La mia vita a Milano - 2 La rivincita (lotta mista e dominazione)
di
Giovanni333
genere
dominazione
Nota dell’autore: questa è una storia di dominazione maschile basata sulle arti marziali. È una vera storia, basata su personaggi tratti dal mondo reale ma idealizzati e con nomi inventati. Nella prima puntata (La mia vita a Milano - 1 La segretaria (lotta mista e dominazione) | Racconto dominazione di Giovanni333 | Erotici Racconti) veniva raccontata la conoscenza tra Caterina e il suo capo Alessandro. In questa seconda si parte con una digressione per spiegare meglio il carattere dominante di Caterina (che verrà approfondito anche in seguito) per poi tornare alla storia con Alessandro. Spero che vi piaccia!
“Muoviti!”, la voce dietro di me mi ordinò imperiosa. Le mura ai lati ero spoglie e strette. Io e l’uomo dietro di me ci passavamo a malapena. Sopra indossavo solo un reggiseno sportivo eppure sentivo caldo. Nella prigione era umido. Le mani legate dietro la schiena erano intorpidite. Finalmente arrivò la mia occasione! Quel corridoio stretto si aprì ed entrammo in una stanza larga. La mia guardia non sapeva che mi ero liberata. Mi voltai e l’affrontai. Era un ragazzo molto giovane e poco più alto di me. Senza rimorsi diedi al secondino un pugno nello stomaco che lo fece piegare in due dal dolore. Il cappello gli cadde e i suoi occhi nocciola mi scrutarono sorpresi. Sorrisi. “Mai sottovalutare una donna…”, dissi, finendolo con una ginocchiata sullo stomaco. Cadde con un tonfo a terra. Non si sarebbe ripreso tanto presto. Fui tentata di dargli un paio di schiaffi educativi, come avrei potuto fare con un fratello minore, ma non c’era tempo. Mi voltai e iniziai a correre. Ma poi lo vidi. Era un uomo con i capelli castani, vestito elegante e si frapponeva tra me e l’uscita. Improvvisamente seppi che non avevo più speranze. Quell’uomo era…Alessandro? Mi svegliai madida di sudore. Che idiota che ero a fare questi sogni senza senso. Mi truccai e poi vestii per andare al lavoro, abbinando una minigonna ad una camicia lilla. Infilai i tacchi, ma poi ci ripensai ed optai per delle scarpe ballerine più comode, dove il mio 37 di piede entrava alla perfezione. Potevo vestirmi anche meno elegante ora che Alessandro era sparito. Era il primo di settembre, un venerdi e il mio capo latitava da Ferragosto. Non aveva dato spiegazioni e io avevo ricevuto solo una mail dove citava una trasferta all’estero. In ufficio in quel periodo c’era poco da fare, per cui passai metà del tempo a scrivere noiosi resoconti per il briefing della settimana successiva e l’altra metà sui social. Quello era uno dei vantaggi dello stare in stanza da soli. Uscita dall’ufficio presi la macchina, guidai fino alla palestra e presi la borsa con la mia roba di jiu jitsu. Mi cambiai come al solito, indossando il candido kimono, e salii sul tatami. Il mio istruttore, un uomo calvo e muscoloso sulla cinquantina, mi accolse con un sorriso. Entrambi sapevamo che mi avrebbe voluta portare a letto da tempo ed entrambi sapevamo che io non ci sarei stata. Il nostro rapporto si era quindi stabilizzato sull’amicizia e il flirt stupido che si usa talvolta con gli uomini per non sembrare scortese. “Ciao Caterina!”, mi accolse lui, “Senti oggi ti do un compito. Abbiamo un ragazzo nuovo e sembra insofferente. Puoi pensarci tu per favore?”. “Perché io?”, chiesi stupita, “Non sono esattamente la più gentile qui…”. “Esatto, non ha bisogno di qualcuno gentile ma di qualcuno che lo prenda a calci senza che lui si lamenti, quindi ho pensato che tu…”, “…essendo una donna l’avrei potuto gestire senza conseguenze. Vai, vai presentami ‘sto crostino”. Lui sorrise per la mia espressione dialettale e mi accompagnò dal pupo. Si trattava di un ragazzino ventenne o poco meno, molto magro, riccio scuro e alto più o meno quanto me. Per un momento ricordai il sogno ma poi mi dissi di non lasciarmi suggestionare…il secondino del sogno aveva tutt’altro aspetto e poi ancora non sapevo prevedere il futuro! “Ciao, Caterina!”, mi presentai, tendendogli la mano. Lui la colse con diffidenza. “Non mi farete esercitare con una donna il mio primo giorno, vero?”, chiese con saccenza, rivolto all’istruttore. Si, pensai con rassegnazione, l’avrei dovuto prendere necessariamente a schiaffi. “Caterina è brava e può insegnarti molto. Anche considerando che ci vuole poco ragazzo visto che stai a 0, capito?”, tagliò corto lui, allontanandosi. “Scusa non ho capito il tuo nome!”, gli ricordai, gelida. “Matteo…”, disse lui esitando, chiaramente a disagio anche solo dal rivolgermi la parola, “Ma te lo dico, non voglio farti male quindi…”, “Quindi te lo farò io!”, risposi, ammiccando. Iniziammo a riscaldarci e poi assistemmo alle spiegazioni del maestro, provando le tecniche con il nostro compagno. Matteo era impacciato vista l’inesperienza e quello ci stava, ma era anche arrogante e provava a spiegare a me cosa il maestro aveva detto, come se fossi ancora più novellina di lui. “Ok ragazzi, momento rolling! Caterina, attenta al ragazzo nuovo!”, mi disse ad alta voce. “Tranquillo coach, non le farò niente!”, rispose lui. Tutti risero. “No, ragazzo intendevo il contrario. Iniziate!”