A colloquio con l'insegnante

di
genere
etero

È il giorno del colloquio e so che la vedrò. La mamma non può e ha lasciato a me l’incombenza, che ho finto di subire passivamente mentre erano giorni che aspettavo il momento di vederla da vicino e poterle parlare da solo, per quanto nella meno sensuale delle situazioni.
Sì, parlo della maestra di mio figlio. Quarantenne, castana, elegante, bellissima. E terribilmente erotica nel suo vestirsi molto abbottonato e nell’apparente freddezza verso gli adulti.
Arrivo a scuola, cerco l’aula di mio figlio e la intravedo passare mentre entra in aula. Vestitino leggero, poco sotto il ginocchio. Gambe nude, tacco sufficiente a rendere le gambe nervose ma senza dare troppo nell’occhio. A patto che l’occhio non sia il mio naturalmente.
Mi metto in fila per il colloquio e la osservo da distante mentre parla con una mamma piuttosto insignificante.
Ogni volta in cui si abbassa sul registro intravedo il reggiseno, o meglio la sua presenza. I seni sono molto ben disegnati dal vestito, cerco di immaginarli mentre la vedo sorridere alla madre che finalmente sembra prendere le sue cose. Si alza leggermente dalla sedia per darle la mano e salutarla e finalmente è il mio momento. Mi sorride mentre mi avvicino e si aggiusta la sedia mentre mi accomodo dall’altra parte del banco. Siamo due adulti seduti ai due lati di un banco da bambino, e la cosa in se farebbe anche sorridere. Ma nel mio cervello non c’è spazio per lo humour e ovviamente non riesco a non pensare al suo culo che sfiora il legno della sedia, anche se protetto da due strati di tessuto.
Il vestitino e le mutandine, poi la sua pelle. Non è semplice sembrare un padre affabile e interessato ai progressi scolastici del proprio figlio con certi pensieri in testa. Ma serve autocontrollo. Posso così guardarla tranquillamente negli occhi mentre mi parla con la sua voce dolce ma ferma e muove le dita affusolate sul registro. Ma la mia mente è una piccola automobilina lanciata sulle sue cosce, i suoi fianchi, i seni e le sue natiche. Non riesco ad immaginare altro che le mie dita su di lei.
Purtroppo, o per fortuna, i suoi occhi iniziano ad incrociare i miei e dal nulla sembra che un sottotesto provenga dalle sue labbra. È come se mi chiedesse di agire e il suo ginocchio che involontariamente sfiora le dita della mia mano fa il resto. Mi guarda nuovamente, non può non essersi accorta del millimetrico contatto. In quell’attimo ho sentito la sua pelle liscia e fresca, lei non può non aver sentito la mia. Il mio battito accelera e so di essere in uno di quei momenti dove agire è più importante che pensare.
Certo, o quasi, che nessuno può vedermi allungo leggermente il braccio e la accarezzo delicatamente all’altezza del ginocchio. Lei continua a raccontarmi del comportamento galante di mio figlio verso le compagne di scuola trafiggendomi con lo sguardo. A questo punto la mia mano inizia ad accarezzare la pelle del suo interno coscia, torna indietro e poi si avvicina ancora di più dove la pelle diventa ancora più morbida, il tutto senza toglierle mai lo sguardo.

Lei si muove leggermente e porta il corpo in avanti, in modo da permettermi di sfiorare con la punta delle dita l’elastico delle sue mutandine, che cerco di accarezzare e scostare ma senza successo. Si riaggiusta e appoggia la sua mano sulla mia per un attimo.
Mi ritiro ma il suo sguardo sembra indicarmi un proseguimento. Mi saluta ma capisco che ha in mente qualcosa. Mi alzo e la vedo avvicinarsi a un’anziana insegnante e chiederle se può assentarsi un attimo. Mentre esco mi passa accanto e mi sfiora la mano. Non mi resta che seguirla nei corridoi della grande scuola, apparentemente destinato ad uscire dall’istituto, ma in realtà solo ammirando il suo incedere.
Giriamo l’angolo e lentamente le voci di genitori e insegnanti si affievoliscono. La vedo tentare di aprire una porta, poi la successiva finché una si apre. Mi guarda per una frazione di secondo ed entra, lasciando la porta socchiusa alle sue spalle. Misuro i pochi metri che mi separano da noi due in una stanza e li percorro col cuore all’impazzata.
Apro la porta ed entro, ma dopo il corridoio invaso dalla luce pomeridiana l’impatto con una stanza semibuia mi rende per un attimo incapace di decifrare qualunque dettaglio.
Lei è in piedi, appoggiata ad un banco, le gambe leggermente aperte e mi guarda senza parlare. Chiudo la porta dietro di me e mi avvicino con la mente che frulla fin troppo veloce. Il mio primo gesto è fermarle le mani con forza e avvicinarmi al suo collo. La sento respirare e inizio ad avvicinare la mia bocca al suo collo, mentre lei inclina leggermente la testa per aiutarmi a decidere da dove iniziare. La sfioro e basta mentre le mie mani stringono i suoi polsi con forza sempre maggiore.
L’odore del legno e delle matite si somma al suo profumo, creando uno strano miscuglio tra infanzia e desideri osceni. Inizio a baciarla sul collo mentre le mie mani le prendono la vita e salgono per stringerle i seni. Finalmente un gemito strozzato le esce dalla bocca semi aperta.
Inizio a baciarle il collo, la bocca e il viso mentre le infilo le mani nella scollatura. “Dai, ora è il tuo turno paparino” sussurra “fammi vedere se sei quello che pensavo”. Non riesco nemmeno a risponderle se non mordendole le labbra mentre le sbottono il vestito. Il sole fa capolino dalle persiane e illumina la stanza da farla sembrare il set di un film. Le scopro le spalle, le abbasso le spalline del reggiseno e ammiro la bellezza del suo collo, completamente a mia disposizione. La bacio sul seno ancora coperto ma improvvisamente le riprendo i polsi e la giro completamente. Mi sento gonfio e voglio farlo sentire anche a lei.
“Si, forse avevo indovinato” sussurra. “sì, forse sì” rispondo mentre le graffio le spalle appoggiandole i pantaloni” gonfi al suo culo tondo.
Vedere le sue gambe tese arretrare e aprirsi leggermente mi rende ancora più nervoso. Le alzo lentamente il vestito scoprendole prima la cosce e molto lentamente le mutandine chiare, da adolescente. Intravedo che ha chiuso gli occhi, mentre si lascia scappare “sei un porco, paparino”.

