La storia di Francesca (tre). Sofia e la poliziotta.
di
Franceschina
genere
saffico
> La storia di Francesca (tre). Sofia e la poliziotta.
Il mattino successivo, tutti i miei pensieri vennero interrotti dall’entrata di Sofia, la mia bella infermiera, ma questa volta non era sola. Dietro a lei, con una impeccabile e aderente divisa, avanzava un’altra donna, una poliziotta.
«Francesca, lei è Anita. Una agente di polizia e una mia carissima amica. Vorrebbe farti solo qualche domanda riferite all’incidente. Se non te la senti, dillo liberamente e lei torna domani. Le ho detto che non deve assolutamente affaticarti».
«Un interrogatorio in piena regola... Agente, non confesso, da me non avrà una sola parola» scherzai. Poi seriamente ripresi «Tranquilla Sofia, me la sento, anzi qui c’è anche troppo silenzio, parlare con qualcuno mi rallegra».
Le due donne risero divertite e Anita mi chiese di raccontare ciò che era successo e mi chiese, come con Sofia, di avere anche con lei meno formalità.
«Bene Anita, ti racconto ciò che ricordo, anche se è poco e un po’ confuso perché c’è ancora un vuoto nella mia mente. Ricordo di essere uscita dal mio studio, di essere salita in macchina e di essere andata a cena al ristorante “La piazzetta” che dista circa trenta chilometri da casa mia. Si mangia bene e ci vado spesso anche da sola. Poi al ritorno, saranno state le dieci e trenta, ho preso la tangenziale e ho attraversato quel maledetto incrocio rallentando poco avendo il semaforo verde. In un attimo ho visto quella macchia piombarmi addosso. Poi non ricordo più nulla. Mi sono svegliata immobilizzata in questo letto».
Anita rivolgendosi all’infermiera chiese che tipo di danni fisici avevo avuto e ancora una volta, senza preavviso, Sofia abbassò le coperte mettendomi nuovamente “a piena vista”. Cominciò l’elenco dei danni e delle ammaccature e ogni volta con il dito indice o con la mano ben aperta mi toccava indicando l’area colpita. Come la volta precedente le mani di Sofia indugiavano, accarezzavano e premevano i punti più sensibili: i seni, il collo, le cosce, i fianchi e soprattutto l’inguine. Improvvisamente percepii una strana sensazione: le guardai attentamente e lessi un leggerissimo sorriso e lo scambio di sguardi complici nei loro occhi. Pensai: “hai capito queste due lesbiche porche, giocano alla loro eccitazione con il mio corpo”. Intuii anche, ma non ne ebbi la certezza, espressioni di un languido piacere nello sguardo della poliziotta.
E allora scattò la mia trappola: «Se posso permettermi... Sofia, sento un dolorino qui sulla spalla destra». La mano servizievole di Sofia si precipitò e toccò la zona indicata.
«Se premo senti più male?»
«No, anzi mi sembra che se premi mi fa meno male» mentii «però devo dire che anche qui percepisco un dolore intenso» e indicai il torace appena sotto il seno.
Sofia spostò subito la mano sfiorandomi il seno.
«Ecco prova anche tu Anita a premere il mio seno». Ho sempre avuto la faccia di bronzo e la poliziotta ubbidiente, mi posò la mano dove volevo io.
«E poi anche qui» e afferrai il polso della poliziotta e con rapidità, per impedirle qualsiasi reazione, portai la sua mano sul mio monte di Venere.
«Anita, ma ti rendi conto? Francesca ci sta prendendo per i fondelli... Questa sta meglio di noi due» disse Sofia ridendo.
«Attenta Francesca, è un reato gabbare un agente di polizia. Sono indecisa se arrestarti subito o fare una ispezione accurata al tuo corpo» rispose Anita ridendo anche lei.
«Francesca ben venuta al nostro club riservato» poi rivolgendosi alla sua amica poliziotta «sei d’accordo anche tu di ammetterla?».
«Con molto piacere, io so bene come trattare le reclute» chiosò Anita.
Eravamo solo noi tre nella stanza e Anita si chinò con l’intento di darmi un casto bacio sulle labbra. Forse per suggellare una nuova adesione al loro circolo godereccio. Ma io disposi diversamente. L’afferrai per il colletto della divisa, l’attirai e penetrai con la lingua nella sua bocca. Sofia fu altrettanto rapida e subito riportò la sua calda mano sulla mia fica già vogliosa. Poi le due ragazze si abbracciarono e fusero le loro labbra in un caldo bacio lesbico.
«Calma ragazze» disse subito dopo Anita «è meglio se smettiamo subito. Se entra qualcuno a lei la sbattono fuori nonostante le fratture e noi perdiamo il lavoro».
Si chinarono ancora un attimo sopra di me per parlarmi a bassa voce. Altre intenzioni in quel momento facevano certamente parte dei loro pensieri, ma si imposero un adeguato contegno.
«Devi stare ricoverata ancora un po’ di giorni... Stai tranquilla baderò io a te... Non ti farò mancare nulla!» disse Sofia e Anita di rimando anche lei volle farmi una promessa: «Non te la caverai con così poco mia cara... Le indagini proseguiranno ancora. Tieniti a disposizione!»
«Siete due imperdonabili lesbiche perverse, mi avete accesa di voglie pazzesche e ora mi abbandonate?» e poi con un tono teatrale «consegno il mio corpo alla sanità e alla giustizia... Fatene di me ciò che volete».
