La storia di Francesca (due). Le confidenze tra donne.

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Secondo giorno di ospedale (da sveglia). Avevo chiesto a Sofia se per caso qualcuno avesse avvisato mio marito e lei mi confermò che l’ospedale aveva contattato la ditta dove il mio marito lavora e loro gli avevano dato il suo recapito telefonico in Argentina. Lo avevano raggiunto e gli avevano comunicato tutti i dettagli dell’incidente e del mio ricovero. Appreso che in una certa misura non stavo malissimo, mio marito ha semplicemente deciso di rimanere dove era e con parole concise aveva preso l’impegno di sentire frequentemente l’ospedale per avere notizie della mia salute. Inutile dire che subito ci rimasi piuttosto male: non aveva chiesto di parlare con me e non aveva sentito la necessità di ritornare anche solo per qualche giorno. Poi, passata la delusione, ho pensato che forse era meglio così. Inevitabilmente ogni cosa, in un modo o nell’altro, trovano la loro conclusione. Perciò mi sentii rilassata. Se non sentiva l’esigenza di prendere un cazzo di aereo per vedere come stavo di persona “chi se ne frega” pensai, rimanga pure dove sta.
Ma c’era un’altra cosa che mi incuriosiva e mi lasciava piuttosto perplessa. Trovavo quell’ospedale abbastanza strano. Vedevo poco personale, non sentivo o vedevo altri ricoverati e avevo una infermiera praticamente solo per me. L’ho chiesto a Sofia e lei mi ha risposto:
«Questo è un piccolo ospedale di provincia, anzi forse è esagerato definirlo ospedale. Per questo ci sono pochi pazienti e ancor meno personale. I fatto è che è utilizzato principalmente come laboratorio e per visite specialistiche. In tutto siamo in sei: tre medici, tutte donne, e altrettante infermiere».
In effetti una dottoressa l’avevo vista. Era passata la mattina presto per una visita lampo: ha letto le carte contenute in una cartellina, chiesto qualcosa a Sofia e poi con un sorriso se ne era andata. Tutto qui.

Nel pomeriggio, Sofia si è seduta a fianco del mio letto e mi ha chiesto se avevo voglia di raccontare un po’ di me. Le ho parlato dei miei studi universitari, della mia professione di storica dell’arte e di esperta nel valutare la effettiva veridicità delle opere pittoriche, principalmente del Novecento.
«Ho trentotto anni, viaggio molto per lavoro, sono sposata e non ho figli. Mio marito ora è in Argentina e ad essere sincera, non mi manca per niente».
«Ma io volevo sapere qualcosa di più, come dire, intimo...» poi quasi a scusarsi «siamo tra donne e le storie d’amore, magari condite da un po’ di sesso stuzzicano la fantasia e mettono allegria. Cosa che per lei è, decisamente terapeutico, però solo se lo vuole, beninteso».
«Non ho nessuna remora, ma a un solo patto: dobbiamo smetterla con le formalità e con questo scomodo “lei”. Ma stai attenta, sarò diretta e senza tanti giri di parole, anche se in fondo non ho molte cose particolari avendo avuto una vita non straordinariamente trasgressiva».
«Francesca fa piacere anche a me se ci diamo del “tu”. Non preoccuparti per le parole, è bello confidare i propri segreti e fa bene al morale liberarsi raccontando. E da me, puoi starne certa, non uscirò una sola parola di quanto vorrai dirmi. Poi se vuoi ti parlerò di me».