“Da cosa l’hai capito?” rispondo mentre mi abbasso per ammirarla in quell’attimo di vulnerabilità da cui potrebbe riprendersi bruscamente, se lo volesse. Ma il suo modo di inarcare la schiena sembra dirmi tutt’altro. Le porto il vestito completamente sulla schiena, tanto si è piegata per farsi guardare.
Mi godo per qualche decimo di secondo la vista del suo intimo da ragazzina poi inizio lentamente a giocare con l’elastico e ad abbassarle lentamente l’intimo. Lei avvicina le gambe per agevolare il loro scivolare verso il basso, poi con eleganza alza un piede e poi l’altro per farsele togliere completamente. Finiscono
nella tasca della mia giacca e sa che non lo rivedrà a breve.
Grazie alla penombra la forma del suo culo è ancora più indimenticabile, ma
il tempo di guardare è scaduto e tornando in piedi le afferro le natiche con forza mentre torno a baciarle il collo. “Sei la mia puttana adesso” le dico in un orecchio, mentre le mie dita esplorano tra le sue natiche, scendendo e risalendo assaggiando la sua pelle. “Adesso sì, paparino”, risponde mentre le dita iniziano a scivolarle dentro. A lei non resta che sbottonarsi completamente il vestito, incredibilmente riesco a sbottonarle il reggiseno con una mano.
Ha il vestito che ormai è ridotto a poco più di una cintura mentre le sfilo completamente il reggiseno e le stringo con forza il seno senza smettere di masturbarla. “Mi hai denudata paparino!”.
Il fatto che anche in quella posizione, con le mie mani che giocano coi suoi orifizi e vestita praticamente dei soli tacchi mi prenda per i fondelli non fa che eccitarmi ancora di più. Mi sbottono rapidamente i pantaloni e dirigo la punta del cazzo tra le sue natiche in ombra, ma come sente che sto cercando di entrarle dentro si divincola e si gira verso di me, abbassandosi lentamente sulle ginocchia. “paparino, lascia giocare anche me”. Mi afferra il cazzo con leggerezza e mi guarda negli occhi mentre si sfrega la punta sulle labbra, con una apparente dolcezza che non avevo mai provato. Il labbro superiore e quello inferiore, come se il cazzo fosse un rossetto un po’ più grande e sicuramente più sensibile. Il tutto guardandomi, senza perdere mai il contatto visivo.
Non mi resta che buttare la testa all’indietro e chiudere gli occhi, per non perdere nulla di quelle sensazioni. Mi massaggia sapientemente con una mano mentre l’altra accarezza l’asta in quel gioco che sembra non finire mai. Non resisto e apro gli occhi proprio mentre inizia a leccarne la punta come una bambina con un lecca-lecca. Sempre molto dolcemente, premendomi leggermente sotto i testicoli. “Sei una maestra in tutti i sensi” mi lascio sfuggire.
“Taci paparino, che è meglio per te!” mi dice prima di portarsi il mio cazzo gonfio in gola.
Con le unghie mi solletica leggermente i testicoli e così facendo mi fa letteralmente impazzire. Non resisto più e le obbligo a sollevarsi e sedersi sul banco. Ne affianco un altro in modo da poterla sdraiare e sollevarle le gambe, anche se la posizione è davvero scomoda. Le porto i piedi davanti al mio viso e le sfilo le scarpe, volevo farlo da quando le ho tolto le mutandine ma non eravamo ancora così intimi. Le mordo dolcemente i piedi e contemporaneamente le porto il cazzo a sfiorare le labbra della fica. “Chiamami paparino ora” la sfido.

“Fammi male, paparino” risponde sfidandomi. Mentre la mia punta scivola dentro sento una mano accarezzarmi la spalla. “ha finito col colloquio?”. “Ah, sì, cioè, sì scusi, mi ero distratto. Sa, il caldo”.
Riprendo le mie cose, lei continua ad osservarmi mentre goffamente recupero almeno un mimino di dignità.
Mi sorride.

tg @chivolavalechinonvolaeunvile
scritto il
2023-10-23
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