I supplizi sessuali di un vagabondo
di
DolceStaffile
genere
sadomaso
Lascio furtivamente questo manoscritto in un anfratto di un’importante biblioteca e spero che possa essere letto avanti nei secoli.
Mi chiamo Lazzaro e ho vissuto nel quindicesimo secolo. Fui abbandonato in età giovanile da una famiglia difficile e da quel giorno dovetti arrabattarmi giovanissimo per sopravvivere appoggiandomi ad altre persone. In cambio di lavori che garantissero un’alloggio e un vitto e un mestiere da imparare prestando al capo il mio lavoro. Per motivi di abusi, non mi trattenevo a lungo dai signori che mi ospitavano. Per perdere le mie tracce, alcuni mi avrebbero riacciuffato, mi spostavo da una città all’altra d’Europa con la speranza di trovare finalmente un appoggio di qualcuno che mi insegnasse un mestiere e diventare autonomo con gli anni.
Così presi forza e partii. Arrivai a destinazione, mi ritrovai in un paese dove si poteva trovare lavoro. Porta a porta chiesi in giro. Trovai un fabbro di nome Orfeo che sentendo la mia storia si sfregò le mani e mi volle mettere in prova. In cambio uno sgabuzzino dove dormire e del scarso cibo ma niente stipendio.
Mi diede sistemazione nel mio tugurio di camera all’interno dell’officina. Mentre lui abitava nella casa adiacente.
Passavano i giorni e di duro lavoro. Ero un novizio e Orfeo mi colpiva a cinghiate per i miei numerosi errori. Fino a che non pago dei miei servigi ricambiati, un dì pensó di dare libero sfogo ai suoi piaceri perversi. “Lazzaro oggi il lavoro è terminato ed è venuta l’ora della medicina.” Mi diceva. Mi svestivo della casacca e rimanevo a torso nudo in piedi in officina. Lui prendeva una frusta a due lingue molto spessa e mi flagellava a frustate tanto forti che spesso mi levava via la pelle. Per paura dell’ignoto rimasi da lui ancora un paio di settimane. Finché una notte entro nel mio stanzìno e mi ordinò di stare fermo. Si caló i pantaloni. Dalle sue gonfie mutande usciva fuori un cazzo enorme e duro come il marmo. Mi violentó in tutti i modi finché il suo sfogo venne compiaciuto da una copiosa sborrata sul mio viso. Ma quella notte non finì lì. Ogni circa mezz’ora mi scopó a più riprese ed ottenni il suo sperma in ogni buco e superficie del mio corpo. Riprese la frusta e subii le sue nerbate.
Il giorno dopo mi preparai alla fuga, presi i miei stracci e cominciai a cercarmi un’altra meta. Le strade erano lunghe, chiedevo passaggi su carri a buoi in genere. Un signore vedendomi camminare sul sentiero fece fermare il suo cocchiere e dalla sua carrozza mi chiese se volessi un passaggio. Accettai. Dopo i primi convenevoli fece fermare il mezzo in uno strdello abbandonato. Il cocchiere si avvicinò nell’abitacolo e disse che se non facevo come mi avrebbe chiesto il suo signore avrebbe sfoderato un pugnale. Io non manifestai cenni di ribellione e il signore mi trombó con veemenza dentro la carrozza. La corazza cigolava, mi infilo il suo cazzo in bocca e dovetti pomparlo, ci distendemmo sul piano della carrozz@ con una coperta distesa e mi prese a 90 gradi, vennè dentro di me, rispcordo i colpi e il calore del suo sperma.
Una volta che si tolse le sue voglie mi lascio lì sul posto e con una risata di grande soddisfazione se ne andò via.
Praticamente venivo trombato da ogni uomo che incontravo nel cammino, se erano in gruppo dopo che venivo violentato a turno, spesso subivo un bukkake umiliante perché rimanevo co i vestiti intrisi di sborra.
Prima tutti gentili gli uomini poi violenti e approfittatori. Riuscì comunque ad arrivare in un villaggio.
Trovai una coppia di contadini disponibili e io accettai perché era meglio avere una sorta di protezione che ricevere frustate e stupri da chi li capitavo a tiro e perché avevo bisogno di mangiare. Mi resi conto che tutti gli uomini mi volevano trombare.