. Mi sedetti per terra davanti a lui. Gli avevano prestato un kimono che gli stava molto largo e lo rendeva buffo. Sotto al kimono non portava nulla e si vedevano dei peletti semi adolescenziali e un corpo probabilmente non molto abituato allo sport. Il ragazzo, che aveva giocato a fare il gentleman, venne avanti aggressivamente verso di me e iniziò a spingermi. Avrei potuto fare mille mosse ma scelsi di fargli vedere prima chi comandava. Di buona lena iniziai a spingere anche io contro il suo petto. Ci impegnammo in una prova di forza e piano piano lui arretrò. Alla fine trionfante lo spinsi a terra. Aveva uno sguardo confuso e non poteva credere che una donna fosse fisicamente più forte di lui. E non aveva visto ancora nulla, pensai. “Tutto bene?”, chiesi, permettendogli di tornare seduto. “Si, certo, sei solo molto aggressiva, non molto femminile…”, mi disse lui, facendomi ridere di cuore. “E tu non sei molto maschile visto che una donna ti mette schiena a terra…”. Matteo non ci vide più e si buttò avanti a corpo morto, come uno zombie. Scuotendo la testa mi buttai all’ indietro anche io, alzai di scatto lei gambe, gliele chiusi intorno al collo e poi lo ribaltai, riportandolo schiena a terra ma questa volta stretto tra le mie cosce. Era a poca distanza dalle mie zone erogene e la cosa ovviamente lo imbarazzava terribilmente, ma mai quanto l’essere stato immobilizzato da me davanti a tutti. Sentii delle voci ridere a bordo tatami e vidi che un ragazzino stava osservando la scena, vicino ad una giovane della stessa età di Matteo. “Oh, ti eri portato gli amici?”, gli chiesi, guardando oltre le mie tette ora abbastanza evidenti visto che il kimono si era allentato, “Adesso ti faccio arrendere davanti a loro, oppure lo fai di tua spontanea volontà?”. Matteo era semplicemente viola. “Va bene! Lasciami! Lasciami!”, iniziò a piagnucolare. Mi alzai e in quel momento il timer ci disse che la lezione era finita. Facemmo l’inchino di consueto e non volevo degnare quel ragazzino di uno sguardo ma non potei fare a meno di sentire che si era voltato verso gli amici dicendo “Si, sono veramente scorretti, io contro una donna non posso reagire quindi…”. Gelidamente furiosa mi avvicinai. “Matteo non posso fare a meno di sentire che ancora dici queste cose maschiliste. In questo tatami non c’è spazio per questo atteggiamento. Qui siamo uguali, uomini e donne. Sei la sua ragazza?”, chiesi alla giovane mora con l’espressione da imbecille accanto a lui. Lei annuì. “Lascia questo idiota finché puoi…”, “Ehi, come ti permetti? Io sono stato buono ma…”. “Matteo”, gli risposi fronteggiandolo con le braccia incrociate, “Se vuoi ti do una rivincita. Vai forte quanto vuoi, è la tua mascolinità ad essere in gioco, no? Vediamo se riesci a fare qualcosa stavolta. Uomo – si fa per dire – contro donna. Allora?”. “Dai su, se veramente sei più forte fallo…”, disse l’amico. Matteo diventò paonazzo, mi squadrò con timore e io contraccambiai lo sguardo. Un’intesa passò tra noi, sapevamo entrambi che non gli avrei fatto male ma l’avrei davvero umiliato. Alla fine, lui abbassò lo sguardo fissandomi i piedi smaltati e non replicando più. “Codardo…”, commentai con un ghigno, andando a cambiarmi. Stavo nello spogliatoio quando il cellulare suonò. Era un numero anonimo. “Pronto?”, “Salve Caterina!”, la voce di Alessandro mi accolse dall’altro lato della cornetta. Era gioviale. “Sono tornato oggi dalla Colombia e dobbiamo assolutamente scrivere un contratto entro domani. Le dovrò chiedere uno straordinario…”, “Non c’è problema” risposi cauta, “Ma l’ufficio è chiuso…”. Lui esitò un attimo “Venga pure a casa mia domani pomeriggio”, mi disse alla fine, “Tanto avevo promesso di invitarla…”. “Si!”, colsi la palla al balzo io, “Mi doveva dare quella rivincita…”, “Molto bene, allora se è determinata si porti un cambio e dopo il lavoro le dedicherò qualche altro minuto. Ora le mando l’indirizzo su Whatsapp”. Lo salutai e chiusi la conversazione. Mi avrebbe dedicato qualche altro minuto? Che maledetto arrogante!
