Ambra - Cap. 6
di
theaeronaut87
genere
etero
A CENA CON TIKTOK E SANSONE
«... e poi, dopo quel magnifico bacio, siamo rimasti davanti al fuoco fino all'alba, a bere vino e osservare scorci di un altro mondo attraverso le faville del falò che, innalzandosi nell'aria per pochissimi istanti, sembravano lacerare il tessuto della notte e aprire le maglie che costituiscono la realtà.»
Avete presente il meme del gattino che vi guarda facendo gli occhioni dolci, come se stesse quasi per piangere?
In quel momento, Nicole era identica a quel gatto. Mi stava osservando con le lacrime pericolosamente in bilico sul bordo degli occhi, commossa e rapita dalle mie parole; Sansone aveva capito a malapena metà di quello che avevo detto e stava controllando qualcosa al cellulare, rincitrullito e con aria assente e annoiata.
«E ti sei fatta leccare le tette prima ancora di baciarlo?» aggiunse incredula l'amica, indicando Ambra.
«Pe' me un bacio è una cosa se'ia. Chiunque può lecca'mi le tette... vabbè dai, non chiunque - s'affrettò ad aggiungere, cogliendo attenzione e desiderio fare improvvisamente capolino tra le sopracciglia del palestrato - pe'ò avete capito. Invece un bacio indica che c'è qualcosa di più, una connessione più intensa, mentale e non solo fisica...»
La guardai, impressionato da quello che aveva appena detto, e cercai la sua mano sotto al tavolo. Avvertendo le mie dita, la spostò. La vidi prendere il cellulare, osservai il monitor di sghimbescio e notai che stava chattando con l'ammasso di muscoli lì di fronte. Non aveva però un'espressione divertita in viso, sembrava quasi adirata o snervata.
Terminammo il vino e la cena. Salutammo i commensali e ritornammo al mio appartamento.
«Cos'hai? Sei stata di cattivo umore, dopo il sesso in bagno! Mi sembrava che ti fossi divertita...»
«Non confonde'e il piace'e del sesso con il buonumo'e», m'interruppe di colpo.
Eccoci qui, pensai. Dovevo aspettarmelo. La sera precedente avevamo messo in pausa la discussione, spinti da un improvviso quanto impellente desiderio di scopare, ma questa aveva corso più veloce di noi e ci aveva inesorabilmente raggiunti. Confidavamo di averla lasciata alle nostre spalle e di poterla tenere lì il più a lungo possibile, ma si sa, Speranza e Illusione si divertono spesso a passeggiare insieme.
«Pensi davve'o quello che mi hai detto?», la sua fu una domanda retorica: sapeva che lo pensavo seriamente.
«Stavi chattando con lui - calcai l'accento sul pronome - prima? Cosa vi stavate dicendo?»
«Stai cambiando disco'so?»
Sentii risalire tutto quello che avevo buttato giù: la notizia che c'era stato qualcosa, anni prima, tra lei e Sansone, un'improvvisa e sconosciuta gelosia, il nervosismo per com'era andata la discussione che avevamo ibernato e che ora, come una Spada di Damocle sospesa su di noi, stava per piombarci addosso per darci il colpo di grazia.
Persino la cena faticava a restare ferma nello stomaco.
«Sì, Ambra, ti ho detto ciò che penso, e quello che penso è ciò che mi identifica. Se ti dicessi quanto vorresti sentire, non sarei più l'uomo di cui ti sei innamorata. Non sarei io, non sarebbero le mie parole, ma solo la tua voce che viene fuori dalla mia bocca.»
«Solo questa volta, solo una cazzo di volta, puoi non usa'e i tuoi fottuti disco'si filosofici?», urlò, furente.
«Desideri qualcosa che non posso darti - cercai di mantenermi calmo - te l'ho detto quella sera, ricordi? Non voglio soffrire e questo mi blocca. Tu vuoi qualcosa di serio, io ho paura di impegnarmi. Siamo come due meteore, abbiamo brillato, tantissimo, ma adesso ci stiamo spegnendo. E poi, guarda in faccia alla realtà cazzo, viviamo in due parti opposte d'Italia, pensi davvero che potremmo avere un futuro? Che la nostra sarebbe una storia facile?»
«Ti piace la facilità? Mi hai usata solo pe' scopa'e? Vuoi di'e che il sesso è tutto ciò che ti piace di noi?»
