Ambra - Cap. 3

di
genere
etero

«Ceni con noi? Nicole vo''ebbe conosce'ti!»

Fu così che, un paio di sere prima della mia partenza, mi ritrovai intrappolato in un appuntamento a quattro con TikTok - ansiosa di incontrare chi, da qualche settimana, continuava a calamitare tutte le attenzioni dell'amica - e Sansone, insistente corteggiatore della sopraindicata schiava dello smartphone, che faticava però a nascondere la sua lampante cotta per la persona con cui condividevo gli orgasmi.

Una ventina di minuti prima della cena, Ambra si presentò sotto casa, cavalcando una vespa azzurra alquanto malandata che palesemente stava continuando a infrangere numerose leggi fisiche, pur di seguitare a muoversi. La osservai parcheggiare dalla finestra, senza farmi notare. Si tolse il casco, si guardò un po' allo specchietto e si sistemò i capelli, acconciati per l'occasione in sensuali boccoli che le cascavano docilmente sulle spalle. Poi, con tutta la grazia di cui era dotata, strombazzò a tutto spiano per attirare la mia attenzione. Risi, scesi le scale e l'accolsi con un appassionato bacio in bocca.
«C'è tempo per un po' di divertimento?»
Fece cenno di no con la testa facendo ondeggiare i capelli e mi porse il casco, cogliendo l'occasione per punzecchiarmi, com'era solita fare quasi sempre.
«Mettilo tu, che non hai p'oblemi con i capelli!»
«Non dovresti prendermi per il culo perché sono pelato, in realtà ho solo la testa montata al contrario», ribattei accarezzandomi la folta barba.

Percorremmo il lungomare in scooter. Lei guidava, io le cingevo i fianchi e odoravo il profumo che emanava dalla sua pelle, quasi in trance. Giungemmo alla trattoria in anticipo; TikTok e Sansone arrivarono leggermente in ritardo. Entrammo, ci sedemmo, facemmo finta di osservare il menu con aria critica e, infine, ordinammo. A metà del pasto, mi ero già annoiato delle chiacchiere senza senso e delle occhiatacce, cariche di gelosia e invidia, che il marcantonio continuava a rivolgermi. Inviai un messaggio ad Ambra, sentii la vibrazione del suo cellulare e la vidi leggere con avidità ciò che le avevo scritto: raggiungimi in bagno.
Mi guardò, facendomi un cenno d'intesa. Mi alzai e mi diressi alla toilette.

Attesi qualche minuto appoggiato al muro, riflettendo sulla mia condizione. Ho sempre pensato che, visto dall'esterno, il sesso non fosse altro che un mero atto meccanico volto al soddisfacimento e al controllo dei piaceri carnali, un tentativo di impedire che siano loro a controllarci (questo, tuttavia, non ci rende lo stesso loro schiavi?), l'estenuante ricerca di soddisfazione fisica e sensoriale che solo il rapporto con un'altra persona ci può dare. Il sesso è immanenza, concretezza, uno sporco tripudio della prevedibilità, la perenne ripetizione delle stesse dinamiche, di svolgimenti simili gli uni agli altri e, soprattutto, di identici finali.

Con Ambra non era così. Mi sembrava di vivere una metamorfosi esistenziale. Il sesso con lei non era dozzinale, come in molte altre mie avventure. Movimenti, sviluppi e conclusioni continuavano a ripetersi, affini tra loro certo, ma ogni esperienza sessuale era inebriante, paragonabile all'apertura di una porta che neanche sapevo esistesse, dentro di me.
L'immanenza si annichiliva e lasciava spazio alla trascendenza. Quando ero con lei, quando ero dentro di lei, era come se nessuno dei due si trovasse realmente lì. Condividevamo passione e anima, corpo e mente; diventavamo parte del tutto e tutto diventava parte di noi.

