Ambra
di
theaeronaut87
genere
etero
Era la più bella ragazza che avessi mai visto.
Quante storie s'intrecciano tra loro, partendo da quest'incipit comune? Un affascinante fleur-de-lis dalle forme procaci, una Venere in grado di ammaliare il protagonista e annullarne ogni pensiero logico con un semplice schiocco di labbra o con un banale occhiolino, sculettando sensualmente mentre si allontana.
No, lei non era niente di tutto questo. Era una bellezza quasi anonima, perfino goffa e impacciata nei movimenti ma, per qualche strano motivo, incantava chi le stava attorno e sapeva di piacere.
Basta questo, in fondo, non credete? Più si è sicuri di sé, più la strada per la popolarità è già spianata. Non crediate però che si lasciasse andare con facilità a qualsiasi corteggiatore le gironzolasse attorno. Tante api hanno cercato di assaporarne il nettare ma, da quel che ho visto in quei giorni, si è sempre saputa difendere benissimo.
Ho sempre pensato - ma forse esprimo solo concetti scontati, in fondo - che per affascinare una donna non bisogna essere insistenti, non serve diventarne la marionetta, affascinarla o lusingarla con inutili quanto vuote moine. Bisogna saperla colpire, attirarne la curiosità e io, anche se ancora non riesco a capacitarmi di come ci sia riuscito, ce l'ho fatta.
Questa non è la storia di come ho conosciuto la ragazza più bella che avessi mai visto, ma sicuramente è quella che parla di un incontro che non dimenticherò mai.
Quell'estate avevo deciso di affittare un appartamentino per trascorrere due o tre settimane di ferie al mare, in un paesino nelle immediate vicinanze di quello in cui abitavano alcuni miei amici. Non avevo preventivato chissà quali svaghi, né di concludere ogni serata facendo le ore piccole, rientrando a casa ubriaco fradicio al punto da dimenticarmi il nome della ragazza che, il mattino dopo, avrei trovato accanto a me, sdraiata nuda sul letto, ancora appiccicosa del sesso di poche ore prima.
A dirla tutta, prima di quell'incontro, nessuna ragazza aveva ancora condiviso con me quel materasso, né le gioie delle notti insonni, passate a contatto l'uno con l'altra, ton sur ton, condividendo sapori e odori. Mi andava bene così in fondo, avevo appena chiuso un periodo molto impegnativo al lavoro. Lo stress tracimava dalla mia mente stanca e affaticata, rendendomi quasi impossibile formulare un pensiero più complesso del banale "Ma cosa mangio oggi a pranzo?". Volevo solo godermi qualche giorno di relax, niente di più. Certo, non avrei rifiutato a priori la possibilità di regalarmi qualche avventura di poco conto, qualche notte di passione al chiaro di luna o anche una semplice pomiciata in riva al mare, ma già l'idea di dovermi impegnare mentalmente per affascinare la ragazza di turno mi stancava.
Proprio per questo motivo, i primi giorni delle mie vacanze trascorsero scialbi e grigi. La mattina mi svegliavo presto, facevo una colazione veloce e, indossato il costume, m'incamminavo lungo la chilometrica spiaggia fino a pochi metri dalla riva, dove piantavo ombrellone e sedia sdraio, mi spalmavo la crema e mi sedevo a leggere un buon libro, conscio che l'avrei abbandonato pochi minuti dopo - non sono un lettore estivo. A quel punto, di solito, decidevo di indossare le cuffie e ascoltare un po' di musica o mi distendevo sul telo per prendere un po' di sole, prima di tuffarmi in acqua per un bel bagno rinfrescante e ritornare a casa per ricominciare la mia routine pomeridiana - pranzo, pisolino e replica della gita al mare. Quel giorno, qualcosa interruppe la monotonia delle mie abitudini.
Non era la classica ragazza eccezionale, formosa e solitamente alquanto insipida, che ero solito vedere in spiaggia. Nessuna boa o airbag esageratamente gonfio le sostituiva il seno; era una bellezza quasi anonima, perfino goffa e impacciata in certi movimenti. Però suscitò il mio interesse.
