò Said afferrando uno straccio da dietro le spalle dell'oste e gettandomelo,
"Said! così mi privi di un'occasione, quando mi ricapita un mulsum così!" protestò divertito Mario raccogliendo una goccia di vino dalla mia guancia e gustandosela,
"mulso cosa?! aaah!! in camera vostra, dopo Mario, voi due. Chiara, asciugatevi",
"grazie Said, di cinque il più cavaliere!",
"ah! ma adesso chi racconta? Marco, tu ne sapevi una carina…" così Federico spronò l'antico amico.
Altre storie seguirono quella sera, allegre o paurose, brevi o più lunghe, fino a tardi. Fummo gli ultimi a lasciare le panche, con l'oste, ormai rassegnato, mezzo prostrato e mezzo addormentato su di un tavolo.
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