Perlomeno, era così fino al raggiungimento dell'orgasmo, quando la gravità tornava preponderante nella nostra essenza e ci faceva capitombolare nella concretezza della realtà. Terminato il sesso, aspettavamo con impazienza l'occasione in cui l'avremmo potuto rifare, per viaggiare nuovamente su piani più alti dell'esistenza, per toccare ancora quelle eteree sensazioni a cui ci andavamo sempre più assuefacendo.
In quel momento mi sentivo drogato di lei, un piccolo e dipendente uomo in attesa della prossima dose.
Sentii bussare. Nessun cenno che fosse lei.
«Occupato!».
«Anche pe' me?»
Aprii la porta e la feci entrare nel cubicolo.
Si lanciò contro di me e iniziò a baciarmi, frenetica, ansiosa, affamata delle mie labbra. Accarezzai tutto il suo corpo: attraverso l'abito le stuzzicai i piccoli seni (lasciati liberi da qualsiasi costrizione, quella sera, i capezzoli s'incunearono subito tra le mie dita, svegli, eccitati e desiderosi d'attenzioni), la schiena, i fianchi e le natiche. Le afferrai una coscia, rendendola una magnifica imitazione di un fenicottero rosa in un'instancabile e paziente posa su una gamba sola. La feci appoggiare contro il muro, le sollevai la gonna, abbassai le brache e, spostatole le mutandine, terminammo l'antipasto per dedicarci alla portata principale. Non c'era bisogno di perdere tempo in inutili giochi di lingua o di dita; era lì, pronta, mi stava invocando a gran voce, sembrava quasi gridare il mio nome. La punta del mio cazzo entrò in lei; mi accolse con un mugugno soddisfatto e condiscendente. Continuai a spingere dolcemente, fino a sentirlo totalmente protetto dalla sua fica calda e umida, avida e insaziabile; iniziai a muovermi, a stuzzicarla titillandole i nevralgici centri del piacere e cercando di assecondarne le voglie. Ogni colpo ne invocava un successivo, un treno interminabile in cui ogni vagone continuava a scaricare libidine e piacere nella mente di entrambi. Spinsi dentro di lei, in continuazione, ancora e ancora, ignorando il desiderio di venire pur di prolungare, quanto più possibile, quel piacere.
Qualche affondo dopo, sentimmo bussare alla porta e pronunciare un timido:
«Scusate...»

Rispose lei e allontanò (o spaventò con una velata minaccia, punti di vista!) l'incauto avventore.
«Lo sai che questa è la toilette maschile, vero?»
«Vuol di're che s'immagine'à belle cose!», bisbigliò a corto di fiato, la voce spezzata dall'orgasmo ormai prossimo.
«In realtà potrebbe avere gli incubi, stanotte, ripensando a quello che gli hai appena augurato.»
Venimmo quasi contemporaneamente, qualche secondo dopo. Percepii la sua fica contrarsi l'istante prima in cui liberai il mio seme dentro di lei. Tremò leggermente e mi morse la spalla per evitare di urlare per il piacere. Apprezzai il dolore, seppur si trattasse del segno che quel viaggio era concluso. Ci sistemammo e tornammo dai commensali.
Quasi mi parve di sentire i criceti correre sulla ruota, dentro la scatola cranica di Sansone, affaticandosi tanto per fargli avere l'intuizione di quello che era appena successo tra me e Ambra. La sua espressione mutò improvvisamente: la lampadina si era accesa.
Eureka!

TikTok, fortunatamente, fece svanire l'imbarazzo prendendo parola, impedendogli inoltre di formulare chissà quale commento acido o sarcastico sul fatto che avessi la camicia male abbottonata e la patta dei pantaloni mezza aperta. Dal canto suo, il viso scarmigliato di Ambra faceva facilmente intuire il motivo della nostra temporanea assenza; motivo che molto probabilmente fu ipotizzato da gran parte della sala, venimmo a sapere in seguito, a causa soprattutto dei ripetuti colpi che echeggiavano dalla parete contigua del bagno.
Come potete ben immaginare, non tornammo più in quella trattoria.
«Insomma - disse Nicole cercando di nascondere le risate - ci avete raccontato di come vi siete conosciuti e dati un casto bacio a stampo. Io però voglio dettagli più corposi: il primo, vero, bacio? Com'è stato?»
Già, il primo bacio. Iniziai a raccontare.

«Accadde un paio di giorni dopo il bagno di mezzanotte...»

Continua...
scritto il
2024-02-17
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