Sembrava di quattro o cinque anni più piccola di me, poteva averne a malapena una trentina. Indossava un prendisole color dei tulipani e una paglietta le riparava il capo dal sole. I capelli - castano chiaro - erano legati in una crocchia nascosta in parte dal cappello. Aveva gli occhiali da sole, riuscii a notare qualche lentiggine screziarle il viso. Le lunghe braccia trascinavano un paio di borse che, a giudicare da quanto mi sembrarono contratti i muscoli, dovettero essere alquanto pesanti. Biascicò qualche parola a bassa voce, ma non riuscii a decifrare il suono per colpa della cacofonia dei bambini che gironzolavano lì attorno, urlando a squarciagola inviti a scavare un fosso o a tuffarsi in acqua ("No, ancora è presto, non puoi fare il bagno!").
Faceva parte di un gruppo di cinque amici: c'erano altre due ragazze - persino più carine di lei - e due fusti dall'aria ottusa e compiacente, i classici palestrati che hanno preferito allenare altri muscoli, piuttosto che quello che serve loro per pensare e formulare ragionamenti complessi; anche se, devo ammetterlo, non so quanto il mio pensiero possa essere veritiero e oggettivo, essendo io l'esatto opposto e palesemente di parte. Mi sono sempre tenuto lontano dalle palestre.
Li osservai piantare l'ombrellone e sistemare vettovaglie, bevande, palloni e frisbee vari. Chiese a un'amica di spalmarle la crema e se la fece passare sulle spalle già abbronzate dai primi giorni di mare, prima di pennellarsi da sola torace e braccia.
Cercai di osservarla senza fissarla, provando a captare qualsiasi parola fuoriuscisse da quelle labbra carnose ma, come potete ben immaginare, i bambini fastidiosi non mi permisero di sentire molto della conversazione che stava intrattenendo con Maciste e Sansone (no, non erano i loro veri nomi, ma nella mia mente avevo deciso di chiamarli così). Riuscii però a capire come si chiamava, quando l'amica - Nicole, da me soprannominata TikTok dal momento che non abbandonava mai il cellulare -, palesemente in carenza d'attenzioni, tentò di dirottare il suo interesse verso l'ennesimo video demenziale.
Ambra aveva la R moscia, anche sarebbe stato meglio dire che non ce l'aveva affatto; forse fu proprio questo piccolo difetto di pronuncia che completò la sua involontaria opera di seduzione: agganciato a quella lenza lasciata a penzolare e poi tirata su con uno strattone deciso, avrebbe trovato me, intento a divincolarmi per la mancanza d'aria ma felice di essere stato catturato da lei.
Scrollai il capo, abbandonando questa visione che mi schiavizzava alla sua volontà, e cercai invano di pensare ad altro. Come volevasi dimostrare, cinque minuti dopo eccomi nuovamente intento a spiarla.
Si era distesa al sole, i piedi rivolti verso di me.
Un piccolo spasmo contrasse le mie labbra quando cercai inutilmente di resistere all'impulso di assecondare il mio piccolo feticismo. Mi ritrovai così a fissare le estremità di quelle gambe snelle e affusolate, alternando fugaci sguardi a finte ricerche di un qualche inutile oggetto nel borsone.
Aveva i piedi come piacevano a me. Sentii l'erezione afferrarmi il cazzo l'istante stesso in cui mi immaginai riverso a terra, lungo disteso davanti a lei, intento a baciarle talloni e piante, a farla ridere per il solletico provocatole dalla mia lingua a contatto con l'incavo sotto le dita. Avrei sostato parecchio in quelle due oasi, bagnandole la pelle, infilandomi in bocca quelle lunghe dita sottili, permettendo alla mia lingua di giocare con i polpastrelli. Cos'altro avrei voluto fare? Non c'era molto da decidere, in quella situazione: avrei iniziato a baciarle le caviglie e i polpacci, a scalare le cosce fino a raggiungere l'estasi. Le avrei spostato un po' gli slip e avrei scoperto...
Non resistetti più. Prima di impazzire del tutto, corsi verso il mare e mi tuffai. Con qualche bracciata raggiunsi un posto lontano da sguardi indiscreti, mi afferrai il pene e iniziai a masturbarmi, ripensando a ciò che avevo immaginato di fare poco prima. Il frutto delle mie fatiche emerse dall'acqua pochi secondi dopo, lasciandomi pervaso da un piacevolissimo senso di soddisfazione e da un nuovo, chiaro obiettivo: dovevo assolutamente conoscere Ambra.