Arrivai in zona Porta Nuova prendendo la metro. Camminando agilmente sui tacchi e con i capelli ordinati freschi di parrucchiere mi recai al portone che mi era stato indicato. Il palazzo sembrava molto alto e abbastanza elegante. Appena arrivata mi venne incontro un portiere con i capelli bianchi, vestito di bianco. “La signorina Caterina, vero?”, mi accolse, “Prego, ottavo piano! Ascensore a destra”. Mentre salivo ripassai mentalmente le ultime novità dell’ufficio, se mai me le avesse chieste. Ma in realtà ero solo intenta con ogni forza a nascondere l’agitazione. In una borsa avevo le cose del lavoro e nell’altra quelle per la palestra. Mi sentivo ridicola anche solo per questo. Se mi avesse derisa perché lo avevo preso in parola? Quale capo invita la sua segretaria a casa sua per fare a botte? E se invece fosse stato così focalizzato sul lavoro da non avere tempo per parlare un po'? Quella sembrava un’ottima occasione per conoscersi meglio. Ma no, il lavoro era la prima cosa e io dovevo rimanere professionale. Calma e professionale. Mi avrebbe salutato e io sarei stata cortese ma decisa nel parlare di lavoro. E quella rivincita? Mah sai, ho portato le cose della palestra perché dopo faccio jogging e mi cambio in macchina. Quale macchina? Ottima domanda. Mi cambio in taxi. Si, certo, mi spoglio in taxi perché sono una facile. Oddio, in effetti ero andata a casa sua senza battere ciglio, avrebbe pensato che fossi una facile? Le porte dell’ascensore si aprirono, fortunatamente fermando il mio delirio e mi trovai di fronte alla porta. Suonai il campanello e lui mi venne ad aprire subito. Alessandro era in forma smagliante. Ogni giorno sembrava più fico e non mi sapevo spiegare il perché. Ma probabilmente il perché era nella mia mente. Era vestito con dei jeans e una candida camicia di lino con le maniche arrotolate. Era perfettamente coperto ma era facile intuire la forma del petto e delle braccia da quel tipo di abbigliamento. “Ciao Alessandro, ti vedo abbronzato!”, gli dissi solo io, entrando. “E tu hai un bel taglio di capelli, più corto vero? Ti sta bene”, commentò lui, chiudendosi la porta dietro le spalle. Fui lusingata; raramente gli uomini notano certe cose. Lo spazio era vasto, arredato in modo molto moderno e il bianco si fondeva armonicamente con il nero e con le rifiniture color legno. I miei tacchi ticchettavano sul parquet. Alessandro mi accompagnò in salotto. Era grande ma non enorme. Sulla sinistra c’era la cucina all’americana, mentre sulla destra una parete trasparente si apriva sulla zona del bosco verticale. “Pensavo vivessi in una villa”, provai a interloquire per rompere il ghiaccio. “Mi fece sedere sul divano tortora. “Si, prima vivevo in villa a Monza. Attualmente ci vivono la mia ex moglie, il mio ex commercialista, loro figlio e il mio ex cane”, rispose lui serio. “Capisco…”, risposi imbarazzata. Forse avevo peggiorato la situazione. “Vuoi un caffè?”, mi chiese, “No sono a posto”. Sorseggiando acqua passammo in rassegna tutto e per un momento misi da parte i miei pensieri, anche se nel profondo la mia ansia cresceva. “Abbiamo fatto…”, alla fine disse Alessandro. “Allora è ancora determinata a questa rivincita?”, mi chiese con un sorriso sornione. Il cuore mi balzò in gola ma non lo diedi a vedere. “Se pensi che questa volta sarà come l’ultima ti sbagli…”, risposi io pronta, mettendo via il pc. La facile vittoria del giorno prima mi aveva dato fiducia. “Questa volta ti prenderò a calci veramente” gli dissi, guardandomi i tacchi con fare allusivo. Lui mi squadrò. “Tralasciando il fatto che l’ultima volta questa minaccia si è dimostrata inutile, quasi ridicola, sento che questa cosa di prendere a calci gli uomini non le è nuova e secondo me le piace. Intravedo qualcosa…un ex ragazzo feticista forse?”, domandò. Io arrossii subito. Come l’aveva capito? “Io…beh può darsi, allora?”, gli domandai sprezzante. Mi sorrise. “Niente, curiosità! Ma ci ho preso vero? Facciamo così, se oggi vinco io mi racconterà i dettagli di questa relazione sadomaso”. “Va bene, io non ho nulla da nascondere. E se vinco io”, ribattei, “Tu inizierai a darmi del tu e non questa terza persona artefatta, che dici?”. Non avevo mai osato parlare così ad un capo ma lui aveva osato chiedermi dettagli molto personali sulla mia vita sessuale. Come si permetteva? “Fantastico!”, rispose gioviale, “Amo le sfide. Si può cambiare in bagno…”.
