La mia vita a Milano - 3 Lotta nuda con il capo (Lotta mista e dominazione)
di
Giovanni333
genere
dominazione
Nota dell’autore: questa è una storia di dominazione maschile basata sulle arti marziali. È una vera storia, basata su personaggi tratti dal mondo reale ma idealizzati e con nomi inventati. In questa terza e ultima parte Alessandro e la sua segretaria Caterina lottano per la supremazia, provando a dominare il corpo e la mente l’uno dell’altra. Spero che vi piaccia!
Mentre lui ne parlava, mi ricordai Giorgio o, come lo chiamavo io per sfotterlo, “Giorgino”. Un giovane insegnante, più alto di me e non brutto ma molto magro, così magro che spesso riuscivo a batterlo in diverse prove di forza, come braccio di ferro. Lui ne usciva umiliato, ma anche molto eccitato, e più lo prendevo in giro più lui si faceva prendere dalla situazione. La prima volta che lo sfidai, mentre facevamo dei preliminari a letto, fui sorpresa da quanto mi venisse facile e naturale sovrastarlo fisicamente. Quello era stato l’inizio del nostro rapporto sadomaso. Poi, vista la mia passione per le arti marziali, eravamo passati alla lotta. Qui il nostro lato sadico e masochista si era ampliato ed affinato. Iniziavamo con io che gli chiedevo di fare i lavori di casa e se rifiutava, cosa che ovviamente faceva di proposito, io mi toglievo le pantofole e iniziavo a prenderlo a calci: sulle gambe, sullo stomaco, sul viso e qualche volta tra le palle. Il poveretto mi lanciava sguardi esterrefatti mentre danzavo su me stessa, seminando sofferenza su quel suo fisico patetico. Ovviamente provava a difendersi, qualche volta anche attivamente, buttandosi in avanti per afferrarmi o provando a schivare, ma era un povero imbranato e cadeva o finiva in una posizione in cui era ancora più facile colpirlo. Per cui, dopo qualche minuto di questo trattamento, finiva in ginocchio in mutande davanti a me. Qualche volta mi mettevo il kimono e lui, semplicemente vedendomi nel mio aspetto marziale, cadeva ai miei piedi, eseguendo ogni mio ordine. Ma quella era un’altra vita e Giorgino, per quanto gli fossi affezionata, non era mai riuscita a prendermi a letto. Ora avevo un’altra sfida davanti a me. Alessandro era un uomo totalmente diverso. Era un uomo in carriera, sicuro di sé e decisamente forte fisicamente e caratterialmente. Non era il tipo di uomo che una donna di solito prova a sottomettere, ma io amavo le sfide e avevo la sensazione che quella sarebbe stata comunque una chiave di ingresso nella sua gelida maschera da capo. Iniziai a girargli intorno, danzando con il mio reggiseno sportivo grigio e il mio pantaloncino dello stesso colore intorno a quell’omone. I miei piedi smaltati toccavano leggeri la moquette. Alessandro provò a fare un paio di passi in avanti, le grosse braccia alzate, e io gli tirai un calcio ben assestato sulla coscia. Inutile, ovviamente, visto quanto era muscolosa. Continuai a girare, provando a non perdere mai il contatto visivo e assolutamente concentrata. Quando si presentò l’opportunità, iniziai una torsione con il busto per colpire nuovamente lo stesso punto di prima. Alessandro se l’aspettava e provò ad afferrarmi la gamba con la mano. Purtroppo per lui, quello era un diversivo. Abbassai velocemente il piede che si era alzato e ruotai su me stessa, descrivendo un cerchio e andando ad impattare l’altro piede sul suo volto. Era poco più che uno schiaffo per lui, ma il danno peggiore speravo di infliggerlo al suo ego. Il mio capo arretrò, sorpreso, e io mi mossi baldanzosa in avanti. Purtroppo per me anche lui però aveva qualche freccia al suo arco. Vidi che alzava il ginocchio per spostarsi di lato e mi trovai il suo piede ficcato nella pancia che mi spingeva indietro; il suo movimento era stato molto veloce e soprattutto non mi aspettavo questa sua capacità di recupero. Subire il colpo di un uomo di quella stazza non era facile e fui forzata di due passi all’indietro. Lui avanzò, finse di tirarmi un colpo con il gomito e invece balzò in avanti, letteralmente trascinandomi verso il muro. L’avevo fatto incazzare, constatai, e la mia soddisfazione per questo era immensa. Un sorriso increspò le mie labbra, mentre la mia schiena sbatteva contro il freddo dei mattoni dietro. Il calore del mio avversario sul lato opposto era contro di me. Alessandro mi schiacciava sul muro, facendo valere la sua stazza. Mi portò una mano sul collo, senza stringere, e sentii qualcosa che mi si scioglieva dentro. “Questa vale come vittoria?”, mi chiese, serrando un poco le dita. Ero immobilizzata e mi mancava il respiro chiusa sotto tutti quei muscoli. “Possiamo dire che è 1 a 0?”, mi chiese lui. Vidi la sua corta barba e sentii il suo respiro profumato mentre parlava. “Va bene…il primo round è tuo…”, gracidai. Fui liberata e mi ritrovai a respirare liberamente. Essere chiusa contro il muro da lui era stato….ok, non dovevo pensarci. La sfida era ancora aperta e il mio orgoglio si rifiutava di cedere così. “Puoi spogliarti!”, mi disse lui, incrociando le braccia. Mi si seccò la gola sentendo questo. “Ok, nessun problema!”, replicai, mentre il mio respiro diveniva laborioso. Afferrai il mio reggiseno grigio e lo alzai, scoprendo le mie tette. I capezzoli erano turgidi e la posizione dei seni era alta, anche grazie al molto sport che facevo. “Per ora va bene…ora tocca a te!”, dissi io. Alessandro sorrise, chiaramente gratificato dalla visione della sua segretaria mezza nuda, e si tolse la canottiera. Quanto cazzo era bello…i miei pensieri correvano veloci. “Secondo round!”, proposi alla fine, riprendendo a girare come prima. Lui si avvicinò, questa volta con le braccia abbassate. Sembrava distratto, forse per la sua prima vittoria o probabilmente