Continua...
tA.
Email: theaeronaut87@gmail.com
Quante storie s'intrecciano tra loro, partendo da quest'incipit comune? Un affascinante fleur-de-lis dalle forme procaci, una Venere in grado di ammaliare il protagonista e annullarne ogni pensiero logico con un semplice schiocco di labbra o con un banale occhiolino, sculettando sensualmente mentre si allontana.
No, lei non era niente di tutto questo. Era una bellezza quasi anonima, perfino goffa e impacciata nei movimenti ma, per qualche strano motivo, incantava chi le stava attorno e sapeva di piacere.
Basta questo, in fondo, non credete? Più si è sicuri di sé, più la strada per la popolarità è già spianata. Non crediate però che si lasciasse andare con facilità a qualsiasi corteggiatore le gironzolasse attorno. Tante api hanno cercato di assaporarne il nettare ma, da quel che ho visto in quei giorni, si è sempre saputa difendere benissimo.
Ho sempre pensato - ma forse esprimo solo concetti scontati, in fondo - che per affascinare una donna non bisogna essere insistenti, non serve diventarne la marionetta, affascinarla o lusingarla con inutili quanto vuote moine. Bisogna saperla colpire, attirarne la curiosità e io, anche se ancora non riesco a capacitarmi di come ci sia riuscito, ce l'ho fatta.
Questa non è la storia di come ho conosciuto la ragazza più bella che avessi mai visto, ma sicuramente è quella che parla di un incontro che non dimenticherò mai.
Quell'estate avevo deciso di affittare un appartamentino per trascorrere due o tre settimane di ferie al mare, in un paesino nelle immediate vicinanze di quello in cui abitavano alcuni miei amici. Non avevo preventivato chissà quali svaghi, né di concludere ogni serata facendo le ore piccole, rientrando a casa ubriaco fradicio al punto da dimenticarmi il nome della ragazza che, il mattino dopo, avrei trovato accanto a me, sdraiata nuda sul letto, ancora appiccicosa del sesso di poche ore prima.
A dirla tutta, prima di quell'incontro, nessuna ragazza aveva ancora condiviso con me quel materasso, né le gioie delle notti insonni, passate a contatto l'uno con l'altra, ton sur ton, condividendo sapori e odori. Mi andava bene così in fondo, avevo appena chiuso un periodo molto impegnativo al lavoro. Lo stress tracimava dalla mia mente stanca e affaticata, rendendomi quasi impossibile formulare un pensiero più complesso del banale "Ma cosa mangio oggi a pranzo?". Volevo solo godermi qualche giorno di relax, niente di più. Certo, non avrei rifiutato a priori la possibilità di regalarmi qualche avventura di poco conto, qualche notte di passione al chiaro di luna o anche una semplice pomiciata in riva al mare, ma già l'idea di dovermi impegnare mentalmente per affascinare la ragazza di turno mi stancava.
Proprio per questo motivo, i primi giorni delle mie vacanze trascorsero scialbi e grigi. La mattina mi svegliavo presto, facevo una colazione veloce e, indossato il costume, m'incamminavo lungo la chilometrica spiaggia fino a pochi metri dalla riva, dove piantavo ombrellone e sedia sdraio, mi spalmavo la crema e mi sedevo a leggere un buon libro, conscio che l'avrei abbandonato pochi minuti dopo - non sono un lettore estivo. A quel punto, di solito, decidevo di indossare le cuffie e ascoltare un po' di musica o mi distendevo sul telo per prendere un po' di sole, prima di tuffarmi in acqua per un bel bagno rinfrescante e ritornare a casa per ricominciare la mia routine pomeridiana - pranzo, pisolino e replica della gita al mare. Quel giorno, qualcosa interruppe la monotonia delle mie abitudini.
Non era la classica ragazza eccezionale, formosa e solitamente alquanto insipida, che ero solito vedere in spiaggia. Nessuna boa o airbag esageratamente gonfio le sostituiva il seno; era una bellezza quasi anonima, perfino goffa e impacciata in certi movimenti. Però suscitò il mio interesse.