Franca e Tiberio non ci misero molto a mostrare le loro vere identità. Diventai il loro schiavo, aravo i campi ogni giorno a suon di frusta. Si alternavano durante il giorno e chi lavorava ero soltanto io mentre il loro compito era solo quello di sorvegliarmi e farmi lavorare sodo sotto il sibilo della frusta. La notte avevo diritto a prendere sonno dopo aver soddisfatto le voglie sessuali di Tiberio. A volte dormivo con loro nel lettone e la notte sentivo dita di entrambi i coniugi penetrare il mio ano e altre molestie..
Non potevo uscire, a casa stavo sotto chiave. Questo mi permetteva di stare lontano dalla strada . Col mio carattere remissivo, la mia bellezza esteriore, lo stereotipo di senza famiglia e povero mi rendono un bersaglio facile per la gente che al mio tempo poteva agire impunemente.
Speravo però di imparare un lavoro per il mio futuro ma Tiberio e Franca altro non mi facevano fare che zappare e usare semplici mezzi agricoli.
Scelsi quindi di tornare a vagabondare per trovare un lavoro più specializzato.
Purtroppo scappare dai miei carcerieri non era facile, la casa rimaneva sempre chiusa a chiave anche in loro presenza e nelle ore di lavoro mi sorvegliavano non solo brandendo una frusta ma con il loro molosso, addestrato a catturare i fuggitivi. E poi la minaccia, in caso di ricattura, di consegnarmi per un periodo a un maniaco sessuale loro amico.
Una notte forzai la serratura e scappai, camminai fuori sentiero ma poi dovetti seguire uno stradello per trovare un villaggio. Questo fu un errore, mi aspettava al varco nei sentieri Tiberio che mi catturó sono la minaccia di un’arma. Dopo avermi punito con colpi di fibbia su tutto il corpo mi disse che mi avrebbe ceduto per molti giorni ad Augusto, il maniaco sessuale.
Così fece, incappai in una situazione di estremo pericolo. Mi faceva dormire in gabbia senz’acqua, le sue perversioni erano selvagge.
Bere la sua urina direttamente dalla fonte,tagliuzzarmi con una lametta, mettermi in piedi su una sedia con un cappio al collo e mentre io faticavo a non cadere dalla sedia, lui si masturbava e godeva. Non pensava altro che al sesso, visto che era possidente, quindi mi trombava tutto il giorno nelle maniere più depravate. Il suo cazzo era sempre su di me. Frustava a sangue.
Ma grazie al suo vizio del bere un giorno crollo a terra prima di aver avuto il tempo di mettermi in gabbia e potei scappare.
Quanti briganti incontrai nel nuovo tragitto, senza soldi da potermi rubare, per cui volevano una contropartita in natura. Di solito agli adulti squattrinati, i briganti, per vendetta si facevano leccare l’ano a turno e questo trattamento tocco spesso anche a me oltre che essere trombato.
Raggiunsi un nuovo villaggio, mi diede asilo una famiglia apparentemente più o meno perbene, Giuseppe, il marito, mi insegnò ad allevare il suo bestiame. Loretta, la moglie, faceva la casalinga. Severi e maneschi mi insegnarono la disciplina e il rispetto.
Sembrava di aver trovato una collocazione. Il problema è che alla loro figlia Marina mancava la dote per potersi sposare.
A Giuseppe venne un’idea. Mi fece giocare d’azzardo a dadi e siccome non voleva mettere lui la posta, fui io la posta stessa, cioè se avessi perso sarei diventato schiavo a vita dell’altro giocatore, un importante uomo d’affari. Tirammo i dadi e vinse lui. Legalmente diventai il suo schiavo e fui marchiato. Lavorai pesantemente nei suoi maneggi. Il Signore amava i cavalli e soprattutto cavalcare. Spesso mi faceva salire insieme a lui a cavallo, io davanti, e mi inculava artisticamente al galoppo. Ci fermavamo in anfratti e e dopo una dose di cinghia dei suoi pantaloni se li abbassava perché io gli omaggiassi il suo membro e il suo ano. Mi violentava in mezzo alla natura ma ormai ubbidivo e basta avevo ormai capito la dura legge del cazzo in tutti questi anni.