Ci misi pochi minuti e poi mi guardai allo specchio soddisfatta. Avevo messo poco trucco e solo un po' di lucida labbra, ma anche al naturale non stavo male. Il mio reggiseno sportivo mi lasciava scoperta la pancia e gli addominali, mentre il pantaloncino slim fit era così corto e attillato che non solo lasciava nude le mie gambe lisce, ma faceva intuire anche il resto con ben poca fantasia. Uscii dal bagno scalza, cercando il mio capo. Sentii subito una voce chiamarmi e girai a sinistra. La stanza dove entrai era appartata rispetto al salone ma ne condivideva la bellissima vista. Notai che forse l’unica stanza di quella casa con una specie di moquette grigio chiara. C’ erano alcuni pesi appoggiati alla parete, di cui alcuni molto pesanti, e un sacco da boxe nero che pendeva su un lato. Per il resto lo spazio era abbastanza ampio per quello che ne era probabilmente l’utilizzo, ossia una palestra domestica. Alessandro stava al centro della stanza. Notai con dispiacere che indossava una canottiera scura e non era a torso nudo come l’altra volta. Anche lui indossava dei pantaloncini sportivi che lasciavano libere le gambe muscolose ed era scalzo come me. Quando entrai mi squadrò dalla testa ai piedi, chiaramente soddisfatto. Mi stava ammirando, era evidente, pensai con emozione. Almeno fisicamente gli piacevo. “Che brava Alessandra, è in ottima forma…”, mi disse. “Non è abituato alle donne forti, vero?”, chiesi provocante. “In effetti no, quelle con cui esco spesso sono mingherline e mancano di sale…”, “Immagino che con loro non ci combatta!”, “…ovviamente”, mi rispose con un occhiolino. “Ti spaventa la prospettiva di perdere contro una donna?”, gli domandai, scaldandomi con dei piccoli saltelli. “No, perché non è realistica, né in passato né oggi. Per quanto sia in forma io ho dalla mia l’essere uomo e anni di allenamento alle spalle”. “Ti sorprenderebbe sapere a quanti uomini ho fatto cambiare idea su questo punto…”, gli dissi, suadente e sempre più provocante. Lui sorrise, si stava chiaramente divertendo un mondo per quella situazione surreale. “Almeno sul fatto che io sia fisicamente più forte possiamo concordare, spero!”, “Forse…”, risposi cauta. “Come forse? Vuole fare una prova di forza con me?”, “Di certo non ho nessuna paura!”, “Va bene allora, facciamo una di quelle che provava con il suo ex!”. Il riferimento mi irritò ma proprio per questo lo volli accettare. Mi avvicinai a lui…era impressionante la nostra differenza di stazza. Ero davvero incosciente a voler combattere contro uno così ma se lo avessi battuto…mi sarei sentita veramente sul tetto del mondo. Pensando a come sarebbe stato bello poggiare il mio piede smaltato su quel grosso petto provai un brivido. Alzai le mani e dissi, fingendo sicurezza, “Adesso ci prendiamo le mani e stringiamo provando a portare l’avversario verso il basso”. “Bene, ho capito che gioco è. Sono sorpreso che una donna lo conosca, sono cose manesche da uomini”. La mia mano incontrò la salda presa del mio avversario. Le sue mani non erano lisce ma leggermente callose, notai. “Pronti…via!”, esclamai. Il mio scopo non era certo spingere contro quel gigante; mi sarebbe bastato resistere e rimanere nella mia posizione, senza farmi spingere in basso o all’indietro e in qualche modo avrei vinto. Un secondo dopo aver pronunciato quelle parole, tuttavia, notai che una tenaglia si stava chiudendo sulle mie dita. “No…oh...”, iniziai a mormorare, mentre senza riflettere mi chinavo a terra per lenire il dolore. Alessandro mi stava stritolando la mano e in pochi secondi, seguendo un riflesso incondizionato, mi trovai seduta per terra, in ginocchio davanti a lui. Il mio capo misericordiosamente mi lasciò, permettendomi di riprendermi e massaggiarmi le mani. Non potei fare a meno di notare che mi aveva portato davanti al suo scroto. “Finiva così con il suo ex?”, chiese quasi dolcemente. “No, mai…”, commentai, scuotendo la testa, “Ma è evidente che tu sei più forte di lui. Sono ancora convinta però che in combattimento renderò di più”. Ci mettemmo una di fronte all’altro nuovamente. “Quindi? Cosa solevate fare? Un combattimento completo?”, mi domandò l’uomo, incrociando le braccia al petto. “Qualche volta facevamo un poco di combattimento leggero in piedi e di solito finiva con lui che si spaventava e si arrendeva. Qualche volta invece lottavamo.”, “Nudi?”, mi chiese lui a bruciapelo. Arrossii per l’impudenza. “Si, qualche volta nudi…”, replicai. “Vuole lottare nuda contro di me?”, chiese lui, con sguardo sornione e chiaramente interessato. Voleva giocare? E io sarei stata al gioco. “Tu prova a vincere il primo round. Se te lo meriti allora possiamo pensarci…”, lo provocai. Iniziai a saltellare, rasserenata dal fatto di poter usare le gambe per calciare. L’ultima volta la strategia non aveva funzionato perché l’avevo sottovalutato, ma questa volta sarebbe stato totalmente diverso. L’avrei messo a terra, mi sarei fatta chiedere scusa e poi, finalmente padrona della situazione, avrei deciso io cosa sarebbe successo dopo.
