Tre donne 1
di
Jonathan Cum
genere
incesti
La prima fica che vidi fu quella della signora Teodora. Era una amica delle mie zie, più o meno coetanee sui quaranta. Un donnone grassoccio, non bella ma di certo appariscente specie per me che vagavo ancora nella confusione infantile verso cose che non conoscevo.
Per farla breve eravamo in giardino. Io sdraiato sull’erba giocavo con Tommy il figlio della Teodora, il più giovane, appena un po’ più piccolo di me. Lei seduta sui gradini di pietra di casa nostra parlava con mia zia Viola comoda sulla sdraio. Di cosa parlassero non ricordo, forse nemmeno ascoltavo. Noi si giocava coi modellini delle macchine e del resto non ci fregava nulla.
A un certo punto alzo il naso e siccome sto puttanone della Teodora non aveva le mutande la vedo. Pelosa, nera, fantastica.
A quel tempo non avevo certo pensato che era un puttanone anzi nemmeno sapevo cosa fosse ma di una cosa era sicuro… quella cosa pelosa che aveva fra le gambe era stupenda.
Forse il fatto che apparisse sotto alla gonna le dava quel senso di proibito. Sapere che vedevo ciò che non dovevo di certo stimolava la mia curiosità. Probabilmente le belle cosce avevano un loro perché e rendevano il tutto più intrigante ma… la figa! Oddio la figa che bella.
Probabilmente i miei cromosomi e il mio istinto avevano capito prima di me cosa avrei sempre adorato nella vita.
Ero lì e la fissavo, estasiato. Forse mi stava venendo duro, non ricordo, ancora non mi facevo le seghe quindi… booo?
Del resto non avere mai avuto figure maschili adulte accanto a cui chiedere certe cose ha sempre fatto si che sviluppassi le mie curiosità toccando “con mano” e sempre andando a tentoni e per tentativi. A quel punto mentre sono lì a curiosare lei alza gli occhi. Si rende conto che ho visto, che sto guardando. Ora io penso che obiettivamnete fosse lei in torto perché non si era messa le mutande e se ne stava beatamente seduta a gambe larghe dove la potevo vedere ben bene. Io che colpa ne avevo? Gli occhi sono fatti per guardare. O no?
Penso che, onestamente, avrebbe potuto limitarsi a chiudere le gambe e finita lì ma, l’ho detto, era un puttanone e anche una stronza così esclama forte “Che fai Jonathan mi guardi la farlallona” e ride.
Non ricordo se mia zia divenne rossa di vergogna ma di certo lo divenni io. Abbassai lo sguardo, tornai alla mia Dyane verde da rally che era la mia auto preferita.
La zia Viola intanto aveva già cambiato discorso forse per minimizzare la cosa.
Io che ancora non conoscevo tante dinamiche famigliari mi vergognavo soprattutto perché la zia, immaginavo, chissà cosa stava pensando di me. Cercai di giocare ancora un po’ ma non riuscivo. Aspetta un po’, ancora un po’, non alzare la testa, non guardare, gioca ancora un po’…niente.
Non riesco. Mi alzo in piedi “ho sete” dico e scappo in casa.
Quando torno Teodora e il figlio se ne sono già andati a casa. Zia Viola si è spostata contro sole, le è sempre piaciuto prendere la tintarella. Io la guardo. Si è levata la gonna e adesso sta a gambe nude belle tese in avanti. Sopra ha una maglietta di cotone. Sono stupende le gambe di zia Viola ma io non ho né l’esperienza ne la capacità di apprezzarle e poi…dai cazzo è la zia… mica posso guardare la zia come guardo Teodora penso allora.
È si ero davvero ingenuo.
Tanto ingenuo che mi rendo conto che Tommy mi ha fregato la Dyane rallycross verde.
Che pezzo di merda, dico adesso. Allora forse avevo pensato epiteti più leggeri.
Passò un anno circa prima che vedessi un’altra fica e stavolta anche meglio. Stavolta davvero non centravo nulla. Andò così, molto banalmente, col telefono del salotto che squillava.