«Bene! Patto accettato. Devi sapere che qualsiasi cosa io abbia fatto è stata perché l’ho voluta e non ho mai commesso atti che abbiano danneggiato qualcuno. La mia prima esperienza erotica è stata a quindici anni, e non con un maschietto»
«La cosa comincia bene e si fa subito interessante»,
«Già, è stata però una sola e brevissima avventura lesbica. Con una mia amica di infanzia, una sera eravamo nella cameretta di casa mia. Eravamo due studentesse piuttosto imbranate, ma con molta voglia di iniziare la nostra vita erotica. Ci siamo baciate, ma bene con la lingua, e poi ci siamo masturbate fianco a fianco, a lungo. Poi non c’è stato nessun seguito. Lei si è vergognata molto e per lungo tempo mi ha evitata. Non mi salutava e non mi rivolgeva neppure la parola. Solo più tardi, dopo i diciotto anni, ho avuto diversi fidanzati con i quali ho gradatamente scoperto e appreso le regole e le gioie del sesso. Per fortuna proprio grazie a quelle esperienze e ad alcuni amanti senza tabù che – seppure non abbia più avuto contatti erotici con altre donne – mi hanno mentalmente aperta e tolto ogni pregiudizio. Anzi considero questi come delle sciagure e compatisco profondamente tutti coloro che disprezzano (e purtroppo a volte aggrediscono) i gay o le lesbiche».
«Ha ragione, sono solo dei poveretti» chiosò Sofia.
«Mi reputo una donna decisamente passionale e se un tipo mi piace non mi tiro certamente indietro. Nonostante ciò, non sono mai stata una ragazza facile, è solo che non mi sono mai privata di ciò che desideravo in quel momento. Però non come quei maschi che nel bar si vantano e dicono: “ogni lasciata è persa”, frase che non mi è mai piaciuta. Troppo banale e meccanica. Preferisco ascoltare la mia testa e cedere solo alle tentazioni che ritengo meritevoli. A venticinque anni mi sono sposata con Dario. Un uomo piacevole, molto intelligente e istruito, purtroppo a letto ha sempre dimostrato poco le sue qualità. Non che non mi piacesse fare l’amore con lui, ma era il classico maschio un po’ presuntuoso, con la convinzione che saper scopare è un po’ come correre i cento metri piani. Purtroppo, fammi dire, ce ne sono tantissimi che la pensano come lui. Infilarlo e poi, su è giù con frenesia, con il ritmo di un frullatore o di una macchina per cucire. Alcune volte la cosa in quel momento non mi dispiaceva, ma quasi sempre desideravo da lui più fantasia e maggior erotismo».
«Anche io sono stata sposata» confidò Sofia «ma per fortuna il mio matrimonio è durato solamente un anno. Poi, ho fatto le valigie e me ne sono andata a vivere, inizialmente con una amica, successivamente per conto mio».
«Anche io sono anche curiosa e mi piacerebbe molto se mi raccontassi le tue avventure. Il fatto è che a noi donne può far piacere sentirsi prese con veemenza, ma non sempre, anzi quasi mai. Il più delle volte il piacere ci viene dal sentire che il cazzo si muove con lentezza dentro di noi, che indugia con la cappella all’apertura della fica, carezzando le labbra sensibili e poi scivola dentro fino in fondo per rimanere completamente fermo prima di risalire in superficie».
«Ora sì che la cosa si fa intrigante!»
«Ti avevo detto che sarei stata franca e diretta. Per noi donne, scopare con grande lentezza dà la possibilità alla fica di gustare la morbidezza del pene e percepire in profondità ogni sua piega, ogni suo movimento. Privarsi di queste dolcezze è come quelli che invece di degustare un piatto prelibato si ficcano tutto in bocca e deglutiscono senza quasi masticare, per poi dire: “che mangiata ho fatto, sono pienissimo”. Con lo stesso stile dicono: “che scopata, sono proprio un gran macho”. Molto da burini e poco da raffinati amanti».
« Hai ragione Francesca. Per noi donne i cosiddetti preliminari non sono il contorno, ma il piatto principale. È la scopata che è il contorno e deve essere la conclusione di mille giochi deliziosi ai quali gli amanti veramente capaci si dispongono e praticano».
(continua)
scritto il
2024-08-01
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