per il più ovvio istinto che lo guidava vedendomi mezza nuda. Ovviamente ne approfittai. Dimenticando la mia strategia basata sui colpi, mi avvicinai fulminea a lui e, sfruttando il suo stesso movimento, gli passai il mio braccio destro sotto l’ascella sinistra e poi mi girai, facendo attenzione che il mio bacino fosse basso abbastanza da proiettarlo al suolo. La mossa mi venne naturale, affinata da anni di judo. Alessandro sgranò gli occhi ma non poté far nulla: il suo corpo atletico roteò sopra di me e si abbatté a terra con un tonfo. Non c’era tempo di festeggiare però; dovevo finirlo. Con rapidità salii a cavalcioni sul grosso petto del mio avversario, impedendogli di rialzarsi. Le mie tette spinsero la sua testa verso il basso, soffocandolo, mentre i miei piedi provavano a bloccargli le gambe. Sentii le dita dei miei piedi nudi che viaggiavano lungo il suo scroto, cercando alla cieca gli adduttori, imbattersi nel pene eretto del mio avversario. Era davvero enorme e durissimo. Non resistetti alla tentazione e gli diedi dei colpetti, continuando la lotta contro l’uomo sotto di me. “Puoi arrenderti quando vuoi…”, dissi, notando che era in difficoltà. Giorgino in quel momento sarebbe scoppiato in lacrime, ma sapevo che Alessandro era di un’altra pasta, e infatti provò ad interporre il suo grosso braccio sinistro tra di noi per spingermi via. Quella era l’occasione che stavo aspettando. Improvvisamente mi alzai, mettendomi seduta sul suo petto, afferrai il polso del braccio che lui aveva avvicinato alla mia spalla e andai su un lato, mettendogli la spalla in leva articolare. La mossa era nota come “armbar” nel grappling e “juji-gatame” nel judo. Il suo muscoloso braccio era bloccato tra le mie gambe e gli tenevo saldamente attaccata la mano al petto. I miei piedi erano liberi di spaziare sul suo fantastico corpo, come avevo a lungo sognato. Un mio piede smaltato si appoggiò sul suo grande petto depilato, mentre l’altro glielo misi sulla bocca, senza tanti complimenti. Usando la mia leva, usai quel piede per muovergli la testa, finché i suoi occhi non incontrarono i miei. Era davvero incazzato ma anche terribilmente eccitato, era facilissimo capirlo. “Quindi nessuna donna ti ha mai battuto, è così?”, dissi con noncuranza, schiacciando la sua barbetta, “Forse ti sopravvaluti…”. “Ok, mi arrendo, hai vinto tu questa…”, disse lui, quasi sussurrando. Il mio sorriso si allargò. “Baciami il piede in segno di sottomissione prima…”, risposi. Lui chiuse gli occhi un attimo per l’umiliazione ma poi annuì. Un combattente capisce quando è sconfitto. Sentii le sue labbra che toccavano il mio piede, mentre i suoi forti muscoli si contraevano invano per la ribellione. “E ricorda che sei stato battuto da una donna…”, gli dissi, prima di lasciarlo. Ci rialzammo entrambi. Ora la sua erezione era evidente e non sarebbe esistito al mondo un pantaloncino capace di nasconderla. Fortunatamente per una donna l’eccitazione è meno evidente, pensai, a meno di non essere in mutande. “Pronto per l’umiliazione finale?”, chiesi, rimettendomi in guardia. Alessandro ora era concentrato e capii che non avrei più potuto approfittare della distrazione di prima. Ripresi a saltellare su me stessa, ma il mio capo venne minaccioso in avanti. Provai ad arretrare, ma un suo calcio mi raggiunse sul braccio. Faceva un male boia. Tirai un calcio a mia volta ma mancai il bersaglio; per tutta risposta il suo pugno destro si stampò sul mio addome, perforando i miei addominali, totalmente impotenti contro quella potenza. Il mio avversario mi incalzò, provando ad afferrarmi senza colpire e con vergogna pensai che forse fosse meglio così perché, ora che li avevo provati, i suoi colpi forti e precisi mi mettevano paura. Respirai a fondo e appena fu a tiro lo spinsi via, spostando veloce un piede dietro la sua gamba per farlo cadere. La mossa riuscì a metà; lui cadde ma non prima di avermi afferrata per portarmi con lui. Con un tonfo mi ritrovai per terra. Ero atterrata sopra di lui, ma a differenza di prima Alessandro sembrava totalmente padrone della situazione. Con velocità mi chiuse le gambe intorno alla vita e strinse, facendomi emettere uno sbuffo dal dolore. Iniziai a spingere con tutte le mie forze contro i suoi quadricipiti per liberarmi, ma lui di tutta risposta passò una mano intorno al mio gomito, piegandolo in modo innaturale. Altro gemito di dolore da parte mia e la voglia di fuggire da quell’abbraccio mortale. Mi girai, rinunciando a lottare a terra contro di lui e provando a riorganizzare le idee, ma il mio avversario non mi diede tregua: sentii che si spostava dietro di me e chiudeva le grosse mani intorno al mio petto, tirando il mio seno nudo all’indietro. Ce l’avevo attaccato alla schiena adesso. Impotente, mi accorsi che le sue gambe si erano nuovamente annodate intorno alla mia vita come grossi serpenti. Le mani maschili salirono lungo il mio petto, vincendo facilmente la mia improvvisata resistenza, e un braccio fatto di ferro mi passò intorno alla gola. Ero bloccata! Il suo bicipite sinistro si chiudeva quasi amorevolmente intorno alla mia gola, mentre le cosce dell’uomo mi avviluppavano, stringendo così forte che mi sentivo spremuta come l’uva. “Quale umiliazione?”, mi chiese lui, avido di vendetta, “…forse questa?”