Non riuscii a trovare una sistemazione di vita a causa della mia riduzione in schiavitù. Mi sarebbe tanto piaciuto incontrare una donna. Il destino volle diversamente.
Mi chiamo Lazzaro e ho vissuto nel quindicesimo secolo. Fui abbandonato in età giovanile da una famiglia difficile e da quel giorno dovetti arrabattarmi giovanissimo per sopravvivere appoggiandomi ad altre persone. In cambio di lavori che garantissero un’alloggio e un vitto e un mestiere da imparare prestando al capo il mio lavoro. Per motivi di abusi, non mi trattenevo a lungo dai signori che mi ospitavano. Per perdere le mie tracce, alcuni mi avrebbero riacciuffato, mi spostavo da una città all’altra d’Europa con la speranza di trovare finalmente un appoggio di qualcuno che mi insegnasse un mestiere e diventare autonomo con gli anni.
Così presi forza e partii. Arrivai a destinazione, mi ritrovai in un paese dove si poteva trovare lavoro. Porta a porta chiesi in giro. Trovai un fabbro di nome Orfeo che sentendo la mia storia si sfregò le mani e mi volle mettere in prova. In cambio uno sgabuzzino dove dormire e del scarso cibo ma niente stipendio.
Mi diede sistemazione nel mio tugurio di camera all’interno dell’officina. Mentre lui abitava nella casa adiacente.
Passavano i giorni e di duro lavoro. Ero un novizio e Orfeo mi colpiva a cinghiate per i miei numerosi errori. Fino a che non pago dei miei servigi ricambiati, un dì pensó di dare libero sfogo ai suoi piaceri perversi. “Lazzaro oggi il lavoro è terminato ed è venuta l’ora della medicina.” Mi diceva. Mi svestivo della casacca e rimanevo a torso nudo in piedi in officina. Lui prendeva una frusta a due lingue molto spessa e mi flagellava a frustate tanto forti che spesso mi levava via la pelle. Per paura dell’ignoto rimasi da lui ancora un paio di settimane. Finché una notte entro nel mio stanzìno e mi ordinò di stare fermo. Si caló i pantaloni. Dalle sue gonfie mutande usciva fuori un cazzo enorme e duro come il marmo. Mi violentó in tutti i modi finché il suo sfogo venne compiaciuto da una copiosa sborrata sul mio viso. Ma quella notte non finì lì. Ogni circa mezz’ora mi scopó a più riprese ed ottenni il suo sperma in ogni buco e superficie del mio corpo. Riprese la frusta e subii le sue nerbate.
Il giorno dopo mi preparai alla fuga, presi i miei stracci e cominciai a cercarmi un’altra meta. Le strade erano lunghe, chiedevo passaggi su carri a buoi in genere. Un signore vedendomi camminare sul sentiero fece fermare il suo cocchiere e dalla sua carrozza mi chiese se volessi un passaggio. Accettai. Dopo i primi convenevoli fece fermare il mezzo in uno strdello abbandonato. Il cocchiere si avvicinò nell’abitacolo e disse che se non facevo come mi avrebbe chiesto il suo signore avrebbe sfoderato un pugnale. Io non manifestai cenni di ribellione e il signore mi trombó con veemenza dentro la carrozza. La corazza cigolava, mi infilo il suo cazzo in bocca e dovetti pomparlo, ci distendemmo sul piano della carrozz@ con una coperta distesa e mi prese a 90 gradi, vennè dentro di me, rispcordo i colpi e il calore del suo sperma.
Una volta che si tolse le sue voglie mi lascio lì sul posto e con una risata di grande soddisfazione se ne andò via.
Praticamente venivo trombato da ogni uomo che incontravo nel cammino, se erano in gruppo dopo che venivo violentato a turno, spesso subivo un bukkake umiliante perché rimanevo co i vestiti intrisi di sborra.
Prima tutti gentili gli uomini poi violenti e approfittatori. Riuscì comunque ad arrivare in un villaggio.
Trovai una coppia di contadini disponibili e io accettai perché era meglio avere una sorta di protezione che ricevere frustate e stupri da chi li capitavo a tiro e perché avevo bisogno di mangiare. Mi resi conto che tutti gli uomini mi volevano trombare.