La domanda, rapida e glaciale, mi aveva ferito più di quanto fossi disposto ad ammettere. Il sesso con lei era fenomenale ma, se l'oceano rappresentava ciò che amavo di lei, la fisicità era solo una goccia d'acqua. Mi rabbuiai, se ne accorse e si scusò subito per l'impeto di rabbia e per ciò che aveva insinuato.
«Comunque non ci stavo p'ovando con lui, anzi, tutto l'opposto. Mi ha detto che non me'ito un coglione come te, capace di usa'e solo le pa'ole... che io e lui dov'emmo to'na'e insieme. Mi ha fatta incazza'e come una belva.»
Forse, in fondo, Sansone non aveva tutti i torti. Non so quanto Ambra sarebbe stata bene con lui, ma ero convinto che con me non lo sarebbe stata affatto. Continuammo a confrontarci per un'altra ora, urlando, facendo temporaneamente pace e incazzandoci nuovamente. Alla fine, sfiniti e dato per assodato che nessuno dei due voleva spostarsi dalla propria posizione, decidemmo di mettere nuovamente la discussione in pausa.
Avevo bisogno di farmi una doccia: l'acqua calda mi avrebbe certamente aiutato. Andai in bagno, mi spogliai e aprii il rubinetto. Fui subito grato all'acqua per la sensazione che mi aveva appena dato. M'insaponai e sciacquai ma, prima che potessi finire, sentii l'anta scorrere e vidi Ambra entrare nel box, totalmente nuda.
Mi abbracciò da dietro e mi baciò il collo, sfiorandomi con i capezzoli. Qualcuno ci avrebbe visto del masochismo in questa scelta, ma molte volte la ragione non basta a spiegare ciò che galoppa all'interno di due cuori che, nonostante il furore, battono comunque all'unisono. Il desiderio travalica qualsiasi barriera innalzata dalla fredda logica.
Mi accarezzò i pettorali e proseguì lungo il torace, toccandomi lentamente per far sì che la sua passione potesse entrare, per osmosi, dentro di me. Le sue dita erano calde, cùpide ma non frenetiche. Erano consapevoli del loro destino ma non avevano fretta di raggiungerlo. Giocarono con l'ombelico solleticandolo, circumnavigandone i contorni. Premette il seno contro la mia schiena, con ancora più vigore ora che la curiosità delle dita andava aumentando. Sentii il suo corpo caldo entrare in contatto con il mio, il suo Monte sfregarmi contro le natiche, ora a destra, ora a sinistra, oscillando come un pendolo instancabile. Avvertii i suoi capezzoli accarezzarmi il dorso, quando si sollevò in punta di piedi per baciarmi la nuca e, ancora, quando le labbra ridiscesero sulle spalle. La mia pelle era bagnata dall'acqua, dalla saliva e dalla sua lascivia, e tutto questo non faceva altro che aumentare il mio desiderio di entrare in lei.
«Non ti volta'e!»
Non mi voltai. Lasciai alle sue dita la libertà di gironzolare intorno ai testicoli, di giocarci dolcemente prima che decidessero di afferrarmi l'asta e iniziassero a massaggiarla con forsennata serenità. I polpastrelli mi solleticarono la punta del cazzo, la scoprirono; cominciò a masturbarmi. Con movimenti calmi e studiati evitò di farmi raggiungere la Gioia anzitempo, trasmutando i secondi in libidine. Mi chiese di guardarla in viso e mi baciò sulle labbra, sul collo e un paio di volte sul torace. Poi scese giù, ancora più giù.
Mi invitò a chiudere gli occhi e, l'istante in cui obbedii, avvertii la sua lingua sul mio cazzo; ne accarezzò la lunghezza, bagnandola più di quanto non lo fosse già. Massaggiò la cappella con le labbra carnose, ne stuzzicò l'estremità sfiorandola con la punta della lingua, mentre l'acqua continuava a picchiettare sulla nostra pelle.
«Ambra...»
La mia voce s'infranse contro la sua volontà, non riuscì a scalfirla. Continuò ciò che aveva iniziato, dolce e passionale allo stesso tempo.
L'allontanai di colpo da me, non volevo gioire senza di lei. S'appoggiò alle piastrelle della doccia; stavolta fui io a chinarmi per ricambiarle ciò che mi aveva dato. Mi poggiò una mano sul capo, mentre la mia lingua era impegnata a solleticarle il pube glabro. Mugolò di piacere quando le sfiorai la clitoride già gonfia... chissà da quanto era smaniosa di quell'incontro.
