Il lato sporco che è in me
di
Nicola Pavelli
genere
etero
[Tratto dal mio libro "Bologna Erotica" disponibile su Amazon]
Dopo essere stato sfrattato dalla Signora Maria, Carmelo si era trasferito nella casa del fratello in via Telemaco Signorini. Quella zona periferica di Bologna, poco distante dall’Ospedale Maggiore, era conosciuta con il nome di Quartiere Santa Viola. E quella via, seppur piccola e dall’aspetto insignificante, così candida e innocente in fondo non lo era. In uno di quei pochi numeri civici aveva vissuto un efferato criminale. Il capo di una banda vigliacca che aveva scorrazzato per Bologna e per la Romagna tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90. Capaci di distruggere la vita di tante persone oneste. Delinquenti che la città di Bologna non aveva mai perdonato.
Immersa nel buio di quei pensieri varcai la porta al secondo piano del civico n.2. Carmelo mi accolse dietro la porta con quel sorriso spuntato che ben s’intonava con quella barba grigiastra incolta e disordinata. Il suo vestire sciatto rispecchiava il suo modo di vivere privo di ogni minima attenzione verso la cura personale. La casa emanava un nauseante odore di fumo che a mala pena copriva quel sottofondo di cibo speziato. Un odore che sembrava amplificato dal caldo che sembrava togliere il respiro. Dalla cucina, collocata alle spalle di quell’individuo, si stagliavano delle montagne di pentole sporche parcheggiate tra il lavello e fornelli. La saletta che faceva da cornice a un piccolo tavolo rotondo era costellata da mozziconi di sigaretta lasciati a marcire a terra e da bottiglie di birra appoggiate a lato di una poltroncina in pelle. Colta da un senso di profondo malessere iniziai ad esercitare la respirazione diaframmatica. Appoggiai la mano destro sul petto quasi a tenerlo bloccato e gonfiai di pancia l’aria facendo attenzione a fare dei respiri belli profondi. Avevo imparato questa tecnica di rilassamento dopo la fine della relazione con Giorgio. Il dispiacere di quel tradimento mi avevano portato sull’orlo di un esaurimento nervoso e lo yoga fu l’arma che mi aiutò a lasciarmi tutto alle spalle. Appoggiai il mio giubbotto di pelle in quell’attaccapanni completamente vuoto e mi sedetti sull’unica sedia superstite di quel campo di battaglia. Gli occhi perversi di Carmelo mi squadravano dalla testa ai piedi soffermandosi con bramosa attenzione su quella prominente scollatura che volutamente avevo apparecchiato per l’occasione. Avevo optato per un vestito appariscente che fosse degno di quello svezzamento. Rosso acceso, stretto e lungo fino alla metà delle cosce. Un perizoma leopardato e un paio di lunghi stivali neri che arrivavano quasi al ginocchio. I soldi mi furono consegnati anticipatamente, come da me espressamente ordinato, in contanti. Tre banconote da cinquanta euro che infilai dentro la borsetta. Avevo imparato che quei momenti erano gli ideali per alleggerire la tasca dell’uomo. Un essere poco pensante e dominato dall’organo con il maggiore afflusso di sangue. Recuperare i soldi post-coito sarebbe stata un’impresa molto più ardua. Ci spostammo nella camera da letto. Anch’essa sciatta e maleodorante come il resto della casa. I muri erano anneriti dalle infiltrazioni d’acqua provenienti dal tetto. Una montagna di vestiti sporchi era accumulata su un angolo a terra. E quel letto matrimoniale sfatto era addobbato di lenzuola ingiallite cambiate l’ultima volta chissà quando. Prima di iniziare mi accertai della pulizia di Carmelo. Con un sorriso che si addiceva a quel nuovo mestiere, lo invitai a farsi una rapida doccia. Nel frattempo mi spogliai e in un amen mi ritrovai completamente nuda. Mi guardai attraverso quel grande specchio incastrato in quel fatiscente guardaroba. Stavo davvero facendo il grande passo. Sentivo dentro di me una dannata paura. Mi passò davanti gli occhi l’intera vita. Mi ero laureata con il massimo dei voti, avevo pubblicato su diverse riviste internazionali e avevo superato tutta sola un momento di grave depressione. Eppure, non ero appagata da quella vita che ritenevo ingiusta. Che mi costringeva a fare la fame e a cercarmi un garante per avere un misero tetto su cui dormire. I soldi erano la medicina a tutti i mali. E non importava se sarei dovuta passare sopra corpi luridi e deformi come quello