. Così dicendo mi fece correre la mano destra libera lungo il seno, iniziando a stringermi i capezzoli. Lanciai un grido di vergogna, eccitazione e dolore. “Non è valido!”, bofonchiai. “Perché, giocare con il mio pene lo era?”, chiese lui, sbuffandomi nell’orecchio. Eravamo entrambi sudati e sentivo i suoi pettorali sulla sua schiena; la sensazione era quasi più inebriante del tocco delle sue solide e asciutte mani sui miei seni. Provai ad aprire la morsa del suo braccio che sigillava la mia gola da dietro…nulla da fare, avrei avuto maggiori speranze con un lucchetto d’acciaio. Il suo bicipite si gonfiò e mi tirò all’indietro, stringendo la mia gola inesorabilmente “Va bene, hai vinto tu questa!”, ammisi ansimando, sentendo il fiato che mi mancava per la morsa e una pozza di umidità che si allargava tra le mie gambe. “Forse anche io ti dovrei chiedere un segno di sottomissione Caterina…”, rispose lui, con voce alterata. Sentendo l’oggetto duro che sbatteva contro la mia schiena era facile capire il perché di quella voce. Un pizzico più grosso degli altri al capezzolo mi fece sobbalzare. “Ok…ti bacio il braccio, te lo meriti…”, replicai con voce strozzata. Lui allentò un poco la presa e mi portò il bicipite davanti alle labbra. Iniziai a baciarlo sommessamente, ma poi non riuscendo a trattenermi lo leccai e morsi, ormai noncurante di quello che avrebbe potuto pensare. Alessandro mi lasciò ridacchiando. Io mi stesi a terra, respirando con affanno, rossa in volto. “La prossima deciderà chi vince…”, sussurrai. “Si, ma per ora, visto che ho vinto io, ti devi spogliare completamente”, disse Alessandro, iniziando lui stesso con il togliersi i pantaloncini e rimanendo completamente nudo. La sua cappella scoperta mi salutò e potei ammirare il suo grosso fallo, duro come l’acciaio e come il resto del corpo maschile che avevo davanti. Mi sorrise invitandomi a fare altrettanto. Mi tolsi anche io pantaloni e mutande, rimanendo completamente nuda, il mio pube depilato in bella vista. Ci mettemmo uno in ginocchio di fronte all’altra. Ammirai l’uomo forte ed eccitato davanti a me. Ora che eravamo nudi e pronti a combattere mi sentivo esposta e impotente, come una preda che si reca volontariamente a casa del cacciatore per farsi squartare. “Quindi come lottavate a questo punto con il tuo ex?”, mi chiese lui, finalmente passando all’agognata seconda persona. “Solo prese e strangolamenti, niente colpi…”, replicai io, “E vince chi supplica l’altro e si arrende…”. Lui si avvicinò, camminando sulle ginocchia “…e tu hai mai supplicato?”, mi chiese divertito, stendendo le mani per agguantarmi. “Mai!”, esclamai io fiera, accettando la sfida. “Beh oggi lo farai”. Un brivido mi corse lungo la schiena udendo quelle parole e in quell’esatto momento seppi che era vero. Ma avrei venduta cara la pelle prima. Ci afferrammo e io lo spinsi indietro, fingendo di volerlo impegnare in una futile prova di forza, ma poi iniziai a girargli intorno per prenderlo alle spalle. Lui si girò con me, assolutamente non sorpreso dal mio movimento, e poi passò le mani dietro alle mie scapole e mi tirò a sé di scatto. Il suo tocco sul mio corpo bollente e ipersensibile stimolò le mie cellule nervose che ormai da parecchi minuti mi chiedevano insistentemente di smettere quello scontro fisico e psicologico. Forse avrei dovuto dargli retta. Caddi in avanti, sentii il mio busto che si muoveva e qualcosa che si incastrava sotto la mia vagina grondante umori. Mi accorsi troppo tardi che Alessandro aveva messo i suoi piedi tra le mie gambe e ora mi stava sollevando in alto. Vidi il mondo ruotare e mi ritrovai schiena a terra in un men che non si dica, distesa sulla moquette pregna del nostro sudore. L’uomo arrivò un secondo dopo. Si sedette sopra di me e il suo sedere nudo si poggiò sul mio seno, schiacciandomi a terra. “Avanti su Caterina, lotta, pensavo potessi fare di meglio!”, iniziò a sfottermi. Io osservai il suo pene eretto di fronte a me e provai a raccogliere le energie per inventarmi un’uscita, ma ero stanca e il mio avversario era semplicemente un lottatore troppo bravo, pesante e forte per me. Iniziai a spingere tirare, dando e fondo alle mie ultime riserve, ma come risultato ebbi solo una posizione peggiore: ora il mio capo mi aveva passato una gamba sotto alla testa e il mio naso premeva era a pochi millimetri dalle sue palle. Il mio braccio era stato isolato dalla sua gamba e l’altra mano era stata inchiodata a terra dal suo piede. Non ero mai stata umiliata così in vita mia. L’odore del suo sesso mi occupò le narici e ci sarebbe rimasto per giorni. L’aria dentro a quella specie di capanna creata dal suo pube era stantia e riuscivo a malapena a respirare. Sentii che stava usando le mani libere per afferrarmi la gamba, tirandola verso la mia testa e aumentando così la pressione su tutto il mio corpo, piegato e schiacciato come quello di una contorsionista. “Basta…hai vinto tu! Mi arrendo Alessandro! Sei più forte di me….hai vinto!”, esclamai, mortificata per quella totale sopraffazione. “Non funziona così, dovevi supplicare, ricordi?”, mi fece eco la sua voce ovattata. Un istante dopo, un brivido di sofferenza quasi mi accecò, mandando in pappa le mie sinapsi del dolore e del piacere. Mi aveva veramente dato uno schiaffo sulle grandi labbra? Non poteva! Ma un secondo colpo vicino al clitoride mi disse che invece poteva e voleva. Mi stava letteralmente schiaffeggiando la vagina. Non avevo altra opzione, dovevo umiliarmi e capitolare. “No! Pietà, basta!”, farfugliai. Un terzo schiaffo arrivò su un punto sensibile, “Mi arrendo Alessandro! Scusa per prima. Ti supplico, me ne hai date abbastanza, basta!”, iniziai ad ululare, contorcendomi come un’ossessa. La mano di Alessandro toccò nuovamente la mia vagina, ma questa volta gentilmente, accarezzando il clitoride. Iniziai a tremare come un’educanda mentre il piacere cresceva, come una piccola onda che parte dal profondo dell’oceano e arriva in spiaggia così forte da sradicare le rocce. Chiudendo gli occhi, iniziai ad emettere versi e mugolii di piacere, sempre immobilizzata sotto il culo e il pisello del mio