Sembrava di quattro o cinque anni più piccola di me, poteva averne a malapena una trentina. Indossava un prendisole color dei tulipani e una paglietta le riparava il capo dal sole. I capelli - castano chiaro - erano legati in una crocchia nascosta in parte dal cappello. Aveva gli occhiali da sole, riuscii a notare qualche lentiggine screziarle il viso. Le lunghe braccia trascinavano un paio di borse che, a giudicare da quanto mi sembrarono contratti i muscoli, dovettero essere alquanto pesanti. Biascicò qualche parola a bassa voce, ma non riuscii a decifrare il suono per colpa della cacofonia dei bambini che gironzolavano lì attorno, urlando a squarciagola inviti a scavare un fosso o a tuffarsi in acqua ("No, ancora è presto, non puoi fare il bagno!").
Faceva parte di un gruppo di cinque amici: c'erano altre due ragazze - persino più carine di lei - e due fusti dall'aria ottusa e compiacente, i classici palestrati che hanno preferito allenare altri muscoli, piuttosto che quello che serve loro per pensare e formulare ragionamenti complessi; anche se, devo ammetterlo, non so quanto il mio pensiero possa essere veritiero e oggettivo, essendo io l'esatto opposto e palesemente di parte. Mi sono sempre tenuto lontano dalle palestre.
Li osservai piantare l'ombrellone e sistemare vettovaglie, bevande, palloni e frisbee vari. Chiese a un'amica di spalmarle la crema e se la fece passare sulle spalle già abbronzate dai primi giorni di mare, prima di pennellarsi da sola torace e braccia.
Cercai di osservarla senza fissarla, provando a captare qualsiasi parola fuoriuscisse da quelle labbra carnose ma, come potete ben immaginare, i bambini fastidiosi non mi permisero di sentire molto della conversazione che stava intrattenendo con Maciste e Sansone (no, non erano i loro veri nomi, ma nella mia mente avevo deciso di chiamarli così). Riuscii però a capire come si chiamava, quando l'amica - Nicole, da me soprannominata TikTok dal momento che non abbandonava mai il cellulare -, palesemente in carenza d'attenzioni, tentò di dirottare il suo interesse verso l'ennesimo video demenziale.
Ambra aveva la R moscia, anche sarebbe stato meglio dire che non ce l'aveva affatto; forse fu proprio questo piccolo difetto di pronuncia che completò la sua involontaria opera di seduzione: agganciato a quella lenza lasciata a penzolare e poi tirata su con uno strattone deciso, avrebbe trovato me, intento a divincolarmi per la mancanza d'aria ma felice di essere stato catturato da lei.
Scrollai il capo, abbandonando questa visione che mi schiavizzava alla sua volontà, e cercai invano di pensare ad altro. Come volevasi dimostrare, cinque minuti dopo eccomi nuovamente intento a spiarla.
Si era distesa al sole, i piedi rivolti verso di me.
Un piccolo spasmo contrasse le mie labbra quando cercai inutilmente di resistere all'impulso di assecondare il mio piccolo feticismo. Mi ritrovai così a fissare le estremità di quelle gambe snelle e affusolate, alternando fugaci sguardi a finte ricerche di un qualche inutile oggetto nel borsone.
Aveva i piedi come piacevano a me. Sentii l'erezione afferrarmi il cazzo l'istante stesso in cui mi immaginai riverso a terra, lungo disteso davanti a lei, intento a baciarle talloni e piante, a farla ridere per il solletico provocatole dalla mia lingua a contatto con l'incavo sotto le dita. Avrei sostato parecchio in quelle due oasi, bagnandole la pelle, infilandomi in bocca quelle lunghe dita sottili, permettendo alla mia lingua di giocare con i polpastrelli. Cos'altro avrei voluto fare? Non c'era molto da decidere, in quella situazione: avrei iniziato a baciarle le caviglie e i polpacci, a scalare le cosce fino a raggiungere l'estasi. Le avrei spostato un po' gli slip e avrei scoperto...
Non resistetti più. Prima di impazzire del tutto, corsi verso il mare e mi tuffai. Con qualche bracciata raggiunsi un posto lontano da sguardi indiscreti, mi afferrai il pene e iniziai a masturbarmi, ripensando a ciò che avevo immaginato di fare poco prima. Il frutto delle mie fatiche emerse dall'acqua pochi secondi dopo, lasciandomi pervaso da un piacevolissimo senso di soddisfazione e da un nuovo, chiaro obiettivo: dovevo assolutamente conoscere Ambra.
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