Franca e Tiberio non ci misero molto a mostrare le loro vere identità. Diventai il loro schiavo, aravo i campi ogni giorno a suon di frusta. Si alternavano durante il giorno e chi lavorava ero soltanto io mentre il loro compito era solo quello di sorvegliarmi e farmi lavorare sodo sotto il sibilo della frusta. La notte avevo diritto a prendere sonno dopo aver soddisfatto le voglie sessuali di Tiberio. A volte dormivo con loro nel lettone e la notte sentivo dita di entrambi i coniugi penetrare il mio ano e altre molestie..
Non potevo uscire, a casa stavo sotto chiave. Questo mi permetteva di stare lontano dalla strada . Col mio carattere remissivo, la mia bellezza esteriore, lo stereotipo di senza famiglia e povero mi rendono un bersaglio facile per la gente che al mio tempo poteva agire impunemente.
Speravo però di imparare un lavoro per il mio futuro ma Tiberio e Franca altro non mi facevano fare che zappare e usare semplici mezzi agricoli.
Scelsi quindi di tornare a vagabondare per trovare un lavoro più specializzato.
Purtroppo scappare dai miei carcerieri non era facile, la casa rimaneva sempre chiusa a chiave anche in loro presenza e nelle ore di lavoro mi sorvegliavano non solo brandendo una frusta ma con il loro molosso, addestrato a catturare i fuggitivi. E poi la minaccia, in caso di ricattura, di consegnarmi per un periodo a un maniaco sessuale loro amico.
Una notte forzai la serratura e scappai, camminai fuori sentiero ma poi dovetti seguire uno stradello per trovare un villaggio. Questo fu un errore, mi aspettava al varco nei sentieri Tiberio che mi catturó sono la minaccia di un’arma. Dopo avermi punito con colpi di fibbia su tutto il corpo mi disse che mi avrebbe ceduto per molti giorni ad Augusto, il maniaco sessuale.
Così fece, incappai in una situazione di estremo pericolo. Mi faceva dormire in gabbia senz’acqua, le sue perversioni erano selvagge.
Bere la sua urina direttamente dalla fonte,tagliuzzarmi con una lametta, mettermi in piedi su una sedia con un cappio al collo e mentre io faticavo a non cadere dalla sedia, lui si masturbava e godeva. Non pensava altro che al sesso, visto che era possidente, quindi mi trombava tutto il giorno nelle maniere più depravate. Il suo cazzo era sempre su di me. Frustava a sangue.
Ma grazie al suo vizio del bere un giorno crollo a terra prima di aver avuto il tempo di mettermi in gabbia e potei scappare.
Quanti briganti incontrai nel nuovo tragitto, senza soldi da potermi rubare, per cui volevano una contropartita in natura. Di solito agli adulti squattrinati, i briganti, per vendetta si facevano leccare l’ano a turno e questo trattamento tocco spesso anche a me oltre che essere trombato.
Raggiunsi un nuovo villaggio, mi diede asilo una famiglia apparentemente più o meno perbene, Giuseppe, il marito, mi insegnò ad allevare il suo bestiame. Loretta, la moglie, faceva la casalinga. Severi e maneschi mi insegnarono la disciplina e il rispetto.
Sembrava di aver trovato una collocazione. Il problema è che alla loro figlia Marina mancava la dote per potersi sposare.
A Giuseppe venne un’idea. Mi fece giocare d’azzardo a dadi e siccome non voleva mettere lui la posta, fui io la posta stessa, cioè se avessi perso sarei diventato schiavo a vita dell’altro giocatore, un importante uomo d’affari. Tirammo i dadi e vinse lui. Legalmente diventai il suo schiavo e fui marchiato. Lavorai pesantemente nei suoi maneggi. Il Signore amava i cavalli e soprattutto cavalcare. Spesso mi faceva salire insieme a lui a cavallo, io davanti, e mi inculava artisticamente al galoppo. Ci fermavamo in anfratti e e dopo una dose di cinghia dei suoi pantaloni se li abbassava perché io gli omaggiassi il suo membro e il suo ano. Mi violentava in mezzo alla natura ma ormai ubbidivo e basta avevo ormai capito la dura legge del cazzo in tutti questi anni.
Non riuscii a trovare una sistemazione di vita a causa della mia riduzione in schiavitù. Mi sarebbe tanto piaciuto incontrare una donna. Il destino volle diversamente.
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