Io sono seduto in cucina, guardo la tv. Sento lo squillo che non era una cosa abituale perché non è che ci cercassero in mille. Sono indeciso se andare ad alzare la cornetta quando spunta la zia…
Corre, probabilmente cerca di arrivare all’apparecchio fin che suona, forse se ne accorge, forse no…ha le mutande sopra alle ginocchia. La gonna è corta ma non troppo quindi so che è nuda sotto ma non vedo…non ancora.
Poi arriva al telefono. Lo afferra con una mano “pronto?” e con l’altra che fa? Si tira su le mutandine bianche. Ma mentre lo fa col gomito alza la gonna e la alza quanto basta.
La vedo! La fica!! Oddio la fica di zia Viola. Pelo rado, biondiccio, le labbra sporgenti un po’ rugose…
La maldestra operazione della zia dura pochi secondi. 20? 30? forse meno. Ma mi basta. Il mio cervello memorizza ogni dettaglio ogni singolo pixel di ciò che captano i miei occhi viene ritrasmesso ai miei condotti neurali e, da qualche parte, quella immagine deliziosa e proibita viene archiviata. Per sempre.
Credo che la zia non si sia nemmeno resa conto che l’ho vista. Risponde al telefono e a fine conversazione forse nemmeno ricorda che aveva le mutandine calate. Faccenda chiusa…per lei.
Ormai sono diciamo un ometto. Ho imparato col semplice istinto naturale a darmi piacere con la mano. All’inizio grattandomi un prurito, poi sempre più intensamente con tutta la mano e poi, una sera…oooops. Credevo persino di essermela fatta addosso. Sono corso in bagno e, sorpresa, mi ero fatto la famosa sega di cui a scuola parlavano tanto. Era quella la tanto nominata sborra.
Ed era davvero piacevole.
Adesso me le facevo quasi tutti i giorni. Alcune le avevo anche dedicate alla signora Teodora, al suo essere sempre un po’ scollacciata e a quel ricordo di quel ragno peloso che avevo visto sotto alla gonna.
Ma quella sera no. Quella sera avevo stampato in testa ogni millimetro della gnocca di mia zia e la mano fremeva. Mi feci la mia meritata sega. Una delle più poderose anche per il fluido che allagò le lenzuola. Una sega pensando a mia zia.
Era vergognoso, osceno, vergognoso ma non potevo farne a meno. Con tutta la mia rabbia tesa avevo sborrato sognando lei e dopo, appagato, me ne vergognai per qualche ora.
Andò avanti così per qualche giorno. Osservavo zia Viola, osservavo ogni dettaglio in modo diverso, in modo libidinoso. Le gambe, il culo, il seno che faceva capolino da sotto la maglia. Tutto di lei aveva un aspetto diverso, nuovo, eccitante.
E non c’era solo lei, con noi viveva anche la zia Ivana. Di lei non avevo mai visto nulla ma da quel fatidico giorno osservavo anche lei, la studiavo. Confrontavo il suo seno grosso con quello meno abbondante di Viola. Guardavo le sue cosce quando si sedeva e la gonna si alzava un po’. Notavo le calze di nylon e quel lembo di carne scoperta coi gancetti che reggevano il tutto. Facevo cadere matite o altri oggetti per spiare da sotto il tavolo. Vedevo mutande, vedevo peli che uscivano dalle mutande e, ovviamente, appena ero solo mi toccavo.
Parlo di 5/6 seghe al giorno. Ogni giorno!
Ero diventato un masturbatore seriale e ancora non avevo scoperto il mio peggio.
Il nostro peggio.
Perché la mia immaturità ancora non mi aveva fatto capire una cosa: così come io stavo sviluppando una smodata passione per la gnocca allo stesso modo, le mie tre donne, ne avevano sviluppata da anni una per i bei cazzi. E io, modestamente, anche se lo avrei capito molto tempo dopo, avevo davvero un gran bell’attrezzo di carne.
Due giorni dopo l’episodio delle mutande mezze calate di zia Viola accadde un’altra bella cosa degna di nota. Ritrovai la Dyane Rallycros verde. Quel bastardo di Tommy che aveva sempre negato di averla fregata me la fece trovare a casa sua imboscata in solaio. Il coglione si era stufato di giocarci e l’aveva abbandonata li. Stronzo! Forse nemmeno se lo ricordava più quando eravamo saliti in solaio ad esplorare chissà cosa.