capo, e alla fine venni urlando, accogliendo l’orgasmo con gioia, come un liberatore che mi salvava da una prigione oscura dove avevo sofferto la fame. Alessandro si alzò in piedi, lasciandomi respirare. Ero totalmente devastata. “Mettiti in ginocchio davanti a me Carolina…”, mi ordinò lui. Senza riflettere, debole e tremante, fece come mi aveva chiesto. Eseguire i suoi ordini a lavoro era naturale e ora lo sarebbe probabilmente diventato anche nell’intimità. Mise le braccia sui fianchi soddisfatto. “Allora, come è andata questa rivincita?”, mi domandò, sogghignando. “Mi hai devastata. Ma almeno un round l’ho vinto…”, replicai io, guardando fiera dalla mia posizione prona verso l’alto. “Si, è vero, ti avevo sottovalutata. Non accadrà più..”, “No, io ti avevo sottovalutato…”, risposi, spostando lo sguardo in basso, “…anche se volevo illudermi sapevo che avresti vinto ma non così, non in modo così completo. Mi hai fatto sentire impotente Alessandro e per una donna come me non è normale…”. Lui sorrise dolcemente “E quando il tuo ex era in ginocchio davanti a te, dopo essere stato sconfitto e umiliato, cosa succedeva?”. Non risposi a parole. Invece, tirai fuori la lingua e iniziai a baciare e leccare il suo scroto turgido. Mossi la mia bocca verso l’alto, arrivando all’asta eretta, e lì iniziai a dare baci e piccoli morsetti, per poi prenderlo in bocca. Ma se avessi pensato di gestire io il ritmo del suo orgasmo avrei sbagliato di grosso. Alessandro mi prese per i capelli e iniziò a muovermi lui avanti e indietro, scopandomi in bocca e mandandomi la cappella fino alle tonsille. Nessuno aveva mai osato fare nulla del genere con me prima ma da lui lo accettavo, anzi, non ci sarebbe stato nulla di più naturale. Provai a resistere ai conati e mi preparai ad inghiottire il suo umido regalo che mi sarebbe a breve calato in gola, ma il mio capo aveva altri piani. Mi tirò all’indietro, sfilandomi il marmo di bocca. Si udì uno schiocco, come quando si stura un lavandino, e improvvisamente mi ritrovai libera di respirare. Pensai subito, con una certa vergogna, che mi mancava sentire quella presenza riempirmi la lingua. Ma non ebbi molto tempo per pensare, perché l’uomo appoggiò delicatamente un piede sul mio petto, spingendomi all’indietro. Fui colta di sorpresa e seguii la direzione che mi era stata impartita, trovandomi con la schiena a terra. Lui venne sopra di me, incombendo come quando lottavamo, ma questa volta mi prese le gambe forti e lisce e le aprì di scatto. Poi, senza tanti complimenti, me lo mise dentro e iniziò a martellare, chinandosi sempre di più mentre lo faceva e portando le mie gambe perpendicolari sopra di me. Ero nella posizione chiamata “the shard”, una di quelle dove la donna è assolutamente impotente e in balia del suo partner. La sensazione del dentro di me era meravigliosa. La mia vagina era grondante umori e l’arrivo del suo grande fallo fu salutata dai miei sensi con gioia. Iniziò a scoparmi in quel modo dominante avanti e indietro, ritmicamente e senza alcuno sforzo. Vedevo i suoi muscoli che si tendevano sopra di me mentre con il suo pene mi regalava emozioni di pura goduria. Cambiava ogni tanto il ritmo, rallentando e facendomi desiderare con tutto il cuore che riprendesse ad accelerare, e poi aumentando l’intensità fino a generare un groviglio di scariche elettriche nel mio intestino. Non potevo resistere ad un uomo che mi scopava in quel modo. Venni presto, urlando come un animale, reagendo ancora una volta come una ragazzina qualsiasi alla sua seconda scopata. Lui uscì, fermandosi per un momento, poi mi prese per i piedi e mi ribaltò senza difficoltà faccia a terra. Altro che Giorgino e gli altri….quell’uomo mi stava strapazzando come se fossi stata una bambola di pezza. “Quanto cazzo sei forte Alessandro…sei pazzesco…vaffanculo…”, mormorai, ormai accettando che la mia bocca fosse disconnessa dal mio cervello. Mi misi carponi e sentii un fiotto caldo sul culo. “Cosa…no…cosa…”, farfugliai, trattenendo il fiato. La risposta arrivò presto quando il mio buco fu allargato dall’esterno e poi venne riempito da quella presenza ingombrante che avevo avuto modo di conoscere. Emisi una serie di gemiti interrotti, come un’auto quando si ingolfa, usando tutte le mie energie per controllare il mio respiro e non cedere a quello scontro tra dolore e piacere che mi stava travolgendo. Ormai i miei versetti ridicoli riempivano la stanza, provvedendo un non richiesto sottofondo musicale a quel semplice e primordiale atto di supremazia maschiale sulla donna. Stavo diventando la sua troia, pensai, ma in fondo se lo meritava, lui su mia istigazione aveva letteralmente conquistato il mio corpo e ora lo usava a mio piacimento. Alla fine sentii qualcosa di diverso, un’ultima spinta molto più forte delle altre che mi arrivò fino all’intestino e un calore viscido che gocciolava tra le mie chiappe. Finalmente era venuto. Lui si sfilò e io crollai bocconi a terra, quasi sbavando sulla moquette. I capelli scompigliati mi cadevano sul volto, i muscoli erano totalmente rilassati e non avevo forze neanche per chiudere la bocca, figuriamoci per rialzarmi. “Abbiamo già finito?”, chiese lui con tono di sufficienza, “Bene. Fatti la doccia, ti offro la cena, così hai tempo per ricaricarti”. Mi alzai sulle braccia a stento e lo guardai. “Vuoi rimanere qui stanotte?”, mi chiese con sguardo incuriosito, sorridendo soddisfatto. “Io…io…”, inizia confusa, poi mi decisi a dirlo “Si, lo vorrei, ma se mi scopi così non penso che reggerò molto, ti avverto”. Il suo sorriso si allargò, placido e sicuro, “Stasera testeremo i tuoi limiti allora”. Deglutii a vuoto, sperando di essere pronta e di riuscire minimamente a soddisfarlo.