“Muoviti!”, la voce dietro di me mi ordinò imperiosa. Le mura ai lati ero spoglie e strette. Io e l’uomo dietro di me ci passavamo a malapena. Sopra indossavo solo un reggiseno sportivo eppure sentivo caldo. Nella prigione era umido. Le mani legate dietro la schiena erano intorpidite. Finalmente arrivò la mia occasione! Quel corridoio stretto si aprì ed entrammo in una stanza larga. La mia guardia non sapeva che mi ero liberata. Mi voltai e l’affrontai. Era un ragazzo molto giovane e poco più alto di me. Senza rimorsi diedi al secondino un pugno nello stomaco che lo fece piegare in due dal dolore. Il cappello gli cadde e i suoi occhi nocciola mi scrutarono sorpresi. Sorrisi. “Mai sottovalutare una donna…”, dissi, finendolo con una ginocchiata sullo stomaco. Cadde con un tonfo a terra. Non si sarebbe ripreso tanto presto. Fui tentata di dargli un paio di schiaffi educativi, come avrei potuto fare con un fratello minore, ma non c’era tempo. Mi voltai e iniziai a correre. Ma poi lo vidi. Era un uomo con i capelli castani, vestito elegante e si frapponeva tra me e l’uscita. Improvvisamente seppi che non avevo più speranze. Quell’uomo era…Alessandro? Mi svegliai madida di sudore. Che idiota che ero a fare questi sogni senza senso. Mi truccai e poi vestii per andare al lavoro, abbinando una minigonna ad una camicia lilla. Infilai i tacchi, ma poi ci ripensai ed optai per delle scarpe ballerine più comode, dove il mio 37 di piede entrava alla perfezione. Potevo vestirmi anche meno elegante ora che Alessandro era sparito. Era il primo di settembre, un venerdi e il mio capo latitava da Ferragosto. Non aveva dato spiegazioni e io avevo ricevuto solo una mail dove citava una trasferta all’estero. In ufficio in quel periodo c’era poco da fare, per cui passai metà del tempo a scrivere noiosi resoconti per il briefing della settimana successiva e l’altra metà sui social. Quello era uno dei vantaggi dello stare in stanza da soli. Uscita dall’ufficio presi la macchina, guidai fino alla palestra e presi la borsa con la mia roba di jiu jitsu. Mi cambiai come al solito, indossando il candido kimono, e salii sul tatami. Il mio istruttore, un uomo calvo e muscoloso sulla cinquantina, mi accolse con un sorriso. Entrambi sapevamo che mi avrebbe voluta portare a letto da tempo ed entrambi sapevamo che io non ci sarei stata. Il nostro rapporto si era quindi stabilizzato sull’amicizia e il flirt stupido che si usa talvolta con gli uomini per non sembrare scortese. “Ciao Caterina!”, mi accolse lui, “Senti oggi ti do un compito. Abbiamo un ragazzo nuovo e sembra insofferente. Puoi pensarci tu per favore?”. “Perché io?”, chiesi stupita, “Non sono esattamente la più gentile qui…”. “Esatto, non ha bisogno di qualcuno gentile ma di qualcuno che lo prenda a calci senza che lui si lamenti, quindi ho pensato che tu…”, “…essendo una donna l’avrei potuto gestire senza conseguenze. Vai, vai presentami ‘sto crostino”. Lui sorrise per la mia espressione dialettale e mi accompagnò dal pupo. Si trattava di un ragazzino ventenne o poco meno, molto magro, riccio scuro e alto più o meno quanto me. Per un momento ricordai il sogno ma poi mi dissi di non lasciarmi suggestionare…il secondino del sogno aveva tutt’altro aspetto e poi ancora non sapevo prevedere il futuro! “Ciao, Caterina!”, mi presentai, tendendogli la mano. Lui la colse con diffidenza. “Non mi farete esercitare con una donna il mio primo giorno, vero?”, chiese con saccenza, rivolto all’istruttore. Si, pensai con rassegnazione, l’avrei dovuto prendere necessariamente a schiaffi. “Caterina è brava e può insegnarti molto. Anche considerando che ci vuole poco ragazzo visto che stai a 0, capito?”, tagliò corto lui, allontanandosi. “Scusa non ho capito il tuo nome!”, gli ricordai, gelida. “Matteo…”, disse lui esitando, chiaramente a disagio anche solo dal rivolgermi la parola, “Ma te lo dico, non voglio farti male quindi…”, “Quindi te lo farò io!”, risposi, ammiccando. Iniziammo a riscaldarci e poi assistemmo alle spiegazioni del maestro, provando le tecniche con il nostro compagno. Matteo era impacciato vista l’inesperienza e quello ci stava, ma era anche arrogante e provava a spiegare a me cosa il maestro aveva detto, come se fossi ancora più novellina di lui. “Ok ragazzi, momento rolling! Caterina, attenta al ragazzo nuovo!”, mi disse ad alta voce. “Tranquillo coach, non le farò niente!”, rispose lui. Tutti risero. “No, ragazzo intendevo il contrario. Iniziate!”