Trionfante me la misi in tasca. Tommy era dalla parte opposta del solaio. L’avrei raggiunto, gli avrei dato un pugno sul naso e poi avrei riportato a casa il mio tesoro.
Poi guardai dalla finestra a grata del solaio. Perpendicolare sotto di noi c’era il terrazzo di casa sua e sul terrazzo c’era sua madre…
Nuda cazzo!
Sulla sdraio nuda a prendere il sole.
L’avevo detto no che era una vacca?
Ero a diciamo dieci metri, forse quindici, non vicinissimo quanto avrei voluto ovvio ma vedevo tutto. La fica pelosissima, le tettone, la pancia grassoccia.
Porca troia che troia!
Iniziai a toccarmi il cazzo sotto ai pantaloni. Una voglia irresistibile di masturbarmi ma non potevo, c’era Tommy. Non potevo segarmi sua madre davanti a lui…
Scappai a casa, andai in bagno e mi sparai un’altra trionfale segona. Per un attimo immaginai quanto sarebbe stato divertente sborrare dalla finestra del solaio e far colare il mio sperma sul corpo grasso e sudato di Teodora.
La cosa mi sembrò divertente ed eccitante tanto che me ne sparai un’altra pochi istanti dopo.
In quel momento dalle braghe calate mi cadde la Dyane rallycross.
La raccolsi con la mano che non aveva sollazzato l’uccello. Mi pulii meglio che potevo e rimisi a posto i pantaloni. L’idea che quella porcella prendesse il sole nuda come nulla fosse era davvero intrigante. Nascosi la Dyane in un cassetto, non l’avrei mai più tirata fuori quando c’era Tommy. In fondo poteva ringraziare il nudismo di sua madre se si era evitato un pugno.
Sono passati quasi trent’anni. La Dyane 6 verde rallycross è sul mio scaffale vicino al letto. Lo scaffale delle memorabilia.
Li accanto alla macchinina c’è una scatola di metallo piena di vecchie foto polaroid ingiallite.
Sono tutte foto nude, almeno una dozzina. Nudi di zia Viola, di zia Ivana e di quella vacca di Teodora…
Per farla breve eravamo in giardino. Io sdraiato sull’erba giocavo con Tommy il figlio della Teodora, il più giovane, appena un po’ più piccolo di me. Lei seduta sui gradini di pietra di casa nostra parlava con mia zia Viola comoda sulla sdraio. Di cosa parlassero non ricordo, forse nemmeno ascoltavo. Noi si giocava coi modellini delle macchine e del resto non ci fregava nulla.
A un certo punto alzo il naso e siccome sto puttanone della Teodora non aveva le mutande la vedo. Pelosa, nera, fantastica.
A quel tempo non avevo certo pensato che era un puttanone anzi nemmeno sapevo cosa fosse ma di una cosa era sicuro… quella cosa pelosa che aveva fra le gambe era stupenda.
Forse il fatto che apparisse sotto alla gonna le dava quel senso di proibito. Sapere che vedevo ciò che non dovevo di certo stimolava la mia curiosità. Probabilmente le belle cosce avevano un loro perché e rendevano il tutto più intrigante ma… la figa! Oddio la figa che bella.
Probabilmente i miei cromosomi e il mio istinto avevano capito prima di me cosa avrei sempre adorato nella vita.
Ero lì e la fissavo, estasiato. Forse mi stava venendo duro, non ricordo, ancora non mi facevo le seghe quindi… booo?
Del resto non avere mai avuto figure maschili adulte accanto a cui chiedere certe cose ha sempre fatto si che sviluppassi le mie curiosità toccando “con mano” e sempre andando a tentoni e per tentativi. A quel punto mentre sono lì a curiosare lei alza gli occhi. Si rende conto che ho visto, che sto guardando. Ora io penso che obiettivamnete fosse lei in torto perché non si era messa le mutande e se ne stava beatamente seduta a gambe larghe dove la potevo vedere ben bene. Io che colpa ne avevo? Gli occhi sono fatti per guardare. O no?