Mentre lui ne parlava, mi ricordai Giorgio o, come lo chiamavo io per sfotterlo, “Giorgino”. Un giovane insegnante, più alto di me e non brutto ma molto magro, così magro che spesso riuscivo a batterlo in diverse prove di forza, come braccio di ferro. Lui ne usciva umiliato, ma anche molto eccitato, e più lo prendevo in giro più lui si faceva prendere dalla situazione. La prima volta che lo sfidai, mentre facevamo dei preliminari a letto, fui sorpresa da quanto mi venisse facile e naturale sovrastarlo fisicamente. Quello era stato l’inizio del nostro rapporto sadomaso. Poi, vista la mia passione per le arti marziali, eravamo passati alla lotta. Qui il nostro lato sadico e masochista si era ampliato ed affinato. Iniziavamo con io che gli chiedevo di fare i lavori di casa e se rifiutava, cosa che ovviamente faceva di proposito, io mi toglievo le pantofole e iniziavo a prenderlo a calci: sulle gambe, sullo stomaco, sul viso e qualche volta tra le palle. Il poveretto mi lanciava sguardi esterrefatti mentre danzavo su me stessa, seminando sofferenza su quel suo fisico patetico. Ovviamente provava a difendersi, qualche volta anche attivamente, buttandosi in avanti per afferrarmi o provando a schivare, ma era un povero imbranato e cadeva o finiva in una posizione in cui era ancora più facile colpirlo. Per cui, dopo qualche minuto di questo trattamento, finiva in ginocchio in mutande davanti a me. Qualche volta mi mettevo il kimono e lui, semplicemente vedendomi nel mio aspetto marziale, cadeva ai miei piedi, eseguendo ogni mio ordine. Ma quella era un’altra vita e Giorgino, per quanto gli fossi affezionata, non era mai riuscita a prendermi a letto. Ora avevo un’altra sfida davanti a me. Alessandro era un uomo totalmente diverso. Era un uomo in carriera, sicuro di sé e decisamente forte fisicamente e caratterialmente. Non era il tipo di uomo che una donna di solito prova a sottomettere, ma io amavo le sfide e avevo la sensazione che quella sarebbe stata comunque una chiave di ingresso nella sua gelida maschera da capo. Iniziai a girargli intorno, danzando con il mio reggiseno sportivo grigio e il mio pantaloncino dello stesso colore intorno a quell’omone. I miei piedi smaltati toccavano leggeri la moquette. Alessandro provò a fare un paio di passi in avanti, le grosse braccia alzate, e io gli tirai un calcio ben assestato sulla coscia. Inutile, ovviamente, visto quanto era muscolosa. Continuai a girare, provando a non perdere mai il contatto visivo e assolutamente concentrata. Quando si presentò l’opportunità, iniziai una torsione con il busto per colpire nuovamente lo stesso punto di prima. Alessandro se l’aspettava e provò ad afferrarmi la gamba con la mano. Purtroppo per lui, quello era un diversivo. Abbassai velocemente il piede che si era alzato e ruotai su me stessa, descrivendo un cerchio e andando ad impattare l’altro piede sul suo volto. Era poco più che uno schiaffo per lui, ma il danno peggiore speravo di infliggerlo al suo ego. Il mio capo arretrò, sorpreso, e io mi mossi baldanzosa in avanti. Purtroppo per me anche lui però aveva qualche freccia al suo arco. Vidi che alzava il ginocchio per spostarsi di lato e mi trovai il suo piede ficcato nella pancia che mi spingeva indietro; il suo movimento era stato molto veloce e soprattutto non mi aspettavo questa sua capacità di recupero. Subire il colpo di un uomo di quella stazza non era facile e fui forzata di due passi all’indietro. Lui avanzò, finse di tirarmi un colpo con il gomito e invece balzò in avanti, letteralmente trascinandomi verso il muro. L’avevo fatto incazzare, constatai, e la mia soddisfazione per questo era immensa. Un sorriso increspò le mie labbra, mentre la mia schiena sbatteva contro il freddo dei mattoni dietro. Il calore del mio avversario sul lato opposto era contro di me. Alessandro mi schiacciava sul muro, facendo valere la sua stazza. Mi portò una mano sul collo, senza stringere, e sentii qualcosa che mi si scioglieva dentro. “Questa vale come vittoria?”, mi chiese, serrando un poco le dita. Ero immobilizzata e mi mancava il respiro chiusa sotto tutti quei muscoli. “Possiamo dire che è 1 a 0?”, mi chiese lui. Vidi la sua corta barba e sentii il suo respiro profumato mentre parlava. “Va bene…il primo round è tuo…”, gracidai. Fui liberata e mi ritrovai a respirare liberamente. Essere chiusa contro il muro da lui era stato….ok, non dovevo pensarci. La sfida era ancora aperta e il mio orgoglio si rifiutava di cedere così. “Puoi spogliarti!”, mi disse lui, incrociando le braccia. Mi si seccò la gola sentendo questo. “Ok, nessun problema!”, replicai, mentre il mio respiro diveniva laborioso. Afferrai il mio reggiseno grigio e lo alzai, scoprendo le mie tette. I capezzoli erano turgidi e la posizione dei seni era alta, anche grazie al molto sport che facevo. “Per ora va bene…ora tocca a te!”, dissi io. Alessandro sorrise, chiaramente gratificato dalla visione della sua segretaria mezza nuda, e si tolse la canottiera. Quanto cazzo era bello…i miei pensieri correvano veloci. “Secondo round!”, proposi alla fine, riprendendo a girare come prima. Lui si avvicinò, questa volta con le braccia abbassate. Sembrava distratto, forse per la sua prima vittoria o probabilmente per il più ovvio istinto che lo guidava vedendomi mezza nuda. Ovviamente ne approfittai. Dimenticando la mia strategia basata sui colpi, mi avvicinai fulminea a lui e, sfruttando il suo stesso movimento, gli passai il mio braccio destro sotto l’ascella sinistra e poi mi girai, facendo attenzione che il mio bacino fosse basso abbastanza da proiettarlo al suolo. La mossa mi venne naturale, affinata da anni di judo. Alessandro