. Mi sedetti per terra davanti a lui. Gli avevano prestato un kimono che gli stava molto largo e lo rendeva buffo. Sotto al kimono non portava nulla e si vedevano dei peletti semi adolescenziali e un corpo probabilmente non molto abituato allo sport. Il ragazzo, che aveva giocato a fare il gentleman, venne avanti aggressivamente verso di me e iniziò a spingermi. Avrei potuto fare mille mosse ma scelsi di fargli vedere prima chi comandava. Di buona lena iniziai a spingere anche io contro il suo petto. Ci impegnammo in una prova di forza e piano piano lui arretrò. Alla fine trionfante lo spinsi a terra. Aveva uno sguardo confuso e non poteva credere che una donna fosse fisicamente più forte di lui. E non aveva visto ancora nulla, pensai. “Tutto bene?”, chiesi, permettendogli di tornare seduto. “Si, certo, sei solo molto aggressiva, non molto femminile…”, mi disse lui, facendomi ridere di cuore. “E tu non sei molto maschile visto che una donna ti mette schiena a terra…”. Matteo non ci vide più e si buttò avanti a corpo morto, come uno zombie. Scuotendo la testa mi buttai all’ indietro anche io, alzai di scatto lei gambe, gliele chiusi intorno al collo e poi lo ribaltai, riportandolo schiena a terra ma questa volta stretto tra le mie cosce. Era a poca distanza dalle mie zone erogene e la cosa ovviamente lo imbarazzava terribilmente, ma mai quanto l’essere stato immobilizzato da me davanti a tutti. Sentii delle voci ridere a bordo tatami e vidi che un ragazzino stava osservando la scena, vicino ad una giovane della stessa età di Matteo. “Oh, ti eri portato gli amici?”, gli chiesi, guardando oltre le mie tette ora abbastanza evidenti visto che il kimono si era allentato, “Adesso ti faccio arrendere davanti a loro, oppure lo fai di tua spontanea volontà?”. Matteo era semplicemente viola. “Va bene! Lasciami! Lasciami!”, iniziò a piagnucolare. Mi alzai e in quel momento il timer ci disse che la lezione era finita. Facemmo l’inchino di consueto e non volevo degnare quel ragazzino di uno sguardo ma non potei fare a meno di sentire che si era voltato verso gli amici dicendo “Si, sono veramente scorretti, io contro una donna non posso reagire quindi…”. Gelidamente furiosa mi avvicinai. “Matteo non posso fare a meno di sentire che ancora dici queste cose maschiliste. In questo tatami non c’è spazio per questo atteggiamento. Qui siamo uguali, uomini e donne. Sei la sua ragazza?”, chiesi alla giovane mora con l’espressione da imbecille accanto a lui. Lei annuì. “Lascia questo idiota finché puoi…”, “Ehi, come ti permetti? Io sono stato buono ma…”. “Matteo”, gli risposi fronteggiandolo con le braccia incrociate, “Se vuoi ti do una rivincita. Vai forte quanto vuoi, è la tua mascolinità ad essere in gioco, no? Vediamo se riesci a fare qualcosa stavolta. Uomo – si fa per dire – contro donna. Allora?”. “Dai su, se veramente sei più forte fallo…”, disse l’amico. Matteo diventò paonazzo, mi squadrò con timore e io contraccambiai lo sguardo. Un’intesa passò tra noi, sapevamo entrambi che non gli avrei fatto male ma l’avrei davvero umiliato. Alla fine, lui abbassò lo sguardo fissandomi i piedi smaltati e non replicando più. “Codardo…”, commentai con un ghigno, andando a cambiarmi. Stavo nello spogliatoio quando il cellulare suonò. Era un numero anonimo. “Pronto?”, “Salve Caterina!”, la voce di Alessandro mi accolse dall’altro lato della cornetta. Era gioviale. “Sono tornato oggi dalla Colombia e dobbiamo assolutamente scrivere un contratto entro domani. Le dovrò chiedere uno straordinario…”, “Non c’è problema” risposi cauta, “Ma l’ufficio è chiuso…”. Lui esitò un attimo “Venga pure a casa mia domani pomeriggio”, mi disse alla fine, “Tanto avevo promesso di invitarla…”. “Si!”, colsi la palla al balzo io, “Mi doveva dare quella rivincita…”, “Molto bene, allora se è determinata si porti un cambio e dopo il lavoro le dedicherò qualche altro minuto. Ora le mando l’indirizzo su Whatsapp”. Lo salutai e chiusi la conversazione. Mi avrebbe dedicato qualche altro minuto? Che maledetto arrogante!