Stimolai quella piccola sporgenza senza tregua: velocemente, lentamente, disegnando strane forme geometriche suggeritemi dalla mia mente. Ogni steccata della mia lingua la faceva ansimare, la costringeva a chiederne ancora, di più, insaziabile.
Domandai aiuto alle dita. Ne infilai due e la feci trasalire, l'istante in cui vellicai i punti giusti. Continuai così per qualche secondo. Rughe di passione le corruppero il viso, disegnandole dietro agli occhi la mappa per raggiungere il Nirvana.
Mi afferrò per le braccia, mi sollevò alla sua altezza e mi baciò, gustando il suo stesso sapore dalla mia bocca. Chiudemmo il rubinetto e, cercando freneticamente e ad occhi chiusi l'uscita del labirinto, ci coricammo sul letto, infradiciando le lenzuola.
Si voltò sulla schiena. Lì per lì non capii cosa volesse fare (il sangue, nutrimento dei miei neuroni, era defluito in altre zone), ma ci arrivai quando la vidi mettersi gattoni, flettere la schiena e invitarmi a entrare in lei. Le mie mani le cinsero i fianchi; il cazzo le accarezzò le labbra e, finalmente, fu dentro. Spinsi ancora e ancora, contemporaneamente le titillai con le dita ora la clitoride, ora uno dei capezzoli.
«Mattia...»
«Ambra...»
Chiamarci per nome diede ancora più potenza a quella passione sfrenata. Percepii un'intensa emozione generarsi nel mio basso ventre, gemella di quella che dovette aver provato lei in quello stesso istante. Si staccò da me e mi costrinse a sdraiarmi. In breve mi fu sopra, allargò le gambe e mi afferrò il cazzo. Se lo sfregò contro la vulva, godendo delle smorfie di piacere partorite dal mio viso a causa della deliziosa tortura a cui mi stava sottoponendo. Quando capì che non ne potevo più, decise di custodirlo nuovamente in sé.
Provai di nuovo il piacere di penetrarla, di sentire il cazzo completamente avvolto dalla sua carne. Inseguimmo lo stesso ritmo alla ricerca di un comune scopo che era già apparso all'orizzonte. Mi cavalcò con furore, in quei lunghissimi secondi, dando fondo alle ultime energie rimaste. Strinsi le dita dei piedi e le afferrai le natiche.
«Ambra... ci sono quasi!»
«'esisti, anche io sto pe' veni'e!»
L'aiutai nel compito, muovendomi complementarmente a lei. Il suo bacino avanzava, il mio indietreggiava. Io spingevo, lei si ritirava; poi successe. Percepii la marea alzarsi all'interno del suo corpo e con essa arrivò un piccolo spasmo.
Si chinò su di me, i capelli mi solleticarono il viso. Ansimando per la stanchezza, mi baciò sulle labbra, dimentica della lite di poco prima. La sentii sorridere quando scostò le ciocche ribelli dalla fronte.
Ero ancora dentro di lei, le sue mani mi stavano ancorando il petto al materasso. Mi guardò, gli occhi languidi e carichi di potenzialità sublimata in godimento.
Si separò da me e si coricò al mio fianco, poggiando il viso sull'incavo della mia spalla. Le cinsi la testa con il braccio. Restammo in silenzio per un po'; nessuno dei due sentiva il bisogno di aggiungere altro. Le parole stavano però diventando un fiume in piena, nella mia bocca, e finirono per rompere la diga.
«Sai, prima di incontrarti mi sentivo come un astronauta a cui si è spezzato il cordone che lo legava alla sua navicella e bussola, che ha perso ogni direzione, destinato a vagare nello spazio senza più distinguere il sopra dal sotto, la destra dalla sinistra, il giusto dallo sbagliato. Nell'immensità del vuoto cosmico, le uniche verità erano quelle soggettive che si era creato da solo, quelle partorite dalla sua mente e per la sua mente. Nessuno scopo per lui, se non il continuo vagare e l'incessante pensare, l'infinita costruzione della propria realtà mentale, di un castello dove potersi nascondere. »
«Cos'è cambiato?»