sgranò gli occhi ma non poté far nulla: il suo corpo atletico roteò sopra di me e si abbatté a terra con un tonfo. Non c’era tempo di festeggiare però; dovevo finirlo. Con rapidità salii a cavalcioni sul grosso petto del mio avversario, impedendogli di rialzarsi. Le mie tette spinsero la sua testa verso il basso, soffocandolo, mentre i miei piedi provavano a bloccargli le gambe. Sentii le dita dei miei piedi nudi che viaggiavano lungo il suo scroto, cercando alla cieca gli adduttori, imbattersi nel pene eretto del mio avversario. Era davvero enorme e durissimo. Non resistetti alla tentazione e gli diedi dei colpetti, continuando la lotta contro l’uomo sotto di me. “Puoi arrenderti quando vuoi…”, dissi, notando che era in difficoltà. Giorgino in quel momento sarebbe scoppiato in lacrime, ma sapevo che Alessandro era di un’altra pasta, e infatti provò ad interporre il suo grosso braccio sinistro tra di noi per spingermi via. Quella era l’occasione che stavo aspettando. Improvvisamente mi alzai, mettendomi seduta sul suo petto, afferrai il polso del braccio che lui aveva avvicinato alla mia spalla e andai su un lato, mettendogli la spalla in leva articolare. La mossa era nota come “armbar” nel grappling e “juji-gatame” nel judo. Il suo muscoloso braccio era bloccato tra le mie gambe e gli tenevo saldamente attaccata la mano al petto. I miei piedi erano liberi di spaziare sul suo fantastico corpo, come avevo a lungo sognato. Un mio piede smaltato si appoggiò sul suo grande petto depilato, mentre l’altro glielo misi sulla bocca, senza tanti complimenti. Usando la mia leva, usai quel piede per muovergli la testa, finché i suoi occhi non incontrarono i miei. Era davvero incazzato ma anche terribilmente eccitato, era facilissimo capirlo. “Quindi nessuna donna ti ha mai battuto, è così?”, dissi con noncuranza, schiacciando la sua barbetta, “Forse ti sopravvaluti…”. “Ok, mi arrendo, hai vinto tu questa…”, disse lui, quasi sussurrando. Il mio sorriso si allargò. “Baciami il piede in segno di sottomissione prima…”, risposi. Lui chiuse gli occhi un attimo per l’umiliazione ma poi annuì. Un combattente capisce quando è sconfitto. Sentii le sue labbra che toccavano il mio piede, mentre i suoi forti muscoli si contraevano invano per la ribellione. “E ricorda che sei stato battuto da una donna…”, gli dissi, prima di lasciarlo. Ci rialzammo entrambi. Ora la sua erezione era evidente e non sarebbe esistito al mondo un pantaloncino capace di nasconderla. Fortunatamente per una donna l’eccitazione è meno evidente, pensai, a meno di non essere in mutande. “Pronto per l’umiliazione finale?”, chiesi, rimettendomi in guardia. Alessandro ora era concentrato e capii che non avrei più potuto approfittare della distrazione di prima. Ripresi a saltellare su me stessa, ma il mio capo venne minaccioso in avanti. Provai ad arretrare, ma un suo calcio mi raggiunse sul braccio. Faceva un male boia. Tirai un calcio a mia volta ma mancai il bersaglio; per tutta risposta il suo pugno destro si stampò sul mio addome, perforando i miei addominali, totalmente impotenti contro quella potenza. Il mio avversario mi incalzò, provando ad afferrarmi senza colpire e con vergogna pensai che forse fosse meglio così perché, ora che li avevo provati, i suoi colpi forti e precisi mi mettevano paura. Respirai a fondo e appena fu a tiro lo spinsi via, spostando veloce un piede dietro la sua gamba per farlo cadere. La mossa riuscì a metà; lui cadde ma non prima di avermi afferrata per portarmi con lui. Con un tonfo mi ritrovai per terra. Ero atterrata sopra di lui, ma a differenza di prima Alessandro sembrava totalmente padrone della situazione. Con velocità mi chiuse le gambe intorno alla vita e strinse, facendomi emettere uno sbuffo dal dolore. Iniziai a spingere con tutte le mie forze contro i suoi quadricipiti per liberarmi, ma lui di tutta risposta passò una mano intorno al mio gomito, piegandolo in modo innaturale. Altro gemito di dolore da parte mia e la voglia di fuggire da quell’abbraccio mortale. Mi girai, rinunciando a lottare a terra contro di lui e provando a riorganizzare le idee, ma il mio avversario non mi diede tregua: sentii che si spostava dietro di me e chiudeva le grosse mani intorno al mio petto, tirando il mio seno nudo all’indietro. Ce l’avevo attaccato alla schiena adesso. Impotente, mi accorsi che le sue gambe si erano nuovamente annodate intorno alla mia vita come grossi serpenti. Le mani maschili salirono lungo il mio petto, vincendo facilmente la mia improvvisata resistenza, e un braccio fatto di ferro mi passò intorno alla gola. Ero bloccata! Il suo bicipite sinistro si chiudeva quasi amorevolmente intorno alla mia gola, mentre le cosce dell’uomo mi avviluppavano, stringendo così forte che mi sentivo spremuta come l’uva. “Quale umiliazione?”, mi chiese lui, avido di vendetta, “…forse questa?”