Arrivai in zona Porta Nuova prendendo la metro. Camminando agilmente sui tacchi e con i capelli ordinati freschi di parrucchiere mi recai al portone che mi era stato indicato. Il palazzo sembrava molto alto e abbastanza elegante. Appena arrivata mi venne incontro un portiere con i capelli bianchi, vestito di bianco. “La signorina Caterina, vero?”, mi accolse, “Prego, ottavo piano! Ascensore a destra”. Mentre salivo ripassai mentalmente le ultime novità dell’ufficio, se mai me le avesse chieste. Ma in realtà ero solo intenta con ogni forza a nascondere l’agitazione. In una borsa avevo le cose del lavoro e nell’altra quelle per la palestra. Mi sentivo ridicola anche solo per questo. Se mi avesse derisa perché lo avevo preso in parola? Quale capo invita la sua segretaria a casa sua per fare a botte? E se invece fosse stato così focalizzato sul lavoro da non avere tempo per parlare un po'? Quella sembrava un’ottima occasione per conoscersi meglio. Ma no, il lavoro era la prima cosa e io dovevo rimanere professionale. Calma e professionale. Mi avrebbe salutato e io sarei stata cortese ma decisa nel parlare di lavoro. E quella rivincita? Mah sai, ho portato le cose della palestra perché dopo faccio jogging e mi cambio in macchina. Quale macchina? Ottima domanda. Mi cambio in taxi. Si, certo, mi spoglio in taxi perché sono una facile. Oddio, in effetti ero andata a casa sua senza battere ciglio, avrebbe pensato che fossi una facile? Le porte dell’ascensore si aprirono, fortunatamente fermando il mio delirio e mi trovai di fronte alla porta. Suonai il campanello e lui mi venne ad aprire subito. Alessandro era in forma smagliante. Ogni giorno sembrava più fico e non mi sapevo spiegare il perché. Ma probabilmente il perché era nella mia mente. Era vestito con dei jeans e una candida camicia di lino con le maniche arrotolate. Era perfettamente coperto ma era facile intuire la forma del petto e delle braccia da quel tipo di abbigliamento. “Ciao Alessandro, ti vedo abbronzato!”, gli dissi solo io, entrando. “E tu hai un bel taglio di capelli, più corto vero? Ti sta bene”, commentò lui, chiudendosi la porta dietro le spalle. Fui lusingata; raramente gli uomini notano certe cose. Lo spazio era vasto, arredato in modo molto moderno e il bianco si fondeva armonicamente con il nero e con le rifiniture color legno. I miei tacchi ticchettavano sul parquet. Alessandro mi accompagnò in salotto. Era grande ma non enorme. Sulla sinistra c’era la cucina all’americana, mentre sulla destra una parete trasparente si apriva sulla zona del bosco verticale. “Pensavo vivessi in una villa”, provai a interloquire per rompere il ghiaccio. “Mi fece sedere sul divano tortora. “Si, prima vivevo in villa a Monza. Attualmente ci vivono la mia ex moglie, il mio ex commercialista, loro figlio e il mio ex cane”, rispose lui serio. “Capisco…”, risposi imbarazzata. Forse avevo peggiorato la situazione. “Vuoi un caffè?”, mi chiese, “No sono a posto”. Sorseggiando acqua passammo in rassegna tutto e per un momento misi da parte i miei pensieri, anche se nel profondo la mia ansia cresceva. “Abbiamo fatto…”, alla fine disse Alessandro. “Allora è ancora determinata a questa rivincita?”, mi chiese con un sorriso sornione. Il cuore mi balzò in gola ma non lo diedi a vedere. “Se pensi che questa volta sarà come l’ultima ti sbagli…”, risposi io pronta, mettendo via il pc. La facile vittoria del giorno prima mi aveva dato fiducia. “Questa volta ti prenderò a calci veramente” gli dissi, guardandomi i tacchi con fare allusivo. Lui mi squadrò. “Tralasciando il fatto che l’ultima volta questa minaccia si è dimostrata inutile, quasi ridicola, sento che questa cosa di prendere a calci gli uomini non le è nuova e secondo me le piace. Intravedo qualcosa…un ex ragazzo feticista forse?”, domandò. Io arrossii subito. Come l’aveva capito? “Io…beh può darsi, allora?”, gli domandai sprezzante. Mi sorrise. “Niente, curiosità! Ma ci ho preso vero? Facciamo così, se oggi vinco io mi racconterà i dettagli di questa relazione sadomaso”. “Va bene, io non ho nulla da nascondere. E se vinco io”, ribattei, “Tu inizierai a darmi del tu e non questa terza persona artefatta, che dici?”. Non avevo mai osato parlare così ad un capo ma lui aveva osato chiedermi dettagli molto personali sulla mia vita sessuale. Come si permetteva? “Fantastico!”, rispose gioviale, “Amo le sfide. Si può cambiare in bagno…”.