Penso che, onestamente, avrebbe potuto limitarsi a chiudere le gambe e finita lì ma, l’ho detto, era un puttanone e anche una stronza così esclama forte “Che fai Jonathan mi guardi la farlallona” e ride.
Non ricordo se mia zia divenne rossa di vergogna ma di certo lo divenni io. Abbassai lo sguardo, tornai alla mia Dyane verde da rally che era la mia auto preferita.
La zia Viola intanto aveva già cambiato discorso forse per minimizzare la cosa.
Io che ancora non conoscevo tante dinamiche famigliari mi vergognavo soprattutto perché la zia, immaginavo, chissà cosa stava pensando di me. Cercai di giocare ancora un po’ ma non riuscivo. Aspetta un po’, ancora un po’, non alzare la testa, non guardare, gioca ancora un po’…niente.
Non riesco. Mi alzo in piedi “ho sete” dico e scappo in casa.
Quando torno Teodora e il figlio se ne sono già andati a casa. Zia Viola si è spostata contro sole, le è sempre piaciuto prendere la tintarella. Io la guardo. Si è levata la gonna e adesso sta a gambe nude belle tese in avanti. Sopra ha una maglietta di cotone. Sono stupende le gambe di zia Viola ma io non ho né l’esperienza ne la capacità di apprezzarle e poi…dai cazzo è la zia… mica posso guardare la zia come guardo Teodora penso allora.
È si ero davvero ingenuo.
Tanto ingenuo che mi rendo conto che Tommy mi ha fregato la Dyane rallycross verde.
Che pezzo di merda, dico adesso. Allora forse avevo pensato epiteti più leggeri.
Passò un anno circa prima che vedessi un’altra fica e stavolta anche meglio. Stavolta davvero non centravo nulla. Andò così, molto banalmente, col telefono del salotto che squillava.
Io sono seduto in cucina, guardo la tv. Sento lo squillo che non era una cosa abituale perché non è che ci cercassero in mille. Sono indeciso se andare ad alzare la cornetta quando spunta la zia…
Corre, probabilmente cerca di arrivare all’apparecchio fin che suona, forse se ne accorge, forse no…ha le mutande sopra alle ginocchia. La gonna è corta ma non troppo quindi so che è nuda sotto ma non vedo…non ancora.
Poi arriva al telefono. Lo afferra con una mano “pronto?” e con l’altra che fa? Si tira su le mutandine bianche. Ma mentre lo fa col gomito alza la gonna e la alza quanto basta.
La vedo! La fica!! Oddio la fica di zia Viola. Pelo rado, biondiccio, le labbra sporgenti un po’ rugose…
La maldestra operazione della zia dura pochi secondi. 20? 30? forse meno. Ma mi basta. Il mio cervello memorizza ogni dettaglio ogni singolo pixel di ciò che captano i miei occhi viene ritrasmesso ai miei condotti neurali e, da qualche parte, quella immagine deliziosa e proibita viene archiviata. Per sempre.
Credo che la zia non si sia nemmeno resa conto che l’ho vista. Risponde al telefono e a fine conversazione forse nemmeno ricorda che aveva le mutandine calate. Faccenda chiusa…per lei.
Ormai sono diciamo un ometto. Ho imparato col semplice istinto naturale a darmi piacere con la mano. All’inizio grattandomi un prurito, poi sempre più intensamente con tutta la mano e poi, una sera…oooops. Credevo persino di essermela fatta addosso. Sono corso in bagno e, sorpresa, mi ero fatto la famosa sega di cui a scuola parlavano tanto. Era quella la tanto nominata sborra.
Ed era davvero piacevole.
Adesso me le facevo quasi tutti i giorni. Alcune le avevo anche dedicate alla signora Teodora, al suo essere sempre un po’ scollacciata e a quel ricordo di quel ragno peloso che avevo visto sotto alla gonna.
Ma quella sera no. Quella sera avevo stampato in testa ogni millimetro della gnocca di mia zia e la mano fremeva. Mi feci la mia meritata sega. Una delle più poderose anche per il fluido che allagò le lenzuola. Una sega pensando a mia zia.