dell’uomo che in quel preciso istante si stava avvicinando a me. Lo avrei fatto giorno dopo giorno fino a che ne avrei avuto le forze. O fino a che il corpo me lo avrebbe permesso. Senza che me ne accorgessi la bocca di Carmelo stava già assaporando il mio seno e si apprestava a scendere fino alla mia vagina spoglia di ogni peluria. Nel mentre contavo i secondi tenendo gli occhi chiusi e continuando quella salvifica respirazione diaframmatica. La sua lingua stava ora picchettava il mio clitoride e lo faceva con una tecnica superba. In maniera delicata e con ritmo costante. Proprio come avevo sempre voluto. Ero riluttante all’idea che quel corpo viscido, peloso nel petto, e con una pancia da perfetto alcolizzato, mi stava ora facendo contorcere dal piacere. Ero un lago e il mio viso era completamente rosso dal godere. Carmelo se ne accorse e avvicinò la sua bocca nel tentativo di strapparmi un bacio. Con quel briciolo di lucidità che mi era rimasta decisi di girarmi di lato per negarglielo. Non era un fatto fisico ma puramente mentale. Vedevo al bacio come un qualcosa di estremamente intimo e riservato. Un dono da proteggere e da donare solo a chi si voleva davvero bene. In quel momento prese forma l’idea che il bacio sarebbe stato fuori dal mio menù. Con le ginocchia appoggiate sul bordo del letto stavo ora succhiando quel pene in piena erezione. La mia prima relazione con Giorgio mi aveva reso un’abile oratrice. Adoravo praticare sesso orale molto più di quanto amassi riceverlo. L’idea di essere la padrona della situazione mi dava un senso di piena consapevolezza. Potevo controllare quel piacere semplicemente aumentando o rallentando il ritmo, roteando la mia lingua su quel glande scoperto già pienamente umido. Nel dare piacere provavo io stessa profondo piacere. La scuola russa era ancora quella che faceva da maestra nell’arte oratoria. Succhiate lente e profonde con una marcata aspirazione nella fase di risalita. Il mio sguardo si scontrò con il suo sguardo. I miei occhi da cerbiatta scrutavano quel viso che si stava caricando di piacere. Estrassi dalla borsetta un preservativo e dopo un paio di ulteriori succhiate glielo infilai con la bocca. Non mi stupii quando mi disse di non essersene neppure accorto. Mi stavo divertendo e il tutto mi riusciva con un’inaspettata naturalezza. Il mio corpo non era più un immobile blocco di ghiaccio, ma fluttuava come un’amazzone sopra quel pene in posizione come l’asta di una bandiera. Non mi importava più un accidente chi avessi di fronte. Stavo godendo e lo stavo facendo con un essere abominevole. E per di più ci stavo guadagnando. Mi sentivo una vera puttana. Una lurida e schifosa puttana. Mi feci mettere a pecora. Mi accertai solo che avesse preso il canale giusto e iniziai a farmi sbattere in maniera veemente. Ora non lo guardavo negli occhi. Sentivo solo le sue cosce sbattere contro le mie chiappe. Là dietro poteva esserci chiunque. Il mio ex-fidanzato, il mio parroco, il mio direttore di dipartimento, l’avvocato col cazzo minuscolo e perfino un novantenne se ci fosse riuscito. Stavo sbrodolando di piacere. Non mi ero mai sentita così orgogliosa di me stessa. Esattamente alle 21.20 Carmelo esplose di piacere. Decidemmo che sarebbe potuto venire sul mio seno. L’esplosione fu intensa e abbondante. Carmelo era inerme, senza più forze, con il volto di un cane bastonato. Da vera puttana mi rivestii e mi congedai con un bacio in guancia di falsa dolcezza. Erano le 21.26. Tutto era avvenuto nei tempi previsti. Avevo venduto a uomo un’illusione e avevo 150 euro in più. Mi riaffacciai nell’aria bolognese. Che profumo Bologna di sera, le sere di Maggio avrebbe detto un grande cantante bolognese. Perché quella meravigliosa città aveva per me un profumo totalmente nuovo. Camminavo scrutando all’orizzonte Porta San Felice. Volevo che quella passeggiata avesse avuto la durata dell’eternità. Avevo trovato la chiave della felicità. Tutto quello che prima non potevo neanche solo sognare ora si trovava lì a portata di mano. Al prezzo di un paio di colpi ogni giorno. Sospesa in questi deliziosi e soavi pensieri rientrai a casa. Trovai il solito artista parassita girovagare per casa. Ma questa volta mi ritirai in una sonora risata. La sabbia era ancora bollente, ma il mare era a un palmo da me.