. Così dicendo mi fece correre la mano destra libera lungo il seno, iniziando a stringermi i capezzoli. Lanciai un grido di vergogna, eccitazione e dolore. “Non è valido!”, bofonchiai. “Perché, giocare con il mio pene lo era?”, chiese lui, sbuffandomi nell’orecchio. Eravamo entrambi sudati e sentivo i suoi pettorali sulla sua schiena; la sensazione era quasi più inebriante del tocco delle sue solide e asciutte mani sui miei seni. Provai ad aprire la morsa del suo braccio che sigillava la mia gola da dietro…nulla da fare, avrei avuto maggiori speranze con un lucchetto d’acciaio. Il suo bicipite si gonfiò e mi tirò all’indietro, stringendo la mia gola inesorabilmente “Va bene, hai vinto tu questa!”, ammisi ansimando, sentendo il fiato che mi mancava per la morsa e una pozza di umidità che si allargava tra le mie gambe. “Forse anche io ti dovrei chiedere un segno di sottomissione Caterina…”, rispose lui, con voce alterata. Sentendo l’oggetto duro che sbatteva contro la mia schiena era facile capire il perché di quella voce. Un pizzico più grosso degli altri al capezzolo mi fece sobbalzare. “Ok…ti bacio il braccio, te lo meriti…”, replicai con voce strozzata. Lui allentò un poco la presa e mi portò il bicipite davanti alle labbra. Iniziai a baciarlo sommessamente, ma poi non riuscendo a trattenermi lo leccai e morsi, ormai noncurante di quello che avrebbe potuto pensare. Alessandro mi lasciò ridacchiando. Io mi stesi a terra, respirando con affanno, rossa in volto. “La prossima deciderà chi vince…”, sussurrai. “Si, ma per ora, visto che ho vinto io, ti devi spogliare completamente”, disse Alessandro, iniziando lui stesso con il togliersi i pantaloncini e rimanendo completamente nudo. La sua cappella scoperta mi salutò e potei ammirare il suo grosso fallo, duro come l’acciaio e come il resto del corpo maschile che avevo davanti. Mi sorrise invitandomi a fare altrettanto. Mi tolsi anche io pantaloni e mutande, rimanendo completamente nuda, il mio pube depilato in bella vista. Ci mettemmo uno in ginocchio di fronte all’altra. Ammirai l’uomo forte ed eccitato davanti a me. Ora che eravamo nudi e pronti a combattere mi sentivo esposta e impotente, come una preda che si reca volontariamente a casa del cacciatore per farsi squartare. “Quindi come lottavate a questo punto con il tuo ex?”, mi chiese lui, finalmente passando all’agognata seconda persona. “Solo prese e strangolamenti, niente colpi…”, replicai io, “E vince chi supplica l’altro e si arrende…”. Lui si avvicinò, camminando sulle ginocchia “…e tu hai mai supplicato?”, mi chiese divertito, stendendo le mani per agguantarmi. “Mai!”, esclamai io fiera, accettando la sfida. “Beh oggi lo farai”. Un brivido mi corse lungo la schiena udendo quelle parole e in quell’esatto momento seppi che era vero. Ma avrei venduta cara la pelle prima. Ci afferrammo e io lo spinsi indietro, fingendo di volerlo impegnare in una futile prova di forza, ma poi iniziai a girargli intorno per prenderlo alle spalle. Lui si girò con me, assolutamente non sorpreso dal mio movimento, e poi passò le mani dietro alle mie scapole e mi tirò a sé di scatto. Il suo tocco sul mio corpo bollente e ipersensibile stimolò le mie cellule nervose che ormai da parecchi minuti mi chiedevano insistentemente di smettere quello scontro fisico e psicologico. Forse avrei dovuto dargli retta. Caddi in avanti, sentii il mio busto che si muoveva e qualcosa che si incastrava sotto la mia vagina grondante umori. Mi accorsi troppo tardi che Alessandro aveva messo i suoi piedi tra le mie gambe e ora mi stava sollevando in alto. Vidi il mondo ruotare e mi ritrovai schiena a terra in un men che non si dica, distesa sulla moquette pregna del nostro sudore. L’uomo arrivò un secondo dopo. Si sedette sopra di me e il suo sedere nudo si poggiò sul mio seno, schiacciandomi a terra. “Avanti su Caterina, lotta, pensavo potessi fare di meglio!”, iniziò a sfottermi. Io osservai il suo pene eretto di fronte a me e provai a raccogliere le energie per inventarmi un’uscita, ma ero stanca e il mio avversario era semplicemente un lottatore troppo bravo, pesante e forte per me. Iniziai a spingere tirare, dando e fondo alle mie ultime riserve, ma come risultato ebbi solo una posizione peggiore: ora il mio capo mi aveva passato una gamba sotto alla testa e il mio naso premeva era a pochi millimetri dalle sue palle. Il mio braccio era stato isolato dalla sua gamba e l’altra mano era stata inchiodata a terra dal suo piede. Non ero mai stata umiliata così in vita mia. L’odore del suo sesso mi occupò le narici e ci sarebbe rimasto per giorni. L’aria dentro a quella specie di capanna creata dal suo pube era stantia e riuscivo a malapena a respirare. Sentii che stava usando le mani libere per afferrarmi la gamba, tirandola verso la mia testa e aumentando così la pressione su tutto il mio corpo, piegato e schiacciato come quello di una contorsionista. “Basta…hai vinto tu! Mi arrendo Alessandro! Sei più forte di me….hai vinto!”, esclamai, mortificata per quella totale sopraffazione. “Non funziona così, dovevi supplicare, ricordi?”, mi fece eco la sua voce ovattata. Un istante dopo, un brivido di sofferenza quasi mi accecò, mandando in pappa le mie sinapsi del dolore e del piacere. Mi aveva veramente dato uno schiaffo sulle grandi labbra? Non poteva! Ma un secondo colpo vicino al clitoride mi disse che invece poteva e voleva. Mi stava letteralmente schiaffeggiando la vagina. Non avevo altra opzione, dovevo umiliarmi e capitolare. “No! Pietà, basta!”, farfugliai. Un terzo schiaffo arrivò su un punto sensibile, “Mi arrendo Alessandro! Scusa per prima. Ti supplico, me ne hai date abbastanza, basta!”, iniziai ad ululare, contorcendomi come un’ossessa. La mano di Alessandro toccò nuovamente la mia vagina, ma questa volta gentilmente, accarezzando il clitoride. Iniziai a tremare come un’educanda mentre il piacere cresceva, come una piccola onda che parte dal profondo dell’oceano e arriva in spiaggia così forte da sradicare le rocce. Chiudendo gli occhi, iniziai ad emettere versi e mugolii di piacere, sempre immobilizzata sotto il culo e il pisello del mio capo, e alla fine venni urlando, accogliendo l’orgasmo con gioia, come un liberatore che mi salvava da una prigione oscura dove avevo sofferto la fame. Alessandro si alzò in piedi, lasciandomi respirare. Ero totalmente devastata. “Mettiti in ginocchio davanti a me Carolina…”, mi ordinò lui. Senza riflettere, debole e tremante, fece come mi aveva chiesto. Eseguire i suoi ordini a lavoro era naturale e ora lo sarebbe probabilmente diventato anche nell’intimità. Mise le braccia sui fianchi soddisfatto. “Allora, come è andata questa rivincita?”, mi domandò, sogghignando. “Mi hai devastata. Ma almeno un round l’ho vinto…”, replicai io, guardando fiera dalla mia posizione prona verso l’alto. “Si, è vero, ti avevo sottovalutata. Non accadrà più..”, “No, io ti avevo sottovalutato…”, risposi, spostando lo sguardo in basso, “…anche se volevo illudermi sapevo che avresti vinto ma non così, non in modo così completo. Mi hai fatto sentire impotente Alessandro e per una donna come me non è normale…”. Lui sorrise dolcemente “E quando il tuo ex era in ginocchio davanti a te, dopo essere stato sconfitto e umiliato, cosa succedeva?”