«Ti ho conosciuta. Sei stata come un buco nero che mi ha catturato e intrappolato nella sua orbita. Non fraintendermi, adesso sono felice di essere stato imprigionato da te», mi affrettai a precisare, percependo il risveglio della collera sopita.
«Lì per lì, però, tutto il mio mondo, il mio castello personale dov'ero certo di stare al sicuro, è crollato. Fluttuavo nello spazio senza nessun sistema di riferimento, poi questo è improvvisamente arrivato con la tua presenza, soppiantando quello che mi ero creato. Devo ammetterlo, non coincideva e purtroppo non coincide ancora appieno con quello vecchio: il nord è diventato l'est, il sud l'ovest, la gravità attira quand'ero invece convinto che spingesse all'esterno. Si dice che a contatto con la singolarità...»
«La singola'ità sono io?»
«... sì, sei la mia singolarità, il punto in cui qualsiasi altra legge fisica che mi ero imposto ad hoc, perde senso. A contatto con una tale entità, si crede che il tempo e lo spazio invertano le proprie capacità.
Ero abituato a muovermi nelle tre dimensioni, ma a percorrere il tempo in linea retta, con la sola capacità di scorgere quello che mi ero lasciato alle spalle, un passato immutabile.
Ebbene, quando ci siamo baciati è successo l'esatto opposto: mi trovavo in un unico, singolo punto nello spazio, incapace di muovermi e bloccato dalla tua gravità... però ho viaggiato mentalmente nel tempo. Ho rivisto quello che avevo fatto e ciò che m'aspettava se avessi deciso di continuare a percorrere quella strada.
Sono tornato indietro, ho compiuto scelte diverse e quello che ne è risultato mi ha fatto paura: ho creato per me un futuro incerto, un futuro permeato da un alto rischio di sofferenza.
Per questo temo di impegnarmi in una storia con te: sei la singolarità che, se decidessi di accettare, renderebbe sfocato il mio futuro, mi farebbe perdere quell'armatura che mi sono costruito.»
«E se, stando con me, non avessi più bisogno di usa'la, quell'a'matura?»
A questa domanda, non seppi rispondere.
Scivolammo lentamente nel sonno ma, prima di addormentarmi del tutto, la mia mente tornò alla prima volta che avevamo condiviso il corpo.
Continua...
«... e poi, dopo quel magnifico bacio, siamo rimasti davanti al fuoco fino all'alba, a bere vino e osservare scorci di un altro mondo attraverso le faville del falò che, innalzandosi nell'aria per pochissimi istanti, sembravano lacerare il tessuto della notte e aprire le maglie che costituiscono la realtà.»
Avete presente il meme del gattino che vi guarda facendo gli occhioni dolci, come se stesse quasi per piangere?
In quel momento, Nicole era identica a quel gatto. Mi stava osservando con le lacrime pericolosamente in bilico sul bordo degli occhi, commossa e rapita dalle mie parole; Sansone aveva capito a malapena metà di quello che avevo detto e stava controllando qualcosa al cellulare, rincitrullito e con aria assente e annoiata.
«E ti sei fatta leccare le tette prima ancora di baciarlo?» aggiunse incredula l'amica, indicando Ambra.
«Pe' me un bacio è una cosa se'ia. Chiunque può lecca'mi le tette... vabbè dai, non chiunque - s'affrettò ad aggiungere, cogliendo attenzione e desiderio fare improvvisamente capolino tra le sopracciglia del palestrato - pe'ò avete capito. Invece un bacio indica che c'è qualcosa di più, una connessione più intensa, mentale e non solo fisica...»
La guardai, impressionato da quello che aveva appena detto, e cercai la sua mano sotto al tavolo. Avvertendo le mie dita, la spostò. La vidi prendere il cellulare, osservai il monitor di sghimbescio e notai che stava chattando con l'ammasso di muscoli lì di fronte. Non aveva però un'espressione divertita in viso, sembrava quasi adirata o snervata.
Terminammo il vino e la cena. Salutammo i commensali e ritornammo al mio appartamento.
«Cos'hai? Sei stata di cattivo umore, dopo il sesso in bagno! Mi sembrava che ti fossi divertita...»
«Non confonde'e il piace'e del sesso con il buonumo'e», m'interruppe di colpo.