Ci misi pochi minuti e poi mi guardai allo specchio soddisfatta. Avevo messo poco trucco e solo un po' di lucida labbra, ma anche al naturale non stavo male. Il mio reggiseno sportivo mi lasciava scoperta la pancia e gli addominali, mentre il pantaloncino slim fit era così corto e attillato che non solo lasciava nude le mie gambe lisce, ma faceva intuire anche il resto con ben poca fantasia. Uscii dal bagno scalza, cercando il mio capo. Sentii subito una voce chiamarmi e girai a sinistra. La stanza dove entrai era appartata rispetto al salone ma ne condivideva la bellissima vista. Notai che forse l’unica stanza di quella casa con una specie di moquette grigio chiara. C’ erano alcuni pesi appoggiati alla parete, di cui alcuni molto pesanti, e un sacco da boxe nero che pendeva su un lato. Per il resto lo spazio era abbastanza ampio per quello che ne era probabilmente l’utilizzo, ossia una palestra domestica. Alessandro stava al centro della stanza. Notai con dispiacere che indossava una canottiera scura e non era a torso nudo come l’altra volta. Anche lui indossava dei pantaloncini sportivi che lasciavano libere le gambe muscolose ed era scalzo come me. Quando entrai mi squadrò dalla testa ai piedi, chiaramente soddisfatto. Mi stava ammirando, era evidente, pensai con emozione. Almeno fisicamente gli piacevo. “Che brava Alessandra, è in ottima forma…”, mi disse. “Non è abituato alle donne forti, vero?”, chiesi provocante. “In effetti no, quelle con cui esco spesso sono mingherline e mancano di sale…”, “Immagino che con loro non ci combatta!”, “…ovviamente”, mi rispose con un occhiolino. “Ti spaventa la prospettiva di perdere contro una donna?”, gli domandai, scaldandomi con dei piccoli saltelli. “No, perché non è realistica, né in passato né oggi. Per quanto sia in forma io ho dalla mia l’essere uomo e anni di allenamento alle spalle”. “Ti sorprenderebbe sapere a quanti uomini ho fatto cambiare idea su questo punto…”, gli dissi, suadente e sempre più provocante. Lui sorrise, si stava chiaramente divertendo un mondo per quella situazione surreale. “Almeno sul fatto che io sia fisicamente più forte possiamo concordare, spero!”, “Forse…”, risposi cauta. “Come forse? Vuole fare una prova di forza con me?”, “Di certo non ho nessuna paura!”, “Va bene allora, facciamo una di quelle che provava con il suo ex!”. Il riferimento mi irritò ma proprio per questo lo volli accettare. Mi avvicinai a lui…era impressionante la nostra differenza di stazza. Ero davvero incosciente a voler combattere contro uno così ma se lo avessi battuto…mi sarei sentita veramente sul tetto del mondo. Pensando a come sarebbe stato bello poggiare il mio piede smaltato su quel grosso petto provai un brivido. Alzai le mani e dissi, fingendo sicurezza, “Adesso ci prendiamo le mani e stringiamo provando a portare l’avversario verso il basso”. “Bene, ho capito che gioco è. Sono sorpreso che una donna lo conosca, sono cose manesche da uomini”. La mia mano incontrò la salda presa del mio avversario. Le sue mani non erano lisce ma leggermente callose, notai. “Pronti…via!”, esclamai. Il mio scopo non era certo spingere contro quel gigante; mi sarebbe bastato resistere e rimanere nella mia posizione, senza farmi spingere in basso o all’indietro e in qualche modo avrei vinto. Un secondo dopo aver pronunciato quelle parole, tuttavia, notai che una tenaglia si stava chiudendo sulle mie dita. “No…oh...”, iniziai a mormorare, mentre senza riflettere mi chinavo a terra per lenire il dolore. Alessandro mi stava stritolando la mano e in pochi secondi, seguendo un riflesso incondizionato, mi trovai seduta per terra, in ginocchio davanti a lui. Il mio capo misericordiosamente mi lasciò, permettendomi di riprendermi e massaggiarmi le mani. Non potei fare a meno di notare che mi aveva portato davanti al suo scroto. “Finiva così con il suo ex?”, chiese quasi dolcemente. “No, mai…”, commentai, scuotendo la testa, “Ma è evidente che tu sei più forte di lui. Sono ancora convinta però che in combattimento renderò di più”. Ci mettemmo una di fronte all’altro nuovamente. “Quindi? Cosa solevate fare? Un combattimento completo?”, mi domandò l’uomo, incrociando le braccia al petto. “Qualche volta facevamo un poco di combattimento leggero in piedi e di solito finiva con lui che si spaventava e si arrendeva. Qualche volta invece lottavamo.”, “Nudi?”, mi chiese lui a bruciapelo. Arrossii per l’impudenza. “Si, qualche volta nudi…”, replicai. “Vuole lottare nuda contro di me?”, chiese lui, con sguardo sornione e chiaramente interessato. Voleva giocare? E io sarei stata al gioco. “Tu prova a vincere il primo round. Se te lo meriti allora possiamo pensarci…”, lo provocai. Iniziai a saltellare, rasserenata dal fatto di poter usare le gambe per calciare. L’ultima volta la strategia non aveva funzionato perché l’avevo sottovalutato, ma questa volta sarebbe stato totalmente diverso. L’avrei messo a terra, mi sarei fatta chiedere scusa e poi, finalmente padrona della situazione, avrei deciso io cosa sarebbe successo dopo.
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