Ridendo felici uscirono lasciandomi sola e io sentii subito la mancanza di queste mie nuove amiche.
(continua)
Il mattino successivo, tutti i miei pensieri vennero interrotti dall’entrata di Sofia, la mia bella infermiera, ma questa volta non era sola. Dietro a lei, con una impeccabile e aderente divisa, avanzava un’altra donna, una poliziotta.
«Francesca, lei è Anita. Una agente di polizia e una mia carissima amica. Vorrebbe farti solo qualche domanda riferite all’incidente. Se non te la senti, dillo liberamente e lei torna domani. Le ho detto che non deve assolutamente affaticarti».
«Un interrogatorio in piena regola... Agente, non confesso, da me non avrà una sola parola» scherzai. Poi seriamente ripresi «Tranquilla Sofia, me la sento, anzi qui c’è anche troppo silenzio, parlare con qualcuno mi rallegra».
Le due donne risero divertite e Anita mi chiese di raccontare ciò che era successo e mi chiese, come con Sofia, di avere anche con lei meno formalità.
«Bene Anita, ti racconto ciò che ricordo, anche se è poco e un po’ confuso perché c’è ancora un vuoto nella mia mente. Ricordo di essere uscita dal mio studio, di essere salita in macchina e di essere andata a cena al ristorante “La piazzetta” che dista circa trenta chilometri da casa mia. Si mangia bene e ci vado spesso anche da sola. Poi al ritorno, saranno state le dieci e trenta, ho preso la tangenziale e ho attraversato quel maledetto incrocio rallentando poco avendo il semaforo verde. In un attimo ho visto quella macchia piombarmi addosso. Poi non ricordo più nulla. Mi sono svegliata immobilizzata in questo letto».
Anita rivolgendosi all’infermiera chiese che tipo di danni fisici avevo avuto e ancora una volta, senza preavviso, Sofia abbassò le coperte mettendomi nuovamente “a piena vista”. Cominciò l’elenco dei danni e delle ammaccature e ogni volta con il dito indice o con la mano ben aperta mi toccava indicando l’area colpita. Come la volta precedente le mani di Sofia indugiavano, accarezzavano e premevano i punti più sensibili: i seni, il collo, le cosce, i fianchi e soprattutto l’inguine. Improvvisamente percepii una strana sensazione: le guardai attentamente e lessi un leggerissimo sorriso e lo scambio di sguardi complici nei loro occhi. Pensai: “hai capito queste due lesbiche porche, giocano alla loro eccitazione con il mio corpo”. Intuii anche, ma non ne ebbi la certezza, espressioni di un languido piacere nello sguardo della poliziotta.
E allora scattò la mia trappola: «Se posso permettermi... Sofia, sento un dolorino qui sulla spalla destra». La mano servizievole di Sofia si precipitò e toccò la zona indicata.
«Se premo senti più male?»
«No, anzi mi sembra che se premi mi fa meno male» mentii «però devo dire che anche qui percepisco un dolore intenso» e indicai il torace appena sotto il seno.
Sofia spostò subito la mano sfiorandomi il seno.
«Ecco prova anche tu Anita a premere il mio seno». Ho sempre avuto la faccia di bronzo e la poliziotta ubbidiente, mi posò la mano dove volevo io.
«E poi anche qui» e afferrai il polso della poliziotta e con rapidità, per impedirle qualsiasi reazione, portai la sua mano sul mio monte di Venere.
«Anita, ma ti rendi conto? Francesca ci sta prendendo per i fondelli... Questa sta meglio di noi due» disse Sofia ridendo.
«Attenta Francesca, è un reato gabbare un agente di polizia. Sono indecisa se arrestarti subito o fare una ispezione accurata al tuo corpo» rispose Anita ridendo anche lei.
«Francesca ben venuta al nostro club riservato» poi rivolgendosi alla sua amica poliziotta «sei d’accordo anche tu di ammetterla?».
«Con molto piacere, io so bene come trattare le reclute» chiosò Anita.
Eravamo solo noi tre nella stanza e Anita si chinò con l’intento di darmi un casto bacio sulle labbra. Forse per suggellare una nuova adesione al loro circolo godereccio. Ma io disposi diversamente. L’afferrai per il colletto della divisa, l’attirai e penetrai con la lingua nella sua bocca. Sofia fu altrettanto rapida e subito riportò la sua calda mano sulla mia fica già vogliosa. Poi le due ragazze si abbracciarono e fusero le loro labbra in un caldo bacio lesbico.
«Calma ragazze» disse subito dopo Anita «è meglio se smettiamo subito. Se entra qualcuno a lei la sbattono fuori nonostante le fratture e noi perdiamo il lavoro».
Si chinarono ancora un attimo sopra di me per parlarmi a bassa voce. Altre intenzioni in quel momento facevano certamente parte dei loro pensieri, ma si imposero un adeguato contegno.
«Devi stare ricoverata ancora un po’ di giorni... Stai tranquilla baderò io a te... Non ti farò mancare nulla!» disse Sofia e Anita di rimando anche lei volle farmi una promessa: «Non te la caverai con così poco mia cara... Le indagini proseguiranno ancora. Tieniti a disposizione!»
«Siete due imperdonabili lesbiche perverse, mi avete accesa di voglie pazzesche e ora mi abbandonate?» e poi con un tono teatrale «consegno il mio corpo alla sanità e alla giustizia... Fatene di me ciò che volete».
Ridendo felici uscirono lasciandomi sola e io sentii subito la mancanza di queste mie nuove amiche.
(continua)
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