Era vergognoso, osceno, vergognoso ma non potevo farne a meno. Con tutta la mia rabbia tesa avevo sborrato sognando lei e dopo, appagato, me ne vergognai per qualche ora.
Andò avanti così per qualche giorno. Osservavo zia Viola, osservavo ogni dettaglio in modo diverso, in modo libidinoso. Le gambe, il culo, il seno che faceva capolino da sotto la maglia. Tutto di lei aveva un aspetto diverso, nuovo, eccitante.
E non c’era solo lei, con noi viveva anche la zia Ivana. Di lei non avevo mai visto nulla ma da quel fatidico giorno osservavo anche lei, la studiavo. Confrontavo il suo seno grosso con quello meno abbondante di Viola. Guardavo le sue cosce quando si sedeva e la gonna si alzava un po’. Notavo le calze di nylon e quel lembo di carne scoperta coi gancetti che reggevano il tutto. Facevo cadere matite o altri oggetti per spiare da sotto il tavolo. Vedevo mutande, vedevo peli che uscivano dalle mutande e, ovviamente, appena ero solo mi toccavo.
Parlo di 5/6 seghe al giorno. Ogni giorno!
Ero diventato un masturbatore seriale e ancora non avevo scoperto il mio peggio.
Il nostro peggio.
Perché la mia immaturità ancora non mi aveva fatto capire una cosa: così come io stavo sviluppando una smodata passione per la gnocca allo stesso modo, le mie tre donne, ne avevano sviluppata da anni una per i bei cazzi. E io, modestamente, anche se lo avrei capito molto tempo dopo, avevo davvero un gran bell’attrezzo di carne.
Due giorni dopo l’episodio delle mutande mezze calate di zia Viola accadde un’altra bella cosa degna di nota. Ritrovai la Dyane Rallycros verde. Quel bastardo di Tommy che aveva sempre negato di averla fregata me la fece trovare a casa sua imboscata in solaio. Il coglione si era stufato di giocarci e l’aveva abbandonata li. Stronzo! Forse nemmeno se lo ricordava più quando eravamo saliti in solaio ad esplorare chissà cosa.
Trionfante me la misi in tasca. Tommy era dalla parte opposta del solaio. L’avrei raggiunto, gli avrei dato un pugno sul naso e poi avrei riportato a casa il mio tesoro.
Poi guardai dalla finestra a grata del solaio. Perpendicolare sotto di noi c’era il terrazzo di casa sua e sul terrazzo c’era sua madre…
Nuda cazzo!
Sulla sdraio nuda a prendere il sole.
L’avevo detto no che era una vacca?
Ero a diciamo dieci metri, forse quindici, non vicinissimo quanto avrei voluto ovvio ma vedevo tutto. La fica pelosissima, le tettone, la pancia grassoccia.
Porca troia che troia!
Iniziai a toccarmi il cazzo sotto ai pantaloni. Una voglia irresistibile di masturbarmi ma non potevo, c’era Tommy. Non potevo segarmi sua madre davanti a lui…
Scappai a casa, andai in bagno e mi sparai un’altra trionfale segona. Per un attimo immaginai quanto sarebbe stato divertente sborrare dalla finestra del solaio e far colare il mio sperma sul corpo grasso e sudato di Teodora.
La cosa mi sembrò divertente ed eccitante tanto che me ne sparai un’altra pochi istanti dopo.
In quel momento dalle braghe calate mi cadde la Dyane rallycross.
La raccolsi con la mano che non aveva sollazzato l’uccello. Mi pulii meglio che potevo e rimisi a posto i pantaloni. L’idea che quella porcella prendesse il sole nuda come nulla fosse era davvero intrigante. Nascosi la Dyane in un cassetto, non l’avrei mai più tirata fuori quando c’era Tommy. In fondo poteva ringraziare il nudismo di sua madre se si era evitato un pugno.
Sono passati quasi trent’anni. La Dyane 6 verde rallycross è sul mio scaffale vicino al letto. Lo scaffale delle memorabilia.
Li accanto alla macchinina c’è una scatola di metallo piena di vecchie foto polaroid ingiallite.
Sono tutte foto nude, almeno una dozzina. Nudi di zia Viola, di zia Ivana e di quella vacca di Teodora…
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