Dopo essere stato sfrattato dalla Signora Maria, Carmelo si era trasferito nella casa del fratello in via Telemaco Signorini. Quella zona periferica di Bologna, poco distante dall’Ospedale Maggiore, era conosciuta con il nome di Quartiere Santa Viola. E quella via, seppur piccola e dall’aspetto insignificante, così candida e innocente in fondo non lo era. In uno di quei pochi numeri civici aveva vissuto un efferato criminale. Il capo di una banda vigliacca che aveva scorrazzato per Bologna e per la Romagna tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90. Capaci di distruggere la vita di tante persone oneste. Delinquenti che la città di Bologna non aveva mai perdonato.
Immersa nel buio di quei pensieri varcai la porta al secondo piano del civico n.2. Carmelo mi accolse dietro la porta con quel sorriso spuntato che ben s’intonava con quella barba grigiastra incolta e disordinata. Il suo vestire sciatto rispecchiava il suo modo di vivere privo di ogni minima attenzione verso la cura personale. La casa emanava un nauseante odore di fumo che a mala pena copriva quel sottofondo di cibo speziato. Un odore che sembrava amplificato dal caldo che sembrava togliere il respiro. Dalla cucina, collocata alle spalle di quell’individuo, si stagliavano delle montagne di pentole sporche parcheggiate tra il lavello e fornelli. La saletta che faceva da cornice a un piccolo tavolo rotondo era costellata da mozziconi di sigaretta lasciati a marcire a terra e da bottiglie di birra appoggiate a lato di una poltroncina in pelle. Colta da un senso di profondo malessere iniziai ad esercitare la respirazione diaframmatica. Appoggiai la mano destro sul petto quasi a tenerlo bloccato e gonfiai di pancia l’aria facendo attenzione a fare dei respiri belli profondi. Avevo imparato questa tecnica di rilassamento dopo la fine della relazione con Giorgio. Il dispiacere di quel tradimento mi avevano portato sull’orlo di un esaurimento nervoso e lo yoga fu l’arma che mi aiutò a lasciarmi tutto alle spalle. Appoggiai il mio giubbotto di pelle in quell’attaccapanni completamente vuoto e mi sedetti sull’unica sedia superstite di quel campo di battaglia. Gli occhi perversi di Carmelo mi squadravano dalla testa ai piedi soffermandosi con bramosa attenzione su quella prominente scollatura che volutamente avevo apparecchiato per l’occasione. Avevo optato per un vestito appariscente che fosse degno di quello svezzamento. Rosso acceso, stretto e lungo fino alla metà delle cosce. Un perizoma leopardato e un paio di lunghi stivali neri che arrivavano quasi al ginocchio. I soldi mi furono consegnati anticipatamente, come da me espressamente ordinato, in contanti. Tre banconote da cinquanta euro che infilai dentro la borsetta. Avevo imparato che quei momenti erano gli ideali per alleggerire la tasca dell’uomo. Un essere poco pensante e dominato dall’organo con il maggiore afflusso di sangue. Recuperare i soldi post-coito sarebbe stata un’impresa molto più ardua. Ci spostammo nella camera da letto. Anch’essa sciatta e maleodorante come il resto della casa. I muri erano anneriti dalle infiltrazioni d’acqua provenienti dal tetto. Una montagna di vestiti sporchi era accumulata su un angolo a terra. E quel letto matrimoniale sfatto era addobbato di lenzuola ingiallite cambiate l’ultima volta chissà quando. Prima di iniziare mi accertai della pulizia di Carmelo. Con un sorriso che si addiceva a quel nuovo mestiere, lo invitai a farsi una rapida doccia. Nel frattempo mi spogliai e in un amen mi ritrovai completamente nuda. Mi guardai attraverso quel grande specchio incastrato in quel fatiscente guardaroba. Stavo davvero facendo il grande passo. Sentivo dentro di me una dannata paura. Mi passò davanti gli occhi l’intera vita. Mi ero laureata con il massimo dei voti, avevo pubblicato su diverse riviste internazionali e avevo superato tutta sola un momento di grave depressione. Eppure, non ero appagata da quella vita che ritenevo ingiusta. Che mi costringeva a fare la fame e a cercarmi un garante per avere un misero tetto su cui dormire. I soldi erano la medicina a tutti i mali. E non importava se sarei dovuta passare sopra corpi luridi e deformi come quello dell’uomo che in quel preciso istante si stava avvicinando a me. Lo avrei fatto giorno