Eccoci qui, pensai. Dovevo aspettarmelo. La sera precedente avevamo messo in pausa la discussione, spinti da un improvviso quanto impellente desiderio di scopare, ma questa aveva corso più veloce di noi e ci aveva inesorabilmente raggiunti. Confidavamo di averla lasciata alle nostre spalle e di poterla tenere lì il più a lungo possibile, ma si sa, Speranza e Illusione si divertono spesso a passeggiare insieme.
«Pensi davve'o quello che mi hai detto?», la sua fu una domanda retorica: sapeva che lo pensavo seriamente.
«Stavi chattando con lui - calcai l'accento sul pronome - prima? Cosa vi stavate dicendo?»
«Stai cambiando disco'so?»
Sentii risalire tutto quello che avevo buttato giù: la notizia che c'era stato qualcosa, anni prima, tra lei e Sansone, un'improvvisa e sconosciuta gelosia, il nervosismo per com'era andata la discussione che avevamo ibernato e che ora, come una Spada di Damocle sospesa su di noi, stava per piombarci addosso per darci il colpo di grazia.
Persino la cena faticava a restare ferma nello stomaco.
«Sì, Ambra, ti ho detto ciò che penso, e quello che penso è ciò che mi identifica. Se ti dicessi quanto vorresti sentire, non sarei più l'uomo di cui ti sei innamorata. Non sarei io, non sarebbero le mie parole, ma solo la tua voce che viene fuori dalla mia bocca.»
«Solo questa volta, solo una cazzo di volta, puoi non usa'e i tuoi fottuti disco'si filosofici?», urlò, furente.
«Desideri qualcosa che non posso darti - cercai di mantenermi calmo - te l'ho detto quella sera, ricordi? Non voglio soffrire e questo mi blocca. Tu vuoi qualcosa di serio, io ho paura di impegnarmi. Siamo come due meteore, abbiamo brillato, tantissimo, ma adesso ci stiamo spegnendo. E poi, guarda in faccia alla realtà cazzo, viviamo in due parti opposte d'Italia, pensi davvero che potremmo avere un futuro? Che la nostra sarebbe una storia facile?»
«Ti piace la facilità? Mi hai usata solo pe' scopa'e? Vuoi di'e che il sesso è tutto ciò che ti piace di noi?»
La domanda, rapida e glaciale, mi aveva ferito più di quanto fossi disposto ad ammettere. Il sesso con lei era fenomenale ma, se l'oceano rappresentava ciò che amavo di lei, la fisicità era solo una goccia d'acqua. Mi rabbuiai, se ne accorse e si scusò subito per l'impeto di rabbia e per ciò che aveva insinuato.
«Comunque non ci stavo p'ovando con lui, anzi, tutto l'opposto. Mi ha detto che non me'ito un coglione come te, capace di usa'e solo le pa'ole... che io e lui dov'emmo to'na'e insieme. Mi ha fatta incazza'e come una belva.»
Forse, in fondo, Sansone non aveva tutti i torti. Non so quanto Ambra sarebbe stata bene con lui, ma ero convinto che con me non lo sarebbe stata affatto. Continuammo a confrontarci per un'altra ora, urlando, facendo temporaneamente pace e incazzandoci nuovamente. Alla fine, sfiniti e dato per assodato che nessuno dei due voleva spostarsi dalla propria posizione, decidemmo di mettere nuovamente la discussione in pausa.
Avevo bisogno di farmi una doccia: l'acqua calda mi avrebbe certamente aiutato. Andai in bagno, mi spogliai e aprii il rubinetto. Fui subito grato all'acqua per la sensazione che mi aveva appena dato. M'insaponai e sciacquai ma, prima che potessi finire, sentii l'anta scorrere e vidi Ambra entrare nel box, totalmente nuda.
Mi abbracciò da dietro e mi baciò il collo, sfiorandomi con i capezzoli. Qualcuno ci avrebbe visto del masochismo in questa scelta, ma molte volte la ragione non basta a spiegare ciò che galoppa all'interno di due cuori che, nonostante il furore, battono comunque all'unisono. Il desiderio travalica qualsiasi barriera innalzata dalla fredda logica.