. Non risposi a parole. Invece, tirai fuori la lingua e iniziai a baciare e leccare il suo scroto turgido. Mossi la mia bocca verso l’alto, arrivando all’asta eretta, e lì iniziai a dare baci e piccoli morsetti, per poi prenderlo in bocca. Ma se avessi pensato di gestire io il ritmo del suo orgasmo avrei sbagliato di grosso. Alessandro mi prese per i capelli e iniziò a muovermi lui avanti e indietro, scopandomi in bocca e mandandomi la cappella fino alle tonsille. Nessuno aveva mai osato fare nulla del genere con me prima ma da lui lo accettavo, anzi, non ci sarebbe stato nulla di più naturale. Provai a resistere ai conati e mi preparai ad inghiottire il suo umido regalo che mi sarebbe a breve calato in gola, ma il mio capo aveva altri piani. Mi tirò all’indietro, sfilandomi il marmo di bocca. Si udì uno schiocco, come quando si stura un lavandino, e improvvisamente mi ritrovai libera di respirare. Pensai subito, con una certa vergogna, che mi mancava sentire quella presenza riempirmi la lingua. Ma non ebbi molto tempo per pensare, perché l’uomo appoggiò delicatamente un piede sul mio petto, spingendomi all’indietro. Fui colta di sorpresa e seguii la direzione che mi era stata impartita, trovandomi con la schiena a terra. Lui venne sopra di me, incombendo come quando lottavamo, ma questa volta mi prese le gambe forti e lisce e le aprì di scatto. Poi, senza tanti complimenti, me lo mise dentro e iniziò a martellare, chinandosi sempre di più mentre lo faceva e portando le mie gambe perpendicolari sopra di me. Ero nella posizione chiamata “the shard”, una di quelle dove la donna è assolutamente impotente e in balia del suo partner. La sensazione del dentro di me era meravigliosa. La mia vagina era grondante umori e l’arrivo del suo grande fallo fu salutata dai miei sensi con gioia. Iniziò a scoparmi in quel modo dominante avanti e indietro, ritmicamente e senza alcuno sforzo. Vedevo i suoi muscoli che si tendevano sopra di me mentre con il suo pene mi regalava emozioni di pura goduria. Cambiava ogni tanto il ritmo, rallentando e facendomi desiderare con tutto il cuore che riprendesse ad accelerare, e poi aumentando l’intensità fino a generare un groviglio di scariche elettriche nel mio intestino. Non potevo resistere ad un uomo che mi scopava in quel modo. Venni presto, urlando come un animale, reagendo ancora una volta come una ragazzina qualsiasi alla sua seconda scopata. Lui uscì, fermandosi per un momento, poi mi prese per i piedi e mi ribaltò senza difficoltà faccia a terra. Altro che Giorgino e gli altri….quell’uomo mi stava strapazzando come se fossi stata una bambola di pezza. “Quanto cazzo sei forte Alessandro…sei pazzesco…vaffanculo…”, mormorai, ormai accettando che la mia bocca fosse disconnessa dal mio cervello. Mi misi carponi e sentii un fiotto caldo sul culo. “Cosa…no…cosa…”, farfugliai, trattenendo il fiato. La risposta arrivò presto quando il mio buco fu allargato dall’esterno e poi venne riempito da quella presenza ingombrante che avevo avuto modo di conoscere. Emisi una serie di gemiti interrotti, come un’auto quando si ingolfa, usando tutte le mie energie per controllare il mio respiro e non cedere a quello scontro tra dolore e piacere che mi stava travolgendo. Ormai i miei versetti ridicoli riempivano la stanza, provvedendo un non richiesto sottofondo musicale a quel semplice e primordiale atto di supremazia maschiale sulla donna. Stavo diventando la sua troia, pensai, ma in fondo se lo meritava, lui su mia istigazione aveva letteralmente conquistato il mio corpo e ora lo usava a mio piacimento. Alla fine sentii qualcosa di diverso, un’ultima spinta molto più forte delle altre che mi arrivò fino all’intestino e un calore viscido che gocciolava tra le mie chiappe. Finalmente era venuto. Lui si sfilò e io crollai bocconi a terra, quasi sbavando sulla moquette. I capelli scompigliati mi cadevano sul volto, i muscoli erano totalmente rilassati e non avevo forze neanche per chiudere la bocca, figuriamoci per rialzarmi. “Abbiamo già finito?”, chiese lui con tono di sufficienza, “Bene. Fatti la doccia, ti offro la cena, così hai tempo per ricaricarti”. Mi alzai sulle braccia a stento e lo guardai. “Vuoi rimanere qui stanotte?”, mi chiese con sguardo incuriosito, sorridendo soddisfatto. “Io…io…”, inizia confusa, poi mi decisi a dirlo “Si, lo vorrei, ma se mi scopi così non penso che reggerò molto, ti avverto”. Il suo sorriso si allargò, placido e sicuro, “Stasera testeremo i tuoi limiti allora”. Deglutii a vuoto, sperando di essere pronta e di riuscire minimamente a soddisfarlo.
2
voti
voti
valutazione
6
6
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
La mia vita a Milano - 2 La rivincita (lotta mista e dominazione)racconto sucessivo
Dominato da mia cugina Gaia (lotta, incesto e dominazione) - I parte
Commenti dei lettori al racconto erotico