dopo giorno fino a che ne avrei avuto le forze. O fino a che il corpo me lo avrebbe permesso. Senza che me ne accorgessi la bocca di Carmelo stava già assaporando il mio seno e si apprestava a scendere fino alla mia vagina spoglia di ogni peluria. Nel mentre contavo i secondi tenendo gli occhi chiusi e continuando quella salvifica respirazione diaframmatica. La sua lingua stava ora picchettava il mio clitoride e lo faceva con una tecnica superba. In maniera delicata e con ritmo costante. Proprio come avevo sempre voluto. Ero riluttante all’idea che quel corpo viscido, peloso nel petto, e con una pancia da perfetto alcolizzato, mi stava ora facendo contorcere dal piacere. Ero un lago e il mio viso era completamente rosso dal godere. Carmelo se ne accorse e avvicinò la sua bocca nel tentativo di strapparmi un bacio. Con quel briciolo di lucidità che mi era rimasta decisi di girarmi di lato per negarglielo. Non era un fatto fisico ma puramente mentale. Vedevo al bacio come un qualcosa di estremamente intimo e riservato. Un dono da proteggere e da donare solo a chi si voleva davvero bene. In quel momento prese forma l’idea che il bacio sarebbe stato fuori dal mio menù. Con le ginocchia appoggiate sul bordo del letto stavo ora succhiando quel pene in piena erezione. La mia prima relazione con Giorgio mi aveva reso un’abile oratrice. Adoravo praticare sesso orale molto più di quanto amassi riceverlo. L’idea di essere la padrona della situazione mi dava un senso di piena consapevolezza. Potevo controllare quel piacere semplicemente aumentando o rallentando il ritmo, roteando la mia lingua su quel glande scoperto già pienamente umido. Nel dare piacere provavo io stessa profondo piacere. La scuola russa era ancora quella che faceva da maestra nell’arte oratoria. Succhiate lente e profonde con una marcata aspirazione nella fase di risalita. Il mio sguardo si scontrò con il suo sguardo. I miei occhi da cerbiatta scrutavano quel viso che si stava caricando di piacere. Estrassi dalla borsetta un preservativo e dopo un paio di ulteriori succhiate glielo infilai con la bocca. Non mi stupii quando mi disse di non essersene neppure accorto. Mi stavo divertendo e il tutto mi riusciva con un’inaspettata naturalezza. Il mio corpo non era più un immobile blocco di ghiaccio, ma fluttuava come un’amazzone sopra quel pene in posizione come l’asta di una bandiera. Non mi importava più un accidente chi avessi di fronte. Stavo godendo e lo stavo facendo con un essere abominevole. E per di più ci stavo guadagnando. Mi sentivo una vera puttana. Una lurida e schifosa puttana. Mi feci mettere a pecora. Mi accertai solo che avesse preso il canale giusto e iniziai a farmi sbattere in maniera veemente. Ora non lo guardavo negli occhi. Sentivo solo le sue cosce sbattere contro le mie chiappe. Là dietro poteva esserci chiunque. Il mio ex-fidanzato, il mio parroco, il mio direttore di dipartimento, l’avvocato col cazzo minuscolo e perfino un novantenne se ci fosse riuscito. Stavo sbrodolando di piacere. Non mi ero mai sentita così orgogliosa di me stessa. Esattamente alle 21.20 Carmelo esplose di piacere. Decidemmo che sarebbe potuto venire sul mio seno. L’esplosione fu intensa e abbondante. Carmelo era inerme, senza più forze, con il volto di un cane bastonato. Da vera puttana mi rivestii e mi congedai con un bacio in guancia di falsa dolcezza. Erano le 21.26. Tutto era avvenuto nei tempi previsti. Avevo venduto a uomo un’illusione e avevo 150 euro in più. Mi riaffacciai nell’aria bolognese. Che profumo Bologna di sera, le sere di Maggio avrebbe detto un grande cantante bolognese. Perché quella meravigliosa città aveva per me un profumo totalmente nuovo. Camminavo scrutando all’orizzonte Porta San Felice. Volevo che quella passeggiata avesse avuto la durata dell’eternità. Avevo trovato la chiave della felicità. Tutto quello che prima non potevo neanche solo sognare ora si trovava lì a portata di mano. Al prezzo di un paio di colpi ogni giorno. Sospesa in questi deliziosi e soavi pensieri rientrai a casa. Trovai il solito artista parassita girovagare per casa. Ma questa volta mi ritirai in una sonora risata. La sabbia era ancora bollente, ma il mare era a un palmo da me.
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