Mi accarezzò i pettorali e proseguì lungo il torace, toccandomi lentamente per far sì che la sua passione potesse entrare, per osmosi, dentro di me. Le sue dita erano calde, cùpide ma non frenetiche. Erano consapevoli del loro destino ma non avevano fretta di raggiungerlo. Giocarono con l'ombelico solleticandolo, circumnavigandone i contorni. Premette il seno contro la mia schiena, con ancora più vigore ora che la curiosità delle dita andava aumentando. Sentii il suo corpo caldo entrare in contatto con il mio, il suo Monte sfregarmi contro le natiche, ora a destra, ora a sinistra, oscillando come un pendolo instancabile. Avvertii i suoi capezzoli accarezzarmi il dorso, quando si sollevò in punta di piedi per baciarmi la nuca e, ancora, quando le labbra ridiscesero sulle spalle. La mia pelle era bagnata dall'acqua, dalla saliva e dalla sua lascivia, e tutto questo non faceva altro che aumentare il mio desiderio di entrare in lei.
«Non ti volta'e!»
Non mi voltai. Lasciai alle sue dita la libertà di gironzolare intorno ai testicoli, di giocarci dolcemente prima che decidessero di afferrarmi l'asta e iniziassero a massaggiarla con forsennata serenità. I polpastrelli mi solleticarono la punta del cazzo, la scoprirono; cominciò a masturbarmi. Con movimenti calmi e studiati evitò di farmi raggiungere la Gioia anzitempo, trasmutando i secondi in libidine. Mi chiese di guardarla in viso e mi baciò sulle labbra, sul collo e un paio di volte sul torace. Poi scese giù, ancora più giù.
Mi invitò a chiudere gli occhi e, l'istante in cui obbedii, avvertii la sua lingua sul mio cazzo; ne accarezzò la lunghezza, bagnandola più di quanto non lo fosse già. Massaggiò la cappella con le labbra carnose, ne stuzzicò l'estremità sfiorandola con la punta della lingua, mentre l'acqua continuava a picchiettare sulla nostra pelle.
«Ambra...»
La mia voce s'infranse contro la sua volontà, non riuscì a scalfirla. Continuò ciò che aveva iniziato, dolce e passionale allo stesso tempo.
L'allontanai di colpo da me, non volevo gioire senza di lei. S'appoggiò alle piastrelle della doccia; stavolta fui io a chinarmi per ricambiarle ciò che mi aveva dato. Mi poggiò una mano sul capo, mentre la mia lingua era impegnata a solleticarle il pube glabro. Mugolò di piacere quando le sfiorai la clitoride già gonfia... chissà da quanto era smaniosa di quell'incontro.
Stimolai quella piccola sporgenza senza tregua: velocemente, lentamente, disegnando strane forme geometriche suggeritemi dalla mia mente. Ogni steccata della mia lingua la faceva ansimare, la costringeva a chiederne ancora, di più, insaziabile.
Domandai aiuto alle dita. Ne infilai due e la feci trasalire, l'istante in cui vellicai i punti giusti. Continuai così per qualche secondo. Rughe di passione le corruppero il viso, disegnandole dietro agli occhi la mappa per raggiungere il Nirvana.
Mi afferrò per le braccia, mi sollevò alla sua altezza e mi baciò, gustando il suo stesso sapore dalla mia bocca. Chiudemmo il rubinetto e, cercando freneticamente e ad occhi chiusi l'uscita del labirinto, ci coricammo sul letto, infradiciando le lenzuola.
Si voltò sulla schiena. Lì per lì non capii cosa volesse fare (il sangue, nutrimento dei miei neuroni, era defluito in altre zone), ma ci arrivai quando la vidi mettersi gattoni, flettere la schiena e invitarmi a entrare in lei. Le mie mani le cinsero i fianchi; il cazzo le accarezzò le labbra e, finalmente, fu dentro. Spinsi ancora e ancora, contemporaneamente le titillai con le dita ora la clitoride, ora uno dei capezzoli.
«Mattia...»
«Ambra...»
Chiamarci per nome diede ancora più potenza a quella passione sfrenata. Percepii un'intensa emozione generarsi nel mio basso ventre, gemella di quella che dovette aver provato lei in quello stesso istante. Si staccò da me e mi costrinse a sdraiarmi. In breve mi fu sopra, allargò le gambe e mi afferrò il cazzo. Se lo sfregò contro la vulva, godendo delle smorfie di piacere partorite dal mio viso a causa della deliziosa tortura a cui mi stava sottoponendo. Quando capì che non ne potevo più, decise di custodirlo nuovamente in sé.
Provai di nuovo il piacere di penetrarla, di sentire il cazzo completamente avvolto dalla sua carne. Inseguimmo lo stesso ritmo alla ricerca di un comune scopo che era già apparso all'orizzonte. Mi cavalcò con furore, in quei lunghissimi secondi, dando fondo alle ultime energie rimaste. Strinsi le dita dei piedi e le afferrai le natiche.
«Ambra... ci sono quasi!»
«'esisti, anche io sto pe' veni'e!»
L'aiutai nel compito, muovendomi complementarmente a lei. Il suo bacino avanzava, il mio indietreggiava. Io spingevo, lei si ritirava; poi successe. Percepii la marea alzarsi all'interno del suo corpo e con essa arrivò un piccolo spasmo.
Si chinò su di me, i capelli mi solleticarono il viso. Ansimando per la stanchezza, mi baciò sulle labbra, dimentica della lite di poco prima. La sentii sorridere quando scostò le ciocche ribelli dalla fronte.
Ero ancora dentro di lei, le sue mani mi stavano ancorando il petto al materasso. Mi guardò, gli occhi languidi e carichi di potenzialità sublimata in godimento.
Si separò da me e si coricò al mio fianco, poggiando il viso sull'incavo della mia spalla. Le cinsi la testa con il braccio. Restammo in silenzio per un po'; nessuno dei due sentiva il bisogno di aggiungere altro. Le parole stavano però diventando un fiume in piena, nella mia bocca, e finirono per rompere la diga.
«Sai, prima di incontrarti mi sentivo come un astronauta a cui si è spezzato il cordone che lo legava alla sua navicella e bussola, che ha perso ogni direzione, destinato a vagare nello spazio senza più distinguere il sopra dal sotto, la destra dalla sinistra, il giusto dallo sbagliato. Nell'immensità del vuoto cosmico, le uniche verità erano quelle soggettive che si era creato da solo, quelle partorite dalla sua mente e per la sua mente. Nessuno scopo per lui, se non il continuo vagare e l'incessante pensare, l'infinita costruzione della propria realtà mentale, di un castello dove potersi nascondere. »
«Cos'è cambiato?»
«Ti ho conosciuta. Sei stata come un buco nero che mi ha catturato e intrappolato nella sua orbita. Non fraintendermi, adesso sono felice di essere stato imprigionato da te», mi affrettai a precisare, percependo il risveglio della collera sopita.
«Lì per lì, però, tutto il mio mondo, il mio castello personale dov'ero certo di stare al sicuro, è crollato. Fluttuavo nello spazio senza nessun sistema di riferimento, poi questo è improvvisamente arrivato con la tua presenza, soppiantando quello che mi ero creato. Devo ammetterlo, non coincideva e purtroppo non coincide ancora appieno con quello vecchio: il nord è diventato l'est, il sud l'ovest, la gravità attira quand'ero invece convinto che spingesse all'esterno. Si dice che a contatto con la singolarità...»
«La singola'ità sono io?»
«... sì, sei la mia singolarità, il punto in cui qualsiasi altra legge fisica che mi ero imposto ad hoc, perde senso. A contatto con una tale entità, si crede che il tempo e lo spazio invertano le proprie capacità.
Ero abituato a muovermi nelle tre dimensioni, ma a percorrere il tempo in linea retta, con la sola capacità di scorgere quello che mi ero lasciato alle spalle, un passato immutabile.
Ebbene, quando ci siamo baciati è successo l'esatto opposto: mi trovavo in un unico, singolo punto nello spazio, incapace di muovermi e bloccato dalla tua gravità... però ho viaggiato mentalmente nel tempo. Ho rivisto quello che avevo fatto e ciò che m'aspettava se avessi deciso di continuare a percorrere quella strada.
Sono tornato indietro, ho compiuto scelte diverse e quello che ne è risultato mi ha fatto paura: ho creato per me un futuro incerto, un futuro permeato da un alto rischio di sofferenza.
Per questo temo di impegnarmi in una storia con te: sei la singolarità che, se decidessi di accettare, renderebbe sfocato il mio futuro, mi farebbe perdere quell'armatura che mi sono costruito.»
«E se, stando con me, non avessi più bisogno di usa'la, quell'a'matura?»
A questa domanda, non seppi rispondere.
Scivolammo lentamente nel sonno ma, prima di addormentarmi del tutto, la mia mente tornò alla prima volta che avevamo condiviso il corpo.
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